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Autore: Aisu Yuurei    16/11/2009    1 recensioni
(Gilgamesh) Tua sorella l'amavo veramente.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UTOPIA

 

Why does it rain, rain, rain down on utopia?
Why does it have to kill the idea of who we are?
Why does it rain, rain, rain down on utopia?
How will the lights die down, telling us who we are?

 

Tatsuya?

Mh?

Tu lo sai cos’è l’amore?

...

No, è ovvio che tu non lo sappia piccolo mio.

Tu lo sai cos’è, nee chan?

Penso sia il pensiero che una persona che ritieni cara ti rivolge spesso, anche più volte al giorno, come mamma e papà per esempio.

O come la sorellona!

Già, un giorno lo scopriremo insieme, ti va?

Sì!

 

Ascoltava i battiti del suo cuore, Kyoko, mentre ripensava a quella strana promessa strappata al fratellino in tenera età, mentre s’interrogava sul perché la loro madre si fosse ridotta in quello stato, mentre s’incolpava dell’abbandono del papà e, diciamolo, di tutti i problemi del mondo.

Solo Tatsuya, il piccolo Tatsuya, riusciva a farla sentire felice.

Ma quel dubbio sull’amore non l’aveva mai abbandonata nemmeno per un attimo, serrandole il cuore e intrecciandole lo stomaco.

Credeva che il suo amore per il pianoforte, il suo amore per il fratello, il suo amore per mamma e papà bastassero ad appagare la sua curiosità, ma si accorse che erano solo mere illusioni, stupide convinzioni che le riempivano il cuore e le svuotavano la mente.

Aveva amato nella sua vita... tanto.

Ma l’amore non le aveva ancora fatto vibrare il cuore, come il diapason che teneva attaccato al collo in ricordo di quella notte, in ricordo di quella pioggia insistente che donava alle sue orecchie un suono flebile e monotono.

Tatsuya una volta le aveva detto che dovunque lei passasse, pioveva.

Forse quel suono agrodolce e passivo le si addiceva, le permetteva di sciogliere le tristezze e i dubbi sulla sua esistenza misera.

Quel diapason lo portava attaccato al collo, quello strumento per accordare il piano e che ora voleva tanto usare per accordare il suo cuore ai suoni di quell’amore che non aveva mai conosciuto. Quel diapason che gli ricordava ad ogni sguardo che in quella notte lei lo aveva sfiorato quell’amore.

Semplicemente.

Ingenuamente.

Si era sentita come se potesse prendere il volo da un momento all’altro e allo stesso tempo il peso allo stomaco non le avrebbe permesso di staccarsi un millimetro da terra.

 

Quando entrò da quella porta e vide la calda e morbida luce della candela posarsi sul suo volto, pensò che poteva fuggire, poteva salvarsi, poteva finalmente sognare.

 

Quegli occhi infinitamente grandi ed infinitamente piccoli, quel ghiaccio profondo senz’anima, coperto parzialmente da un ciuffo di capelli d’oro e quel suo corpo scolpito nel marmo, tutto ciò permise al suo cuore di accellerare i battiti.

 

S’innamorò, ma non lo seppe mai.

 

Suo fratello, ignaro di tutto, la guidò per quei corridoi scuri e infimi, l’uomo che li aveva accolti all’ingresso non aveva detto una parola, teneva quella candela in mano e con la stessa espressione li condusse in una stanza che assomigliava molto ad una sala da tè.

 

“Anche noi ci ripariamo dalla pioggia.”

 

Disse poi, poggiando la candela sul tavolo, la sua luce rivelò la presenza di altri due individui pressoché uguali. Uno aveva i capelli rossi e il volto sbarazzino, l’altro i capelli neri e se ne stava in piedi con in mano un vassoio con dei bicchieri di tè.

“Sembra che ne abbia fatti troppi... che bella coincidenza.” esclamò con un sorriso dolce guardando i due ragazzi infreddoliti sulle sedie.

Lui si sedette su una delle poltrone e con noncuranza si mise a fissarla di nascosto mentre sorseggiava il suo tè. Lei se ne accorse più volte e tutte le volte sembrava che lo stomaco si rimpicciolisse fino a scomparire.

