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Autore: Rowena    15/11/2009    3 recensioni
Al carnevale, ogni uomo, donna o alieno era libero.
Libero dalle convenzioni sociali, dai legami matrimoniali, fatti o solo promessi, dalle pretese dei religiosi che battevano senza sosta tutte le colonie e i pianeti conosciuti per portare il Verbo della loro dottrina e assicurarsi che le norme della fede fossero rispettate. E al carnevale, Delilah si era innamorata.[Questa storia si è classificata seconda al contest "La Menzogna" su Writers Arena]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Questa storia appunto è stata scritta per un contest, La Mezogna su Writers Arena, e si è classificata seconda. Ne sono molto orgogliosa, lo dico senza vergogna, perché è il primo originale che scrivo da circa due anni, oltre che la prima storia a rating alto per certe tematiche... Sono contenta del risultato.
Grazie a MaxT per il beta-reading per elminare le sviste che mi sono scappate... Ho finito la storia un quarto d'ora dalla scandenza del contest, diciamo che la rilettura proprio non ci stava! ^///^


Indossò la maschera, applicandosi sul viso quel velo di trucco che avrebbe cambiato disegno e colore secondo il suo stato d’animo e il personaggio che avrebbe voluto interpretare: per un istante provò un brivido di freddo nel sentire quella sostanza a contatto con la sua pelle, ma la sensazione subito svanì. Allo specchio, osservò il suo volto colorarsi di bianco e nero, uno dei travestimenti più tradizionali, ma intorno agli occhi si disegnarono linee colorate che le diedero un’aria più giovane e divertente. Il trucco, che aveva precedentemente cosparso su tutto il suo corpo, reagì di conseguenza.
Così va meglio, si disse prima di mettere via l’impasto.
Era un risultato ben distante dalle creazioni di cartapesta che per secoli avevano caratterizzato il carnevale, lo sapeva benissimo, ma le nuove tecnologie inventate nel sistema planetario di Alfa Centauri erano così interessanti che non utilizzarle per una simile occasione sarebbe stato un vero e proprio spreco.
La sua nave avrebbe raggiunto il quadrante d’uscita tra poco, finalmente in vista della sua destinazione, la Terra. Erano passati secoli da quando la specie umana aveva iniziato a esplorare davvero la quantità di pianeti e asteroidi che costellavano lo spazio, alla ricerca di una nuova patria dove emigrare prima di soccombere all’inquinamento: sulla casa madre erano rimasti pochi nostalgici, a combattere con un mondo esausto e devastato, le cui risorse ancora faticavano a riprendersi.
Questa è la terra dei nostri avi, e noi ce ne prenderemo cura fino alla fine. Questo era il motto degli ultimi terrestri.
Per quanto riguardava Delilah, era molto meglio vivere nelle colonie: quello che aveva visto della Terra non la convinceva per niente, e ormai il pianeta azzurro era uno dei tanti della periferia galattica.
Solo in quel periodo, in quei giorni dell’anno solare terrestre, l’universo si ricordava della culla dell’uomo e tornava a camminare per le vie di una delle più belle città che questa specie avesse mai ideato e costruito, Venezia.
Il carnevale: ecco l’occasione che richiamava nobili e benestanti dalle colonie e da molti altri pianeti. Mentre gli umani giocavano a travestirsi da creature immaginarie e personaggi storici, i cosiddetti mostri incontrati nel corso delle esplorazioni fingevano di assomigliare ai padroni di casa.
Due settimane terrestri: per gli abitanti di molti altri sistemi stellari, si trattava di un’inezia, un piacevole diversivo con cui dimenticarsi per un poco delle faccende che li attendevano a casa, per gli umani una riscoperta di una tradizione che per molto tempo aveva richiamato i loro antenati nella città sull’acqua.
Che ormai Venezia si trovasse sott’acqua, non era certo un problema. Delilah sapeva che il suo comandante avrebbe attraccato alla grande stazione spaziale, così da consentire ai passeggeri di salire sulle navette di collegamento: piccoli mezzi capaci, una volta superato l’impatto con l’atmosfera terrestre, di inabissarsi verso i meravigliosi palazzi nascosti dalla laguna.
I saloni e le vie subacquee scelte da chi aveva ideato questo nuovo carnevale erano dotati di un sistema che le isolava, creando così ampi spazi d’aria asciutti e a pressione normale, corridoi trasparenti che permettevano un meraviglioso spettacolo: la completa vista delle creature che abitavano il grande oceano e che venivano richiamate dalle luci delle feste.
Delilah si sistemò il suo abito, anche questo creato in modo che cambiasse forma e colore come il suo trucco. Suo marito doveva aver fatto altrettanto, nella sua cabina; si sarebbero osservati sulla navetta che avrebbero condiviso per raggiungere la città, ma con quel genere di travestimento avrebbero potuto incontrarsi più volte senza mai riconoscersi.
Suo marito… Bel problema.
Aveva sempre creduto che i difetti dei matrimoni di convenienza riguardassero soltanto i romanzi e i vecchi film terrestri: in fondo i suoi genitori si erano conosciuti così, incontrandosi solo il giorno delle nozze, e si amavano ancora come ragazzini. Aveva sempre pensato che anche il suo contratto di nozze avrebbe portato la stessa felicità, ma così non era stato.
Era il prezzo che comportava essere l’unica figlia di una delle grandi famiglie umane che avevano accumulato miliardi su miliardi con le loro industrie e gli investimenti nelle esplorazioni spaziali, nei commerci, nello sviluppo di nuove tecnologie: così diceva spesso la sua migliore amica, meno fortunata economicamente e ancora zitella.
Povera Sadie, fu il pensiero della giovane donna mentre finiva di prepararsi. Personalmente, Delilah non era d’accordo con le credenze che la cultura umana aveva riesumato dal Medioevo. Più andavano avanti a livello tecnologico, più la mentalità tornava retrograda, e le donne avevano la possibilità di provare esperienze diverse fino al matrimonio; dopo quel giorno, il loro unico compito consisteva nell’occuparsi della casa, dei figli e del proprio marito.
Lei lo sapeva benissimo, dopo i suoi studi all’università galattica… E dopo il suo periodo come pilota dei mezzi spaziali esplorativi. Osservò un’olocron-foto che la ritraeva in compagnia della sua vecchia squadra, ricordando con nostalgia quei bei tempi, i due anni migliori della sua vita.
Quando era tornata da Urano, tuttavia, da quella che si era rivelata la sua ultima missione, i suoi genitori l’avevano presa da parte e le avevano spiegato la situazione: le loro aziende stavano cominciando a perdere colpi, incapaci di stare al passo dei tempi con le novità, e lei doveva essere sistemata con un buon matrimonio prima che la sua condizione diventasse inappetibile per ogni buon partito.
E così in due mesi le era stato trovato un marito e le cose erano state fatte, sebbene Roger, così si chiamava, non avesse reagito di buon grado nello scoprire che l’impero della famiglia di Delilah era ormai al tramonto; se il matrimonio non era stato buttato all’aria, era soltanto perché il contratto stipulato tra i due sposi prevedevano che nel caso fosse stata ripudiata, la giovane avrebbe ottenuto la metà dei possedimenti del fidanzato. I suoi genitori potevano non capire le nuove invenzioni in ambito tecnologico, ma di certo avevano combinato un ottimo affare per quanto riguardava le sue nozze.
Essersi piegata a quei costumi così assurdi per lei e per il tempo che stavano vivendo, a Delilah sembrava una vera propria assurdità; ripensò al percorso che la sua specie aveva compiuto dalle prime missioni nello spazio: stranamente, più le conquiste dell’uomo aumentavano, più prendeva campo la paura, le vecchie dottrine religiose tornavano a spaventare e a predicare la parola di un supremo creatore. Le donne si erano viste ridurre le possibilità di occupazione e di emancipazione, in nome della protezione che esse meritavano dagli alieni che erano sempre più visibili e presenti nella vita delle colonie umane. Alieni piuttosto pacifici in tutti i casi per ora incontrati, eppure il pericolo poteva sempre essere in agguato.
