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Autore: Atlantislux    10/11/2009    6 recensioni
[Gundam SEED] Pensava che il passato non l’avrebbe più tormentato. Si sbagliava. Perché le bambole da guerra, anche se rotte, trovano sempre qualcuno che le aggiusti.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Irreparabile'
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Certezze



Aprilius City, 14 dicembre, C.E. 81


Sbagliato... sbagliato...’

Trattenendo il fiato Athrun si spostò leggermente e la pistola che lo stava tenendo sotto tiro si mosse di conseguenza, ritornando a inquadrarlo con millimetrica precisione.

Nell’assoluta incertezza di quello che poteva fare, Athrun accennò a quel punto a fare mezzo passo verso Nicol. E fu uno sbaglio.

Sentì il proiettile passargli accanto all’orecchio destro, così vicino da accarezzargli la pelle, mentre lo sparo veniva soffocato dal silenziatore dell’arma.

“Rimani al tuo posto” gli ordinò Nicol, e Athrun non poté fare a meno di obbedire.

Gli aveva sparato senza nemmeno guardalo in faccia, e Athrun non aveva dubbi che Nicol avrebbe potuto benissimo colpirlo, se solo avesse voluto.

Accanto a lui Yzak esplose in una secca risata, e stavolta l’Ammiraglio di Orb si limitò a girare cautamente la testa verso di lui.

L’albino aveva un’espressione tirata, sul volto che aveva perso ogni colore.

“Beh, Athrun, ti eri preoccupato che gli sparassimo addosso, non è ironico che sia invece lui a farlo? Come la mettiamo adesso? E tu? Che vuoi fare, ucciderci?”

“No se buttate le pistole e vi togliete di mezzo.”

“Non riuscirai mai ad uscire di qui, i miei uomini...”

Nicol scosse la testa. “Neutralizzati dal mio compagno. Credevi che fossi venuto solo?”
“Quindi l’attacco all’ospedale di Lacus era un diversivo?” ringhiò Yzak.

“Certo, non hai mai sentito parlare di mitragliatrici automatiche? E, in ogni caso, lei non è mai stata un bersaglio per noi.”

Un frigido sorriso toccò le labbra di Nicol. “Adesso spostatevi. Io voglio solo andarmene, non farvi del male.”

“Aspetta un attimo” urlò Athrun, abbassando leggermente la propria arma. Fissò il giovane che aveva davanti, anche se Nicol non aveva ancora accennato ad incrociare lo sguardo con lui. “Sei proprio tu? Tu sei... Nicol?”
“Vorresti che non lo fossi?” fu la strana risposta che gli venne data.

“Certo che no” esplose frettolosamente, al che, un’espressione di puro scherno apparve sul volto di Nicol, fino a quel momento assolutamente inespressivo.

“Ne sei proprio sicuro?”
Athrun stinse i denti. Il suo amico non aveva mai esibito una smorfia così sarcastica, né aveva mai avuto un tono tanto derisorio. A quel punto, si ricordò crudelmente delle parole di Shiho.

Non è lui. Qualunque cosa abbia passato questa non è la persona che conoscevo.’

Anche se era difficile negarne l’evidenza avendolo davanti.

“Se sei tu, allora perché mi stai puntando un’arma contro? E cos’è successo? Come mai...”

“Come mai non sono morto?” lo interruppe l’altro. “Perché, ti sono mancato?”
Ancora quel tono. Athrun cominciava a trovarlo snervante.

“Cosa?” sibilò Yzak. “Non so dove tu sia stato in tutti questi anni, anche se gradirei saperlo, ma ti faccio notare che il tuo amico qui è vivo per miracolo. Dopo la tua finta morte ha rischiato la vita per vendicarti. Tu non c’eri, ma...”

“Però è ancora qui, no? Non che sia proprio morto per me, giusto? Oh no, lui non ha proprio avuto il coraggio di uccidere il suo amichetto e se stesso, giusto?”

L’attenzione di Athrun ritornò su Nicol, il cui sorrisetto si era trasformato in una smorfia di disprezzo.

“Che stai dicendo?” riuscì a proferire, turbato.

Finalmente, Nicol lo guardò. “Credi che non lo sappia che il pilota dello Strike era il tuo amico d’infanzia? Ecco perché non riuscivi a combattere contro di lui seriamente” il giovane spostò la canna della pistola leggermente di lato, in modo che Athrun potesse vederlo bene in faccia. “Beh, non dirmi che non sei stato almeno un po’ sollevato che sia morto io invece di Kira. Mi avresti odiato se invece gli fosse capitato qualcosa? È così, non è vero?”

Athrun sentì improvvisamente la gola secca. Ancora dopo anni riteneva uno dei suoi errori più grandi non aver detto a Nicol di Kira. Lui sicuramente l’avrebbe capito ed aiutato e, forse, l’infausto duello avrebbe potuto avere un esito diverso. Ma mai Athrun avrebbe pensato che Nicol sarebbe ritornato dai morti per rinfacciarglielo. E non era solo un problema di contenuti.

L’aveva accusato con una voce nella quale risuonava irritazione ma non un particolare livore, come se c’avesse pensato su per così tanto tempo che, evidentemente, la cosa aveva perso qualunque significato. Ma, ad Athrun, questo faceva ancora più male. Perché voleva dire che nessuno di loro aveva più importanza per Nicol. In nessuno modo, nemmeno da odiare.

E poteva capirlo da come li guardava, come se fossero niente di più di due oggetti inanimati per caso posati in mezzo al parcheggio. Senza valore.

Scosse la testa. Non poteva andare a finire in quel modo.

“No. Avrei pianto la sua morte, esattamente come ho pianto la tua. E la mia vita ne sarebbe stata sconvolta, come è stato dopo che te ne eri andato. Ma era una guerra, e io realizzai solo quando vidi il Blitz saltare in aria che veder morire i miei amici, per davvero, era il prezzo che avrei dovuto pagare per essermi arruolato. E lo pagai fino in fondo, perché tu puoi anche non crederci, ma il cielo mi è testimone che io feci di tutto per vendicarti. E che per sempre ti sono stato grato per avermi salvato la vita quel giorno.”

