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Autore: CaskaLangley    18/11/2009    6 recensioni
Al gli apparteneva. Era era la sua metà, l’arto che gli era stato strappato, l’emanazione concreta e vivente dei suoi pensieri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Mi sa che mi sono cacciato in qualcosa di losco" fu il suo primo pensiero coerente dopo il lungo momento di irrequieta e -purtroppo- sublime calma che era seguita all'orgasmo. Un momento in cui era tutto impreciso e in fin dei conti non importava più di tanto se aveva compiuto qualche cattiva azione, ogni tanto, e anzi forse non importava proprio di niente perché, diciamocelo, quanto valgono le nostre singole azioni di fronte alla vastità di questo strano strano mondo? Niente, ecco cosa. Sulla terra ci sono sei miliardi di persone. E la terra è, a sua volta, nient’altro che un insignificante puntino che vortica pigramente seguendo sempre la stessa orbita nella galassia. C’è l’universo, là fuori, sonde attive o perdute, detriti spaziali, pianeti più o meno ospitali,civiltà di cui non conosciamo l’esistenza e che hanno a loro volta una storia e una morale, chissà. Persino una semplice costellazione, a pensarci bene, è talmente grande e lontana da sembrare un disegno. L’infinito. Una quantità di tempo immobile che non possiamo nemmeno immaginare. Tutte queste cose ci hanno preceduti e ci sopravvivranno. Ciò che è stato è e sarà senza di noi. Fine.

Davanti a questo, davanti alla realtà concreta di quanto piccola e in fin dei conti insignificante fosse la sua vita, non aveva più di tanto importanza che Ed si fosse scopato il suo fratellino.

Cercava di pensarla in quest’ottica, e lo pensava così intensamente da sentire che una fessura profonda abbastanza da incastrarci una moneta si stava formando tra le sue sopracciglia. Nel buio Al la notò, e rise: “Ti verrà un crampo, Niisan”.

Come se i problemi fossero stati i crampi, adesso.

Il cielo si stava schiarendo. La luce pallida che entrava dalla finestra disegnava il profilo morbido di suo fratello che guarda il vuoto, con un sorriso incerto che sembrava tentasse lui stesso di cancellare. Ed si sentì veramente preso in giro. Ma il mattino era ancora lontano, e messo com’era questa gli sembrava ancora una consolazione sufficiente.

“D’accordo, ecco che cosa faremo” cominciò con un tono assolutamente pragmatico, lo stesso con cui una governante inglese avrebbe potuto ordinare ai bambini di mettere in ordine. Avrebbe battuto tre volte le mani, pensava, se Al non gli stesse schiacciando il braccio. C’era un motivo per cui i letti singoli si chiamano singoli, accidenti. Per una ragione di spazio. E per prevenire cose come quella, certo.

“Prima di tutto, penso che campasse cent’anni non c’è bisogno che la mamma lo sappia…”

C’era un tremolio isterico nella sua voce. Al, che era rimasto buttato sul suo petto come una foca spiaggiata (paragoni romantici, sì) anche quando lui aveva dato i primi segni di crollo mentale, si alzò appena sui gomiti e lo guardò dritto negli occhi. Quegli occhi, sì, dovevano c’entrare qualcosa. Le ciglia lunghe, quasi femminili, il faccino rotondo che giorno dopo giorno si preparava ad assumere i lineamenti severi di un uomo e che a lui sembrava, a volte, di dover trattenere, come se questo potesse salvare Al stesso dallo scorrere del tempo e dall’inarrestabile mutamento che questo porta con sé.

“Niisan, sei un idiota, se vogliamo che campi cent’anni mi sembra ovvio che non dobbiamo dirle niente.”

Va bene, si rimangiava le frasi romantiche. Lo spinse con la forza contro il suo petto, perché non parlasse, e si stupì della sua arrendevolezza quando si accorse che non protestava. Al sorrise tra sé e sé, invece, come se stessero giocando. Sfregò la fronte contro il suo petto in un modo che, si rese conto, era affettuoso, e Ed sapeva di dovergli dire che aveva frainteso, o qualcosa del genere, ma non se la sentì. Sospirò e stava per accarezzargli la testa. Si fermò.

“In realtà, sarebbe meglio che nessuno lo sapesse.”

“Peccato, stavo per aggiornare il mio blog.”

