-Non ne ho la più pallida idea. Ehi, Rukawa, tu sai che
cavolo di fine ha fatto?-.
Fisso, senza metterlo a
fuoco, Mitsui che mi ha appena interpellato.
No.
Mi chiudo la porta della palestra alle spalle mentre usciamo.
Oggi Hanamichi non c’era.
E io non l’ho cercato, esattamente come mi aveva chiesto.
Sono tre giorni che non lo vedo agli allenamenti.
Stamattina neanche era a scuola.
Che diavolo gli sta succedendo…?
-Beh, almeno gli allenamenti filano lisci come l’olio e
senza intoppi!-.
-Sarà pur vero, Miyagi, tuttavia… beh… senza offesa
Akagi, ma mi
sembrano diventati anche improvvisamente… come dire… noiosi, monotoni-.
-Non posso contraddirti, Kogure. Su questo hai ragione-,
risponde Akagi assorto, -Non ci resta che sperare che torni il più presto possibile. Chissà in che disastri si è cacciato
quell’imbecille-.
-E quello chi è?-.
Seguo lo sguardo di Ryota.
C’è un tizio che ci sta fissando.
-Che tipo!-, commenta Mitsui.
Strano.
Non è una faccia nuova.
Eppure non riesco a ricordare chi sia…
È poggiato al di là della
ringhiera della scuola.
È un ragazzo dall’aria cupa e stravagante allo stesso
tempo.
Deve avere all’incirca una manciata
di anni più di noi, ed è alto quanto me. Credo.
Forse
un po’ di più.
Mentre ci avviciniamo al cancello noto che, benché sia
strano, ha un
che di affascinante e seducente.
È un po’ pallido anche se non
si avvicina nemmeno lontanamente alla mia carnagione chiarissima.
Sicuramente nordico. Non di origine
giapponese.
-Hei, Ryota! Quello ha un taglio di capelli che è
più originale del tuo!!-, dice Mitsui assestando un pugno contro un tricipite
del diretto interessato.
Già, è vero. È alquanto eccentrico.
Di un castano medio dai
riflessi ramati, sul medio-corto in alto, ma con
ciocche più lunghe e irregolari procedendo via via
verso il basso.
In altre
parole, sembra
un selvaggio dal sangue nobile. O forse è l’esatto opposto.
Difficile
dirlo.
Indossa un gilet di un ormai sbiadito verde scuro e
sprovvisto di maniche, che lascia scorgere un torace forte e
muscoloso.
I
pantaloni, tra il beige e il nocciola, sono larghi e pieni di tasche, taschini e tasconi.
Chi diavolo …
Ha un fisico perfetto, atletico, sembra un modello dall’aria
strafottente e angelica al contempo.
Sollevo lo sguardo e i miei occhi si incatenano
ai suoi. Verdi.
Mi si contorce lo stomaco.
Chi diavolo è…?
Una folata di vento gli scompiglia i capelli. Lisci.
Sciolti. Fluenti…
Sembra
un diavolo paradisiaco. L’ho detto, è strano.
Si passa le dita fra i capelli sistemandoli senza
fretta.
Dove cavolo l’ho già visto…??
Perché quegli atteggiamenti mi sembrano così familiari..??
Socchiude gli occhi e mi fa un sorriso triste.
Ha delle labbra stupende.
Lo stomaco si contrae di nuovo.
La coscienza mi suggerisce che mi sta sfuggendo
qualcosa.
È primavera, ma sento un brivido scorrermi lungo la
schiena.
Cos’è che non mi è chiaro..?!
Cosa non riesco ad afferrare..!?
-Oi, Rukawa, non vieni?-, Miyagi distoglie la
mia attenzione dal giovane.
Ah, già, il bar…
Con un braccio mi fa cenno di seguirli e rispondo con un
lieve movimento del capo.
Arrivo.
Mi volto un’ultima volta verso il ragazzo.
E mi sento perso.
È scomparso.
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Mi dirigo a piedi verso casa, la scuola
per oggi è finita.
Fisso il cielo mentre il vento mi
soffia nei capelli e s’infila sotto la camicia.
Ancora due giorni e inizieranno le vacanze estive.
Ma credo che le passerò nella
solitudine più completa, visto che Hanamichi è dato per semidisperso.
Resto a guardare la costa più in basso, ipnotizzato dai
riverberi dei tiepidi raggi del sole che si rincorrono
sulla superficie dell’acqua marina.
