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Autore: LawrenceTwosomeTime    17/11/2009    1 recensioni
Sono ormai alla seconda riscrittura per questa mia favola che a tratti è stata concepita per i bambini e a tratti ha preso direzioni impreviste e autonome. La prima volta, si trattava di trasformarla in un libro illustrato (che ho portato a termine con l'aiuto di un'amica per quanto riguarda il versante illustrato). Ora, se il destino lo vorrà, questo racconto diventerà uno spettacolo teatrale. Intanto, eccolo a voi nella sua ultima versione.
Genere: Dark, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa mia storia vi parla del niente,
spumío di fraseggi,
tramestío nel torrente



Palpita il cuore,
veleggia la mente,

senza morali


farsescamente





Era una sera di novembre come se ne vedon poche, carica di lumicini pungenti e sfrangiata da nuvolaglie assai poco promettenti.
In un paesino a nord di Lipsia, allo sbocciare della magica notte di Walpurgis, Klaus aveva appena terminato di fare i compiti; lo sbadatello ci aveva impiegato cinque ore, perché non era né sveglio come Otto né intrepido come Friedrich (assai avvezzo a inventare scuse fantasiose).
A dirla tutta, non era nemmeno simpatico, o dolce, o munito di particolare pazienza. Non eccelleva negli studi e non aveva quella che potremmo definire una vita privata soddisfacente.
Cosa gli restava, allora?
Solo la magra consapevolezza di essere un ragazzino nella norma, con pochi demeriti e molte mancanze.

Ma fermiamoci un attimo e riflettiamo: chi può definire se siamo effettivamente deboli, incapaci, falliti già in partenza e destinati ad una vita mediocre? Un narratore onnisciente col suo oggettivistico declamar statistiche, forse?
E ancora: si può giudicare solo dall'apparenza?

Ebbene, in un mondo dove ora più che mai contano la Comunicazione e la Condivisione (quella "doppia C" dall'effigie così pretestuosa!), Klaus appariva tagliato fuori.
- Chiuse il piccolo quaderno verde rifiuto.
E i suoi genitori si presentavano tanto moderni e liberali quanto assenti; come ritrovarsi in un giardino composto dal dieci per cento di terra, e per il restante novanta, scorie chimiche.
- Si tolse i vestiti.
Beh, si da il caso che anche Klaus possedesse una grande qualità, un dono di compensazione.
- Si infilò nella doccia.
Lui sapeva sognare.
-Aprì il rubinetto…
Sulle prime, l'unica cosa che notò fu la sensazione dell'acqua calda che carambolava in minuscoli rivoli lungo la sua schiena.
A palpebre serrate, tatto e udito diventavano preziosi tramiti per apprezzare quel santuario personale.
Quando sporse la lingua come soleva fare di solito in un gesto infantile, si accorse che quella non era acqua.
Un esercito di ovali rossi e porporini gli pioveva addosso, inzuppandogli i capelli, schizzando il vetro appannato.
Rubini scintillanti e profumati; cascatelle cremisi.
Filtravano dai pori del telefono e potevano essere qualunque cosa.
- Lampone. O forse fragola, o ciliegia – rimuginò tra sé, senza dare corda alla paura. Di cosa sapeva quella misteriosa secrezione? Fosse stato anche sangue, sempre di spremuta si trattava…Un sublimato di sé stesso, come pure una condensa di uomini e pensieri e futili reminiscenze senzienti.
Ma la risposta che più si avvicinava al vero era troppo pesante perché osasse pronunciarla ad alta voce. Quell'inconfondibile sentore di sale e ferro, vagamente amaro.

Klaus uscì in fretta dalla doccia, si ripulì altrettanto in fretta con un asciugamano di panno e indossò un pigiama stirato alla buona.
Si era per caso rotto un tubo?
E quel tubo faceva le veci dell'impianto idrico o del suo disastrato impianto neurale?