Si chiese cosa diavolo le stesse succedendo.

“Siete fidanzati?” chiese all’improvviso lui.

Gli altri due sorrisero in modo impercettibile, mentre lei quasi non moriva soffocata. “A-ah no! Siamo solo fratelli!” si affrettò a chiarire.

La sua  espressione parve rilassarsi per un attimo, quando tutti e tre allertarono i sensi e si precipitarono fuori. La mano di Kyoko iniziò a tremare e insieme al fratello sgattaiolarono furtivamente per accertarsi di cosa stesse succedendo. Quando misero i loro musi fuori da quelle mura videro due mostri invasi dal buio della notte, uno sembrava uscito da un film e aveva la bocca simile a quella di un cavallo di cui si vede solo lo scheletro, l’altro invece...

L’altro era un angelo, iniettato di luce lunare, lo videro solo per un attimo, ma impresse nella mente di Kyoko un’immagine devastante. Poi scoppiò il panico ed entrambi svennero.

 

~

 

Sensei?

Dimmi.

Cos’è la vita?

...

Mi scusi sensei, sono stato inopportuno, le mie più profonde scuse.

La vita eh? Penso che vivere, significhi amare. Sì, proprio così.

Amare?

Esatto, amare. Voi siete nati da vita artificiale, ma almeno uno di voi dieci, capirà. Ne sono certo.

Grazie, sensei, le auguro una buona notte.

 

Amare...

Se lo chiese mille volte, in mille notti tutte uguali.

Si chiese se per amare bisognasse fare qualcosa, bisognasse donare qualcosa, bisognasse sentire qualcosa.

Finora aveva sempre creduto che il suo amore per Enkidou fosse ciò che gli umani consideravano vita, ma da quando aveva visto lei, nulla era più come prima.

Quella sensazione di calore, di infinitesimale gioia, di occulta speranza e di rinvigorita vitalità...

Non l’aveva mai provata.

Lui era un servo del Dio che di lì a poco avrebbe rivoluzionato il mondo, che diritto aveva di porsi tali domande? Quali obbiettivi si poneva chiedendosi per quale motivo aveva provato tali emozioni?

Sempre se di emozioni si trattava, lui non era stato creato per questo, il suo scopo non era quello.

No.

E allora qual’era?

Servire il Maestro? Finiva tutta qui la sua ‘vita’?

Inutile.

Ma forse, anche essere inutile era troppo per lui.

 

~

 

Quando scappò via da quel mondo, da quell’altra realtà che si era insinuata dentro di lei, si sentì davvero sola.

Fino a quel momento non lo era mai stata, insieme a Tatsuya non lo era mai, ma ora lui non c’era e lei si sentiva immensamente...

Terribilmente.

Abbandonata al suo dolore interno, a quel suono che regolare scandiva i secondi, di una vita senza alcun fine.  Arrivò anche a lavorare in uno di quei locali non proprio puliti pur di pagare quella dannata vecchia e scappare da quella realtà che le stava stretta.

Già.

Quella realtà che credeva di essersi gettata alle spalle ma che ripiombò su di lei come un macigno quando vide di fronte a lei, quel ragazzo che aveva fatto vibrare il suo diapason interiore, quel ragazzo con quello sguardo magico che si illudeva di poter provare emozioni e che invece non ne provava per niente.

Lui.

Per terra ansimante e dolorante, quasi svenuto.

Le sue gambe si mossero da sole.

 

~

 

A volte mi chiedo se sarebbe stato meglio morire all’inizio, prima di provare tutto ciò. Tutte le volte mi rispondo di no.

 

~

 

Quando si svegliò,  inizialmente vide solo buio, quando mise a fuoco si accorse di trovarsi in una stanza poco illuminata. Spinto dalla curiosità, si spinse come meglio poteva fino a raggiungere lo stipite della porta, non riuscì a capire bene cosa ci fosse davanti a lui, accecato ancora dalla furia del dolore.

Così provò a spingere il braccio e a toccare quella cosa che pensava fosse un piede, la reazione però fu inaspettata, lei si alzò e lo guardò spaventata.