Ed gli tirò I capelli. Al rise. Perché non lo prendeva sul serio? A lui sembrava una cosa serissima, invece. Si chiese, davanti alla sua assoluta tranquillità, se e quanto avesse programmato di quel che era successo. Era possibile che dietro quel visino tenero si nascondesse in realtà una persona malvagia, capace d’incantarlo nel più subdolo dei modi e poi mandarlo all’inferno con un bacio?

Pensò alle sue dita, che tremavano in modo quasi convulso quando gli aveva stretto il pigiama, e al suo respiro, così ansioso da suggerirgli che stesse per piangere.

Malvagio o no, in quel momento, Ed aveva avuto il cuore di suo fratello in mano, e il potere di scegliere se accettarlo in dono o rimandarlo al mittente. O di spappolarlo, anche. Ma non l’avrebbe mai fatto.

Forse era solo un vigliacco, in realtà, ed era lui la creatura malviagia, il fratello che si era finto distratto così da negare, in qualsiasi momento, di essersi accorto dei suoi sentimenti.

Perché Al lo guardava sempre con amore, sì, ma con amore fraterno.

Al prolungava il contatto, dopo una lotta, solo per fargli pesare la sua sconfitta.

Al gli faceva la treccia lentamente, passando le dita tra I suoi capelli anziché usare la spazzola perché…va bene, lo aveva sempre trovato strano, questo. Ma piacevole. Come tutte le altre piccole stranezze, come i suoi sorrisi troppo spontanei, fin troppo dolci.

Sì, forse era lui quello malvagio.

Ma forse era anche semplicemente la vittima di qualcosa che non poteva vedere, né tantomeno sconfiggere.

“Ho soltanto dato un morso alla mela avvelenata” pensò, accarezzandogli la schiena sudata.

“E poi?” domandò Al, che come se avesse interpretato quel contatto come un permesso si strinse più forte a lui.

“Poi cosa?”

“Sembrava che stessi per fare un lungo elenco. Hai già finito?”

Ed sbuffò: “Perché, t’importa? Neanche mi stavi a sentire.”

Al accennò una risata brevissima, e scosse piano la testa: “Ma certo che ti stavo a sentire, niisan. E poi mi piace quando parli. Riesco a sentire la voce che ti vibra nel petto…”

Ne parlava come se fosse stato il più soave dei miracoli. Ed si sentiva profondamente in imbarazzo, per questo, e lo imbarazzava la propria rapacità, la curiosità che lo aveva sempre divorato e lo spingeva a scoprire la reale portata dell’adorazione del suo fratellino per lui.

Adesso lo sapeva.

Quello che avrebbe preferito ignorare, invece, era la natura di quell’adorazione, e quanto in realtà fosse reciproca.

“Non stiamo insieme, ok?” ricominciò, con la voce che un po’ tremava, “Non siamo fidanzati, o qualcosa del genere.”

Al rise di nuovo, e tacque.

Averlo era stato come uno shock.

Lo voleva e lo aveva sempre voluto, in modo misterioso e sotterraneo, una corrente di desiderio che gli scorreva nelle vene insieme al sangue che condividevano.

Era qualcosa di più della passione tra innamorati, qualcosa di più dell’amore stesso.

Era come se, nel suo immenso narcisismo, Ed avesse voluto riappropriarsi di una parte di lui. Al gli apparteneva. Era era la sua metà, l’arto che gli era stato strappato, l’emanazione concreta e vivente dei suoi pensieri. Al si era incarnito dentro di lui. Poteva paragonarlo a tutte le cose più belle e più brutte che conosceva. Al fiume, al mare, agli alberi. Al veleno, ai lividi. Al peccato.

Quando l’aveva stretto, il petto contro la sua schiena, il naso vicino al suo collo, le gambe intrecciate in modo oh, così delizioso- la cosa che più l’aveva spaventato era stata l’esatta percezione del suo corpo nudo sotto il pigiama, la confusione che si era creata nella sua mente sapendo di conoscerlo e, contamporaneamente, di non conoscerlo affatto.

Aveva avuto un’erezione. Nel buio, immobile per la vergogna, Ed aveva pregato di sparire. Si era allontanato. E Al aveva colmato la distanza, premendosi contro di lui, tremando.

Il resto era frenetico, ma chiarissimo.

I fianchi di Al che si muovevano, prima impercettibilmente, poi intensamente.

Quelli di Ed che gli andavano incontro. Il profumo dei suoi capelli - la sua bocca contro i suoi capelli.

Il sesso eretto stretto fra le sue natiche.

