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Autore: Coccola88    05/11/2009    3 recensioni
Cosa succede dopo la caduta di Sauron? Gli Elfi partono per Valinor, tutti tranne Legolas, che spinto dall'affetto per Elessar decide di rimanere, l'ultimo della sua razza nella Terra di Mezzo. In un viaggio scoprirà le nuove ombre della Quarta Era, una razza temibile e oscura. E lui dovrà scegliere allora tra luce o ombra, solo per amore.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Uruk-hai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! =) La mia prima FF su LOTR, che spero vi piaccia. Vi prego di commentare, ci tengo moltissimo sia alle critiche che ai suggerimenti, sempre nel limite dell'educazione ^^. Spero vi piaccia e che susciti il vostro interesse. Alla fine del capitolo le immagini dei protagonisti e dei luoghi!

Era il tramonto che illuminava il sentiero che tagliava al valle verso Gran Burrone; passato il Bosco Atro, la radura si era aperta lasciando spazio a un paesaggio brullo dall’erba color dell’oro. Era bastato tagliare verso ovest, proseguire per una giornata a cavallo per iniziare a intravedere le montagne, Hithaeglir, l’enorme catena montuosa che tagliava perfettamente a metà la Terra di Mezzo. C’era la pace ora, la tranquillità in quei luoghi assicurata dalla recente distruzione dell’Unico, tutto pareva essersi trasformato o meglio ritornato nell’equilibrio originario.
Legolas giungeva a cavallo tornando da Ithilien, la sua terra natia soffocata dalla vicinanza con Mordor, avvelenata dai suoi mali e dalle sue crudeltà; insieme ai suoi fratelli e al benestare del suo amato padre, Verdefoglia aveva riportato al suo splendore quelle terre, con la benedizione della Dama Bianca, ormai insieme alla stirpe elfica niente più che un ricordo di quello fu. Dopo la morte di Re Elessar niente più lo aveva trattenuto a Gondor, non dama Arwen che tanto amava quel Sindar come un fratello.
Gran Burrone era rimasta immutato: la montagna si apriva in una gola profonda, scavando nel massiccio grigio e cupo, lasciando spazio a un luogo che sopravviveva ancora grazie alla magia elfica e ristagnava ancora di quel suo antico potere, che tutto preservava e rendeva più bello. Eldarion, il figlio di Elessar vi regnava ora e la sua discendenza per metà elfica avrebbe continuato a render Imladris il luogo più accogliente e sicuro di tutta la terra conosciuta agli uomini: era luogo di ristoro, come nei tempi passati nulla turbava la sua quiete e giungendo dalla gola si poteva già avvertire nell’aria tiepida un dolce suono di flauti. Sorrideva l’elfo, riconoscendo le note della sua vita, l’inno al mare e Valinor, era il benvenuto da parte del suo protetto; Eldarion infatti attendeva l’amico all’ingresso di Gran Burrone, in piedi dinanzi alle porte spalancate della fortezza. Era un giovanotto, in pieno fiorire, dai capelli bruni e lisci, dalla bellezza particolare derivante dalla madre mezzelfa, Arwen Undomiel; da lei aveva preso l’amore per il canto e un notevole gusto in fatto di musica, nonché una certa propensione al tiro con l’arco. Intorno alla figura del nuovo re delle terre degli uomini c’era una schiera di uomini, tutti figli di Gondor, alcuni soltanto provenenti da Rohan dopo la rinnovata alleanza con i loro fratelli.
“Legolas Thranduilion, o nella mia lingua Verdefoglia!”, aveva esclamato il re accogliendo l’elfo a braccia aperte e con un sorriso sincero. “Sii il benvenuto, nobile Sindar figlio del Bosco Atro”. Il biondo elfo non dovette sforzarsi per fermare la sua cavalcatura, con solo una parola in Sindarin l’animale arrestò il passo, permettendo al cavaliere di scendere, e Legolas lo fece con leggiadria, posando a terra i piedi senza fare il minimo rumore.
“Salute a te, Eldarion figlio di Aragorn”, salutò l’elfo andandogli in contro, abbracciando il giovane come fosse amico di vecchia data. Inutile nascondere che per il giovane umano Legolas provava un particolare affetto, in quanto in tutto gli ricordava il grande Re defunto, il suo amico più caro insieme al nano Gimli. “Grazie per l’ospitalità, Eldarion”, aggiunse incamminandosi a fianco del re all’interno della fortezza. Un cortile ampio li accolse, dove umani di ogni stirpe stavano a guardare ammirati l’eleganza silvana di Legolas, l’ultimo elfo rimasto nella Terra di Mezzo. C'erano panche di pietra grigia, intarsiate alla base con decori floreali; tutto era pavimentato in pietra più chiara e liscia, dove tuttavia riuscivano a crescere alberi dalla chioma dorata, dono ultimo di Dama Galadriel prima della sua dipartita.
“Non devi ringraziarmi, Legolas. Sei un fratello per me, mia madre ti manda i suoi saluti e spera che tu voglia raggiungerla nuovamente, in seguito al tuo viaggio..”. Il giovane guardò Legolas sorridendo, raggiungendo la sala interna della fortezza dove un camino acceso riuniva donne e bambini: tutti sedevano a terra mentre le donne in piedi parevano incuriosite dal nuovo giunto. Sulle pareti della sala non solo c'erano ristratti dei grandi re del passato, ma sopra il camino brillava la Spada che spezzata.