Athrun abbassò la pistola, la voce spezzata dal rimorso. “E tu, invece, ti sei mai pentito di quello che hai fatto?”

“Tutti i giorni, Athrun...” fu la decisa risposta, che fece sussultare l’Ammiraglio di Orb. Era quella che aveva più temuto.

Una manciata di metri li dividevano ma, anche da quella distanza, Athrun vide Nicol stingere la presa sul calcio dell’arma che stava puntando contro di lui. Sembrava essersi dimenticato di Yzak, che se ne stava in raggelato silenzio accanto ad Athrun.

“Io non volevo morire” disse Nicol. “Io volevo crescere. Volevo una vita e volevo rivedere la mia famiglia. Volevo andare all’università, e fare qualcosa di buono per il mio paese. Per quello mi ero arruolato, non te l’avevo forse detto qualche ora prima di quell’... incidente? Sapevo i rischi che avrei corso, ma mai ho desiderato la morte. Io lo rimpiango, Athrun. Non di averti salvato la vita, ma di avere perso la mia in quel modo.”

Il giovane in divisa nera si interruppe, chiaramente in difficoltà e, Athrun, nonostante fosse lui quello minacciato, non riuscì a non provare un’immensa pena per il suo amico.

“Nicol, che cosa ti hanno fatto?” mormorò.

“Non credo che tu voglia davvero saperlo. E, comunque, gli devo solo essere grato per essere vivo.”
“Grato?” grugnì Yzak. “Per averti trasformato in un killer a sangue freddo? In uno che non ha nessun problema a sparare su donne indifese?”

“Con quella traiettoria Lacus Clyne non sarebbe mai morta. E comunque io non uccido Coordinator.”
“Va bene, allora vogliamo parlare di Meyrin? Quella che hai quasi assassinato al museo?”

Athrun vide Nicol inclinare la testa in un modo decisamente curioso e lievemente rigido, come se le articolazioni del collo rispondessero a regole diverse della fisiologia rispetto a quelle del resto del consesso umano.

“La donna con i capelli rossi? Difficile che si sia fatta troppo male, con quell’angolo di impatto.”

“Ma cosa credi? Di stare parlando di oggetti?” gli urlò Yzak. E Athrun capì che era pericolosamente vicino a perdere le staffe.

Le labbra dell’albino si piegarono in una smorfia disgustata. “Ed era un oggetto anche quel tuo compagno là sopra? Quello ridotto in cenere?”

Athrun aveva i nervi talmente tesi che il suono dello sparo, pur se soffocato, lo fece sussultare, mentre Yzak crollava sulle ginocchia con un guaito di dolore, tenendosi la mano che fino a qualche secondo prima aveva impugnato la pistola.

Con estrema calma, Nicol si avvicinò a lui e gli avvicinò l’arma alla testa.

Lo sguardo rabbioso con il quale Yzak lo fulminò non sembrò avere nessun effetto sul giovane dai capelli verdi, che gli fece invece un sorriso quasi amabile.

“Allora, Yzak, chi è di noi due il vigliacco, adesso?”

A quel punto, Athrun decise che non poteva più stare a guardare. Maledisse silenziosamente il brutto carattere di Yzak e, incurante del fatto che fosse ancora sotto tiro, si approssimò ai due. Nicol gli lanciò un’occhiata di sbieco, ma stavolta non fece nulla per fermarlo.
“Lascialo perdere, è solo con me che te la dovresti prendere. È solo perché volevi salvare me che sei rimasto ferito.”

Sorprendendolo, Nicol scosse la testa. “Non solo. Sapevo di non essere il migliore dei piloti, ma volevo dimostrarvi il contrario. Ero consapevole di non avere nessuna speranza contro lo Strike ma, se non avessi fatto nulla, non solo avrei avuto sulla coscienza la tua morte, ma cosa avrebbero pensato di me Yzak e Dearka? Io non potevo più sopportare il loro... disprezzo.”

Le parole di Nicol erano così simili a quelle che Yzak gli aveva confessato poco prima che Athrun si ritrovò a sorridere sconsolato. Anche perché il giovane dai capelli verdi sembrava aver abbandonato ogni pretesa di indifferenza o di confronto con loro, e ora appariva come incerto sul da farsi. Abbassò gli occhi e, finalmente, anche le armi.

“Adesso basta” mormorò. “Quello là sopra era un mio amico, l’ho ucciso con le mie mani, e non ho voglia di fare lo stesso con voi. Toglietevi di mezzo. Io voglio solo… tornare a casa e non vedervi mai più.”

“Aspetta” gli disse Athrun, cercando nel suo cuore le parole più adatte a quel momento. Non poteva lasciare andare via Nicol in quel modo, o avrebbe passato il resto della vita a rimpiangerlo. “Lascia che ti chiarisca almeno una cosa. Quello che è successo è stata una cosa orribile, di cui nessuno di noi ha colpa. Eravamo in guerra, e troppo giovani per affrontarne le conseguenze. Hai ragione, avrei dovuto parlarti, confidarmi con te riguardo a Kira. E, soprattutto, non avrei dovuto lasciare che Yzak e Dearka ti prendessero in giro, quando tu invece mi difendevi sempre...”

“Sarebbe stata fatica sprecata, Athrun” esplose Yzak, alzandosi in piedi. Fissò duramente Nicol. “Perché vedi, il nostro pianista qui, è sempre stato molto più forte di te. Quindi tu non avevi proprio nessuna necessità di difenderlo, sapeva farlo benissimo da solo.”

L’Ammiraglio di Orb spalancò gli occhi, stupito, mentre Nicol indietreggiava.

“Che dici?”

Yzak avanzò deciso, senza nessuna reazione da parte di Nicol, che sembrava sconcertato tanto quanto Athrun dalla reazione dell’albino.