Sarebbero andati avanti così tutta la notte, a strusciarsi come gatti in calore, soffocando i respiri, e poi a un certo punto si sarebbero semplicemente addormentati, colpevoli abbastanza da avere sogni agitati, innocenti abbastanza da riuscire a guardarsi.

Ma Al era troppo morbido, troppo caldo tra le sue braccia. Tutto quel che voleva era dargli piacere, avere finalmente una prova concreta del potere che aveva non solo sulla sua mente, ma sul suo corpo. Voleva farlo godere.

Una cosa così indecente, come poteva anche solo pensarla?

Ma Al si era abbassato i pantaloni del pigiama, in silenzio. Non lo vedeva, ma sentiva; il suo respiro incostante, il suo sedere nudo, inviolato, che si offriva al suo sesso come un candido sacrificio. Nel buio, sotto le coperte, niente di tutto questo era reale, e quindi non era proibito.

Ma poi il cielo aveva cominciato a schiarire.

E Ed era rimasto lì, a svarionare sull’universo, con la prova di quant’era malato che ancora respirava tra le sue braccia.

Perché Al non era terrorizzato?

Perché non pensava a regole idiote, perché non dava i numeri insieme a lui?

“Perché non hai paura?”

Glielo chiese sussurrando, come temendo di essere sentito. Ma Al non si sarebbe perso un suono, un respiro.

Lo sapeva.

Era giusto contare così tanto, per lui?

Aveva il diritto di farlo?

Al fece un lieve sorriso, e con assoluto candore rispose: “Certo che ho paura, niisan.”

“E allora perché non sembra? Perché sei così tranquillo?”

Al rise: “Perché ho sonno, non ho dormito mezz’ora.”

“Solo per questo?” lo rimproverò.

Al sospirò.

“Sì, è per questo. Finché sono stanco, posso fingere che sia un sogno. E finché è solo un sogno va tutto bene, no?”

Ed ci pensò sopra. Era una scusa più verosimile di quelle che aveva cercato lui, anche se precaria. Certo, poteva essere un sogno. Almeno per un po’.

“Al?”

“Mh?”

“Non ti ho dato un bacio.”

“Sì, lo so.”

“Vorresti che te lo dessi?”

“Mi sembri già abbastanza confuso…”

“Vuoi che ti baci? Perché io voglio baciarti.”

Lui non rispose.

Quando l’aveva penetrato, Ed ci aveva messo un po’ a capire che stavano facendo una cosa sbagliata. Non era colpa del sesso. Era Al, che lo desiderava con una tale semplicità da farla sembrare semplice anche a lui. Mentre lo scopava, Ed non pensava “D’accordo, ecco che cosa faremo”.

Pensava: “Mio.”

Mio, mio, mio, mio.

“No” disse infine Al, dolcemente. “Se mi baciassi adesso, dopo quello che hai detto, non avrebbe molto senso, vero…?”

“Sì, forse hai ragione…”

Ed, finalmente, lo strinse. Al era più alto di lui, eppure adesso gli sembrava così piccolo…

“Non c’è nient’altro che dobbiamo fare?”

“Sì, molte cose. Mi verranno in mente. Dobbiamo trovarci una ragazza, per esempio. Tutti e due. Decisamente. Abbiamo bisogno di una ragazza.”

Al rise, e annuì.

“Adesso possiamo dormire?”

“Sì. Credo di sì.”

Al chiuse gli occhi, rannicchiandosi contro di lui. Ed si chiedeva come potesse dormire in una situazione del genere, ma forse proprio perché la situazione era quella voleva dormire, aggrapparsi a quel sogno ancora un po’.

Forse, in un certo senso, Al aveva molta più paura di lui.

Ed pensò all’universo. A quanto piccoli e insignificanti fossero.

Guardò il visino addormentato di Al. E’ perverso innamorarsi di qualcuno che ti somiglia tanto, non è vero?

“Mi sono davvero cacciato in qualcosa di losco…” sospirò. Poi gli baciò la fronte, e vide se poteva raggiungere Al nel suo sogno. Il mattino, in fondo, era ancora lontano.

Note incoerenti dell'autrice
Questa è una cosa sminchia che ho fatto al volo per Nacchan una sera, mentre stavo ancora sclerando dietro alla mia bestia originale. Non avevo la benché minima intenzione di pubblicarla, ma la sezione nidda elricest e lei ha insistito, quindi ancora una volta la responsabilità è sua è_é
Same old, same old: trovate altre mie storie su Normal Again e aggiornamenti/risposte alle recensioni su HiFi. E grazie a chi ha letto e recensito Gold Dust :*

  
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