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Autore: kamy    08/11/2009    6 recensioni
Prendete sette draghi malvagi come non ne avete mai visti, un Baby che si è deciso a essere un cattivo decente, una ragazza che scopre di provenire da un altro mondo e avrete questa storia. (Seguito di MajinEvil)
Genere: Generale, Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Goku, Vegeta
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap.1 Ljula

Prima di iniziare con il Gt vero e proprio, voglio approfondire il rapporto MiraixMary e chiudere alcuni conti in sospeso lasciati in MajinEvil.

Ringrazio anche solo chi legge.

Tainted Dragon.

Cap.1 Ljula

 

Un tempio, o meglio quel che ne rimaneva, si ergeva nell'oscurità, rischiarato solo dalle fiamme che lo stavano ardendo interamente, facendolo rovinare su se stesso. Una stupenda statua raffigurante un uomo, bellissimo, con le braccia alzate al cielo in segno di preghiera, stava a terra abbattuta. La superficie lattea era scheggiata, e ombre scure giocavano dietro di essa su ciò che restava della parete crollata. In mezzo a quell’inferno rovente, una ragazza dai lunghi capelli neri di nome Ljula scappava silenziosamente. Non sembrava umana per quanto era bella; aveva l’aspetto di una creatura tanto stupenda da non poter esistere nel mondo terreno, ma era consumata, come se il fuoco che ardeva il tempio le fosse entrato nel cuore distruggendo anche lei. Tutti correvano da un lato, ma lei, confusa, come a rallentatore rispetto a quella gente terrorizzata, fuggiva dall’altra parte.

Sapeva dove andare, seguiva l’unica flebile speranza per la sua razza, ormai destinata ad una prossima estinzione.

I vestiti strappati in più punti e la capigliatura che mulinava nell’aria le davano quasi l’aspetto di uno spettro. Con disperazione spingeva sul pavimento i piedi, feriti ed arrossati, ignorando le gocce di sangue scuro che lasciava dietro di sé ad ogni passo. Il suo pianeta era divorato da fiamme che si levavano alte e nel delle quali il riflesso si proiettava nei suoi occhi viola lucidi di pianto, facendoli brillare nel buio di una sinistra luce di distruzione. Il fumo nero si alzava acre come l’odore della morte. La gente gridava, le persone morivano.

Era la sacerdotessa, era suo compito sopravvivere almeno lei, per tornare un giorno a casa e aiutare la sua gente a rinascere.

Suo padre l’aveva lasciata scappare. Suo padre con cui non si era mai capita. Suo padre che aveva voluto rimanere lì fino all’ultimo. Suo padre che non comprendeva i suoi sogni. Suo padre che non aveva accettato la sua unione con un giovane sacerdote del tempio, né il frutto di quell’amore che ancora teneva in grembo…

Ljula sentì un urlo. L’urlo dell’unico uomo ad averla davvero cresciuta, ad essergli sempre rimasto vicino. Sentì il suo cuore spezzarsi, e capì che lontano dal suo mondo non sarebbe vissuta a lungo. Nel suo ventre però c’era la figlia sua e di Misha. Il suo compagno le era morto davanti, ed ora giaceva ai suoi piedi, il viso pallido, gli occhi spenti, i capelli d’oro che ricadevano scomposti. Crollato come la statua del tempio, spezzato come un fragile stelo d’erba, riverso a terra come un oggetto inanimato. Arrabbiata, si asciugò le lacrime con il gesto stizzito di una mano. Si inginocchiò e velocemente cominciò a scavare. Le mani delicate, non abituate a un simile lavoro, impregnate di magia, si graffiarono. Sottili linee rosse scivolarono sulla pelle nivea, pallida più della luna, mentre continuava a grattare il duro terreno. Le lunghe e curatissime unghie si spezzarono, lasciando scorrere altro sangue, quando finalmente riuscì a vedere nella scura terra una lastra di ferro arrugginita. Afferrò un’apertura e con la forza della disperazione, che nemmeno sapeva di avere, riuscì ad aprire il passaggio. Scese la scala buia, puntando alla sua ancora di salvezza. Una vecchia navicella, di quelle appartenenti ai secoli di luce, prima del buio che era sceso in quel popolo troppo pacifico per difendersi da una terribile invasione come quella. Eppure in quel buio si sentì sola, stanca, braccata. Suo padre, l’uomo che amava, la sua gente, tutti se n’erano andati, rimaneva solo sua figlia, che aveva anche iniziato a scalciare, quasi in lei si riflettessero le sue ansie. Tra le lacrime la giovane sacerdotessa salì sulla navicella, impostando a caso le coordinate. Crollò subito dopo stremata, ferita e semi-incosciente sul sedile. Non si accorse del tempo che trascorse durante il viaggio e non poté neppure guardare un’ultima volta il suo pianeta per potergli dire addio…