“Dico che fino a dieci minuti fa pensavo, anzi no, speravo che ti avessero semplicemente fatto il lavaggio del cervello. E invece è ben peggio di quello. Il problema è che tu sei proprio fuori di testa.”

“Basta, Yzak!” urlò Athrun, incapace di credere che l’amico stesse facendo una cosa tanto insensata. L’altro nemmeno gli rispose, troppo impegnato a sfogare tutta la rabbia che gli covava dentro in quei giorni. Guardandolo, Athrun si chiese se ne sarebbero usciti vivi.

“Con che coraggio ritorni qui solo adesso, dopo tutti questi anni nei quali noi abbiamo pianto la tua perdita?” Yzak sbraitò in faccia a Nicol, che ancora non stava facendo nessun tentativo di difendersi.

“Come puoi insultare Athrun per quello che ha fatto? Dopo tutto quello che ha passato a causa della tua stupidità!”

Yzak allungò una mano e afferrò Nicol per il colletto dell’uniforme, tirandolo verso di sé. Athrun si trovò a trattenere il fiato. Sapeva che se avesse voluto Nicol si sarebbe potuto liberare facilmente ma, in quel momento, stava semplicemente subendo senza dire una parola la sfuriata dell’albino.

“Va bene. È stato eroico. Te ne sei andato con un bel botto, ma da vero coglione. Che ti è saltato in testa di comparirgli davanti in quel modo? Perché non ti sei coordinato con noi? Avremmo potuto attaccarlo insieme!”

Alzò anche l’altra mano, anche se ferita, per scuotere Nicol come se fosse stato una bambola.

Preoccupato all’inverosimile, Athrun cercò di fermarlo. Non riusciva a capire cosa stesse passando nella testa di Nicol, ma il fatto che avesse ancora le pistole in mano rendeva l’atteggiamento di Yzak decisamente pericoloso. E poi, armi o meno, poteva fargli comunque molto male.

“Basta, smettila anche tu di rivangare il passato” urlò Athrun all’albino.

Che non fece caso alla sua protesta.

“Certo, insieme ce l’avremmo fatta” Yzak continuò, come se non l’avesse sentito. “Peccato che tu dovevi per forza giocare all’eroe solitario e, peggio, usare quell’arma da codardi nel modo più sbagliato possibile. Io rimasi esterrefatto. Non potevo credere che uno dei miei compagni, uno dei migliori in Accademia, avesse potuto fare qualcosa di così idiota.”

Terminò quasi ululando, senza che Nicol avesse dato segno di essere particolarmente colpito dalle sue parole. Però, quando ebbe finito, il giovane fece una smorfia quasi divertita.

“Lo sapevo, Yzak…”

“Sapevi, cosa?” ringhiò l’altro.

“Che mi avresti dato dell’idiota e del vigliacco non appena ci fossimo visti. Dopo tanti anni sei ancora così prevedibile.”

“Mi prendi in giro? Bastardo! E io che ho anche pianto per te…”

Athrun trattenne il fiato, mentre Yzak, realizzando forse quello che aveva appena svelato, diventava paonazzo.

L’albino lasciò Nicol e, esibendo la sua espressione più altezzosa, gli tirò un manrovescio.

Siamo fottuti…’ non poté a meno di pensare Athrun, incapace di trovare una via d’uscita a quel disastro.

Poteva sentire il respiro pesante di Yzak, e vedere come stesse stringendo i pugni che tremavano dalla tensione. Teneva la testa bassa mentre, di fronte a lui, Nicol si era portato una mano al viso, sembrando assolutamente scioccato.

Lo vide fissare Yzak ma, sorprendentemente, il giovane ebbe la reazione che lui meno si sarebbe aspettato, date le circostanze.

Si infilò le pistole nella cintura, e allungò una mano appoggiandola sulla spalla di Yzak.

“Mi dispiace se vi ho fatto preoccupare” mormorò, con gli occhi lucidi. E, solo in quel momento, Athrun finalmente riconobbe il suo amico.

“Stupido idiota, come hai potuto pensare di tornare in questo modo…” Yzak biascicò. “Ti odio.”

“Sfidami a duello se la cosa ti fa così tanto incazzare.”

“Ma piantala.”

Athrun non poté trattenere un sospiro di sollievo quando, finalmente, Nicol si decise ad abbracciare Yzak, che rispose al gesto con un attimo di ritardo. Nonostante quello, Athrun poteva chiaramente vedere le labbra dell’albino muoversi, e fu certo che stesse continuando a riempire l’altro di insulti.

Nicol gli lanciò un pallido sorriso da sopra la spalla di Yzak, e Athrun si ritrovò improvvisamente a combattere contro le lacrime.

“Sei davvero tornato?”

Nicol annuì. “In un certo senso.”



Aprilius City, 15 dicembre, C.E. 81


Avevano dovuto subire una pesante sfuriata da parte di Kappler per essersi lasciati scappare i due terroristi. Mentre il dott. Zimmer, ululando di sdegno, li aveva niente poco di meno che accusati di sabotaggio, per non aver saputo prevenire la perdita del suo ‘soggetto di studi’.
Ma, per una volta, Yzak si era detto d’accordo con Athrun: non potevano consegnare Nicol e il suo compagno alla milizia di Kappler. Non che avrebbero potuto, se anche ci avessero provato.

Il Coordinator chiamato Riko li aveva raggiunti nel parcheggio, dandogli la notizia che aveva disattivato tempo prima le telecamere. Nelle registrazioni non ci sarebbe stata traccia del fatto che si erano incontrati, né che Nicol avesse staccato le macchine al suo amico Lex. Inviando falsi messaggi ai caposquadra, e manomettendo in seguito il sistema di chiusura delle porte, Riko aveva bloccato i soldati sul tetto dell’edificio e nella hall, quindi nessuno aveva riportato ferite, così come gli uomini di Kappler e Dearka all’altra clinica.