Il movimento femminista aveva ripreso le parole di un antico presidente di qualche nazione terrestre, precedente alla Grande Unione: yes we can! Purtroppo, quel messaggio era stato rapidamente rivoltato contro le stesse donne che l’avevano selezionato per la loro causa, a significare che sì, potevano scegliere, ma tra una vita di solitudine e un’esistenza sicura e economicamente serena, rimettendosi alle decisioni di un compagno che diventava così anche padrone.
Il marito di Delilah non era poi così male, lasciando correre il risentimento per il tiro mancino nascosto nelle nozze in tutta fretta, ma non era per nulla interessato alla sua sposa: aveva sperato che legandosi a lei avrebbe aumentato le sue ricchezze, e una volta che questa speranza era stata delusa, della donna non gli era più importato nulla.
Non avevano figli, non si vedevano e conducevano vite separate, a eccezione degli avvenimenti mondani che obbligavano la coppia a presentarsi insieme.
Il carnevale non sarebbe stato uno di questi, però, riconobbe la donna con un tremulo sorriso rivolto al suo specchio olografico. Al carnevale, ogni uomo, donna o alieno era libero.
Libero dalle convenzioni sociali, dai legami matrimoniali, fatti o solo promessi, dalle pretese dei religiosi che battevano senza sosta tutte le colonie e i pianeti conosciuti per portare il Verbo della loro dottrina e assicurarsi che le norme della fede fossero rispettate.
Semplicemente libero.
La maschera garantiva l’anonimato, e visti alcuni episodi che ricorrevano ogni anno, era logico che nessun partecipante al carnevale volesse essere riconosciuto.
Non era solo l’apice di qualunque genere d’euforia sessuale: vi erano sale per il gioco d’azzardo secondo le usanze di ogni razza, locali dov’era possibile consumare liquori e droghe proibite, e molto altro ancora. Alcuni palazzi e particolari eventi durante il carnevale richiamavano molte persone senza maschera, per affari o contrattazioni di matrimoni; alcune fanciulle erano perfino presentate in società in quelle occasioni.
Delilah sapeva che tutto ciò succedeva, ma non vi aveva mai preso parte: si annoiava già troppo a casa per andare a cercare simili compagnie anche a Venezia.
In quei luoghi dove la politica, i contratti, i commerci, i legami sociali erano banditi, scoprendo il volto oscuro dell’umanità e delle altre razze che popolavano la galassia, era meglio divertirsi Ce n’era per tutti i gusti… Lei stessa una volta era capitata per caso in un salone dove qualunque costume sessuale umano e alieno sembrava essere stato dimenticato fuori dalla porta; ridacchiò nel ricordare il pensiero che l’aveva curiosamente stupita allora notando come fosse possibile che così tante persone riuscissero a godere insieme senza neanche togliersi i travestimenti.
Questo l’aveva pensato prima di unirsi alla compagnia, tanto per provare, e in fretta cambiare stanza scivolando via come un’ombra, annoiata.
Tuttavia, non denigrava affatto chi si divertiva in quel modo: se a qualcuno piaceva, chi era lei per giudicare?
Lei era diversa, in un certo senso: erano anni che non si limitava a cercare il puro godimento nel sesso così alla buona. Al carnevale, Delilah si era innamorata. Fremette al solo pensiero, e il suo trucco prese le sfumature vivaci del rosso intenso. Era capitato durante la sua seconda partecipazione; era sposata da soli quindici mesi terrestri, allora, e già le appariva chiaro che il suo matrimonio poteva considerarsi fallito… un nulla, paragonato all’anno solare di Giove. A quei tempi, aveva cominciato ad accompagnare il marito al carnevale solo per dimostrargli di essere altrettanto forte e libera, e di non temere nulla.
La prima volta si era data alle esperienze più forti ed estreme della sua vita, per cercare quel piacere che non riusciva a essere soddisfatto nel suo freddo talamo nuziale; l’aveva fatto per sfida, e aveva scoperto che le aveva fatto bene.
Quell’anno, tuttavia, a un noioso banchetto aveva fatto un incontro senza precedenti; la cena era quasi terminata, ed era ben chiaro che dopo il dessert si sarebbe passati a ben altro genere di attività di gruppo, quando Delilah, che stava per abbandonare la sala prima di essere coinvolta in un amplesso collettivo che non la interessava, era stata attratta da un misterioso figuro vestito quasi del tutto di gemme. Sicuramente un’illusione come quelle create dal suo costume, ma era stupendo; il suo sguardo ne era stato attratto nello stesso momento in cui lui era apparso sulla soglia del grande portone istoriato.
Senza bisogno di scambiarsi una parola, si erano allontanati dalla confusione che cominciava a prendere piede tra gli altri ospiti, affittando una stanza privata.
I primi due giorni avevano parlato soltanto, camminando tra le vie asciutte della città, conoscendosi eppure senza mai fare veri e propri riferimenti alla loro vita privata, poi… Si erano lasciati andare, Delilah almeno, e avevano continuato la conversazione su ben altri livelli. L’amplesso, anzi, i molti amplessi che avevano condiviso in quella settimana e mezzo rimasta prima della fine del carnevale erano stati i più sconvolgenti della sua vita, l’avevano fatta rinascere.
Non si era mai pentita: lei in quel momento non era Delilah, era una maschera libera di fare ciò che voleva. In fondo, aveva già dato a suo marito ciò che gli spettava, e aveva preso le precauzioni necessarie per non ritrovarsi un figlio bastardo in grembo.
Di togliersi le maschere non si era neanche parlato, avrebbero rovinato tutto.
Al termine delle due settimane, si erano accordati sui costumi che avrebbero indossato l’anno successivo, così da incontrarsi nello stesso salone della prima volta e riconoscersi senza difficoltà, e si erano salutati. Era fuori discussione cercarsi una volta lasciata Venezia, Delilah l’aveva saputo dal primo momento in cui si erano parlati… E attendere un altro anno terrestre per poter incontrare ancora il suo amore misterioso aveva mantenuto acceso il desiderio, mentre sognava cosa avrebbero fatto e provato, dandole brividi che neanche nella sua amata cabina di pilotaggio aveva mai percepito, nemmeno mentre lottava con i comandi della plancia cercando di superare indenne una fascia d’asteroidi.
Dovette ammettere la verità: quegli incontri, che si erano ripetuti negli ultimi cinque anni e che non accennavano ancora a terminare, rendevano il resto della sua vita sopportabile.
Avrebbe potuto continuare per ore a ricordare quello che era accaduto, fissando un punto indefinito nello spazio profondo, ma il segnale di una nuova comunicazione dalla cabina la fermò.
«Signora, stiamo per raggiungere il quadrante di uscita, tra poco saremo in vista della stazione spaziale d’attracco e della Terra», annunciò un ologramma del capitano di bordo, riscuotendola da quei pensieri piacevoli e allo stesso tempo molto cupi. Delilah si osservò un’ultima volta nello specchio olografico, provò a indossare il costume scelto per l’incontro e, soddisfatta, riprese l’aspetto neutro e tradizionale che aveva deciso di sfoggiare davanti a suo marito. Come ultima cosa, sistemò intorno alla gola un nastro di raso: al suo interno, si trovava un dispositivo per alterare la voce, così da rendere perfetto il travestimento. Al momento previsto, nessuno sarebbe stato in grado di riconoscerla, nemmeno i suoi genitori.
Era giunto il momento di andare, finalmente.