Lei.

Sì, proprio lei.

Rimase per un attimo basito, si chiese se il destino non avesse deciso di prenderlo in giro. Si chiese se a questo punto, tanto valeva giocare il tutto per tutto in una partita persa in partenza.

Sì.

Valeva.

Eccome.

 

Si era innamorato, ma  non lo sapeva.

 

~

 

Cercò di riprendersi dallo spavento, quando si accorse che era solo lui, le sue labbra si rilassarono e così tutto il suo corpo.

“Non voglio fare nulla.” sussurrò lui, poi si mosse sotto la sudicia coperta che gli aveva offerto. “Andrò via subito.” concluse.

Per qualche motivo a lei sconosciuto, a quelle parole si sentì montare dentro rabbia.

Furiosa rabbia.

Che represse magistralmente per dar posto ad una calma fittizia, si avvicinò stando sempre attenta, anche se in cuor suo sapeva di non dover temere.

“Non dovresti...”  sussurrò, le sembrò di dire le sue ultime parole, iniziò a sudare leggermente e le gambe diventarono d’un tratto di gelatina.

Smettila! Si disse, sì, doveva smetterla di prenderla in quel modo, era un fottuto mostro dopotutto, perché faceva tutte quelle moine a sé stessa ogni volta che lo vedeva?

 

~

 

Tesoro?

Sì, mamma?

Voglio confessarti un piccolo segreto.

Un segreto?

Proprio così piccola.

Ed è una bella cosa?

Certamente, forse però non capirai bene cosa sto per dirti, ma non so se avrò altre possibilità di dirtelo, pertanto voglio che tu lo sappia adesso, intesi?

Sì, mammina.

Se un giorno incontrerai colui che farà diventare i battiti del tuo cuore musica per le tue orecchie, allora ricordati che quello sarà amore. A-mo-re.

A-mo-re.

Sì. Proprio così. Amore.

Come tu e papà?

Esatto. Come io e papà.

 

~

 

Le lacrime iniziarono a scorrere mentre scivolava la sua mano su quel pianoforte triste e solo, che elemosinava solo il suo giovane e vigoroso suono.

Quel vecchio pianoforte dimenticato da tutti, vecchio e stanco che spera solo di morire.

Ma un pianoforte non può morire, si sa.

Ryoko pianse, le sue lacrime sciolsero la polvere incrostata che soffocava lo strumento, lenirono per un po’ il suo dolore, sfogarono per un po’ la sua malinconia.

Lo stato d’abisso in cui riversava non si sarebbe risolto in un paio di lacrime, lo sapeva bene, ma era già un passo avanti.

‘Perché?’ le aveva chiesto lui, quando lei gli aveva chiesto di non muoversi, quando gli aveva intimato di starsene fermo, guardando le sue ferite e soffrendo per lui, forse più di lui.

Non aveva trovato una risposta, così, come suo solito, era scappata lasciandolo nel buio di quella stanza a fare i conti col presente e con l’eventuale passato.

E ora era lei a fare i conti col suo passato, con tutto quello che la madre le aveva detto e che la sua piccola memoria aveva crudelmente dimenticato, con tutto ciò di cui aveva bisogno e che adesso stava dietro di lei.

 

Dietro di lei, lui la fissava con quel suo solito sguardo sereno, che non lasciava trasparire nulla d’insolito, nulla di compromettente o allusivo.

Solo uno sguardo, niente di più niente di meno.

 

~

 

Non restare lì dietro, vieni avanti.

S-sensei, non volevo disturbarla mentre sta ascoltando della musica.

Non preoccuparti, sei ancora puro, vieni qui e ascoltala insieme a me.

S-sì!

Sai, quando vi ho creati, cercavo di vedere in voi qualcuno che ho perso molto tempo fa...

Quelli nella foto, sensei, sono cloni pure loro? Ogni volta che ascolti questa musica noto che li guarda intensamente...

Sei un buon osservatore, vedo, ebbene no quelle due persone non sono cloni e pertanto non hanno la Dynamis, sono due persone normali.

Persone normali?

