Goodbay
Hei, quanto
tempo.
Sembra passato un secolo
dall’ultima volta che ho parlato con te.
Adesso è
inverno.
Sto rubando dieci minuti per
scriverti alle centinaia di cosa che dovrei fare in casa. Non avrei mai pensato
che gli impegni potessero essere tanti.
Indosso la sciarpa rossa di
lana grossa che mi regalasti il nostro primo Natale
insieme.
Oggi l’ho ritrovata in un
cassetto e non ho saputo resistere al flusso dei ricordi. Erano troppi e troppo
intensi, per poterli affrontare uno alla volta.
Ti chiedo
scusa.
Scusa se ti ho seppellito in un
cassetto, scusa se ho voluto dimenticarti, scusa se ha cancellato con una gomma
invisibile qualcosa che avevo giurato sarebbe stato per
sempre.
Davvero, mi dispiace, ma
credimi se ti dico che non c’era altro modo perché io trovassi la
forza.
Quella forza che mi ha spinta
ad andare avanti senza di te.
Sai che
nevica?
Già, nevica
spesso.
E guardando mia figlia che
gioca con i fiocchi bianchi penso che mi ricorda me e che “me” mi fa venire in
mente “noi”.
Anche se forse, infondo, un
vero noi non c’è mai stato.
Eravamo io e
te.
Questo si, questo te lo
riconosco.
Tu davanti e io che ti seguivo,
ma non siamo mai stati insieme davvero, abbiamo soltanto voluto credere, per un
po’ di non essere soli.
La guardo dalla finestra
correre con indosso il suo cappottino rosso.
Dio quanto è bella! Dovresti
vederla.
Apre la bocca, tira fuori la
lingua e assaggia un fiocco di neve, vivendo l’incantesimo in cui si può credere
solo alla sua età.
Alza lo sguardo e mi fa ciao
con la manina, mi sorride.
Anche io la saluto e penso che
tra poco, quando andrò a dirle che deve rientrare perché si sta facendo buio non
mi vorrà più così bene.
Cosa vuoi che ti dica, non
esiste solo il lato positivo di essere genitori.
Ma non sto arrivando al punto,
ti scrivo per dirti una cosa, una cosa importante.
Oggi sono stata dal medico,
c’era anche Nick con me.
Non manca mai neppure ad una
visita, come non ha mancato quelle che hanno preceduto la nascita di
Matisse.
Avresti dovuto vedere la sua
faccia, mentre fissava il piccolo schermo che mostrava il cuoricino della nostra
nuova gioia.
La sua voce mentre diceva, con
tutto il calore dal mondo, “è una bambina”.
Si chiamerà
Joy.
Semplice, conciso,
lineare.
La vita è troppo complessa per
avere un nome difficile.
Già, e tu avevi un nome
difficile. Forse è per questo che non ci sei più.
Non penso di poter desiderare
nient’altro.
Nient’altro se non
questo.
Adesso devo andare, amore
mio.
Si, perché non ho più paura di
chiamarti amore mio, sarai sempre una parte importante del mio cuore, ma, ormai
non la più importante.
Devo andare perché adesso,
adesso che sono una moglie, una madre e che conosco una felicità non legata ad
una qualche sostanza stupefacente so che devo accettare le
responsabilità.
E so che se non preparo la cena
il mio piccolo demonio, presto verrà a dirmi che ha fame.
Ti ho scritto tutto questo per
dipingerti un momento della mia vita adesso, adesso che sei lontano e che non
posso più vederti.
Non mi manchi, non volermene
per questo.
Ti ho amato tanto che adesso
sono certa che mi sia concessa la libertà dal tuo
pensiero.
Ti ho scritto per salutarti,
perché non credo che avrò più tempo, per te.
Goodbye,
Sebastian.
Mai più
tua,
Victoria
Angolino
Dell’autrice:
Una piccola, minuscola shot
scritta di getto in un momento che non so se catalogare tra i “si” o tra i
“no”.
Specifico che non c’entra
niente con la mia fan-fic, Neverland
anche se i personaggi sono gli stessi.
Le due cose non devono essere
considerate in alcun modo collegate.
Sarei molto felice di sapere
cosane pensate.
A
Te, che sei il mio Sebastian e che non la leggerai mai.
E
ad Eleonora, che non potrebbe essere un’amica migliore e non dovrebbe
dimenticarselo.