La Terra, un pianeta azzurro pieno di pace, simile a com’era stato il suo mondo prima dell’attacco. Abbandonò la navicella e, senza sapere dove andare. si mise a correre a casaccio, con i vestiti laceri, con gli occhi rossi, con i piedi scalzi. Il destino volle che andasse a sbattere contro un giovane sorridente che, sebbene un po’ spaccone, si prese cura di lei. “Calmati piccola, ci penso io a te, andrà tutto bene!...” la rassicurò quello che il mondo in futuro avrebbe conosciuto come il campione Mr. Satan.

 

Anni dopo…

 

Un’altra statua, ben diversa da quella che un tempo costituiva il nucleo centrale del tempio di Ljula, si ergeva in un albergo appena costruito. Una giovane ragazza dai corti capelli neri fissava alquanto triste quell’effige. Suo padre non sapeva cosa fosse il contegno, ed era proprio l’enorme affetto che nutriva per lui a farla soffrire in quel modo. Sua sorella Mary, come sempre, era stata più decisa di lei. A quella pagliacciata non aveva voluto assistere e se n’era andata. A volte si chiedeva se realmente fossero state sorelle. Si, entrambe assomigliavano a loro madre, ma i loro caratteri erano troppo diversi. Una il giorno, l’altra la notte, nonostante avessero in comune il sangue indomito e una buona dose di testa dura. Peccato che la stupenda donna dagli occhi viola che le aveva messe al mondo se ne fosse andata così presto, consumata da qualcosa che nessuno, nemmeno Mr. Satan, si era mai riuscito a spiegare. Non era malata, ma come una pianta appassita senza radici, pian piano era essiccata nonostante le cure quasi ossessive del marito follemente innamorato. Forse era per quello, che il campione del mondo inseguisse stupidamente ogni gonnella negli ultimi anni... O forse era solo la sua natura. Si era proclamato il salvatore della Terra ingiustamente, come aveva fatto contro Cell, dando spiegazioni strampalate del perché le vittime, come la volta precedente, fossero misteriosamente tornate in vita. La giovane Videl sospirò, lanciando una capsula da cui uscì un velivolo per una sola persona. Si vergognava da morire, ma la voglia di vedere Gohan era troppa e anche una scusa come quella poteva andare bene.

 

 

“Corro…Continuo a correre. Sento il fiato che mi esce pesantemente dalla bocca. Mi manca l’aria, non mi sono mai sentita così stanca. No, non è possibile. Sono una guerriera, eppure sento un’immensa paura in me, non riesco a pensare ad altro. Dietro di me urla e fuoco. Non voglio voltarmi o nei miei occhi rivedrei danzare le fiamme. Non conosco questo luogo, eppure questo mondo sconosciuto una parte di me lo definirebbe casa. Non capisco, mi fa male la testa, non riesco a pensare. Poi sento una voce gentile che mi chiama. Alzo il viso e vedo un bellissimo uomo biondo. “Vieni da me, figlia mia”mormora sorridendomi. Mi fermo e inizio ad indietreggiare. Dietro di lui un tempio distrutto e ovunque cenere. No, lui non è mio padre. Vorrei scappare via da lui, ma la sua voce è così gentile. Come posso non fidarmi di una creatura simile? Scoppio a piangere, non so che altro fare. Sono così confusa. “Torna a casa, il nostro pianeta ha bisogno di te… torna a casa”mi ripete suadente. Scuoto la testa. Io sono già a casa, sulla Terra, con mia sorella, mio padre, il mio cane Bay. “Fidati, piccola mia, hanno bisogno di te”. Riconosco questa voce e, tra le lacrime che mi offuscano la vista, la scorgo. Mia madre, quanto mi è mancata. Ero piccola, ma lei era l’unica veramente a capirmi. “Torna a casa, è il tuo destino, sei una sacerdotessa”. Sento di me la consapevolezza che questo non è soltanto un sogno. “Come faccio? Io non so aiutare neppure me stessa”mormoro. Mi asciugo le lacrime. Questi sentimenti non sono miei. Io non piango, io non ho paura. Al contrario, il sentirsi inadatta è parte di me, sono diversa da tutti, l’ho sempre saputo. “Torna a casa e lì ritroverai te stessa”mi dicono entrambe le figure. Annuisco, me ne andrò oggi stesso. Non voglio soffrire in un addio, me ne andrò in silenzio. Magari mi odieranno per averli abbandonati e sarà meglio così…