O magari, il problema nasceva in tutt'altro posto?
- Il Reame dei Sogni? –
No, si trattava di frottole, favole sciocche e demodé.
Autosuggestione, punto.
Tanto valeva scordare l'accaduto.
Dormici su, avrebbe detto suo padre; era la sua risposta a praticamente qualsiasi problema.
- Va bene…Ascoltiamo papà –
E così, si infilò nel letto, con i piedini freddi che si accarezzavano l'un l'altro, e spense l'abat-jour.

Dormire non era un problema; lui amava intimamente il sonno, il buio, quell'antro fetale e privo di dimensione dove ogni cosa equivale a nulla e il Male lo interpreti tu.
Il Babau, dite?
Poteva nascere da ogni frammento di penombra, acquattarsi nelle polle di pulviscolo e irragiare i suoi tentacoli nel vuoto nero pece.
Ma chi era, infine, il Babau?
Il suo migliore amico, ecco chi.

Il confine tra vero e immaginato si assottigliò sempre più, fino a schiacciargli la mente in una morsa amabile e irrinunciabile.

Sonno.

Mordicchiare. Lieve mordicchiare di creature.
Parassiti, entità; demoni, dei.
Klaus mise a fuoco il nulla, stuzzicato da un aritmico smangiucchìo alla guancia. Gli apparvero le grigie travi del soffitto e qualche ragno insonne. Che altro c'era?
Oh, si: due pigmei fosforescenti che danzavano sulle coperte.
Klaus meditò che, se mai erano fate, non assomigliavano affatto a quelle descritte nei libri per bambini: avevano corpi minuscoli e scheletrici, quasi da insetto, e fremevano di un rosso furioso e incarognito; dita come ciglia, ondeggianti in una brezza fantasma; testoni gonfi e deformi, giallo autunno, zucche sorridenti di mille tasti di pianoforte, intabarrate in campanule marce da cui ammiccavano – simili a neon difettosi – un occhietto viola e uno blu.

- Cosa volete da me? –
- C-ci serve il t-tuo aiuto! – sputacchiò la prima creatura, ridendo istericamente.
- Il Principe in persona ti ha scelto per divenire il Salvatore di noi tutti…Colui che salva, il salvifico salvagente! – proseguì l'altro mormorando a ritmi alterni con un timbro indefinibile.
- Principe? Il Principe delle Fate? –
- Il P-Principe dei Sogni! –
- Perche io? –
- Perché tu Di segni e Di sogni come nessun altro su questo vostro pianeta. Sei l'unico che ri-corda, ri-fune; rifugge. Orsù, seguici tosto, baldo giovane!! –

Klaus si mise a sedere sul letto.
- Dove dovrei seguirvi? – sussurrò, grattandosi distrattamente il capo – Domani ho scuola e non sarebbe salutare, per me, arrivare in ritardo… -
Il folletto balbuziente gli fece cenno di alzarsi, scalpitando nervoso.
Saltellando come un matto, roteò gli occhietti inespressivi. Poi strillò:
- Al P-P-Portale!! –
E ribaltò il pesante letto con una pedata. Il fracasso fece sollevare ondate di polvere.
- Lo scricciolo è niente affatto debole – si disse il ragazzino.
L'altro folletto scostò con garbo la nebbia, e frattanto cianciava:
- Razza di is-serico, nevraportabile…decisamente insottotono –
Cosa mai poteva esserci sotto il letto?
- Ma i-i-il Babau, n-naturalmente! –
Esatto, proprio lui.

Il Babau ammiccava sornione:
matassa fumosa di radici, pozza incistata di vipere, lago di lacrime.
Due lucciole ancorate al corpo piatto gli fungevano da occhi, vagolando con ritmo lento e ossessivo, seminavano immondizia; e per bocca, l'ombra in negativo di un pipistrello malformato, lucente di braci infernali.
- Non posso crederci – mormorò Klaus.
- L-lui c'è sempre stato, è i-i-innegabile come l'anima. N-non si può rifuggire alla r-r-realtà! –
- Realtà? – meditò il bambino.
- E dovrai farti fagomangiare per giungere al nostro reame. Lui è la dispo-porta, o se preferisci, la "porta dispotica" –

Klaus buttò uno sguardo su quel liquame gorgogliante; deglutì.