In qualche modo, anche Yzak era rimasto impressionato dall’efficienza dei due, e aveva acconsentito a lasciarli andare, più che altro in nome della loro vecchia amicizia e del fatto che, pur mandando qualcuno all’ospedale, avevano liberato PLANT da una bella patata bollente. Alexander Borodin era dopotutto l’unico morto e nessuno, da nessuna parte, ne avrebbe sentito la mancanza.

Così si erano lasciati, ma Athrun era riuscito a strappare a Nicol la promessa di vedersi il giorno dopo, prima della sua partenza.



Si erano dati appuntamento fuori città, in un bar dove il gestore non aveva dato nessun segno di aver riconosciuto il giovane cliente, nonostante gli identikit che erano stati diffusi ovunque.

D’altronde, nelle news era passata la notizia che i terroristi si erano come volatilizzati, e che il controllo radar aveva individuato uno shuttle che si era allontanato senza autorizzazione da quel PLANT. Quindi, la popolazione, l’esercito e la polizia erano convinti che chi aveva attentato alla vita di Lacus Clyne fosse purtroppo lontano.

Athrun strinse il volante. Nicol gli aveva chiesto di poter visitare il cimitero, e l’Ammiraglio di Orb ve lo stava portando, sebbene colto alla sprovvista dalla particolare richiesta. A lui non sarebbe mai venuto in mente di andare a vedere la propria tomba, e nemmeno al Nicol che conosceva, ma si era oramai rassegnato al fatto che la persona che aveva accanto aveva conservato ben poco del suo amico.

Il piccolo Nicol era stato ciarliero e solare, al punto da infastidirlo, a volte, con le sue chiacchiere infantili, ma era diventato un adulto riservato e diffidente, che da quando erano partiti non aveva ancora detto una parola, preferendo osservare il panorama.

Athrun gli gettò un’occhiata. Da vicino Nicol non gli faceva un effetto molto diverso rispetto alle sue prime impressioni e, se non fosse stato per il fatto che il giovane, ogni tanto, batteva le palpebre, gli sarebbe sembrato di stare portando in giro un manichino.

Eppure ieri l’ho visto sconvolto. Evidentemente è diventato davvero bravo a nascondere le sue emozioni.’

Athrun non sapeva se esserne affascinato o disgustato. Era di certo attratto dal misterioso passato dell’amico, ma non aveva ancora trovato il coraggio di chiedergli cosa gli era successo. In parte, anche perché non riusciva in nessun modo a capire cosa gli stesse passando per la mente, ed era certo che Yzak non fosse stato poi tanto lontano dal vero il giorno prima, quando aveva praticamente dato del pazzo a Nicol.

Athrun, che si ricordava bene come era l’amico anni prima, non riusciva a far finta di non vedere come i suoi pattern mentali fossero alquanto particolari.

Come un ingranaggio nel quale qualche dente è spezzato o mancante. Non pregiudicano il funzionamento complessivo della macchina, ma la rendono comunque un po’... dissonante.’

E, ‘discorde’, era proprio il termine che avrebbe usato per descrivere il comportamento di Nicol.

Athrun si concentrò di nuovo sulla strada che, in quel punto, costeggiava il mare artificiale antistante la città di Aprilius. Il sole del primo mattino si rifletteva sulle acque, rendendo come di cristallo scintillante la linea che segnava il punto dove i flutti incontravano la parete del PLANT.

“Athrun, ti puoi fermare qui?” gli chiese Nicol, quasi sorprendendolo. Obbediente, accostò la macchina e fermò il motore a lato di un belvedere dal quale si godeva una bella vista sul mare. Solitamente era un luogo molto frequentato dalle coppie di innamorati, ma a quell’ora era deserto.

Senza dire una parola, Nicol scese dall’auto e si avvicinò alla balaustra seguito da Athrun, sempre più incuriosito.

“Visitare la propria tomba. Che idea macabra” lo sentì sussurrare. Poi Nicol si girò verso di lui, sembrando mortificato. “Ho cambiato idea. Vuoi salutare tu Rusty da parte mia? Io non ce la faccio.”

Athrun tirò un sospiro di sollievo. “Ma certo. Non devi preoccuparti di nulla. Tu…”

“Non l’avrei mai detto, ma adesso il mare di PLANT mi sembra davvero claustrofobico” gli disse l’amico, cambiando brutalmente argomento. Se c’era una cosa che Athrun aveva capito, da quel poco tempo che erano stati insieme, era che Nicol non amava particolarmente parlare di sé.

“Mi ricordo che ti piaceva molto l’oceano terrestre” gli rispose, assecondandolo.

Nicol sorrise, fissando gli occhi sull’orizzonte. “Era la cosa più bella che avessi mai visto. Da allora, ho sempre vissuto in città dalle quali si vede il mare, non posso starci lontano.”

“Anche ora?”

“Sì. È un bel posto, molto verde. La natura terrestre è così diversa dalla nostra. È… selvaggia.”

Athrun sorrise di piacere, ricordando i panorami di Orb; anche lui amava all’inverosimile i paesaggi terrestri, non addomesticati come quelli di PLANT.

“E cosa fai di bello?” gli chiese con circospezione, approfittando del fatto che gli sembrasse lievemente più rilassato.

Nicol rispose dopo qualche secondo di silenzio, volgendo su di lui occhi che quel giorno aveva verdi smeraldo, molto simili ai suoi. “Studio medicina all’università. E non fare quella faccia sorpresa, pensavi che lavorassi come killer a tempo pieno?”
Colto in fragrante, Athrun arrossì. “No, è che non immaginavo che…”

“Avessi una vita normale? Beh, è così. I soldi non sono un problema, e frequentare l’università mi lascia libero di allontanarmi quando voglio. Oltre che, ne so molto di più dei miei compagni.”

“Posso immaginare il perché” Athrun si pentì immediatamente della battuta, ma Nicol si mise semplicemente a ridacchiare.

“Lascia perdere, Athrun. Puoi anche non crederci, ma io amo quello che faccio per Serpent Tail. E, te l’assicuro, PLANT è un posto molto più sicuro da quando ci siamo noi a fare pulizia, e anche la Terra.”