Mi dico questo e mi sveglio, riemergendo come se fin’ora fossi stata in apnea. Mi alzo, tanto è giorno e sono già vestita, mi ero assopita sul divano. Mi stropiccio gli occhi e guardandomi la mano vedo un qualcosa di incredibile che mi conferma che era tutto vero. Incisa nella pelle, come un marchio, delle coordinate. E so anche dove trovare una navicella”.

 

 

 

Due navicelle saiyan attraversavano lo spazio, tanto veloci da dare l’impressione d’uscire da un buco nero che conduceva a un’altra dimensione. Un effetto ottico che avrebbe fatto rabbrividire, ma mai quanto la loro stessa vista. La razza saiyan si era estinta, per quanto ne sapevano tutti non esisteva più nessun membro che la componesse. Eppure quei veicoli spaziali, bianchi, sferici e lucidi, erano nuovi e vitali. Avrebbero fatto tremare per vari motivi, come demoni usciti direttamente dagli inferi. Nessuno si sarebbe chiesto chi in realtà vi si celasse e se realmente fossero una minaccia. Si sapeva solo che procedevano spediti, quasi fossero loro in realtà a scappare, terrorizzati da qualcosa. Mille congetture in esse, nel loro mistero e nell’oscurità che rossa e tenebra celava il viso di chi era seduto al suo interno. Lasciavano dietro di sè una scia azzurra, come comete sperdute nel cielo alla ricerca di un luogo dove svanire rimanendo ghiaccio destinato a consumarsi in polvere stellare. Il cielo nero, come mare notturno, continuava a sembrare incresparsi, nonostante ciò fosse un semplice effetto ottico dovuto alla velocità. In lontananza un innocuo pianeta azzurro stanziava nel cosmo. Era lì la loro meta.

 

 

Son Goku guardò trucemente il terreno appena dissodato, tenendo in mano la zappa e poggiandosi sul manico di essa con entrambe le mani, come uno scolaro annoiato farebbe su un banco in una lezione noiosa. “Ah, e io che avrei voluto allenarmi”si lamentò rammaricato, guardando il cielo azzurro sopra di lui e le delicate nuvole bianche che si rincorrevano veloci. “Ehi, Chichi?”chiamò, lasciando che le sue emozioni trasparissero dal tono, facendo intendere che a lui quella pareva un’ingiusta punizione, “Visto che prendiamo già soldi da Mr. Satan, perché dobbiamo fare un lavoro del genere?”domandò. La donna si rialzò indispettita nel suo solito kimono giallo, si sistemò il foulard viola e aprì la bocca per ribattere. “Ha ragione, fa caldo. Anche io sono stanco”lo appoggiò Turles, anticipandola. In quel momento, carnagione a parte, sembrava di avere a che fare con due gemelli. Chichi li fissò in cagnesco, in mano una ciotola di legno grezzo. “Vergognati Goku, e lo stesso vale per te, Turles!!”li sgridò, muovendo il capo e agitando un mestolo di legno di cui entrambi i saiyan non riuscivano a capire l’improvvisa provenienza. Che li tenesse nascosti nella manica pronta a tirarli fuori nei momenti peggiori? “Dovreste apprezzare il duro lavoro!”affermò poi alzando un dito seriosa, mentre con l’altra mano si puliva dalla terra che si era posata sui suoi vestiti quando con le ginocchia era adagiata sullo scuro terreno appena arato. “Io lo apprezzo, ma se è un duro allenamento”si lagnò il giovane dalla pelle scura. “Io mi sto arrugginendo nel frattempo”mugolò con uno sguardo basso e triste come quello di un cucciolo il Son. Chichi si avvicinò alla ciotola di legno e prese uno dei semi che conteneva, mettendolo poi in faccia al marito, dopo aver zittito il fratello di Kakaroth con uno sguardo omicida. Il seme aveva la forma e il colore di un fagiolo, ma non era sicuramente normale. In un certo senso, si poteva dire avesse una faccia. “Datti da fare, tuo fratello ha già iniziato a piantare questi “ravanelli””disse. Iniziò dura, ma poi penso di cambiare tattica. Sbatté le lunghe ciglia un paio di volte, catturando l’attenzione del suo uomo. “Come vuoi Chichina”disse lui, ma mentalmente si annotava di ammazzare quel “radicchio” di suo fratello, che gli aveva fornito quegli strani semi capaci di germogliare subito, che lo stavano costringendo a un lavoro così noioso. Radisch nel frattempo, da tutt’altra parte, sentì le orecchie fischiare.