“Non mancherò, Eldarion”, si limitò a rispondere Legolas. Gli occhi azzurri dell’elfo si soffermarono per qualche istante nel luogo dove tutto aveva avuto inizio, dove la Compagnia si era formata. “Spero solo che il mi viaggio non mi porti via più tempo del dovuto”. Eldarion si sedette su una comoda poltrona lontana dal camino, lontana dagli occhi e dalle orecchie della gente, accanto a una finestra che mostrava il cortile in cui aveva accolto il Silvano. Legolas rimase in piedi.
“Dimmi, Verdefoglia…”, iniziò Eldarion. “Dove ti conducono i tuoi passi? Stai andando a nord, dai mezzuomini?”. Legolas sorrise ampiamente e volse lo sguardo a oriente, laddove stava arrivando la notte.
“No, anche il se mio cuore desidererebbe rivedere molto gli Hobbit. Sono creature formidabili davvero. Hai avuto pure modo di conoscere Meriadoc quando eri più giovane…”, rispose Legolas. “Ma non è li che sto andando. Se il mio viaggi avrà buon esito, re Eldarion, sarai tu il primo a conoscerne il motivo”. E con questa affermazione Eldarion e Legolas non parlarono più del viaggio dell’Elfo per tutto il tempo del suo soggiorno. La serata passò in tranquillità, festeggiando l’arrivo del figlio dei Boschi con canti e poesie, tutti insegnamenti che dama Arwen aveva insistito si tramandassero agli umani “affinché non si scordasse la millenaria stirpe elfica”. E così ora anche gli umani erano diventati discreti musicisti e poeti, componevano melodie dolci e malinconiche, i loro testi annunciavano l’arrivo dell’inverno.
La tavola cui sedevano per cenare era lunga e rettangolare, poteva ospitare più di cinquanta persone: una tovaglia dorata ricopriva il legno massiccio scuro, piatti e posate d’argento ornavano la tavola festa grande, cibo da ogni parte della Terra di Mezzo accontentava ogni tipo di palato.
Al centro della tavola sedeva Eldarion, al suo fianco la bella moglie della stirpe di Rohan, donna dai capelli rossi come il fuoco e il temperamento tipico dei signori dei cavalli, fiera e guerriera. Legolas sedeva alla sinistra del Re; davanti a lui sedevano tre uomini, tutti gondoriani tra cui c’era anche il figlio di Faramir, ormai quasi un uomo.
“E’ vero che gli elfi hanno una vista più acuta di quella di un’aquila?”. Erano queste le domande che ponevano al Sindar, consapevoli che sarebbe stato l’ultimo della sua razza ad essere visto a Gran Burrone. Legolas rispose cortese ad ogni domanda, non sbilanciandosi mai sul suo conto, così risultava essere un elfo pacato, tranquillo e di grande saggezza.
La cena durò alcune ore e tutti si congedarono quando ormai era notte fonda. Legolas non si ritirò nelle sue stanze, anche se Eldarion gli aveva riservato la vecchia camera di Elrond; sfortunatamente si era scordato che di dormire il Sindarin non aveva bisogno. Restò dunque alzato quando tutti se ne andarono a dormire, tranne le sentinelle che nonostante tutto continuavano a sorvegliare di notte il passaggio verso il Bosco Atro. Da solo, finalmente sentendosi a casa e protetto dalla magia della sua gente, il non più giovane elfo anche se l’aspetto rimaneva immutato intonò un canto in memoria di Frodo nella sua lingua natia.
“State cantando di come ha resistito ai Nazgul?”. Fu la voce di una donna a sorprendere l’elfo nel buio, ma nonostante l’oscurità Legolas contraddistinse la figura di una giovane di Gondor, che aveva precedentemente visto tra le schiera di benvenuto al su arrivo, ma di cui non sapeva niente. Lui le sorrise.
“Conoscete il Sindarin, figlia di Gondor?”, le chiese. Lei gli si avvicinò con reticenza, intimidita ma non per paura, ma per l’emozione e l’onore di parlare con una figura leggendaria come la sua, che aveva combattuto l’ultima guerra e che aveva visto Elessar. “Poco, mio signore”, rispose lei. “Quel poco che conosco l’ho imparato dalle vostre canzoni, nei libri che Re Eldarion ha scritto di suo pugno”. Era una ragazzina dai capelli neri come la pece, la pelle d’un vago color del bronzo in cui risaltavano gli occhi, verdi come le foglie che ornavano Bosco Atro in primavera. “Son ben lontana dal parlare il Sindarin..”.
“Permettimi di dirti che è già un onore sapere che una figlia di Gondor s’interessi alla nostra lingua, tu che parli la lingua dei re dovresti esserne fiera”, poi le sorrise dolcemente lasciando che il silenzio calasse piano. Lei timidamente gli si affiancò, potendone sentire per la prima volta il forte profumo. Sapeva di vento e di acqua. Restarono in silenzio per molto tempo, tempo in cui Legolas ebbe modo di studiare la figura della gondoriana con attenzione, arrivando alla conclusione che fosse bella, ma di una bellezza grezza e che per questo gli risultava ancora più affascinante: era diversa da tutte le dame che aveva visto sinora, e sebbene non potesse competere con il fascino delle dame elfiche, la trovava a suo modo interessante. Quando lei si congedò, senza che avessero più parlato, Legolas dovette ammettere a se stesso che avrebbe voluto incontrare di nuovo la gondoriana senza nome, ancora di notte, ancora per parlare della magia elfica, o semplicemente per stare in silenzio. Dopo molto tempo Legolas avvertì un soffocato calore all’interno del petto, anche se dovette dare la colpa al suo ritorno a Gran Burrone dopo molto tempo. Aspettò l’alba e si ritirò nella biblioteca quando il sole era ormai alto nel cielo, laddove sapeva avrebbe incontrato Eldarion per l’ultimo saluto.

Gran Burrone
Legolas
Eldarion
La gondoriana
  
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