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Autore: OnlyHope    09/11/2009    12 recensioni
Per Sanae tutto iniziava davanti ad una fermata d'autobus, quello stesso giorno Tsubasa partiva per il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E mentre Sanae cercava la sua strada in Giappone, Tsubasa inseguiva con caparbietà il suo sogno in Brasile. Ma anche questa è la storia di un ragazzo che ama incondizionatamente una ragazza. Perché questa è la storia di Tsubasa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 2

Nuova vita







Le ore in aereo mi sembrano interminabili.
Non mi va di fare nulla per ammazzare il tempo, né leggere, né giocare con la console, né tantomeno seguire il film proposto ai passeggeri, forse dovrei provare semplicemente a dormire perché qualcosa mi devo pur inventare per riuscire a non pensare troppo.
Già non pensare, come se fosse possibile staccare il cervello quando la tua vita sta per cambiare radicalmente, quando è ormai già cambiata inevitabilmente.
Mi giro verso il finestrino, il mio sguardo si perde, per minuti che sembrano interminabili, nelle nuvole bianche oltre il vetro mentre nelle mie orecchie rimbomba una delle canzoni della playlist che il buon Ishizaki ha caricato nel mio Ipod non più di un paio di giorni fa.
E sembra già passato un secolo…
Nulla di deprimente, gli avevo chiesto con la scusa che mi servisse per andare a correre, e il mio amico ha eseguito, ignaro, alla lettera…  Fortunatamente.
Così grazie alla musica assordante che mi riempie la testa, sto riuscendo pian piano a spengere i miei pensieri e fissando il cielo azzurro sopra la coltre di nuvole che sembrano tanto soffici, mi lascio semplicemente scortare verso la mia meta e le mie ambizioni.
Ed è un bene questo momentaneo estraniamento, perché non so capire fino in fondo quale sensazione prevale nel mio cuore tra l’eccitazione, uno stato confusionale, un po’, tanta, ansia e l’inevitabile dolore.
Sì perché ogni volta che la mia mente parte per lidi di felicità, dove l’euforia per ciò che mi aspetta la fa veramente da padrona, un retrogusto amaro arriva per ricordarmi che non sarà facile iniziare tutto da capo, da solo e che se mi sembra di aver già pagato abbastanza, col distacco, il prezzo del mio futuro successo, il bello deve ancora arrivare.
Perché realizzare i miei sogni, ha anche il sapore salato di quella lacrima che è scesa lungo la mia guancia dopo aver dato l’addio che volevo più di ogni altro evitare.
Perché ricorderò per sempre i suoi occhi gonfi dal pianto e non scorderò mai la morsa che ha serrato forte il mio petto nel momento in cui l’ho stretta a me, consapevole che fosse per l’ultima volta.
Così non va…
Mordo le labbra per un istante, rimproverandomi di aver riportato i miei pensieri .
Staccare il cervello torna a essere la mia priorità assoluta, per preservare la mia sanità mentale e per farlo alzo istintivamente al massimo il volume dell’Ipod, in modo che la mia testa sia piena solo di musica e nient’altro.
Chiudo gli occhi ora, per nascondere alla mia vista anche il minimo particolare di quello che mi circonda, perché mi ricorda che mi sto allontanando, secondo dopo secondo, sempre più da lei.
Li riapro solo quando la musica s’interrompe all’improvviso e non so dire quanto tempo sia passato.
Accecato dal sole, che ora filtra forte dal finestrino, fisso l’Ipod scarico nel palmo della mia mano e non so se sentirmi sollevato per il silenzio nelle mie orecchie o spaventato dal percorso che potrebbero prendere, ancora, i miei pensieri.
Ottimista cerco di optare per la prima ipotesi quando un aiuto mi giunge inaspettato dall’alto.
La voce cordialmente monotona dell’assistente di volo annuncia l’imminente atterraggio e così il mio cuore e i miei sensi si concentrano sul fatto che sto per abbracciare finalmente il mio sogno.
E se non posso allontanare Sanae dalla mia mente, almeno posso tenerla nascosta per un po’, all’ombra della nuova luce che sta per scaldarmi.
Prendo un respiro e socchiudo le palpebre per assaporare questo momento, che sì ora sento così dolce.
Un brivido attraversa la mia schiena.
Allaccio la cintura di sicurezza.
Sorrido.
Sono pronto!