*

Sulle prime, il viaggio di collegamento risultò tedioso, con le varie procedure per il passaggio dalla nave privata alla stazione spaziale, la registrazione degli ospiti in arrivo sul Pianeta-una-volta-azzurro – l’introduzione di ospiti nell’ecosistema terrestre, anche se si trattava di una zona controllata e a norma come il bacino di Venezia, era strettamente limitata – e per ultima la sistemazione sul piccolo modulo che li avrebbe condotti fino ai Pontili.
Il pilota, un giovane umano con un’evidente fessura tra gli incisivi superiori, si presentò come di regola e tentò di iniziare una conversazione con i passeggeri, ma non appena si rese conto del clima che i coloni avevano portato con loro cessò di parlare e si preoccupò solo di cominciare la manovra di allontanamento dalla stazione spaziale.
Delilah non gli prestò attenzione, nemmeno quando lui scandì il proprio nome prima di augurare a tutti un piacevole viaggio: era invidiosa di lui, avrebbe voluto cacciarlo via e occupare il suo posto di pilota, cosa che tuttavia non si azzardò a fare. Si concentrò sul Sole, i cui bagliori erano visibili sebbene la stella fosse nascosta dal globo del pianeta che interessava loro, e sulla bellezza dello spazio.
Di fare conversazione era fuori programma: al suo fianco, sedeva suo marito avvolto in un tetro costume nero dalla testa ai piedi, mentre sui sedili posteriori si erano accomodati Sadie, che non poteva permettersi il viaggio fino a Venezia e quindi da anni accettava il suo invito per non perdersi l’evento, e un paio di amici di Roger in condizioni economiche non tanto diverse. I due coniugi s’ignoravano completamente, e Delilah notò con una leggera amarezza che, pur sedendo uno accanto all’altra, nemmeno trovandosi su pianeti differenti avrebbero potuto essere più distanti.
«Quest’anno sono previsti spettacoli senza precedenti!», trillò con un entusiasmo esagerato Sadie, innervosita a sua volta dalla tensione che moglie e marito avevano creato nel piccolo abitacolo.
Dentro di sé, Delilah sorrise: non avrebbe avuto il tempo di assistere ad alcuno degli spettacoli organizzati per gli ospiti, salvo che il suo amante non affittasse uno dei palchi privati in cui avrebbero potuto rapidamente distrarsi… Sarebbero stati troppo occupati in ogni caso per notare la bellezza delle scene, o la bravura degli attori.
L’anno precedente, lui aveva noleggiato un Guscio di Vetro, un piccolo mezzo subacqueo con cui era possibile allontanarsi dalla città della festa ed esplorare il fondale: in quel piccolo nido, avevano fatto l’amore per diverse ore, senza paura di essere visti, con la sola luce proveniente da Venezia e la fluorescenza dell’acqua, mentre enormi squali nuotavano intorno a loro. Era stata un’esperienza così fuori dal comune che ancora in quel momento, a un anno di distanza, aveva i brividi solo a pensarci. Non vedeva l’ora di arrivare, anche per scoprire quali programmi aveva in serbo per lei questa volta…
Volse uno sguardo a Roger, che fissava dritto avanti a sé, impassibile, e si pose ancora la solita domanda: anche lui aveva un’amante che lo aspettava a Venezia? Era probabile, anzi, quasi sicuro.
La sua era semplice curiosità, non parlavano mai di quello che facevano tra i saluti all’arrivo in città e il loro successivo incontro al momento di imbarcarsi per tornare a casa. Al rientro sulla nave, suo marito era sempre di buon umore, cosa che accadeva raramente nel resto dell’anno, e solo se riusciva a concludere ottimi affari.
Forse era tipo da orge, pensò Delilah trattenendo a stento una risatina, forse non aveva appuntamento con una donna bensì con un uomo, o un alieno dall’aspetto ben diverso dal loro… Non le importava, in realtà: purché fossero evitati gli scandali nel loro vero mondo, Roger avrebbe potuto tradirla a Venezia con qualunque essere vivente avesse incontrato durante il carnevale. Quello era il tacito patto che anche lei s’impegnava a rispettare, e per cui le era permesso seguire il marito nel viaggio verso la Terra.
Altri uomini lasciavano le mogli ad attenderle, gelosi all’idea che si trastullassero con qualcun altro, ma Roger aveva capito il carattere della donna che aveva sposato; con quelle due settimane di libertà, entrambi riuscivano a tollerare tutto il resto, evitando che il loro matrimonio arrivasse al punto di rottura.
Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero, così le aveva detto una volta il suo amante. E Delilah ci credeva fermamente, sapeva di mostrarsi per quello che era davvero soltanto a lui, sotto quel trucco che le permetteva di rimanere nel mistero.
Sentendo il primo impatto con l’atmosfera, si riscosse e tornò a concentrarsi sul volo: era uno dei suoi momenti preferiti, mentre calore e pressione cominciavano ad aumentare.
Sadie lanciò un’urletto: al contrario dell’amica, odiava quei viaggi. Se il carnevale non l’avesse affascinata tanto, se ne sarebbe rimasta volentieri a casa pur di non dover affrontare quella che per lei era una vera tortura.
«Calmati, passerà presto come ogni volta», le disse Delilah senza nemmeno voltarsi, sentendo l’adrenalina salire. Dopo pochi istanti, infatti, il pianeta fu ben visibile ai loro occhi e la rapida picchiata che avevano intrapreso cessò di colpo, mentre la navetta riprendeva a volare in maniera più tranquilla. La Terra cresceva come un giardino incolto, senza grandi differenze da come i cinque coloni l’avevano lasciato l’anno precedente. La sua biosfera stava lentamente ritrovano un proprio equilibrio, senza il costante intervento della specie umana a modificarne risorse e aspetto. Era uno spettacolo magnifico anche per Delilah, che era figlia di una società dominata dalla tecnologia, e che non ne avrebbe mai fatto a meno.
Continuarono a scendere, sempre più giù, verso il grande oceano. «Siamo pronti per l’ammaraggio», annunciò il pilota prima di configurare il veicolo per l’ultima parte del viaggio. Guardando dagli oblò laterali, videro il pelo dell’acqua sempre più vicino, finché si trovarono sotto la superficie, in quel mondo completamente diverso.
Un istante dopo, i grandi fari anteriori si accesero a illuminare le profondità abissali, cercando i segnali fluorescenti che indicavano la via più sicura per la città. Molto distanti dalla navicella, un branco di balene cantava una melodia antichissima.
Ci siamo, si disse Delilah, eccitata come una bambina al proprio compleanno. Come a darle ragione, dopo pochi minuti Venezia comparve davanti a loro: inghiottita dal mare, i suoi incredibili palazzi continuavano a dare lustro all’ingegno dell’uomo. La torre di Piazza San Marco era tutta illuminata e dava il benvenuto ai nuovi arrivati; la piazza, stupenda come sempre, era già compresa nell’area del campo di forza; da lì si snodavano i lunghi Pontili, le strutture modernissime cui si attraccavano le navette, così da permettere la discesa dei passeggeri. Il portellone dei piccoli cargo aderiva perfettamente al modulo d’accesso del Pontile, così che gli ospiti non si bagnassero.
Procedendo all’interno della banchina, Delilah e gli altri giunsero nella piazza, già gremita di gente. La confusione regnava ovunque, nelle tante musiche suonate in ogni palazzo, le danze che si snodavano per le strade… il semplice caos, e la donna lo respirò a fondo, felice. Sopra la sua testa, brillava la sottile superficie del campo di forza, sebbene le creature marine fossero ben visibili attraverso di essa.
Quindici giorni di luce continua, senza notte, per dedicare ogni minuto disponibile al divertimento erano fin troppo pochi, per sprecarli col sonno; avrebbero dormito poi, al ritorno, quando non ci sarebbe stato più nulla d’imperdibile ad attenderli.
Roger, che fino a quel momento aveva tenuto la testa del gruppetto appena sbarcato, si voltò verso di lei. «Mia Signora, è giunto il momento di separarci», annunciò con grande teatralità ma rimanendo serio, come se fosse impermeabile all’aria frizzante e piena di gioia del carnevale. Delilah annuì con il capo e fece un piccolo inchino, e il marito si dileguò non appena ottenuto quel gesto, seguito dai suoi due amici.
Anche per lei era tempo di andare, ma prima aveva una grossa questione in sospeso: liberarsi di Sadie. «Ti cercherò tra qualche giorno, promesso», disse al volo cercando di andarsene prima di cominciare la solita discussione, ma l’amica era di tutt’altra opinione.
«Scappi già dal tuo amante?», le domandò trattenendola per un braccio. «Almeno avresti potuto partecipare con me e tuo marito al gala di apertura».