“Pulizia? Vuoi dire assassinando a sangue freddo…”

“Gente che non avrebbe nessun problema a mandare all’altro mondo te e la tua bella famiglia.”

Nicol scosse la testa. “Athrun, se c’è una cosa che ho capito è che quando ero giovane ero davvero l’idiota di cui parlava ieri Yzak. Ho sbagliato tante volte, mettendo in pericolo me stesso e i miei amici. L’ultima volta, ho giurato che non sarebbe successo mai più. Io non voglio morire, e non voglio che capiti nulla alle persone alle quali voglio bene. Sarai d’accordo con me, immagino. No?”

Con estrema cautela, Athrun annuì. Nicol non aveva tutti i torti, e Yzak sarebbe stato lieto di sentire quelle parole sulla bocca di quello che criticava sempre perché risparmiava i suoi nemici; tuttavia, il tono raggelante con cui Nicol aveva detto quelle cose l’aveva quasi fatto rabbrividire.

Ma certo, come posso avere il coraggio di stupirmi quando io stesso mi sono maledetto per aver causato la sua morte, risparmiando troppe volte Kira?’ pensò con una smorfia. ‘È davvero cresciuto, e si è solo fatto meno idealista, come tutti noi, del resto.’

“Ovviamente. Farei di tutto per proteggere mia moglie e le mie figlie” ammise semplicemente. “Visto che sai di Kira Yamato saprai anche di loro, vero?”

“Sì. Ma per questo non c’è stata bisogno di nessuna indagine. Eravate in tutti i notiziari. La Delegata di Orb che sposa il figlio di Patrick Zala. Avete avuto un bel coraggio. Siete sulla lista nera di tutte le organizzazioni razziste terrestri.”

Un lieve sorriso tornò ad ingentilire il viso di Athrun al ricordo di Cagalli, bellissima nel giorno del loro matrimonio. “Lo so. Ma dovevamo dare un segno ai Coordinator e ai Natural che un futuro insieme era possibile, e l’evento ci è servito sia politicamente, come segno dell’unione tra la Terra e i PLANT, sia per indicare la strada che ci avrebbe permesso di superare tutti i problemi di sterilità che affliggevano il nostro popolo. Abbiamo sperato che altri seguissero il nostro esempio e, difatti, così è stato, ad Orb come altrove.”

“Sì, di certo coppie miste sono… possibili” gli disse Nicol con uno strano sorriso, vagamente malizioso. Athrun si chiese se anche lui avesse un legame con qualche Natural, ma chiedergli della sua vita amorosa gli sembrava talmente indelicato che preferì spostare il discorso su altro che gli stava più a cuore.

Prese un bel respiro. “Dimmi, Nicol, perché non sei mai tornato in questi anni? Perché non ti sei mai messo in contatto con noi e con la tua famiglia?”

Contrariamente a quello che aveva pensato, il giovane gli rispose subito, come se ansioso di confidarsi con qualcuno.

“All’inizio non potevo. Ero confuso… io… non sapevo dov’ero, e quello che mi stavano facendo. Quando capii, scoprii anche che non avevo la possibilità di rifiutare, né andarmene da dove ero. Anni dopo, quando tutto cambiò, non avrebbe avuto nessun senso tornare qui. Voi… nessuno, avrebbe apprezzato quello che ero diventato.”
“Non è vero” urlò precipitosamente Athrun, smentito da un deciso cenno di diniego di Nicol.

“Io non sono diverso da Lex. Puoi affermare davvero che a me non avrebbero fatto le stesse cose?”

Athrun rimase senza parole. No, non glielo poteva garantire, non dopo aver sentito il dottor Zimmer parlare del compagno di Nicol come di una cavia. Nonostante anche quell’uomo fosse un Coordinator, e un ex-soldato di ZAFT.

“Per te sarebbe stato diverso” si trovò però ad insistere. “Tu non sei uno qualunque, ma il figlio di uno degli ex-Consiglieri.”

Athrun seppe di aver toccato un tasto ancora dolente quando vide Nicol distogliere lo sguardo, chiaramente sconsolato.

“E pensi che avrei voluto dare ai miei genitori un altro dolore? Riapparendo da nulla in questo stato? Lo so che si sono rifatti una vita, e che hanno adottato una bimba rimasta orfana durante la guerra. Va bene così, Athrun; come ha detto un mio caro amico tempo fa, è meglio che le nostre famiglie ci ricordino come eravamo.”

Athrun non riusciva a trovarsi d’accordo, e non capiva come Nicol, che ancora aveva un padre, potesse rifiutarsi di vederlo, ma non poteva fare altro se non lasciar cadere la questione. L’amico appariva molto teso quando parlava del passato, e Athrun poteva immaginare che non dovesse nemmeno essere a suo agio in quel posto, dopo tanti anni passati a vivere un’altra vita.

“Sì” gli concesse quindi, sorridendo con più convinzione. “In effetti sei un po’ diverso, e con gli occhi di tutt’altro colore.”

Colto alla sprovvista dalla battuta, dopo discorsi tanto seri, Nicol lo fissò sorpreso. Poi si sfiorò uno zigomo con la punta delle dita.

“Oh, dici le lenti a contatto? Ne ho di tutti i colori. Vanificano un po’ l’efficienza degli impianti, ma non posso andare in giro con quegli orrori tutti i giorni.”

“Questi che hai sono molto belli” gli confessò Athrun, compiaciuto dal tono più rilassato di Nicol.

“Davvero?” gli chiese l’amico suonando, per la prima volta, entusiasta. “Sono dello stesso colore dei tuoi occhi, me li ricordavo bene sai…”

Il giovane si bloccò, arrossendo leggermente, e Athrun scoppiò a ridere, allungando una mano chiusa a pugno che Nicol prese nella sua, ridendo a sua volta.

