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Autore: DilettaWCG    06/11/2009    3 recensioni
«Conosci Le Fumoir?» domandò Nate all'improvviso. [...] «Esattamente. Possiamo rivederci domani mattina lì, facciamo colazione insieme» disse il ragazzo, guardando il pavimento. Era un uomo, si stava per sposare, e non riusciva ad invitare una sua vecchia amica a bere un caffè guardandola negli occhi.
[ J E N N Y H U M P H R E Y / N A T E A R C H I B A L D ]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le Fumoir ~
 
 
 
 
A Diletta, best bitch ever.
 
Un grosso marchio scarlatto che presentava una J e una H intrecciate in una maniera davvero fantasiosa prendeva tutto lo spazio di un'insegna luccicante sulla parete della stanza ed era riprodotto anche sui pomelli delle porte. Si respirava un'aria professionale, lì dentro. C'erano quattro ragazze indaffarate, chine su scatoloni ricolmi di abiti, sciarpe, scarpe e accessori. Nessuna lo aveva visto entrare.
Nate Archibald si guardava intorno, leggermente spaesato. Si trovava a Parigi e non parlava perfettamente francese - non era mai stato troppo portato per le materie umanistiche, così non l'aveva mai imparato come si deve - quindi si sentiva a disagio a fare praticamente qualsiasi cosa. La sua ragazza, più precisamente la sua promessa sposa, era nata a Parigi e aveva preteso che il loro matrimonio fosse celebrato nella sua città natale. Nate aveva acconsentito: gli Archibald non erano poi così numerosi e tutti si potevano permettere un volo aereo fino alla città dell'amore. Così, eccolo lì, in una delle più belle metropoli del mondo, nello studio della stilista che avrebbe dovuto disegnare l'abito da sposa della sua fidanzata.
«Signorina, mi scusi?» borbottò Nate, avvicinandosi ad una delle quattro ragazze intente a lavorare. Non ci furono reazioni.
«Ehilà?! Ho bisogno di incontrare il suo capo» ripeté Nate. Finalmente la ragazza si decise ad ascoltarlo.
Nonostante fosse stata fino ad un secondo prima con la testa infilata in uno scatolone polveroso, aveva i capelli perfettamente a posto, lucenti e disciplinati. Non era bella, ma aveva fascino. D'altronde, con vestiti Chanel e Manolo Blahnik ai piedi quasi tutti ne hanno un po'.
«Lei è...?» domandò la ragazza, sistemandosi meglio la camicetta sul seno. Sorrideva troppo e con troppa convinzione, ma Nate sapeva di essere in grado di fare un certo effetto sul gentil sesso.
Sorrise a sua volta e si presentò, con l'eleganza che lo caratterizzava.
«Un attimo» rispose la giovane donna, e andò a consultarsi con una collega. Dopo un secondo tornò da Nate e gli annunciò che tutto era pronto per incontrare il capo.
Senza dargli il tempo di ribattere, la ragazza lo condusse in un lungo corridoio dalle pareti bianchissime, quasi immacolate, che portava ad un portone di legno di castagno.
Bussò piano, e una voce che a Nate parve familiare li invitò ad entrare.
«Jenny, Nathaniel Archibald per te» annunciò la dipendente, nello stesso modo in cui si annunciavano le visite per la Regina, tanto tempo fa.
Nate entrò nella stanza e guardò la donna che sedeva dietro a un'imponente scrivania in stile ottocentesco e teneva il capo rivolto verso il basso. Stava scrivendo.
Nate tossicchiò e finalmente la donna alzò la testa.
Jenny Humphrey. Nate sobbalzò, sorpreso: non sapeva che fosse diventata una stilista tanto famosa da aver aperto un suo atelier a Parigi.
«Oh dio, tu sei... quel Nate Archibald?» esclamò Jenny, alzandosi immediatamente. Era magra, quasi ossuta, dalla pelle chiarissima. Aveva i capelli biondi e lunghi fino alle spalle e indossava una giacchetta blu elettrico che copriva una canottiera leggermente più chiara. Era esattamente come Nate se la ricordava, e non riuscì a fare a meno di avvicinarsi a lei ed abbracciarla.