Come da manuale, accadeva ogni anno. «Non mi sembra che mio marito sia qui a lamentarsi perché non rimango con lui», rispose piccata Delilah, come se la colpa della pessima situazione matrimoniale che stava vivendo fosse tutta sua. «Ti prego, Sadie, non anche questa volta. Non t’impuntare per qualcosa che non esiste».
«Potresti andargli dietro, e proporgli di fare qualcosa insieme, ma tu invece no, non aspetti altro che vada a cercarsi un’altra donna per scappare da lui». Sadie non concepiva come due persone sposate potessero cercare con sconosciuti quel rapporto carnale che avrebbero dovuto consumare ogni notte, non accettava che quel matrimonio andasse alla deriva senza che nessuno combattesse per salvarlo. A lei, che probabilmente non si sarebbe mai unita legalmente a un uomo, appariva intollerabile, un ulteriore sfregio alla sua condizione di nubile senza speranza.
Pur sapendo tutto questo, Delilah era stufa, stufa di sentirsi trattare come una puttana da lei, come una colpevole insensibile, come una traditrice. «Se sei così preoccupata che mio marito rimanga insoddisfatto a causa mia, Sadie, cercalo e fattelo, a me non interessa!», le urlò in faccia facendola sbiancare sotto il trucco. «Qui io non sono me stessa, non sono sposata e non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio, tanto meno a te. Ora lasciami andare».
Sadie l’accontentò, ancora pallida, incapace di replicare, e presto per Delilah fu un’ombra tra tante nella folla del carnevale.
Scappò via, attraverso la gente radunata nella piazza, cercando di trattenere le lacrime, e, nel mentre, il suo costume cambiò tre volte forma e colore per l’intensità delle sue emozioni. Odiava Sadie quando si comportava in quel modo, quando permetteva che l’invidia per quello status che non avrebbe mai raggiunto le impedisse di vedere oltre al matrimonio in sé, di guardare alla situazione della sua cara amica sposata e di permetterle di comportarsi come voleva.
Da parte sua, non riusciva a capire: per quale motivo avrebbe dovuto accontentarsi di non essere stata ripudiata o, peggio, mandata in esilio su chissà quale sperduto pianetucolo? Doveva considerarsi un mostro solo perché chiedeva quindici giorni terrestri all’anno per essere felice? Non faceva del male a nessuno, perciò nessuno, nemmeno la sua migliore amica l’avrebbe convinta a non prendersi quella felicità.
Tagliò la strada per la calle dei ferraioli, così da arrivare più in fretta al Ponte di Rialto; il palazzo in cui si sarebbe incontrata con il suo amante era poco lontano, perciò doveva riprendere il controllo e prepararsi al meglio.
La bellissima struttura del ponte, pieno di gente chiassosa come sempre, riuscì a calmarla. Il canale sottostante era colmo di acqua pulita e profumata, ben diversa da quella che vi scorreva ai tempi in cui la città era in superficie e alcune gondole rimesse a nuovo erano usate da coppie di innamorati per rendere unica quell’esperienza. Alcune erano scoperte, altre avevano una vera e propria cabina, ed era facile capire cosa stesse succedendo in queste, sebbene i robot al remo cantassero a squarciagola.
Delilah sorrise, lasciandosi lo scontro con Sadie alle spalle; quel mondo caotico e variopinto, per quanto finto e decadente, la rendeva allegra, felice.
Indossò il costume che il suo amante, l’anno precedente, aveva chiesto come segno di riconoscimento: l’elegante tessuto della sua tunica si era avvolto intorno al suo corpo come se avesse preso vita, e ora sembrava davvero l’abito di una monaca. Il trucco sulla sua pelle rimase scuro, ma la gioia che provava in quel momento si tradusse in stupendi e complicati arabeschi dalle mille tonalità, un gioco di colori stupendo.
Per essere una suora, si disse soddisfatta, era molto molto insolita. A lui sarebbe piaciuta tanto, ne era sicura.
Con passo leggero e molto veloce, attraversò il ponte e raggiunse il palazzo dove avevano deciso di incontrarsi. Fece per salire le scale, quando si sentì afferrare per la vita: «Dolce monachella, vuoi giocare a confessarti con me?» le disse all’orecchio una voce sconosciuta, mentre una mano stava già esplorando le sue forme.
Delilah fece per rispondergli a tono, pronta a liberarsi, quando un pilota spaziale si pose davanti a lei e intimò al suo spasimante di lasciarla andare. «La sorella ha già un compagno con cui peccare questa notte», aggiunse con voce ferma, e l’altro, già ubriaco, si allontanò senza neanche protestare. C’erano così tante donne a Venezia, in fondo, che non valeva la pena litigare per così poco.
Dal canto suo, Delilah sorrise: eccolo lì, l’uomo che aveva atteso per un anno intero.
«Ciao», sussurrò appena, facendo un passo verso di lui.
Sentì la superficie fredda del muro contro la schiena ancora prima di rendersi conto che lui l’aveva afferrata per le braccia e spinta indietro. Rabbrividì, ma certo non per il contatto con la parete; era il corpo del suo uomo premuto contro il suo, piuttosto, che le faceva venire le vertigini.
Stretta nella sua presa, le fu impossibile resistere al suo bacio… Come se davvero avesse voluto sottrarsi! Gli passò le mani intorno al collo, e mostrando tutta la sua agilità con un piccolo balzò arrivò a cingergli la vita con le gambe.
Il suo gesto lo fece sorridere. «Ma come siamo provocatrici», le sussurrò all’orecchio in un ansimo, «pensavo che in convento v’insegnassero ben altro genere di pratiche, sorella».
Delilah si fermò un attimo, sorpresa, ma accolse il gioco con piacere: tornò a stare in piedi da sola, e lo spinse via, per lanciarsi poi a salire le scale che portavano ai piani superiori del palazzo; la seguì al volo, divertito. Raggiungere la loro solita stanza, la prima in cui si erano scoperti, accese ancora di più il desiderio tra loro; l’aveva quasi presa, quando la donna, arrivata sulla soglia, si fermò.
«Dovrei dire le mie preghiere stanotte», disse con l’aria più innocente che riuscì a inventare, sapendo già che non sarebbe stata capace di recitare a lungo.
Cercò di prenderle con due dita una ciocca di capelli che ora compariva dal copricapo che indossava. «Per questo siete venuta in una città così schiava del peccato, sorella? Per pregare?»
«A chiedere pietà per la vostra anima dannata», rispose facendo un passo indietro. Il suo volto lo invitava a seguirla, e l’uomo non perse l’occasione, chiudendo la porta. Solo la luce fioca che proveniva dall’ampia finestra di vetri colorati permetteva loro di vedersi e controllarsi a vicenda mentre si avvicinavano al letto.
Delilah lo osservò mentre avanzava con passo sicuro verso di lei, spavaldo, e congiunse le mani in un gesto di preghiera.
Il suo amante sembrava divertirsi, mentre il suo abito diventava meno complesso, una tunica leggera che non avrebbe intralciato; anche la sua pelle era tutta impastata con quel trucco che Delilah aveva usato, perfino i suoi capelli, annodati sulla nuca, erano impiastricciati fino alle punte. «Dannata, dici? E se io fossi il diavolo e fossi venuto per prendere la tua, di anima?»
«Allora che il cielo abbia pietà di me», gli rispose lei, facendo finta di tremare. Ormai a forza di arretrare era arrivata contro la parete, non aveva più via di fuga… E se ci fosse stata, avrebbe fatto finta di non vederla.
Anche il suo vestito si ridusse seguendo i suoi desideri ma, invece che fermarsi alla tunica che aveva messo sulla nave, diventò un lungo nastro che si mosse fino a intrecciarsi intorno alle sue braccia. Un suggerimento a farne un pessimo uso, visto le robuste colonne che reggevano il baldacchino del letto. Un suggerimento che lui colse subito, sempre più eccitato.
Mentre quel morbido laccio si stringeva intorno ai suoi polsi, Delilah sentì anche il suo desiderio salire ancora, e sperò che il suo compagno facesse in fretta.
Così immobile, lo osservò mentre il suo vestito scompariva il più possibile, e lui guardava le sue forme, avido. «Sei mia, sorella», ripeté con voce sensuale, «vuoi recitare un’ultima supplica al tuo signore perché risparmi la tua povera anima?»
Le sensazioni che vinsero Delilah mentre lui cominciò ad accarezzare la sua pelle, fino a stringerle con forza i seni e poi ripetere il gesto con le natiche la fecero quasi bestemmiare, completamente sopraffatta dal piacere. «Just call me Lucifer, 'Cause I'm in need of some restraint», canticchiò tra i sospiri riprendendo una vecchia canzone terrestre che aveva sentito una volta alla radio intergalattica. «Sei caduto nella mia trappola, fratello: sarò io a prendere la tua anima…»
Non riuscì a dire altro, colta dalla voglia di gridare con tutta la voce che aveva in corpo, sentendo il suo uomo entrare in lei.