Dai tempi in cui combattevano insieme ad Athrun era sempre rimasto il dubbio che l’ammirazione che Nicol provava per lui sconfinasse in un sentimento quasi romantico, pur essendo il giovane pianista troppo inesperto per capire probabilmente quello che stesse provando; lui non l’aveva mai ricambiato ma, da un certo punto di vista, Athrun si sentì sollevato dal constatare che Nicol non l’odiasse come aveva detto il giorno prima. Le successive parole dell’amico glielo confermarono.

“Quello che ti ho detto ieri... non è totalmente vero. È che ho cercato così avidamente di cancellare tutti voi dalla mia memoria; di ricordare Yzak e Dearka solo come quelli che mi prendevano in giro, e tu come quello che ci avrebbe sacrificati tutti per Kira Yamato. Quando al mio gruppo è stata proposta questa missione mi sono offerto volontario, pregando di non incontrare nessuno.”

“Perché?”

“Per quello che ti ho detto prima. Io non volevo che mi vedeste così. E poi, voi eravate un passato al quale io non potevo più tornare. Sarebbe stato troppo doloroso rivedervi.”

Adesso il tono di Nicol era così afflitto, e diverso da quello deciso di poco prima, che Athrun dovette combattere la tentazione di abbracciarlo.

“E lo è stato?” gli chiese.

L’altro rispose con un cenno del capo. “Sì. Ma ne è valsa la pena.”

Quelle parole confortarono lo spirito di Athrun, che prese Nicol per le spalle, guardandolo negli occhi.

“Parlo per me, ma Yzak e Dearka saranno sicuramente d’accordo. Noi non vogliamo solo essere il tuo passato. E, anche se capisco il tuo desiderio di non tornare più qui, non azzardarti a sparire di nuovo, va bene?”

Lo vide sbattere le palpebre, e annuire con determinazione, chiaramente commosso. Lui stesso non poteva dire di non essere profondamente emozionato. Come se incerto su qualcosa, Nicol affondò i denti nel labbro inferiore.

“Hei, Athrun, prima che me ne vada, avrei un grandissimo favore da chiederti.”

Athrun corrugò le sopracciglia, incerto, ma, quando sentì la richiesta di Nicol, non riuscì a non sorridere finalmente di gioia.



San Diego, 9 dicembre, C.E. 81


“Impossibile andarcene con un shuttle privato, ci intercetterebbero subito.”

“Allora verremo registrati in uscita come piloti di cargo. Quelli li ispezionano sempre di meno. Useremo una navetta controllata da remoto per ingannare le torri di controllo. Non sarà un problema.”

I quattro Coordinator annuirono alle parole di Nicol e Miguel, appoggiato alla parete in disparte, fece lo stesso.

Era molto soddisfatto del gruppo che aveva messo insieme per quella missione e, anche se lui non avrebbe partecipato, era certo della buona riuscita dell’operazione. Avevano tutti grande esperienza, e Nicol era diventato un ottimo leader. Attento al risultato ma anche a non perdere i suoi uomini. L’unica cosa che inquietava Miguel era proprio il luogo dell’operazione.

Chissà come diavolo reagiranno quando si troveranno in quell’ambiente. Sono abbastanza certo che saranno in grado di portare a termine il lavoro, ma la pressione psicologica alla quale saranno sottoposti sarà fortissima, anche se i tre che scenderanno ad Aprilius si sono offerti volontari e sanno bene quello che li aspetta.’

Li osservò sistemare in maniera assolutamente efficiente gli ultimi dettagli e dovette ammetterlo: quei ragazzi avrebbero fatto sfigurare qualunque milizia, sia di PLANT che della Terra.

Non potrebbe essere altrimenti, visto che sono stati progettati per combattere.’

Nicol e un suo compagno si guardarono, fissandosi per un istante con i loro occhi giallastri, e annuendo subito dopo. A quella vista, Miguel non riuscì a non trattenere una smorfia.

Trasmissione wireless dei dati. La cosa più simile alla telepatia che io abbia mai visto. Nicol mi ha confessato che non lo fanno spesso, perché gli causa sempre leggeri mal di testa, ma hanno comunque la possibilità di dialogare tra loro in segreto e di collegarsi alle reti esistenti per scaricare dati. E chissà se chi gli ha messo in testa quell’affare ha capito che li stava rendendo ancora meno umani di quello che sembrano.’

Era una cosa che non finiva mai di sconcertarlo il fatto che quando erano soli, o sapevano di non essere visti, i giovani Coordinator lasciavano cadere ogni pretesa di umanità, sembrando niente altro che efficienti automi.

Miguel li fissò tutti e cinque, intrigato a suo modo.

Perfetti, assolutamente perfetti e letali.’

Sorridendo aprì la porta e scivolò fuori dalla sala. La sua presenza non era più richiesta, quindi faceva meglio ad andare a trovare l’artefice di quelle meraviglie. La missione presentava un solo problema davvero delicato e, forse, solo lei poteva risolverlo.



Poco dopo giunse al laboratorio, e uno scoppio di risate femminili lo accolse sulla soglia. Entrò, trovando Cecilia intenta a lavorare sulla nuova aggiunta che Lorran aveva voluto alla mano sinistra artificiale.

La giovane Coordinator era seduta su uno dei banconi, le belle gambe che penzolavano dal bordo, messe in evidenza da una minigonna a pieghe che lui aveva visto solo su di lei, e sulle studentesse giapponesi. Innaturalmente immobile, con la pelle traslucida e i capelli rossi dal taglio particolare, era l’immagine vivente di una di quelle action figure delle eroine dei videogiochi che la Coordinator amava collezionare. E, esattamente come quelle combattenti virtuali, equipaggiate con impossibili armi, Lorran esibiva lunghi artigli alla mano sinistra; i suoi, però, non erano affatto finti.

Miguel si prese un momento per osservare la scena, che anni passati tra quei ragazzi non aveva di certo reso meno surreale.

Cecilia non si era resa conto che era entrato, e chiacchierava liberamente con Lorran, sembrando molto più a suo agio con lei che con chiunque altro lui l’avesse mai vista.