“E questa è camera tua!”
Rispondo con un sorriso, l’ennesimo, che deve quasi distorcere i lineamenti del viso mentre Roberto mi fa strada in quella che sarà, d’ora in poi, la mia nuova stanza.
Appena varcata la soglia, mi guardo intorno un po’ spaesato, la camera comunque non è niente male, arredata con pochi fronzoli e molto spaziosa.
Le pareti color azzurro pastello e completamente spoglie, sono il particolare che attira maggiormente la mia attenzione perché conoscendomi, immagino già che tra un mese non sarà più possibile trovare nemmeno un centimetro libero per capire di che colore siano.
Riempirò tutto di poster e adesivi, proprio come nella mia camera in Giappone, così magari sentirò pure un po’ meno la mancanza di casa.
“Allora raccontami un po’ del viaggio! Ti hanno accompagnato i tuoi?”
Roberto si appoggia alla scrivania appena sotto la finestra, incrociando le braccia mi sorride per invogliarmi a parlare.
Mi accomodo sul letto, tenendo il peso del corpo con le braccia leggermente spostate dietro la schiena e l’osservo per un po’ prima di rispondergli, non che non l’abbia fatto mai da quando sono atterrato, ma mi sembra così incredibile essere veramente qui in Brasile, con lui.
Non è cambiato molto negli ultimi tre anni, me ne sono reso conto anche quando ci siamo riabbracciati a Parigi la scorsa estate, ma credo che questo sia più che normale, probabilmente quello per cui anche solo un mese può fare la differenza, sono sicuramente io.  
E ripensando agli anni passati non posso non congratularmi con me stesso, con un pizzico di compiacimento e soddisfazione, per essere riuscito ugualmente a spuntarla, per non essermi arreso dopo il suo abbandono, appena vinto il campionato delle elementari e per aver man mano capito, in questo lungo periodo che ci ha tenuto separati, cosa lo portò a decidere di lasciarmi in Giappone.
Per essere riuscito a superare la delusione e il dispiacere, ma soprattutto per aver creduto di poter essere alla sua altezza e che un giorno quest’uomo mi avrebbe finalmente preso con sé, per rendere al meglio le mie potenzialità, per far sì che ogni stilla di sudore uscita dalla mia pelle negli allenamenti interminabili che mi sono imposto, non sia stata vana e per aiutarmi a diventare un vero fuori classe, il migliore.
Il quaderno di suggerimenti che mi lasciò più di tre anni fa ora non mi servirà più perché ci sarà lui a guidarmi, ma ho deciso ugualmente di portarlo con me, come talismano di buona sorte.
“No ho deciso di andare da solo, tipo terapia d’urto!” rispondo infine ridacchiando, incassando un po’ il collo nelle spalle.
Roberto mi guarda incredulo prima di domandarmi se ho riservato lo stesso trattamento anche ai miei amici.
Annuisco abbozzando, questa volta, un sorriso malinconico, perché anche se so di aver fatto la cosa migliore, almeno per me, non credo che un giorno non mi pentirò, causa mancanza di casa e nostalgia, di non aver passato con loro un altro po’ di tempo prima di andarmene.
“Quindi non hai salutato nessuno prima di partire?” mi chiede ancora, questa volta visibilmente perplesso per come mi sono comportato.
Rimango in silenzio per alcuni secondi, spiazzato da una semplice e innocente domanda, mentre le immagini del mio addio a Sanae riempiono la mia mente progressivamente, accavallandosi l’una all’altra.
E non so che rispondere, le mie labbra rimangono semiaperte ma dalla mia gola non emerge nessun suono mentre un calore improvviso alle gote si propaga facendosi sentire velocemente in tutto il corpo.
Roberto mi osserva aggrottando leggermente le sopracciglia, poi i suoi lineamenti si addolciscono in un sorriso bonario.
“Magari me lo racconti un’altra volta…” esclama avvicinandosi fino a posare una mano sulla mia spalla “Ora sei stanco, mangiamo un boccone e poi a letto! Da domani comincerà la nostra sfida!”
Annuisco di nuovo, sempre senza aprire bocca, ancora confuso dalle emozioni e dall’imbarazzo che mi hanno travolto all’improvviso e con un sorriso riconoscente, lo ringrazio per aver capito che ancora non è decisamente il momento.
Perché lo strappo è troppo recente, perché davvero non posso parlare di casa mia ora, che non è passato un giorno che l’ho lasciata.
E perché forse, semplicemente, non mi sono reso conto ancora di quanto lei mi mancherà…