*

Cinque giorni erano già passati. Altri dieci ancora a venire. Delilah si stiracchiò pigramente nel grande letto che aveva accolto lei e il suo amante e da cui non sarebbero usciti molto presto; in realtà avevano uno spazio molto più ampio a loro disposizione, ma il calore e la comodità dello splendido baldacchino intarsiato d’oro erano così invitanti…
«Ancora non riesco a crederci che hai affittato tutto il palazzo del Doge per noi», disse con un sorriso rivolta all’uomo che giaceva al suo fianco. «Ti sarà costato una vera fortuna!»
«Non proprio tutto», ribatté l’altro con espressione soddisfatta accarezzando la pelle colorata della sua compagna, «e ho ottenuto uno sconto permettendo che si tenesse il solito ballo nella sala del Maggior Consiglio».
Il ballo, ma certo. L’evento di chiusura delle due settimane di carnevale, il gran finale per eccellenza.
«Avremo ospiti, allora», lo stuzzicò con un sorriso malizioso.
Il suo amante Taylor, come si faceva chiamare da lei, rispose con aria poco divertita: «Solo nella Sala, qui proprio non entrerà nessuno».
«Ti fai prendere in giro troppo facilmente, sciocco», ridacchiò lei, tuttavia soddisfatta da quella velata gelosia. Essere così desiderata le faceva proprio bene, doveva ammetterlo, e a quel pensiero la pigrizia lasciò spazio a un’altra voglia.
Si mise a sedere, e poi si sistemò sul suo uomo, che stava sdraiato sulla pancia e aveva voltato il capo per seguire i suoi movimenti. «Secondo me sei troppo teso, ecco perché reagisci in questo modo».
Seduta a livello dei suoi fianchi, si abbassò e prese a massaggiargli le spalle con dei movimenti morbidi e lenti.
«Non credo che questa sia una tecnica di rilassamento», mugolò lui.
«Se non ti piace posso sempre smettere», gli rispose Delilah fingendosi offesa, ma senza smettere di fare pressione sulla pelle del suo uomo.
Taylor, infatti, non si lamentò più. «Non ho detto che devi smettere», continuò lui, «ma forse se mi lasci voltare potrebbe essere più interessante…»
E il gioco era già pronto a diventare qualcos’altro, com’era successo più volte nel corso di quei cinque giorni da quell’amplesso nel palazzo del loro primo incontro, il miglior saluto mai inventato nella storia umana secondo Delilah.
Spostò il peso sulle ginocchia e allargò le gambe, così da permettere al suo uomo di girarsi. Ora potevano guardarsi negli occhi, baciarsi… La donna tornò a sedersi come prima, e stava per riprendere il massaggio, ma non ne ebbe il tempo: Taylor le aveva già messo le mani sui fianchi e la invitava a prendere un contatto più intimo, che lei non fece tardare. Di nuovo uno parte dell’altra, a ricercare insieme l’estasi.
Delilah gli prese le mani e se le portò sul seno, mostrandogli come voleva essere stretta, e fu presto soddisfatta. Ansando per il piacere, aumentò la velocità del movimento del bacino.
Doveva esserci un sacco di personale in quel palazzo, si ritrovò a pensare in quel momento così intenso. Chissà cosa pensavano dei loro ospiti, che ancora non erano riusciti a saltare fuori dal letto in cinque giorni… Se non per provare insieme il bagno, finendo così a vedere quanto fosse comoda la vasca per i loro giochini, o altri mobili sparsi negli appartamenti del Doge. Divertita all’idea che dovevano essersi fatti di loro, Delilah scartò il pensiero e tornò a concentrarsi sul piacere che il suo uomo le stava regalando.
In pochi minuti, entrambi raggiunsero l’apice e gridarono forte ciò che provavano.
Ansimando, Delilah dette un’ultima stretta e si sdraiò addosso a lui, cercando il suo calore. La stanza ora era caduta nel silenzio, salvo il rumore dei loro respiri affannati. «Allora», sussurrò alla fine lei dopo aver ripreso fiato, guardandolo negli occhi e cominciando a baciarlo a fior di labbra, «parteciperemo al gran ballo, quest’anno?»
«Alla prima parte del ballo», precisò lui. Teneva gli occhi chiusi, ancora in balia delle sensazioni dell’orgasmo. «Per il gran finale», continuò, «torneremo qui, chiuderò la porta a chiave e ti darò tutto quello che vorrai per non sentire la nostalgia fino all’anno prossimo».
«C’è una sola cosa che devi darmi per rendermi felice», replicò Delilah precisa, ridacchiando per la sua stessa audacia, «e non soltanto l’ultimo giorno, o davvero non sarò soddisfatta alla mia ripartenza».
La voce della donna lasciva trapelare quanto odiasse pensare già all’ultimo giorno del; Taylor lo avvertì, socchiuse gli occhi e sorridendo le accarezzò i capelli. «Abbiamo ancora tutto il nostro tempo, Kitty, non guastiamolo».
Kitty. Era così che Delilah si era presentata, palesemente finto, ma andava bene così. «Miao», disse sorridendo più apertamente. «Adesso ho fame».
L’uomo scoppiò a ridere, se la scrollò di dosso e si passò una mano sul volto. «Sei una cosa terribile!», esclamò senza riuscire a controllarsi, ma subito dopo suonò un campanello e chiamò il capo del personale perché soddisfacesse il desiderio della sua compagna.
Pochi minuti dopo, dalle cucine del palazzo giunsero due camerieri con un enorme carrello carico di piatti molto invitanti, dolci, frutta, un succulento arrosto che emanava un odore incredibilmente stuzzicante, altri cibi che Delilah non aveva mai visto in vita sua. Tutta roba prodotta sulla Terra in colture completamente naturali, le dissero.
Ciò che l’attirò più di tutto, però, fu un dolce guarnito di panna montata. Sorrise al suo uomo, sapendo che avevano appena trovato che fare dopopranzo.

*

Il ballo. Delilah sedeva a una delle tavolate per il banchetto che aveva preceduto le danze, senza occupare alcuna posizione particolare; avrebbe potuto essere incoronata Regina del ballo in quanto dama per cui era stato preso in affitto il Palazzo Ducale, ma aveva volentieri ceduto il posto a un’altra fanciullina.
Certo, il Re e la Regina avrebbero potuto ripassarsi qualunque partecipante alla festa, chiunque fosse, o anche più persone allo stesso tempo… Non le interessava proprio; Taylor aveva insistito per presentarsi prima dell’inizio delle danze, visto che erano i padroni di casa, ma entrambi erano orientati su piani ben più intimi. Dovevano solo rimanere per un po’, ballare, farsi vedere e sparire il prima possibile.
Inutile dire che Delilah si stava annoiando a morte, perché il suo cavaliere era stato trascinato via da un’altra, e che aveva in più il terrore che Sadie sbucasse da ogni angolo, la riconoscesse e tentasse di portarla via.
A un certo punto, però, una maschera tra le tante attirò il suo sguardo: era un figuro completamente nero, dall’espressione quasi arcigna. Suo marito, possibile?
No, non poteva. Non doveva assolutamente!
Non gli avrebbe permesso di rovinare la sua ultima notte a Venezia, in fondo avrebbe avuto un anno intero per mortificarla … Il primo pensiero fu di scappare e ritirarsi nelle stanze private che erano state del Doge, aspettando che Taylor la raggiungesse, ma poi un’altra idea fece capolino nella sua mente.
Poteva essere l’occasione che aspettava da anni per rinfacciargli tutto con la sua disarmante ironia e lasciarlo a bocca aperta. Anche senza farsi riconoscere, sarebbe stata una bella liberazione. E in più, mostrargli com’era davvero… Sì, doveva farlo!
Veloce, attraversò la pista dove altre coppie già stavano ballando, fino a raggiungere quella figura e invitarla alla danza successiva. Roger la fissò senza dire nulla, annuendo appena col capo. Che l’avesse riconosciuta già e non volesse farsi scoprire a sua volta parlando? Troppo tardi, ma poteva anche reggergli il gioco.
Iniziarono ad abbozzare qualche passo, seguendo la musica dell’orchestra sistemata in un angolo. «Vi muovete bene, signore», disse lei con un sorriso, già pronta a passare all’attacco, «ma mi sembra di ballare con mio fratello, da come portate».
Gli spostò la mano che le teneva sulla schiena più in basso, quasi a toccarle le natiche, e nel frattempo si avvicinò abbastanza da strusciarsi contro il suo petto; un movimento apparentemente involontario della gamba, e controllò che quei piccoli gesti azzardati avessero già ottenuto qualche effetto. Un enorme effetto, si disse sorpresa.
Continuò a ballare così, provocandolo liberamente, e nel frattempo gli parlava di sé, del suo matrimonio fallimentare, del marito inutile e insensibile che aveva…
Nessuna risposta. Insensibile per davvero, notò frustrata, se non nella carne. Sapersi desiderata non era sufficiente, lo voleva vedere umiliato, ma prima che potesse passare al successivo commento tagliente, sentì una mano posarsi sulla sua spalla destra. Taylor.
«Perdonatemi, signore, ma ero in lista per ballare con questa dama», disse pacatamente lui, senza lasciar trasparire gelosia.
Roger accennò un sorriso malizioso e bofonchiò che Delilah era troppo irruente per i suoi gusti, troppo vivace. Si liberò dall’abbraccio della danza e scomparve in fretta tra la folla.
«Cosa stavi facendo?» le domandò poi, e la sfumatura di rabbia era palpabile.
«Geloso? Non preoccuparti, stavo solo provocando una persona che conosco da tempo», questa fu la risposta di Delilah, abbastanza non curante della sua collera. «Non è niente, non cambia i nostri piani!»
«Dimostramelo, allora».