Esatto, non hanno alcun potere.

Quindi sono inutili...

...

...

No, in realtà loro due, sono le uniche due persone che mi hanno permesso di vivere molto tempo fa.

Vivere? Intendi avere quello che chiamano ‘emozioni’?

Sì, proprio così, emozioni. Quando sentirai un impulso farti vibrare il cuore, allora sarai libero di vivere, anche se per un attimo, sarai un uomo, Novem.

Un uomo...

Ora ascolta la musica, assapora le note, vedrai che il suono saprà curare le tue ferite.

 

~

 

“Non ho mai sentito il suono del piano, o perlomeno non lo ricordo.” disse dietro di lei, assaporando il solletico che i suoi capelli gli procuravano sulla pelle perfetta.

Troppo perfetta.

Quasi sintetica, finta, triste.

Lei non si mosse per un po’, poi armeggiò nella sua borsa ed estrasse un oggetto che infilò dentro il pianoforte, poi premette un tasto.

Vuoto, un suono vuoto.

Ne rimase deluso.

Non lo ricordava più davvero, quel dolce suono, dopo quella volta di tanto tempo fa. Bramava la voglia di risentirlo per sentire il Maestro più vicino, per sentire il calore di lei sulla sua pelle finta.

Ma poi si ricordò che per lui non era mai stato pianificato nulla del genere. Che lei avrebbe dovuto avere paura del mostro che si celava in lui, del suo DNA completamente diverso.

Del suo non essere uomo.

Quando improvvisamente lo sentì, quel suono.

E tutto diventò chiaro.

 

~

 

Ricominciò a piovere, ma prima di ciò una folata di vento fece sì che non ci vedesse più da un occhio, quando ritornarono a casa Kyoko provava un piccolo dolore all’iride che somigliava a quello che sentiva costantemente al cuore. Voleva strofinarlo via, cancellare i ricordi, le emozioni, la sua esistenza da quella realtà senza nessuna uscita.

Da cui nemmeno lui poteva portarla via, perché anche lui ne era completamente intrappolato.

“Non dovresti strofinarlo...” disse lui da dietro.

Poteva vederlo dallo specchio e all’improvviso iniziò ad odiare la sua presenza, il suo ideale e tutto ciò che sosteneva di sapere. Dopotutto lui aveva voluto riportarla da suo padre, l’artefice del suo dolore più grande, colui che aveva ridotto sua madre, la sua bella madre, ad uno straccio consumato.

“Quello che state facendo è inutile.” disse con voce dura. L’altro non si mosse e si voltò nella luce della finestra.

“Il maestro vuole rivoluzionare questa terra, vuole creare un nuovo mondo con esseri umani perfetti. Il suo è solo un nobile gesto.”

No.

Kyoko era stufa di sentire di queste utopie immaginarie, il suo più grande desiderio era di fuggire dalla realtà, ma quelle erano soltanto stupidaggini.

Possibile che pure suo padre sentisse i suoi stessi desideri?

“Mio padre non sa quel che dice, dopo aver generato due figli miserabili come noi come può voler creare l’uomo perfetto?” quando finì di parlare aveva il nodo in gola.

 

~

 

Due figli miserabili.

Novem si sentì stringere lo stomaco a queste parole. Non era il solo a sentirsi completamente inutile in quella terra, allora. Aveva pensato che nemmeno gli altri nove provavano il suo dolore, aveva pensato che tra tutti lui fosse l’unico a scorgere un po’ di umanità.

E si malediceva per questo.

Ma ora sapeva che anche lei portava un peso encomiabile sulle spalle, fu così che i suoi desideri repressi, il suo cuore meccanico e i suoi occhi inespressivamente tristi, capirono cosa dovevano fare.

Le sue gambe si mossero da sole.

L’afferrò dalle spalle e poggiò la sua bocca sull’occhio che lei continuava a strofinare, l’avrebbe liberata da quel fardello che si portava dietro, e così avrebbe liberato anche sé stesso.

Entrambi sarebbero diventati liberi di volare nel cielo vero, limpido, senza nuvole e di un azzurro accecante.