Non finirà mai di stupirmi come queste due siano potute diventare così amiche. Quand’è stato? Forse quando ho visto Lorran correre verso di me la notte della fuga, coperta dal sangue di Cecilia. Eh... era sconvolta. Non si sopportavano, ma Lorran non si era dimenticata a chi doveva la vita. L’incidente le ha avvicinate.’

La Coordinator volse verso di lui i suoi occhi da gatto, piegando le labbra in un sorriso malizioso.

“Ohi, Cecilia, abbiamo visite.”

Sul volto della scienziata passò un’ombra di irritazione mentre gli scoccava una fredda occhiata, e tornava subito dopo a spruzzare qualcosa sul braccio di Lorran.

“Non ti preoccupare, qui abbiamo finito. Come te li senti?”
La rossa stese il braccio sinistro davanti a sé, piegando le dita e ritraendo gli artigli, che le scomparvero sotto le unghie. Fischiò in approvazione.

“Sono flessibili come li volevo.”

“Non ti accorgerai nemmeno di averli, e il tuo eventuale opponente li noterà solo quando sarà troppo tardi.”

Il volto di Lorran si illuminò. “Ottimo. Sai com’è, pistole e fucili si possono scaricare, e le mie missioni a volte impongono un abbigliamento che non consente di nascondere nemmeno un coltellino svizzero” concluse facendo l’occhiolino a Miguel e dondolando le gambe come una bambina.

Lui le rispose con un sogghigno, pur avvertendo un brivido lungo la schiena.

Lorran era fin troppo brava ad infiltrarsi nelle magioni e nelle vite dei bersagli che le erano assegnati, giungendo fin all’infilarsi nei loro letti. Non sembrava che la cosa le pesasse troppo. Anzi, più volte Miguel l’aveva sentita affermare che era anche divertente.

Sentendosi osservata la ragazza rise, poi, talmente veloce che lui nemmeno riuscì a vederla, saltò giù dal bancone e sferrò un colpo ad artigli sguainati proprio contro Cecilia.

Che la bloccò con il braccio sinistro. Un momento di sbigottimento, e poi la scienziata fece una faccia annoiata.

“Ma la vuoi piantare di fare la scema? Lo sai che i miei impianti non sono come i tuoi!”

“No, ma miglioreresti se venissi ad allenarti con noi qualche volta, ti pare?”

“Fossi matta” rispose Cecilia scrollandosela di dosso. L’altra le fece una boccaccia.

“Quanto sei noiosa. Sempre chiusa qui dentro o appiccicata al tuo fidanzato. Comunque grazie, ci sentiamo.”

Lorran afferrò la borsa e, decisa, passò accanto a Miguel, tambureggiandogli le dita su una spalla.

“E tu, uomo mascherato? Quando usciamo insieme?”

Lui, che si aspettava un’uscita del genere, le rise in faccia. “Io non frequento le minorenni.”

“Hei, ho ventisette anni.”

“E quindi? Non è colpa mia se ne dimostri diciassette.”

Ed era assolutamente vero, ma non era quella la ragione per la quale Miguel da anni rifiutava strenuamente la corte di Lorran.

“Non ti facevo così perbenista” lei gli disse facendogli marameo dalla soglia. “Ciao, dolcezza. Meoww...”

“E vattene” rise lui chiudendole la porta in faccia e realizzando di essere rimasto, come tutte le volte, interdetto per il comportamento della giovane.

Miguel era consapevole che, nonostante il trucco e i suoi bizzarri abbigliamenti, Lorran era veramente bella. Ma non poteva essere altrimenti. Anche lei, come i suoi compagni, era passata attraverso innumerevoli interventi ricostruttivi che ne avevano migliorato, trasformandoli, il corpo e il volto. Ma lui non riusciva a dimenticare che sotto quella pelle perfetta, e al di là di quegli arti squisitamente proporzionati e del viso inumanamente regolare, Lorran non era altro che una bambola da guerra. E, come tutti i suoi compagni, sottilmente insana.

Poteva capire come si potesse trovarli affascinanti, soprattutto non conoscendoli, ma gli sfuggiva come facesse qualcuno, che ci aveva addirittura lavorato sopra, ad andarci a letto.

Ripensando a quanto era vagamente morbosa quella cosa, Miguel si girò verso la persona alla quale stava pensando.

Cecilia era ritornata a lavorare, la testa china sul suo inseparabile portatile.

“Doc, tu lavori troppo” le disse lui, per attirare la sua attenzione, ma si guadagnò solo un’occhiata infastidita.

In quel campionario di stranezze umane la scienziata certo non faceva eccezione, anzi. Ma, anche se Miguel all’inizio aveva trovato la sua relazione con Nicol bizzarra, aveva poi dovuto ammettere che si volevano bene davvero. E, per quanto lui lo trovasse inconcepibile, Cecilia non desiderava di stare con nessun altro se non con Nicol e con i suoi compagni.
Si avvicinò alla donna che non aveva ancora posato il computer, segno che lei voleva concedergli solo il minimo tempo possibile.

“Che c’è?” gli chiese, fissandolo e mostrandosi chiaramente scocciata.

“Tu, piuttosto, come va il braccio? Hai fatto una brutta smorfia quando Lorran ti ha colpita.”

Cecilia fece spallucce, ma a Miguel non sfuggì come la sua mano destra corresse a chiudersi, istintivamente, attorno all’avambraccio. L’arto sinistro, che la scienziata aveva perso la notte della fuga da Nassau, le era stato sostituito proprio con uno degli impianti che lei aveva progettato, ma il suo corpo l’aveva rigettato, e le avevano dovuto quindi installare uno meno performante che, ancora dopo anni, le causava un’infinità di problemi.

La donna abbassò gli occhi sul portatile. “È tutto ok. È che Lorran si dimentica che, nonostante questo, io non sono una di loro. Sono sopravvissuta, ma non potrò mai eguagliarli.”

Occhi nocciola si fissarono su di lui, scaltri. “Tu, piuttosto” gli fece Cecilia, sorridendo quasi maliziosamente. “Con te sì che i miei gioiellini potrebbero funzionare al meglio.”