*

Quindici giorni dopo il miglior benvenuto della storia, ecco arrivare il miglior addio.
«Se hai ancora dubbi su chi volessi questa notte, posso concederti il bis», sussurrò Delilah cercando di trattenere le lacrime. Quest’ultimo orgasmo era stato quasi fin troppo intenso, dovette riconoscere a se stessa. Più in là di tanto piacere poteva esserci solo la morte… Chissà.
Taylor fece segno di no, era stato sufficiente anche per lui. Mormorò completamente svuotato, e qualcos’altro che la donna non riuscì a capire, ma il senso era abbastanza chiaro.
Non si sarebbero detti arrivederci, né salutati in altra maniera. Mancava solo una formalità, prima che lei scomparisse nella notte degli imbarchi.
«Questa volta tocca a me scegliere i costumi, no?», chiese quasi a se stessa, perché già conosceva la risposta. Gli disse cosa aveva pensato, un ultimo bacio… poi il suo vestito si ricompose in un costume molto elaborato, adatto alla partenza ormai imminente.
Guardò il suo compagno un’ultima volta, sorrise e se ne andò.
Doveva sbrigarsi, se voleva raggiungere la navetta senza che suo marito brontolasse per il ritardo.

*

Quando Delilah rientrò nei propri alloggi sulla nave che l’avrebbe riportata a casa, il Sole stava albeggiando sulla parte di superficie terrestre visibile dalla sua cabina: era il momento che davvero sanciva la fine del carnevale, come ogni volta. Era uno spettacolo che non si sarebbe mai persa; preferiva vedere e realizzare che con la luce iniziava un nuovo anno d’attesa e di noia, piuttosto che rifiutarsi di ammettere la verità.
Osservò il globo azzurro e la luce che lentamente avanzava sulla parte buia, senza pensare a nulla, poi si tolse la tunica e gli ornamenti dai capelli: nel suo enorme bagno, l’attendeva una vasca piena d’acqua calda e solventi speciali, pensati appositamente per struccarla da quella seconda pelle scura che ormai l’adornava da due settimane. Immersa lì dentro, avrebbe avuto tutto il tempo per ammirare l’alba in tutta tranquillità, ancora salva per un po’ dai problemi del mondo reale.
Se Sadie avesse avuto intenzione di concederle un po’ di tregua, ovviamente, speranza che Delilah si vide subito distruggere dall’arrivo irruente dell’amica. «Allora, ti sei divertita a spese del tuo… Oh», esclamò la donna nel vedere che l’amica era nuda, arrossì e si coprì gli occhi.
«Per l’amor del cielo, Sadie, così colorata come sono non puoi fare tante scene», si lamentò l’altra prima di infilare una gamba nella vasca, come al solito scocciata dal quel perbenismo tanto insulso. «Se indossassi una tuta spaziale non potrei essere più coperta di così».
Malgrado il suo rimbrotto, Sadie tenne le mani sul volto finché non sentì lo scroscio dell’acqua. Per un attimo, il silenzio sceso nel bagno avvolse entrambe le donne, e Delilah si rilassò nel piacevole calore dell’acqua; il trucco cominciò a sciogliersi rapidamente, così per facilitare il processo s’immerse fino all’altezza degli occhi.
«Hai detto arrivederci al tuo amante?» domandò pungente Sadie, senza perdere un altro istante per cominciare a rimproverare l’amica.
Secondo round, pensò la povera Delilah, che tuttavia non aveva intenzione di cedere; si mise a sedere in maniera più composta, in modo che l’acqua le arrivasse solo alle spalle. La fronte e il contorno degli occhi erano ancora colorati di nero solcato da sottili linee spezzate rosse e arancioni, sintomo del suo umore, mente i capelli grondavano grosse gocce scure nello specchio chiaro della vasca. «Sì, come tutti gli anni», rispose con calma, «con la promessa di ritrovarci la prossima volta».
«Io proprio non ti capisco, Delilah! Hai tutto quello che una donna della nostra condizione sogna e desidera, che cos’altro ti manca?»
«Mi manca l’amore, se proprio vuoi saperlo!» sbottò schizzando un poco d’acqua in direzione dell’altra. «Non basta giurare di metterlo per l’eternità davanti a un prete, Sadie, perché ci sia. E nel mio matrimonio non c’è, basta guardare me e Roger con un po’ più di attenzione per accorgersene. Se non fossi così preoccupata da te stessa e da quello che non hai, potresti essere abbastanza mia amica per vedere oltre alle apparenze e capire che cosa devo sopportare. Questa non è una bella vita, non è quella che volevo né quanto speravo di costruire con un marito».
Forse Sadie non riusciva a vedere, come l’accusava fin troppo spesso, ma era davvero stufa di sentirsi recriminare le sue mancanze come amica. Visto il modo in cui Delilah era scappata da lei per correre dal suo amante, poi, non aveva intenzione di lasciarsi zittire per l’ennesima volta. «E quella che hai con un uomo sconosciuto di cui non ha neanche mai visto il volto?», le domandò ancora, decisa a dimostrarle quanto quello stile di vita fosse sbagliato. «Potrebbe essere anche un industriale avversario di tuo marito, per quello che ne sai, non credi di fargli un torto?»
Delilah non riusciva a credere alle sue orecchie. Ma cosa avrebbe dovuto fare, vivere solo ed esclusivamente in funzione di suo marito? «Onestamente Sadie, quando mi trovo un uomo non mi preoccupo al torto che potrei fare a Roger; lui avrà sicuramente almeno un’amante, se non di più, a Venezia, perciò non mi sento affatto in colpa».