 

Gohan si trovava tranquillamente a passeggiare per il bosco, quando un velivolo atterrò proprio davanti a lui. Lo riconobbe immediatamente, mentre inconsciamente tentava di sistemarsi il ciuffo ribelle. Il cuore iniziò a battere forte, ma cercò di nascondere il rossore. “Videl!!”gridò, vedendo la sua fidanzata scendere e correndo ad aiutarla. Lei fece finta di cadere, solo per farsi prendere qualche attimo in braccio dal giovane Son. Solo per lui, valeva la pena di soffrire qualsiasi pena, si disse la ragazza. “L’Hotel di mio padre è finito”disse, piegando la testa di lato. “Dopo soli due anni? Urka”esclamò il giovane, imitando inconsciamente il gesto paterno nel si grattarsi la testa ridacchiando. “Si, ma ha deciso di fare un galà-party per vantarsi della sua vittoria. L’ho convinto che fosse giusto far partecipare chi realmente ha combattuto contro Kid Bu e quell’altro mostro”disse la giovane, giocherellando con un ciuffo di capelli. Si vedeva che era in imbarazzo per l’orgoglio e la pomposità del padre nuovamente ingiustificati.  “Non preoccuparti! Vieni, tra poco sarà ora di pranzo, resta da noi a mangiare!”la invitò il giovane.

Nel frattempo il duro lavoro dei due figli di Bardack era completato e affamati come due lupi voraci aspettavano che Chichi servisse il pranzo. “Papà, non ci credo!!!”commentò Gohan entrando, vedendo che il genitore indossava una maglietta nera. L’uomo sorrise e salutò cordialmente la fidanzata del primogenito, ignorando la frase detta dal suo figliolo. “Jr. dice che suo padre quella maglietta ancora la sta cercando”ridacchiò May facendo il suo ingresso, scendendo pian piano e con grazia dalla scala. “Papà l’ha solo presa in prestito. Tanto il signor Vegeta non lo sa!”difese il genitore il piccolo Goten, scendendo dalla medesima scala come un euforico tornado. Una volta sedutisi tutti a tavola, Videl ripeté l’invito. Chichi era imbarazzata, ma Turles disse in modo più diretto quello che gli passava per la testa: “Non mi va di andarci”. “Nemmeno a me. Poi stasera volevo riposarmi”gli fece eco Goku, ingurgitando un orrida lucertola abbrustolita. “Dai papà, io voglio andarci!!”gridacchiò May, mentre riceveva da Videl una dolce carezza sui capelli corvini. “Si, dai”aggiunse Gohan. Goku rispose in maniera fin troppo paterna per non nascondere semplicemente la voglia di non andarci: “Ragazzi state buoni”. “Pensare che c’è un banchetto…”inizio Gohan. A quella frase May saltò spaventata in braccio a Videl, mentre Chichi si avvicinava alle due pronta a proteggerle a qualsiasi costo. Gohan faceva la faccia del finto tonto, voltato dall’altra parte, ma con un occhio puntato non visto sulle reazioni di suo padre. Turles era rimasto immobilizzato, gli occhi sgranati, mentre ogni tipo di mela gli passava davanti allo sguardo e una leggera scia di saliva colava dalle sue labbra. “Ha detto potete mangiare di tutto”rincarò la dose quell’incosciente di Gohan. Son Goku si bloccò, dopo aver deglutito l’ultimo boccone. Rimase immobile come una statua, manco pareva respirare. Nessuno poteva vedere la sua visione. Un Goku felice come mai lo era stato, con la sua immancabile tuta arancione, circondato da ogni cibo anche solo lontanamente pensabile. “Se proprio insistete…”cominciò, sbattendo le mani sul tavolo e facendo tremare l’intero edificio, “Andiamooooooo!!!!!!!!!!!!”gridò. Le polpette rotolarono a terra, mentre un vetro si incrinò miseramente. Manco quando rimaneva supersaiyan tutto il giorno nel periodo Cell aveva avuto un effetto così devastante. La povera Chichi sussurrò: “Ma Goku…”, ma fu sovrastata dal grido. Gohan protesse la fidanzata conscio di meritarsi un disastro simile, aveva scatenato gli istinti peggiori del padre. May abbracciata a Videl, ridacchiò divertita da quello spettacolo. Turles invece, spostato dall’onda d’urto prodotta dal suono si ritrovò spiaccicato contro il muro dietro di se. “Siiiiiiii!!!!!!!!”si mise a gridare Goten saltellando. Ancora una volta si dimostrò un piccolo Goku in miniatura e anche la sua portata di voce era invidiabile vista la sua tenere età. In quel finimondo, la porta si spalancò ed un preoccupatissimo Junior face capolino trafelato. “Un attacco?”chiese il namecciano, tappandosi le delicatissime orecchie. Aveva sentito prima la forte manifestazione d’aura e poi le urla anche dalla foresta dove aveva fissato la sua dimora, e aveva pensato che realmente ci fosse qualche pericolo. Ancora aveva molto da imparare sulla particolarissima famiglia Son.