Terrorizzato, anche se fece di tutto per non darlo a vedere, Miguel alzò le mani davanti a sé, cercando di dissimulare. A volte, Cecilia gli sembrava la classica scienziata pazza dei romanzi di fantascienza.

“No no, sono soddisfatto del mio misero corpo di Coordinator, ti assicuro che funziona ancora benissimo.”

“E perché non mi fai almeno dare un’occhiata alla tua faccia?”

Lui indicò la porta dietro di sé. “Come hai potuto vedere, ho più donne che mi vengono dietro di quelle che vorrei. Non ti preoccupare, questa cicatrice non mi dà affatto noia.”

Lei alzò di nuovo le spalle, apparentemente concedendogli la resa. Miguel, però, sapeva bene che si sarebbe rifatta avanti. Era nella sua natura di donna curiosa e testarda.

“Come vuoi tu. Sai dove trovarmi quando cambi idea. Comunque, a parte accertarti che stessi bene, e sbirciare sotto la gonna di Lorran, che volevi?” gli chiese mettendosi a mordicchiare una matita.

“Volevo farti una proposta.”

“Del tipo?”

Miguel decise di spingere davvero la sua fortuna al massimo. Se le avesse parlato si sarebbe rifiutata, quindi doveva passare alle vie di fatto.

Si sporse e, afferrata Cecilia per il polso destro, la costrinse ad alzarsi in piedi. Salvò il computer che stava cadendo con la mano libera, e lo posò sul bancone.

Lei lo fulminò, esterrefatta. “Ma che ti salta in testa?”

“E piantala di fare l’acida zitella, per una volta!”

“Cosa?” urlò Cecilia, oltraggiata, ma Miguel si mise a ridere.

“Io e te, prima di cena abbiamo una missione.”

“Sei pazzo?”

“No sciocchina, ti sto facendo un favore.”

Di fronte allo sguardo confuso della scienziata Miguel decise di concederle una spiegazione.

“Adesso noi usciamo, ti porto in uno dei negozi del centro dove tu ti prenderai un bel vestito carino, delle scarpe con i tacchi, e ti farai truccare come Dio comanda. Poi, prenoterai un tavolo per due in uno dei ristoranti in della baia.”

A quel punto, Cecilia arrossì violentemente. “E perché mai?” balbettò.

Miguel provò un attimo di tenerezza per la donna. A trent’anni non capiva un accidente di niente di seduzione e romanticismo, meno male che c’era lui a risolvere la situazione.

“Vieni” le ordinò, afferrando la sua borsa e trascinando la scienziata molto poco cerimoniosamente fuori dal laboratorio. Si girò a guardarla di sbieco, non impressionato dai suoi tentativi di liberarsi.

“Perché la persona che ami domani partirà per una missione pericolosa nel posto che una volta era casa sua. Dove molto probabilmente incontrerà i suoi vecchi amici. Gli vuoi dare una fottuta buona ragione per tornare da te?”

Cecilia arrossì ancora di più. “Nicol non mi abbandonerebbe mai.”

Al che, Miguel non poté fare altro che fissarla in tralice. “Parli così perché tu non conosci Lacus Clyne.”

“Che c’entra l’ex-Presidente di PLANT, ora?”

Miguel, che aveva giurato a Nicol che non avrebbe mai rivelato nulla del suo passato, nemmeno a Cecilia, sospirò pesantemente.

Se lo venisse a sapere mi strangolerebbe per questo ma, dopotutto, lo faccio per il suo bene.’

Si bloccò in mezzo al corridoio, prendendo Cecilia per le spalle e guardandola negli occhi, estremamente serio. “So per certo che loro due erano molto legati prima che Nicol si arruolasse in ZAFT. E Lacus è una donna bellissima, più giovane di te e con una voce che incanterebbe i serpenti.” Non voleva infierire troppo ma, per buona misura, squadrò Cecilia dall’alto in basso, con una smorfia dispiaciuta. “Ed è tanto più formosa di te. Ora, datti da fare o non venire da me a lamentarti dopo.”

Aveva scommesso che, essendo Cecilia fondamentalmente un po’ infantile in amore, non fosse immune dalla gelosia e, soddisfatto, la vide prima impallidire, e poi quasi digrignare i denti, riprendendosi la borsa che strinse come se da quello dovesse dipendere la sua vita.

“Grazie dell’avvertimento. Non credo di dovermi preoccupare più di tanto di una sciacquetta canterina, ma meglio prevenire.”

Miguel si ritrovò a seguirla, pensando, sghignazzando tra sé e sé, che faccia avrebbe mai fatto la povera Cecilia se invece della pietosa bugia su Lacus Clyne lui le avesse invece nominato un certo Athrun Zala.



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Wow, questo capitolo è stato... complesso. Devo ammettere che mi terrorizzava il momento dell'incontro tra i nostri tre baldi giovani. Soprattutto le reazioni di Yzak e di Nicol. Il primo perché è una mina vagante pronta ad esplodere al minimo scossone, il secondo perché è stato dannatamente difficile mantenere un minimo del suo carattere originario, considerato tutto quello che gli è capitato dall'ultima volta che l'abbiamo visto nella serie. Insomma, non volevo stravolgere troppo il personaggio, ma nemmeno che risultasse come se non fosse passato manco un giorno dall'incidente del Blitz. Insomma... boh? Spero di essere riuscita a mantenere Athrun e Yzak in canon, e a dare sufficiente spessore al personaggio di questo "nuovo" Nicol.
Quanto al resto, ebbene sì, non ho resistito a far tornare in scena Miguel. Sono una dannata fangirl, abbiate pietà!

Bene, dopo i miei sproloqui, ringraziamenti e abbracci a Shainareth e Solitaire. Alla prima anche una bella tazza di latte e cognac, lei sa perché XD
Abbracci e cookies anche a chi sta seguendo questa storia e a chi mi ha lasciato scritto qualcosa, in particolare a NicoDevil e MaxT

  
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