Sadie scosse il capo. «Non capisco, onestamente: cosa mi sfuggirebbe di così grosso e terribile da farti lamentare per cui ti lamenti così spesso del tuo matrimonio?»
Doveva trattarla male come al solito, si disse Delilah, così se ne sarebbe andata prima di vederla scoppiare a piangere per la frustrazione; lei era sempre stata considerata la più forte tra le due, e non aveva intenzione di mostrarsi così debole. Eppure, guardando la vasca in cui si era immersa e il suo contenuto ormai scuro, decise di buttare via la maschera, per una volta. «Forse ti sembra normale che mio marito non mi guardi, non mi parli, non mi tocchi mai? Certo, siamo così carini insieme quando facciamo le nostre uscite pubbliche, ma finisce tutto lì. Non te ne accorgi mai? Eppure ti trovi spesso a casa nostra… Quando non ci sono altre persone se non amici e intimi, ti sembra che ci comportiamo come una coppia?»
«Ma perché allora non affronti il problema? Potresti provare a cambiare le cose, almeno».
«Non posso convincerlo ad amarmi, non posso obbligarlo. Posso solo mentire e fare finta che vada tutto bene quando mi viene chiesto, e così appariamo come la più bella coppia della storia, ma a Venezia, Sadie…»
Col pensiero, Delilah tornò negli appartamenti del Doge, al letto dove si era concessa al suo amante e sospirò profondamente. «Al carnevale io indosso una maschera, ma sono me stessa. Di più, fingo di essere la persona che sarei diventata se avessi potuto scegliere per conto mio. È più facile così, credimi».
Sadie non avrebbe capito neanche questa volta, lo sapeva; neanche se le avesse consigliato di trovarsi un uomo e fingere che fosse suo marito, l’altra avrebbe accettato la menzogna come condizione normale della sua vita. Perché quella che viveva Delilah era una bugia, lei stessa ne era ben consapevole quando s’immergeva nel bagno detergente e ripensava alle due settimane pensate a Venezia. Per quanto quel breve lasso di tempo passato lontano da tutto la facesse sentire bene, sapeva benissimo che era solo un’illusione per sopportare il resto della sua vita. La verità, come la luce, acceca. La menzogna invece è un bel crepuscolo, che mette in risalto tutti gli oggetti, così diceva una frase di un altro autore vecchio di secoli. Nella letteratura terrestre trovava spesso frasi che si addicevano a commentare la sua vita.
E proprio come diceva quel tizio, Camus o come si chiamava, quell’alba era come la verità, la metteva a nudo e mostrava tutta la sua debolezza, la dipendenza alle menzogne che aveva sviluppato nel tempo. Nella luce artificiale della città sommersa, invece, lei splendeva come una stella e tutto sembrava stupendo.
Sadie aveva ragione: in fondo, avrebbe potuto provare ad avvicinarsi ancora a suo marito, a mostrargli chi era veramente; lei era una donna intelligente e capace che avrebbe potuto aiutarlo nella cura degli affari. Roger avrebbe potuto imparare ad apprezzare le sue qualità, e se lei avesse dato i giusti consigli per aumentare i profitti delle sue industrie perfino dimenticare l’inganno che aveva portato al loro matrimonio.
Se… Ma in questo modo, lei non avrebbe avuto più bisogno di Venezia, di quell’uomo che senza chiederle niente la faceva sentire stupenda e amata come mai era successo nella sua vita. In quel modo, in più, era facile scaricare la colpa su Roger, bastava raccontare una bugia e crederci come se fosse la verità.
Delilah si estraniò, lasciando che la sua amica continuasse a farle la predica senza più ribattere. Il Sole ormai illuminava il volto della Terra rivolto verso di loro, e il riverbero azzurro era diventato più intenso.
Abbagliante, così le parve, tanto che si coprì il volto con le mani per non vedere ancora, prima di accecarsi. «E in ogni caso», disse senza controllare la voce, che si stava incrinando, «almeno gli ho concesso un ballo».
Sadie scosse il capo, incredula. «A Roger? Sciocchezze».
Ma… Delilah era confusa come faceva a essere così sicura di cosa avesse o non avesse fatto? «Cosa? Alla festa di chiusura al palazzo del Doge…»
Non riuscì nemmeno a terminare la frase, la sua amica la interruppe con veemenza: «C’ero anch’io, Delilah, anche se sono andata via prima del grande festeggiamento», precisò con aria nauseata all’idea di un’intera folla che si dava al piacere senza badare a chi fosse coinvolto, «e ti vista, sai? Eri molto bella, devo ammetterlo».
Incredibile, un complimento per l’adultera... Delilah era quasi sotto shock. «Allora avrai anche visto che ho riconosciuto Roger nella folla e che sono andata a ballare con lui!»
«Sei diventata così cieca?» la provocò Sadie, sconvolta. «Quello non era tuo marito! Non so chi fosse, ma di certo non era Roger».
Delilah era sul punto di ribattere ancora, ma fece spallucce. Basta, ne aveva davvero fin sopra ai capelli. «Vuol dire che ho fatto un favore a uno sconosciuto», commentò con sufficienza, «quel tizio non sembrava aver mai visto una donna, prima di ballare con me».
Peccato, non era riuscita a prendersi la sua piccola rivincita sul marito. Non aveva importanza, anche se ora gli sarebbe piaciuto sapere dove Roger aveva passato le due settimane del carnevale. Per pura curiosità, ovviamente.