- È davvero così importante, la ragione per cui sono stato convocato? –
- IMPORTANTISSIMA! – esclamarono i due in coro.

- E va bene…Facciamoci forza –

Il sognatore cacciò un piede nudo nella bocca dell'abominio. Avvertì subito una sensazione di formicolio risalirgli la gamba e, prima che potesse rendersene conto, si era fatto divorare.

Klaus venne partorito dalla terra.
Il suo esile corpo fu risputato da un monticello umido di lombrichi e acqua; vomitato come uno scarto da un pianoro disgustato.
E quando alzò gli occhi, ciò che vide gli mozzò il fiato.

Tutt'intorno a lui si estendevano a perdita d'occhio degli spuntoni conici color sabbia, alti fino al cielo, che era terso e azzurro.
Lo spazio era intasato da quelle bizzarre appendici organiche, levigate e nodose, soffocanti nella loro moltitudine.

- Se aguzzi la vista, può darsi che tu riesca a scorgere il Trono
Era stato un essere grottesco a parlare, dopo essere silenziosamente emerso dalla foresta di aghi giganti.
Come descriverlo?
Dapprima aveva l'aspetto di un vecchio ciccione intabarrato in diecimila sciarpe e ricoperto da monocoli di ogni foggia – come fosse intento a riparare qualcosa, forse se stesso; ma a sprazzi si intravedeva in lui anche un'anima giovane, mutevole, nostalgicamente protesa verso una perfezione che non avrebbe mai potuto raggiungere.
Tutto questo naturalmente Klaus lo condensò pensando: - Che strana persona –

- Mi presento, sono il Tempo Perso –
- Il tempo perso? – domandò Klaus, perplesso.
- Già. Non ho un aspetto definito. L'unica cosa certa è che, proprio come succede di continuo al mio sciagurato cugino I Tempi Andati, prima o poi finiscono per dimenticarmi. Ecco perché tento di rimettere insieme i pezzi! –

Il ragazzino levò il capo al cielo.

- Sai dirmi perché sono qui? –
- Nel Reame dei Sogni è successa una cosa terribile, caro giovane…Il nostro principe ha smarrito il suo Collare d'Oro!
- E dove sarebbe il problema? –
- Dove sarebbe il problema? Pisquano, ti rendi conto che senza quell'oggetto, il Principe non potrà più far sognare gli esseri umani? Si estingueranno… -

Il vecchio meditò per qualche istante. Poi puntò un dito verso l'orizzonte.
- Lo vedi quel grande trono sospeso nel vuoto? –

Klaus socchiuse le palpebre e…si, effettivamente intravide qualcosa: un gigantesco monolito di quarzo finemente lavorato, che levitava con la leggerezza di una nuvola.

- Lì è nato il collare d'oro, quando la coscienza degli umani stabilì che necessitavate di qualcosa di più del puro istinto, per sopravvivere. Dipanandosi dallo schienale, i due cigni di cristallo piangono lacrime d'etere sulle cose morte, riplasmando all'infinito la loro natura. È lì che nascono i sogni ed è in quel punto che dovrai cercare il collare. Si dice che una gazza dispettosa l'abbia rubato per assecondare la propria verve di guastafeste, ma che la forza d'attrazione del luogo d'origine abbia influenzato anche lei…
Il collare è un intermediario, un filtro. Non certo qualcosa che una bestia qualunque possa arraffare.
Tu trovalo, e ti si aprirà la via per il Fiore Sanguinante –

Klaus, stordito da quella marea di bizzarrie, si apprestava a chiedere ulteriori ragguagli ma il vecchio lo precedette, andando in mille pezzi. Si ripiegò su sé stesso e non ne rimase che qualche rotella.
Il bambino osservò quei rottami, tirò un sospiro e si avviò alla volta del Trono.