«Non avevo idea di essere nel tuo atelier» disse, dopo che si furono entrambi messi a sedere.
Jenny rise. «Ne ho fatta di strada, da quando ero solo una quindicenne ingenua che organizzava sfilate in stile guerriglia»
«Ho notato» rispose Nate. Si sentiva strano a parlare di ricordi così lontani nel tempo eppure così nitidi nella sua mente con l'unica persona che li aveva vissuti assieme a lui.
«Sai una cosa, Archibald? Io disegno solo abiti per donne, quindi presumo sia lecito domandarti che cosa ci fai qui, nonostante rivederti mi faccia davvero un grande piacere»disse Jenny con tono professionale.
«Oh» fece Nate, ridendo. «Di certo non sono venuto per me. La mia fidanzata, Madeline Lussard, voleva sapere se ti sono arrivati gli schizzi per il suo abito da sposa da New York»
Il capo cambiò espressione. Fino ad allora aveva sorriso, si era rallegrata nel vedere che la luce negli occhi azzurri del ragazzo che era stato il suo primo amore era rimasta la stessa dopo tutto quel tempo, aveva sentito il suo cuore perdere un battito nel riabbracciarlo. E adesso veniva fuori che si sarebbe sposato - e non solo, lei avrebbe vestito sua moglie.
Non era più innamorata di lui, questo era certo. Erano trascorsi dieci lunghissimi anni, lei aveva girato tutto il mondo mentre lui era rimasto a New York, avevano perso totalmente i contatti. Ma sentirlo parlare di abiti da sposa l'aveva fatta innervosire, per una ragione inspiegabile.
«Chi avrebbe dovuto mandarli?» domandò Jenny, tormentandosi una ciocca bionda di capelli che le arrivava al mento.
«La sua assistente personale. Si chiama Barbara Jensen» rispose Nate, che aveva notato il piccolo cambiamento nella donna che gli stava di fronte ed era stato percorso da un brivido. Era tutto finito, anni fa, e sicuramente c'era uno sbaglio. Jenny Humphrey lo aveva dimenticato e aveva venduto la sua anima al diavolo, decidendo così di dirgli completamente addio, la sera in cui aveva regalato un abito senza sottoveste a Vanessa Abrams.
Jenny si alzò e con un'andatura aggraziata si avvicinò ad un mobiletto sovrastato da una pila di fogli. Ne scorse alcuni fino ad trovarne uno pieno di annotazioni.
Lo prese e lo sventolò in faccia a Nate, domandandogli se riconosceva la firma di Barbara Jensen.
Nate annuì, mentre non riusciva a muoversi dalla poltrona su cui era seduto.
L'improvviso nervosismo di Jenny lo contagiava ogni attimo di più.
«Ehi, tutto okay? Ho detto qualcosa di sbagliato?» domandò, titubante.
Jenny lo fissò. «Ovviamente no!» cinguettò.
Nate sorrise, incapace di far altro. Non che la sua risposta l'avesse rassicurato, ma almeno ci aveva provato.
Miss Humphrey guardò l'orologio di metallo che le stringeva il polso. <> disse.
«Ehm, certo» rispose Nate, alzandosi. Come avrebbero dovuto salutarsi? Darsi la mano era troppo formale, abbracciarsi era troppo da amiconi, baciarsi sulle guance sembrava troppo finto... In realtà, non aveva proprio voglia di salutarla.
«Conosci Le Fumoir?» domandò Nate all'improvviso.
«Quel bar con vista sul Louvre con la libreria sul retro?» chiese Jenny, rabbrividendo nel capire dove sarebbe andato a parare quel discorso.
«Esattamente. Possiamo rivederci domani mattina lì, facciamo colazione insieme» disse il ragazzo, guardando il pavimento. Era un uomo, si stava per sposare, e non riusciva ad invitare una sua vecchia amica a bere un caffè guardandola negli occhi.
«D'accordo»rispose Jenny, con una lieve incertezza nella voce. «Il mio numero - sembra strano, lo so - è sempre lo stesso, chiamami stasera per l'ora» aggiunse, e senza dare a Nate il tempo di contestare chiuse la porta lasciandolo solo nel corridoio dalle pareti bianche.
  
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