*

Nel frattempo, anche Roger stava osservando l’alba dalla sua cabina. Il personale di bordo aveva preparato un bagno caldo anche per lui, e l’acqua quasi bollente esalava candidi vapori, ma ancora non aveva voglia di lavarsi e tornare a essere se stesso. L’odore della sua amante era ancora percepibile sulla sua pelle colorata, ed era una sensazione così piacevole che l’uomo non voleva liberarsene fino all’ultimo.
Era stanco, e presto sarebbe crollato addormentato nel suo morbido giaciglio, ma voleva vedere l’alba fino alla fine prima. Avrebbe dormito di certo, con quello che quel diavolo in forma umana gli aveva fatto; ne era uscito così spossato che a fatica si era alzato dal letto per recarsi ai Pontili, dove era arrivato perfino più tardi di Delilah!
Quella donna l’avrebbe mandato al manicomio, ne era sempre più sicuro, eppure era un bisogno, un vizietto innocente a cui non sapeva rinunciare. Era provocatrice, passionale, forte… ogni volta era intensa e sconvolgente come la prima, se non di più.
Facevano cose che non avrebbe neanche osato proporre a sua moglie, così frigida e lontana. Non era solo il sesso che lo spingeva a tornare da lei ogni anno, sebbene… Mm, pensò, quel vestito da suora lo aveva davvero incendiato. Aveva avuto una bella idea a proporglielo, e lei aveva acconsentito e retto il suo gioco con una naturalezza che gli faceva rapidamente perdere il controllo.
Non gli importava chi fosse nella realtà, poteva essere anche la moglie di un suo socio o perfino quella strana e pudica amica di Delilah, per lui avrebbe potuto anche essere sua sorella per quello che gli importava! Venezia era questo, ed era stupendo.
Avrebbe voluto che la sua sposa fosse un pochino come lei, che lo guardasse, che lo capisse. Da quel matrimonio assurdo e dalla successiva bancarotta dei suoi suoceri, i rapporti con lei erano diventati insulsi. Roger si era arrabbiato, e avrebbe sfidato chiunque a dargli torto, ma avrebbero potuto tentare di andare oltre; non era certo il tipo che portava rancore per tutta la vita, ma Delilah non aveva mai visto i suoi sforzi per avvicinarsi a lei. E, stanco della situazione, lui aveva rinunciato.
Aveva una donna che lo aspettava, dopo tutto, anche se non sapeva nemmeno che faccia avesse sotto quel trucco. Forse se si fossero incontrati in altra maniera, alla luce del sole o a un evento mondano normale, non si sarebbero nemmeno piaciuti. A Venezia, però… Sì, laggiù nelle profondità marine tutto cambiava.
Delilah era tornata molto soddisfatta di sé e probabilmente del campione che aveva accolto nel suo letto durante quel carnevale. Com’era diversa dalla sua donna, probabilmente avrebbe disprezzato una persona con così tanta iniziativa e sensuale.
Non aveva importanza: non era un problema suo, e non l’avrebbe fatto diventare di Delilah. Dette un ultimo sguardo alla Terra e alla linea della luce solare che si spostava sulla superficie del pianeta ormai selvaggio, quindi s’immerse nell’acqua calda.
L’anno successivo Kitty avrebbe impersonato un pirata dello spazio, mentre lui avrebbe fatto il suo prigioniero… Un’altra fantasia molto interessante, riconobbe; quella donna era davvero sopra le altre. Era l’unica prospettiva esaltante che riusciva a vedere nel suo futuro, e per quanto il pensiero fosse disarmante, Roger si concentrò sul calore quasi bruciante della vasca e sui piacevoli diversivi che lo avevano impegnato negli ultimi giorni.
Tutto il resto… Sagome scure contro una luce accecante, e nulla più.


   
 
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