Non ci volle molto prima che il messaggio che Videl lasciò su tutte le segreterie dei loro amici venisse sentito. Ben presto, in vari modi, tutti si presentarono alla porta di quella sperduta casetta nei monti Paoz. I primi ad arrivare furono Gwendy, Crilin e la piccola Marron festante, ovviamente in volo. Con un vecchio macinino fumante, schiacciato dall’eccessivo peso del suo passeggero, si fece ovviamente vivo Juma, che prendeva ogni scusa possibile e immaginabile per poter vedere i suoi adorati nipotini. Goku corse a infilarsi la tuta e salvare la sua maglietta preferita. Non sia mai che il legittimo proprietario si accorgesse che la sparizione fosse avvenuta proprio dopo un allenamento a causa della predilizione che Chichi aveva per i capi neri addosso al marito, che il finto tonto Goku non esitava a utilizzare per ricevere qualche coccola in più dalla consorte, e se mai si fosse messo di mezzo l’imbarazzo, da tempo aveva scoperto che il supersaiyan era davvero molto meno timido. Chichi si mise un capo rosa e bianco panna che le donava, nonostante fosse bastata una semplice capigliatura più libera per far risaltare la sua bellezza per nulla sfiorita, che invece tendeva a nascondere invecchiandosi. May e Goten si misero la loro tutina da combattimento sotto i vestiti eleganti che aveva dato loro la madre, non si sapeva mai. Gohan invece si vestì elegante, rompendo poi la testa al povero namecciano per farsi dire se era abbastanza elegante per piacere a Videl, per poi dimenticare ogni cosa quando la giovane uscì dal bagno della casupola con il vestito che si era portata dietro in capsula. Era così bella agli occhi del Son, che il suo sensei dovette chiudergli la bocca prima che l’interessata si accorgesse di quel bizzarro comportamento. Nello stesso aereo c’erano Yamcha, fidanzata e gelosissimo Pual che si inseriva con la sua codina azzurra pelosa tra le effusioni dei due, dicendo al suo migliore amico di non distrarsi dalla guida. Genio arrivò a bordo di una scassatissimo motorino volante, con degli occhialetti da aviatore di qualche secolo prima e un’allegrissima tartaruga dietro. Tenshinhan e Lunch arrivarono in ritardo, la giovane dai capelli blu scuro presentava un pancione inequivocabile.

Muten si avvicinò subito a Chichi. “Ciaooooooooo vecchio!!!!!”gli gridò Turles in un orecchio, mentre Goku con un po’ meno enfasi e più amicizia lo faceva nell’altro. Roshi, seppur confuso, non si lasciò distrarre dal suo obbiettivo. Dopo aver fatto un infelice commento con idee idiote in mente, Chichi rossa come un pomodoro lo sistemò con una terribile padellata in faccia, avvalorando la tesi dei due figli di Bardack sul fatto che tenesse quegli strumenti da cucina nascosti addosso, da usare  come armi improprie.  Oscar si ritrasformò, dimostrando di essere stato lui il motorino, e con aria di sufficienza guardò l’arzillo vegliardo a terra, con il naso sanguinante e gli amati occhiali da sole rotti, fortuna che ne portava sempre più paia tutti uguali. Goten e May, dopo due anni che non vedevano zio Crilin, stritolarono il povero migliore amico di Goku. Tutti salirono a bordo dell’altro velivolo in capsula che Videl portava con sè, dove poterono entrare tutti, anche se il namecciano preferì procedere in volo, anche per non sentire Goku che come un disco rotto aveva cominciato a ripetere: “Cibo, preparati, sto arrivandoooooo!!!!!!!”.