La foresta di aghi giganti era davvero ardua da attraversare, con tutti quegli spuntoni ruvidi che si accavallavano spasmodicamente alla volta del cielo.
Klaus non aveva fatto molta strada, che si imbatté in una nuova stranezza: un nugolo di insetti che crepitavano come tante radioline gli sbarrava il passaggio.
- Non allarmarti – pronunciarono a una voce
- Non ti faremo del male –
- Chi siete? – chiese perplesso il ragazzo
- Noi siamo le mosche di ferro, parassiti del Divino Porcospino –
- Divino Porcospino? –
- E di chi se non della nostra madre terra? L'intero Reame dei Sogni poggia sulla sua schiena inospitale e irta di lance, mentre le sue zampe sfiorano con delicatezza di velluto il vostro subconscio –
- Siete poetiche, per dei pezzi di ferro. Sentite, sto cercando con urgenza un cellulare…ehr, volevo dire, un collare. Un collare d'oro. Sapreste dirmi dove posso trovarlo? –
- Ovviamente! Conosciamo a menadito questo mondo, tesori e carabattole e loro ubicazione geografica. Siamo disposte a portatrici, ma ti chiediamo in cambio un favore –
- Di che si tratta? –
- Viaggiare è tedioso, e noi siamo così stanche di volare…Ospitaci sotto la tua maglietta per un po', te ne saremo riconoscenti –
Klaus pensò che non aveva molta scelta.
- Va bene, accetto –

E così partirono, con lui che avanzava di buon passo e le mosche di ferro che, assiepate in sparuti nugoli sotto il tessuto leggero della sua t-shirt, lo sospingevano gentilmente verso la meta.

Il cammino si protrasse, estenuante, per un tempo che sembrava non finire mai, e le mosche non aiutavano di certo con il loro ininterrotto lamentarsi.
- La madre terra è priva di cuore! – pigolavano, codarde.
- Più che altro, le servirebbe una bella messa in piega – suggerì Klaus.
E le mosche obiettarono: - È vero, ma non ti sognare di dirlo a voce alta, altrimenti ci scrolla via per quei parassiti che siamo! –
- Non sto già sognando? – si domandò Klaus. Ma decise che era meglio sorvolare.

Giunti che furono in una pianura leggermente meno rada, lo trovarono: era infilato sulla punta di un ago, come l'anello ammiccante da un dito ossuto, e di tanto in tanto le nubi lo celavano alla vista.
- E ora, cosa si aspettano che faccia? – piagnucolò Klaus.
- Nessun problema, ci pensiamo noi! – dissero in coro le mosche e…semplicemente, si sollevarono da terra.
Con quelle alucce tese in uno sforzo immane che gli solleticavano i fianchi, Klaus iniziò a levitare; dapprima lento, poi – man mano che salivano – a velocità sempre più sostenuta. In quell'istante, il Mondo dei Sogni appariva come una innocua palla di spine che si andava progressivamente restringendo.

Klaus protese una mano e sfilò il collare lì dov'era appeso.
Fu solo allora che si rese conto che si trattava effettivamente di un anello, una vera rozzamente intarsiata e tempestata di borchie che ne costellavano armoniosamente la circonferenza.
- Siamo all'apice dell'originalità – rimuginò brevemente.
Nemmeno si accorse del rampicante tracotante che aveva preso a germogliare dal suolo arido, facendosi largo tra gli spuntoni a suon di fogliate.
Venne investito senza preavviso dall'iroso vegetale, sospinto con violenza nell'immensità del cielo; e presto cominciò a sbocciare un fiore.