O almeno era quello che sperava mentre cercava quel granello di sabbia nel suo occhio, mentre sentiva il suo calore e mentre sentiva sciogliere dentro di lei quell’ansia che le aveva sentito inizialmente.

Si sentiva libero, si sentiva...

Un uomo.

E non un mostro per la prima volta nella sua vita.

Quando trovò il granello, si staccò da lei con la convinzione che entrambi erano liberi, finalmente.

 

~

 

Lo strinse.

Non voleva assolutamente che si staccasse, qualcosa dentro di lei le urlava che le sue braccia e tutto il suo corpo erano tristemente freddi, il suo bisogno di calore l’aveva avvolta e la proteggeva.

Probabilmente rivedeva in quell’abbraccio quello di suo padre.

Appena lui vide la sua resistenza, non fece alcun movimento, lei notò però la sorpresa nei suoi occhi così si affrettò a nascondere il viso nel suo petto, così perfetto.

Si vergognava, non riusciva più a guardare quei suoi occhi profondi e malinconici, si sentì così triste per lui che inevitabilmente le lacrime iniziarono a scorrere, mentre lui le accarezzava i capelli in modo affettuoso.

Enkidou. Madoka Terumichi. Suo padre. Lui.

“Sei così gentile con me, perché sono la figlia di Enkidou?” chiese con una voce flebile, piena di ansia. Lo sentì sorridere e il suo cuore si scaldò, era la prima volta.

“No.”

Lo strinse più forte.

 

~

 

“Quando ti incontrai la prima volta, sentii che tu potevi farmi fuggire via da quella realtà che tanto mi rendeva infelice, quando suonavo il piano l’unica cosa che volevo ottenere era proprio quella di volare via insieme alle note, di gestire io il suono, di decidere per una volta nella mia vita cosa fare e dove andare. E quella notte, quando ti vidi alla luce di quella candela, seppi che la persona con cui volevo fuggire eri tu. Davvero, ci credevo davvero.”

Novem cercava di trasmetterle tutto ciò che poteva darle, anche se lo ammetteva, era veramente poco. Quelle sue parole lo avevano colpito dal profondo, segno che quell’umanità che stava cercando da quando il Maestro gli aveva permesso di nascere, stava per esplodere dentro di lui.

Probabilmente era una colpa.

Probabilmente era la più grande gioia che avesse mai provato.

Probabilmente sarebbe morto da lì a poco, ma lei sarebbe rimasta sempre dentro di lui.

Si staccò leggermente per guardarla in viso, i suoi occhi erano umidi e il loro colore diventò inspiegabilmente più bello, senza che se ne accorse...

Si ritrovarono uniti nel corpo e nell’anima.

 

E fu la fine.

 

~

 

Tatsuya...

Dimmi nee-chan...

Sento freddo, sto gelando...

Nee-chan sarò io il padre di questo bambino, tu accorderai pianoforti e io ti seguirò con lui ovunque andrai, te lo prometto...

Tatsuya, fa immensamente freddo.

Va meglio così?

Il tuo corpo è sempre così caldo, per questo mi piace.

Non ti lascerò mai.

...

 

~

 

Diceva che era caldo, poi è diventata sempre più fredda e non si è più svegliata.

 

~

 

Sensei.

Che c’è, Novem.

Ho capito, sa?

...

Ero io, colui che avrebbe capito.

Come ti senti?

Libero.

Sai che presto potrebbe essere la nostra fine, o il nostro inizio.

La seguirò per sempre, sensei.

Conserva sempre i tuoi ricordi, Novem, per sempre.

Sì.

 

~

 

Mi afferrò, il mostro più elegante e insieme colui che sembrava più vero in tutte quelle persone prive di anima.

Come me.

Mi afferrò e io mi sentii montare dentro la rabbia, mia sorella era morta ed era tutta colpa loro.

Tutta colpa sua.

Quando lo uccisi, inspiegabilmente però ebbi voglia di morire io stesso.

Lui era esattamente come me.

Ed anche lui, come me, aveva amato Kyoko.

 

Tua sorella... l’ho amata veramente...

 

Mi disse prima di morire.

 

FINE

 

  
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