Sorrido debolmente. Hn, mi viene
in mente una malinconica melodia accompagnata dalle note di un pianoforte,
dalle voci dei delfini e dal suono di onde che s’
infrangono contro scogli ammassati su un litorale.
E il mio fragile sorriso si spegne
del tutto.
Il sole mi ricorda
così tanto lui…
Perché mi ha lasciato in quel modo…? Dove ho sbagliato… .
Ormai la mia non è più neanche una domanda. Perché trovare una risposta non è servito a nulla. Perché è proprio
quella… che non sono riuscito a darmi.
Mi manca…
E sto male. Sto male come mai avevo pensato di potermi sentire.
Il fresco vento estivo mi sferza il viso e mi abbraccio
per riscaldarmi, mentre cerco di ricordare tutte le note della musica che sa
tanto di quella pace e serenità che io non riesco a trovare.
“Senti, Kae…” no, non ci voglio pensare.
Gli occhi mi si fanno lucidi e i riflessi del mare si
riducono a bagliori confusi.
“Forse… Forse è meglio se non ci vediamo
per un po’…”.
Perché? Perché, Hanamichi,
PERCHÉ ?
Avvinghiato a lui nell’appagamento dell’amore, mi sono
improvvisamente sentito nudo, vulnerabile…
… e
solo.
“Credimi..”, ha continuato scivolando via da
me, “.Non vorrei, davvero devi credermi, io non…”
Sono rimasto immobile, forse tremante, a guardarlo per
quella che sarebbe stata l’ultima volta, senza essere in grado di chiedergli
alcun chiarimento riguardo i motivi della sua
decisione.
Ho continuato a fissarlo smarrito mentre
raccattava i vestiti disseminati per la stanza, incapace di accettare le sue
parole.
“Non avrei mai voluto
… lasciarti.”
Indugiava, cercando di fissarmi negli occhi.
E intanto si appallottolava i jeans
tra le mani, cercando, forse, le parole più giuste che riuscisse a trovare.
“Avrei voluto stare con te per sempre.”
La sua voce s’incrinava…
E io sentivo un nodo alla gola… e
gli occhi riempirsi di lacrime.
“…Ma non posso”.
Non è riuscito ad andare avanti, ha preferito bloccare i
singhiozzi che cercavano di risalire dalla sua gola.
Se non avrebbe mai voluto
allontanarsi da me… Allora perché lo stava facendo…?
Si è rivestito e
ha fatto per uscire.
“Hana…”.
Non so come, ma sono riuscito a richiamarlo ed ho potuto raggiungerlo,
abbracciandolo da dietro.
“Non farlo ti prego…”. Mi sono stretto a lui, strofinando la
fronte contro il suo collo rovente.
Le mie mani
percepivano il profondo
e lento battere del
suo cuore.
Non avevo mai pregato
nessuno in tutta la mia vita…
Ma lui si è scostato dopo un istante
di titubanza. E mi ha afferrato le spalle. Serio.
Forse arrabbiato.
“Stammi lontano.”
“Perch…”
“STAMMI LONTANO!!!”.
Ho scosso la testa, mentre mi si annebbiava la vista.
“Mai.”
Ho rialzato lo sguardo, sperando che lui capitolasse. Ma ho compreso di aver sperato invano.
Non mi era mai sembrato più deciso di quanto non lo fosse
quel momento.
“Vuoi
morire?”
L’ho guardato senza capire. Perché quella non
era una delle sue abituali minacce.
“Rispondimi, Kaede, VUOI
MORIRE?”.
Ho scosso piano il
capo.
“No.” Dove voleva arrivare?
“Allora
devi starmi lontano.”
Aveva anche lui gli occhi lucidi.
“Ma perché? Io non vogl…”
“Stammi a sentire, ora, perché non mi ripeterò più e il tempo
stringe.
Me ne vado, Kaede, me ne vado da qui. E andrò dove tu non potrai
mai raggiungermi.”
Mi ha lasciato andare le spalle e una lacrima gli è scesa lungo una
guancia.
“Quindi non cercarmi”
Poi si è voltato ed è scappato correndo. Ed io sono rimasto nudo a guardare quella goccia di pianto
librarsi nell’aria e cadere in silenzio nel vuoto, terminando il suo volo davanti
ai gradini di casa.
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