Era un distillato di petali rossi e malati, meravigliosi nella loro disarmonia, con diagrammi di stratificazioni sanguinanti che pulsavano a ritmo celere. Klaus venne ingoiato a tradimento, di nuovo.
I puzzolenti petali carichi di vene si serrarono a cupola, per poi spalancarsi di colpo e lasciar entrare le nuvole.
Klaus, seduto su quello che pareva un mucchio di bistecche palpitanti e filacciose, guardò con meraviglia il pistillo luminescente espettorato dal cuore della pianta, una traslucida, nevrotica farfalla.
- Io sono il principe del Reame dei Sogni – disse la pianta con voce gutturale.
- Noto con piacere che hai ritrovato il mio Collare –
- Sono felice per Voi, Vostra Altezza – mormorò Klaus, vagamente intimorito – Ma perdonate la domanda: se Voi potete nascere in qualunque luogo del Reame a vostro piacere, perché non Siete andato a recuperare il collare personalmente? –

Per qualche tempo, aleggiò un silenzio di tomba.

Infine il Principe parlò: - Il collare non può essere preso da chi lo desidera. Può solo essere dato –
- Capisco – commentò Klaus.
- Ti vedo esitare, fanciullo. Gioisci, perché sei tra i pochi a cui ho concesso il privilegio di rimirare il mio cuore. Ora, infilavi il collare –
Klaus cominciò ad avanzare lentamente con il manufatto serrato tra le dita.
- Non indugiare, mio servo! Tu solo puoi liberare questo mondo dal suo funesto destino –
Senza più recalcitrare, Klaus inserì l'anello nel pistillo con mano tremante.
Il fiore tremò come colto da un raptus, bolleggiò, schiumò…

E una cascata di sangue si abbatté sul mondo, inzaccherò le felci, fece straripare le paludi, allagò le pianure, sfollò gli animali.
- Che cosa succede? Che cosa ho combinato? – strillò il bambino in un groviglio di sensi di colpa.
- Vuoi conoscere il resto della storia? Il potere dei sogni in realtà deriva dal dolore, che ne è l'elemento fondante e il sentimento a cui tutti, prima o poi, ritornano. A forza di assorbire e mescere all'infinito questa emozione, mi sono trasformato nella summa di tutte le passioni represse, i desideri impossibili, gli atavici istinti – gorgogliò minacciosamente il fiore.
- Non sarebbe meglio, allora, per me, abbandonarmi all'atrofia eterna? Non sarebbe molto più comodo, per voi umani, cedere in parallelo all'atarassia, all'abbattimento di ogni impulso? –
- Non so che ne pensano i suoi sudditi della nuova amministrazione – boccheggiò Klaus – ma si potrebbe riassumere tutti questi paroloni nel termine "disillusione". E per giunta fa anche rima –
- Tu parli da sovversivo, come se ci fosse qualcosa per cui vale la pena iniziare una rivoluzione. E invece hai già adempiuto al tuo scopo: hai salvato questo Regno, ti sei meritato onori e gloria. Scorda ciò che è stato e vivi serenamente, piccolo Klaus –
Una spirale di vuoto inghiottì il bambino.

Surfava, surfava come un parassita in una spirale di caos, nel sifone di un lavandino, in uno stomaco stillante succhi arancioni…



IL GIORNO DOPO

Klaus riaprì gli occhi e sperimentò l'ebbrezza di una rinascita.
Giaceva nel suo letto, tra le calde coperte; ma tutto era cambiato.
Dopo aver compiuto le abluzioni quotidiane, trovò i suoi genitori in cucina ad aspettarlo, con un sorriso smagliante per bocca e una polo nuova fiammante in un angolo.
Si sentiva leggero come una foglia, svuotato da ogni turbamento. C'era la maglia; c'erano il tè e le focaccine; c'era il sole, che sembrava brillare di una luce grondante ed estatica.

I compagni di classe lo accolsero da pari, e come avrebbe potuto essere altrimenti?
Non esistevano più differenze o gerarchie, non esisteva la paura del diverso e, di contro, era venuta a mancare qualsiasi forma di interesse per il nuovo. Lo stesso concetto di "nuovo" non era che un ricordo sbiadito.
Ma Klaus era in qualche modo l'elemento portante di quell'adorabile piattume, eroe di che cosa nessuno lo sapeva: ma senza dubbio, chiunque lo incontrasse fiutava odore di avventura.