E di nuovo non mi ha passato la palla quello!
Riprendo fiato posando le mani all’altezza dei reni, poco sopra i cordini che stringono la mia casacca giallo limone.
Sono i primi giorni d’allenamento e le cose, devo ammetterlo, non è che stiano andando alla grande.
Un po’ me l’aspettavo per carità, ma non posso non rimanerci comunque un po’ male.
Perché in Giappone tutto era semplicissimo, io ero l’allenatore di me stesso e tutti i miei amici e rivali, mi spronavano a fare del mio meglio, senza avere il minimo dubbio sulle mie potenzialità e sulla mia tenacia.
Qua in Brasile invece è tutta un’altra storia e l’ho capito da subito.
I ragazzi che partecipano come me alle selezioni per il Sao Paulo non guardano in faccia nessuno, concentrati come sono solo su loro stessi e non hanno il benché minimo interesse a sapere chi io sia o quanto possa essere stato bravo nel mio Paese.
Anzi proprio il fatto che sia giapponese, li porta a disinteressarsi completamente a me, con una nota di superiorità dovuta al fatto di essere nati nella parte giusta del mondo, calcisticamente parlando.
Roberto poi, che a casa è come un padre con me, una volta arrivati qui al campo, si trasforma in un allenatore impassibilmente severo, facendomi sgobbare almeno quattro volte più degli altri.
E non perché posso essere considerato il suo pupillo, non solo per quello almeno, visto che devo ancora dimostrare tutto qua in Brasile e soprattutto a lui, ma perché oggettivamente, il calcio del mio Paese non mi ha messo nelle stesse condizioni degli altri ragazzi che sono qui a pretendere un posto in squadra come me.
Parto un gradino indietro, è un dato di fatto e non posso farci niente, se non rimboccarmi le maniche e impegnarmi.
Eccolo di nuovo con quello sguardo torvo… penso osservando l’unico ragazzo che sembra degnarmi un minimo a differenza degli altri, peccato che la sua attenzione non sia mossa minimamente dalla voglia di fare amicizia.
Non mi rivolge parola, proprio come tutti, ma invece che limitarsi a ignorarmi, è così gentile da regalarmi, spesso e volentieri, sguardi al vetriolo ogni volta che incrocio il suo sguardo.
E non fa proprio nulla per nascondere la sua ostilità ed io nemmeno posso restituirgli il piacere, visto che ogni volta che vorrei farlo, mi torna in mente la gaffe involontaria, che mi ha innalzato ai suoi occhi da essere invisibile, anonimo numero sulla tabella dei rivali da far fuori, a emerito pezzo di merda.
Abbassando lo sguardo, fisso la punta dei miei scarpini nuovi ai quali associo immediatamente lo sguardo assassino che questo ragazzo dalla pelle scura mi ha lanciato la prima volta che ho messo piede, con Roberto, in questo campo e avverto così la stessa sensazione di disagio che mi ha colpito quando il mio sguardo incredulo, è sceso dal suo volto incazzato agli scarpini ai suoi piedi, completamente consumati e logori.
Perché qui in Brasile non si gioca solo per passione, ma purtroppo spesso anche per fame e le mie scarpe di marca nuove temo siano per lui un continuo schiaffo in faccia, visto che ignora completamente che io invece le indosso solo perché sono un regalo di Sanae.
Per questo non ci riesco ad avercela con questo ragazzo, che ovviamente non ci ha tenuto proprio a presentarsi, visto che crede io sia l’ennesimo stronzo con i soldi venuto a rubargli il posto e il pane.
Con un sospiro sconsolato, mi concentro di nuovo sulla partita d’allenamento e una volta rimessi gli occhi sul pallone, scatto deciso verso la porta avversaria e quando mi trovo a pochi passi dal difensore in possesso di palla, scivolo sull’erba senza esitazione, rubando la sfera ai suoi piedi.
Mi rialzo e continuo la mia corsa, ostacolata nemmeno qualche metro dopo, da un altro avversario.
Mi fermo di fronte a lui, il piede destro sulla palla, e simulo un paio di finte che però non l’ingannano, così non mi resta che cercare aiuto e con la coda dell’occhio noto proprio il ragazzo incazzato con me che si sta smarcando da un avversario.
