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Autore: Batuffola95    15/11/2009    0 recensioni
Era buio. Le ombre notturne stavano fuggendo dalle aride steppe per recarsi su quel piccolo villaggio nel Sud della Francia...
Genere: Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La meraviglia di una Notte Stellata

 

E

rano ormai passate le 8 di sera e l’ imbrunire del cielo era già inoltrato; i caldi raggi del sole erano ormai svaniti nel nulla, come se il sipario della notte fosse calato sul piccolo villaggio e nascondesse i frutti del lavoro diurno. La dolce brezza notturna si stava avvicinando sempre più, proprio come la calda coperta che da lì a poco sarebbe calata sul villaggio, oscurando qualsiasi cosa nella sua morsa stridente e calda.

La camera d’ ospedale era solo illuminata da una flebile luce, che non bastava a rischiarare l’ oscurità della stanza.

Vincent era adagiato sul letto, con le coperte tra le mani, quando improvvisamente una raffica di vento, proveniente dall’ esterno, aprì la finestra, ornata da piccole tende di velo, che svolazzavano nell’ aria viziata della camera.

Vincent chiuse gli occhi, mentre inesorabilmente si mosse per raggiungere la finestra. I movimenti lenti erano causati dai suoi problemi motori, dovuti soprattutto dalle gambe.

Sebbene i suoi passi cadessero gravi e pesanti sul pavimento della stanza, riuscì a raggiungere la tanto ostica finestra.

Mentre tastava la salda e gelida maniglia di ferro, le sue mani divennero impotenti, al contrario dei suoi fervidi occhi cristallini, che a quella vista si sgranarono a dismisura.

Abituato alla sua piccola stanzetta, non immaginava che là fuori esistesse un mondo così meraviglioso, così magico, così unico.

Davanti al suo viso si aprì il più bel paesaggio che i suoi occhi avessero potuto contemplare.

Non vi erano ruscelli, né laghetti né si vedeva all’ orizzonte il sottile confine tra la grande distesa d’ acqua e il placido velo notturno. Niente di tutto questo.

Sotto i suoi occhi si stendevano inermi le morbide curve dei vigneti e delle colline, ricoperti da un folto tappeto di campi e varie erbe, quasi fossero mille pezze che ricoprissero la nuda e grezza terra. Le linee setose parevano estendersi fino all’ infinito, forse oltre poiché l’ orizzonte non era visibile, data l’ oscurità della notte.

Come una carezza materna, le colline abbracciavano l’ intero villaggio, così minuto e distante, costituito solo da una serie di casette dalle forme più  disparate addossate le une sulle altre, proprio come una barriera difensiva. I tetti spioventi delle case conferivano un’ espressione innaturale, quasi comica alle loro forme, mentre dalle finestre si poteva notare della luce all’ interno delle varie stanze delle abitazioni.

Il piccolo villaggio si nascondeva dietro alle fronde dell’ altro e robusto cipresso del giardino; la pianta si snodava nel profumo dell’ erba umida come una fiamma scalpitante, mentre le sue fronde ballavano al più piccolo soffio di brezza.

Ma un’ altra figura dominava il piccolo villaggio; l’ alto campanile della chiesa sormontava con la sua altezza tutto il piccolo paese, che si sviluppava attorno ad essa. La figura slanciata del campanile portava l’ occhio di Vincent verso l’ alto, laddove si snodava quel miracolo divino: la torre non poteva nulla contro la bellezza struggente del velo notturno.

Al di sopra delle colline esso si estendeva come un enorme drappo di stoffa di leggera seta blu, abbracciando l’ infinito dell’ orizzonte, anch’ esso mascherato da un costume oscuro.

Eppure, anche data la sua imponenza, il cielo non riusciva a sorprendere come quegli impalpabili e dorati fari luminosi, che splendevano mostrando tutta la loro più sottile eleganza.

Come tante sorelle, quei piccoli tagli nella stoffa bluastra, parevano danzare tra le mille note del più pacato silenzio. Lo splendore dei raggi emanati era tale da illuminare e condurre alla luce anche i cuori più bui, immersi tra le tenebre dell’ insensibilità. Quella, sì, era la vera luce dell’ Universo.

<>, si domandò Vincent, che contemplava quello spettacolo con le mani appoggiate al bianco davanzale della finestra.

Il suo volto, illuminato dal candore lunare, era stillante di gioia, di quell’ impalpabile gioia che gli dominava l’ anima. Le sue guance divennero sempre più rosse, mentre, tra la bocca, si estese un ampio sorriso di compiacimento.

La sua solitudine era mitigata dalla presenza della luna, che sembrava in qualche modo parlargli con il suo splendore.

Le stelle parevano danzare tra quei flussi argentei della galassia che si intrecciavano gli uni con gli altri in un’ amorevole unione.

Quello non era frutto del caso; il caso non produce meraviglie si straordinaria bellezza e profondità.

L’ unione tra la Terra ed il Cielo non poteva essere un abbraccio casuale.

Quell’ armonia di suoni e impalpabili emozioni esprimeva al meglio l’ Opera di Creazione Divina.

Quale dolcezza, quale melodia esprimeva l’ equilibrio celeste: quella era la vera voce di Dio.

  
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