Nemmeno Klaus, però, era insensibile al dolore.
Un tremendo male lo colse sul finire della mattinata, nella forma di una fitta lancinante al piede destro; difficile ignorarla, quando quell'oceano contenuto di sofferenza si estese, inesorabile, al polpaccio, alla coscia, all'intera gamba.
Coi sudori freddi, il ragazzo si scoprì la caviglia e rimase pietrificato dal terrore: qualcosa di piccolo e frenetico brulicava sotto la sua pelle.
Poi la mano ebbe un sussulto incontrollato, e Klaus assistette con orrore allo spettacolo di una mosca di ferro che si faceva strada tra le sue carni e spuntava sul dorso.
- Ma…cosa…? –
L'insetto gli azzannò la pelle con voracità, scoprendone le lucide ossa.
Klaus urlò.
Tutta l'attenzione della classe si concentrò su di lui, su quel ragazzino che si contorceva e strillava senza apparente motivo.
Le creaturine indemoniate gli consumavano le gambe, iniettando lamine di metallo nei suoi muscoli, moltiplicandosi. E scavandogli l'anima.

Alla sua destra, poco sopra il mappamondo, comparve un coboldo vestito di viola.
Così parlò quello psichedelico messaggero autunnale:
- Ahi ahi ahi…Povero sciocco. Avresti dovuto immaginarlo –
- Perché siete qui? Cosa mi sta succedendo?! –
L'apparizione ghignò: - Tu possiedi lo spiacevole vizio di mescolare sogno e realtà, un potere inimmaginabile e pericoloso…A tal punto che ne verrai sopraffatto, o mio re – Klaus mugugnò qualcosa di indefinito.
- Vedo che hai capito, piccolo ingenuo. Sei tu il re dei sogni! E questo perché la sovranità sulla fantasia spetta a voi umani, non ai vostri futili parti onirici. Ma tu eri talmente assuefatto dalla tua condizione mortale (e mentale) da non rendertene minimamente conto –
Klaus spalancò gli occhi, ora costellati di buchi.
- E per quale ragione mi tocca subire…? Dannazione, non avrei dovuto seguirvi in quel posto! Se soltanto… –
- Se, se, se…Il mondo non è fatto di condizionali! – lo interruppe il folletto.
- E allora…Anche la leggenda dell'anello… -
- Le metafore, per quanto incorporee, sono soggette a dei limiti. Credevi davvero che uno stupido monile potesse fare la differenza tra la vita e la morte? –
Il coboldo ridacchiò: - Il Principe non poteva permettere che tu gli usurpassi il Trono, ecco perché ti ha attirato nel nostro Reame.
Così finisci, mio re: tradito dal tuo popolo, denigrato dalla tua razza –

Klaus lanciò un ultimo grido strozzato e morì.

Nel prologo di questa storia si lasciava intendere che Klaus non avrebbe condotto un'esistenza banale, e che in qualche modo si sarebbe distinto. Ebbene, in questi presupposti c'era del vero e del falso, come avviene per tutte le cose la cui natura è ancora da definirsi.
Di certo non era la prima volta che l'immaginazione giocava brutti scherzi a uno sfortunato sognatore, ma se persino il Principe dei Sogni si era apertamente dichiarato arcistufo del proprio mondo, negli esseri umani doveva essersi per forza insinuato un germe maligno, un qualcosa di sbagliato.

È destino di chi crea essere frainteso fino all'ultimo respiro, che si tratti di un povero adolescente antisociale in crisi d'ipertrofia narrativa come pure di un triste menestrello senza più storie da raccontare.

Ma voi che avete udito la storia di Klaus, fate che la sua dipartita non sia stata invano. Consacratelo eroe del nulla, fatelo vostro beniamino perché non si perda nel silenzio.




  
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