 

Mr. Satan accarezzava quello che adottato come cucciolo di cane trovato ferito anni fa, salvato quasi per miracolo, adesso assomigliava più a un immenso cagnone. Era preoccupato per la figlia maggiore, che aveva esplicitamente detto di non voler venire. Sospirò, non glielo aveva mai detto, ma non era figlia sua. Aveva sempre saputo che sua moglie non era normale, dotata dei poteri incredibili che a fatica nascondeva, sicuramente era aliena e prima o poi la primogenita, così somigliante alla donna che aveva amato, sarebbe sfuggita dalle sue mani. Alzando lo sguardo vide che fortunatamente ancora i fotografi seminati poco prima non erano riusciti a scovarlo. Amava la folla, essere osannato, ma i tipi che aveva invitato era meglio non pubblicizzarli troppo.

Vegeta stava appoggiato ad un anonimo muro di mattoni sotto una statua dorata di Mr. Satan che gli dava seriamente sui nervi. Nonostante fosse distratto a pensare a Mirai, che per la prima volta da un anno a quella parte, da quando aveva deciso di vivere da solo nell’appartamento in città, non aveva telefonato a casa per dire come stava; percepì immediatamente l’aura di Goku. “Come sei conciato Kakaroth?”domandò, tentando di mantenere un tono neutrale. “Hai intenzione di combattere?”domandò poi, e le sue intenzioni belligeranti si mostrarono ugualmente. “Vegeta, anche tu hai la divisa da battaglia, no?”fece Goku squadrandolo confuso. Il principe dei saiyan si voltò dall’altro lato e stringendo ancora di più le braccia incrociate, infastidito che da dopo Majinbu l’altro si fosse fatto così amichevole, rispose: “Questo è l’abito formale di un saiyan”. “In tal caso, anche il mio lo è”commentò l’altro ridendo serio. Radish, che osservava da lontano, ebbe le lacrime agli occhi. Ogni giorno di più il suo fratellino diventava un saiyan. Pensieri che durarono ben poco perché Nappa lo riattaccò, in fondo mai distrarsi in un combattimento tra saiyan o il rivale non ci va tanto alla leggera, soprattutto se si tratta di un peso massimo come il pelatone. Anche Chichi e Bulma osservavano i mariti sconsolate, le due amiche assistettero a una tipica scena tra i due. Manco il tempo di battere le ciglia, che entrambi erano in posizione di combattimento pronti a combattere. “Vuoi sfidarmi?”domandò Goku. “Sempre!”rispose il principe con un ghigno malvagio. “Perché va sempre a finire così?”domando Bulma sbuffando. “Si incontrano, si scontrano” le fece eco Chichi sconsolata, con le mani sui fianchi. Quando due rumori orribili, gutturali e cavernosi si alzarono nello stesso momento facendo sgranare gli occhi alle due donne. Chichi si portò un dito alla bocca. Riconosceva il rumore dello stomaco di Goku quando era affamato, ma quando mai si era sdoppiato? “Aspetta Vegeta, mangiamo prima un boccone. Sto morendo di fame!”disse concitatamente Goku massaggiandosi la pancia. “Tsk…”iniziò Vegeta e stava già per uccidere il morale del minore. “Non quanto me!”affermò invece, sincero. A quell’affermazione le due donne ebbero uno svenimento all’unisono. Ora era ufficiale, quei due passavano decisamente troppo tempo insieme.

 

“Fregato, mi sono lasciato fregare”pensava Mirai inferocito. Ingannato da due occhioni azzurri. Azzurri erano gli occhi di sua madre, di suo fratello e anche i suoi, ma era un azzurro diverso quello che l’aveva ingannato. Mary, la giovane che amava, era arrivata così agitata in casa sua. Per la prima volta quella ragazza forte e dura che gli aveva rubato il cuore, era sembrata fragile, scossa. Si era sentito in dovere di proteggerla, rincuorarla. Un deficiente, ecco cos’era stato. Un colpo al collo mentre aveva abbassato la guardia e mentre lui era svenuto incosciente, si era fregata la capsula con l’astronave. Poco male, aveva preso un vecchio modello e proprio di recente sua madre gliene aveva dato un’altra da sperimentare. Aumentò la velocità in quel volo interstellare, l’avrebbe raggiunta a qualsiasi costo.

Continua...

  
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