E fregandomene del fatto che mi gambizzerebbe volentieri e che lui, al posto mio, meglio segnerebbe un autogol che fare un assist sotto porta proprio a me, gli passo la palla che, tracciando una parabola in aria, attera precisa sul suo petto e cade poi ai suoi piedi.
E’ forte… penso seguendo la sua corsa che finisce però malamente, sotto la poderosa gomitata al petto che gli ha rifilato il tizio alto due metri con la casacca verde che arriva a malapena ai fianchi.
La palla rotola così lontano da loro incustodita ed io, che proprio non so cosa voglia dire arrendersi, mi getto al suo inseguimento dando sfogo a tutte le mie energie.
Riesco a raggiungerla anticipando un avversario, velocemente giro su me stesso per proteggere il pallone e poi di nuovo di corsa verso la porta.
Un terzino mi si para davanti, con lo sguardo cerco ancora aiuto intorno a me ma poi il varco tra le sue gambe mi sembra troppo invitante per non tentare un tunnel.
La sfera gli passa tra i piedi mentre lo sorpasso e quando ne sono di nuovo in possesso, proseguo la mia corsa fino a vedere il portiere a pochi metri da me e so che è il momento.
Certo la mia posizione non è delle migliori ma potrei comunque farcela, tanto vale provare ma mentre sto caricando il tiro, scorgo di nuovo, diagonalmente a me, il ragazzo incazzato completamente smarcato, con il portiere spiazzato e tenuto in gioco di un soffio da un difensore.
Lui è nella posizione ideale, è un goal assicurato.
E così senza pensarci due volte, quello che doveva essere un tiro, e magari un goal da annuario vista la posizione, diventa un assist per il mio nemico, che con stupore stoppa di nuovo di petto e con decisione poi tira al volo … e segna.
Salto felice con il pugno in aria e preso dalla mia solita euforia, che mi annebbia completamente il cervello, corro istintivamente incontro al mio compagno che ha segnato.
Circondo il suo collo con un braccio, congratulandomi spontaneamente in portoghese, completamente dimentico del fatto che il ragazzo non mi sopporta proprio.
Ma è più forte di me, non so controllarmi e mi rendo conto d’aver esagerato solo quando il fischio del secondo di Roberto ci richiama a centrocampo.
Ok Tsubasa! Con questa simpatica iniziativa hai decretato definitivamente la tua condanna a morte…
Sorridendo imbarazzato e grattandomi la testa mi allontano così dal ragazzo incazzato senza il coraggio di guardarlo in faccia, mentre mentalmente continuo a darmi dello stupido.
Mi fermo stupito e mi volto però, quando lo sento pronunciare il mio nome, storpiato un po’, un bel po’, dal suo accento.
“Tsubasa!” ripete avvicinandosi con lo sguardo sempre serio, ma meno ostile mi sembra di capire.
“Io sono Pepe!” e mi porge la mano con fare deciso che io, ancora stupito, fisso per un po’ prima di stringerla sorridendo allegramente.
Lo sento rispondere alla mia stretta con decisione poi con un cenno del capo si allontana di nuovo, senza aggiungere un’altra parola e mentre osservo la sua schiena allontanarsi mentre si dirige al centro del campo, avverto per la prima volta una sensazione di speranza.
Perché il pallone è il mio migliore amico, ma non può e non deve essere l’unico.






Vorrei semplicemente ringraziare tutte le persone che si sono avvicinate al precedente primo capitolo. Come sempre mi mancano le parole adeguate per esprimere la mia gioia e l’entusiasmo che mi avete trasmesso. Spero di fare del mio meglio con questa storia e di non deludere le aspettative di nessuno, in particolare di chi ha seguito B. Ringrazio le mie amiche che mi hanno incoraggiata ad intraprendere questa nuova avventura, per gli stimoli, l’affetto e l’aiuto. Ringrazio le “nuove conoscenze” per l’interesse e l’attenzione.
Al prossimo capitolo!
Un abbraccio, OnlyHope^^



 







 



   
 
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