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Autore: My Pride    19/11/2009    12 recensioni
«C'è qualcosa. Qualcosa d'oscuro, in me, che non comprendo. Ma quando ci riuscirò, forse capirò anche perché mi hanno risparmiato, perché non ho fatto la stessa fine di molti che li hanno incontrati tempo addietro»
«Roy... ti supplico» riprovò Hughes, sentendo le lacrime minacciare di rigargli il volto.
«Non supplicarmi, Maes», disse sorridendo. «Non sono Dio»
[ Seguito de «Il bacio del vampiro» ]
[ INCOMPIUTA - Un giorno verrà aggiornata (forse) ]
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Maes Hughes, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire's Story ~ Il Bacio del Vampiro'
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Il figlio delle Tenebre_Act 9
ATTO NONO. OMBRE DI RICORDI


Nei pressi di Sheerness, 1612

    Le sue palpebre ebbero un momentaneo tremito prima di riaprirsi.
    Vedeva tutto sfocato a causa del sonno ma, quando una delle sue mani sfiorò il corpo che occupava il lato destro del suo letto, aprì di scatto gli occhi, registrando l'immagine di Roy che, con le labbra schiuse e i lunghi capelli scuri sparpagliati sul bianco cuscino, ronfava beatamente con in volto un'espressione serena.
    Edward deglutì e si sedette sul materasso, guardandolo ad occhi sbarrati. Che ci faceva lì, in camera sua, nel suo letto? La camera in cui avrebbe dovuto stanziare con suo padre quella notte era ai piani inferiori, verso il lato ovest del maniero dove poco distante c'erano quelle della servitù... perché era ai piani superiori? Voleva chiederglielo, ma aveva il timore di svegliarlo, quindi si limitò ad osservare la sua figura dormente: piacevolmente rilassato e con un sorrisino dipinto sulle labbra, il moro era perfettamente immobile sul suo letto, le forme sinuose del suo corpo erano nascoste dal lenzuolo leggero.
    Edward sentì una strana inquietudine e allungò titubante un braccio verso di lui, scostandogli delicato i capelli dal viso; lo vide sorridere maggiormente e muovere un po' la testa, come se cercasse di strusciarsi contro di lui. Così immerso nel regno dei sogni sembrava davvero indifeso. Quasi stentava a credere che fosse il ragazzo sfacciato che si rivelava essere da sveglio. Poggiò un gomito sul materasso in modo da sorreggersi il volto sul dorso della mano per guardarlo meglio, mentre con l'altra si curava di lisciargli quei fini capelli di seta nera che molto raramente scioglieva quand'era in pubblico. E, doveva ammetterlo, era la prima volta anche per lui vederli ricaduti sulle sue spalle.
    Edward stava per scendere ad accarezzargli una guancia quando vide le palpebre dell'altro tremare e aprirsi, per rivelare quei profondi pozzi scuri dei suoi occhi; ritrasse immediatamente la mano, rialzandosi a sedere così in fretta che persino lui avrebbe stentato a credere alla sua velocità.
    Un sorriso incurvò le labbra di Roy e, in silenzio, si drizzò a mezzo busto per far sì di avvicinare i loro volti e le loro labbra, sfiorandole appena. Notando lo sguardo confuso e sconcertato del compagno, che ancora cercava di ricomporre la sua solita espressione, ridacchiò
, sedendosi sul materasso e stiracchiandosi tranquillo. Sempre con quel sorriso che non gli abbandonava quasi mai le labbra si grattò distratto dietro al collo, prima di lanciargli un'occhiata obliqua che accentuò il taglio dei suoi occhi a mandorla.
    «
Buongiorno», si limitò a dire in tono divertito, senza perdere di vista la mimica facciale del biondino, il cui volto tendeva vagamente al porpora. «Parlando con i vostri domestici ho scoperto che appena sveglio ti piace coccolarti con del cioccolato», sghignazzò dolcemente sulle sue labbra, prima di allontanare il viso e guardarlo negli occhi con un sorriso. «Proprio come se fossi una ragazzina», continuò, sempre più divertito dall'espressione del biondo. «Ma, in mancanza di cioccolato, ci sono io a coccolarti». Cominciò a mordicchiargli delicato le labbra come se cercasse di spronarlo, premendogli una mano dietro al capo per attirarlo maggiormente verso di sé, approfondendo il contatto, ma non vedendolo contraccambiare e sentendolo rigido come un pezzo di ghiaccio, si allontanò corrucciato incrociando braccia e gambe sul materasso, con le sopracciglia aggrottate. «Come sei freddo, stamani», borbottò, ma il tono era vagamente spassoso.
    Riscossosi dalla confusione iniziale, Edward indietreggiò nuovamente sul materasso, guardandolo come per cercare di capire qualcosa che lui stesso non riusciva a comprendere esattamente. Già quando si era svegliato e l'aveva trovato accanto a sé si era sentito strano, nel guardarlo. Non aveva nemmeno resistito ad accarezzargli i capelli. Figurarsi se avesse provato a far altro. Se si fosse avvicinato, provando a baciarlo... e lui si fosse svegliato? Non sarebbe riuscito a guardarlo più in volto, poco ma sicuro. Non tanto per il bacio, ma forse per il gesto. Nemmeno lui sapeva esattamente perché.
    Si distolse dai suoi pensieri solo quando lo vide alzarsi dal letto per rimettersi in piedi e stiracchiarsi, e lo sguardo gli cadde quasi involontariamente sul suo corpo, passando dalle spalle possenti coperte da una leggera camicia bianca per scendere verso le cosce muscolose e ben proporzionate, arrossendo ancor più vistosamente quando lo vide solo in intimo.
«E... e i calzoni?» chiese flebile, ricevendo un'occhiata.
Roy squadrò il proprio corpo confuso e perplesso, ritornando a guardare il ragazzo con un sopracciglio scuro finemente inarcato.
«Tutto qui quello che hai da dirmi?» replicò, facendo il finto offeso. In realtà sapeva bene quanto fosse timido quel ragazzo biondo che adesso stava squadrando, più timido persino di una fanciulla illibata, avrebbe osato dire.
    «M-Ma sei in... intimo!» ribatté Edward, e l'altro si trattenne dal non ridere, limitandosi appena a sollevare un sopracciglio.
    «Non sono mica nudo», fece con un'alzata di spalle, sbattendo perplesso le palpebre. «E anche se lo fossi, che cambierebbe? Tu ti vedi nudo tutti i giorni».
    «Non c'entra assolutamente nulla!» balbettò. «Il discorso è ben diverso!»
    A quelle parole, ci guadagnò un sorriso. Un sorriso dolce, divertito. Vide il moro scostandosi con non curanza i lunghi capelli scuri dal viso, ravvivandoseli dietro alle orecchie prima di sorridere maggiormente. Dal taschino della sua camicia poi, il moro tirò fuori un elastico legandoseli in una bassa coda, portandosi quei pochi ciuffi ribelli all'indietro, in modo da tenere la fronte scoperta.
«Quanto sei carino quando arrossisci in quel modo», mormorò con dolcezza, tornando a sedersi sul materasso per sporgersi di poco verso di lui. Fece per sfiorargli nuovamente le labbra ma poi ci ripensò, limitandosi a sorridergli.
    Regnò tra loro uno strano silenzio, rotto soltanto dal respiro di entrambi, anche se il biondo era quasi convinto che si potesse udire anche il suo cuore che batteva stranamente agitato nel petto. Fu proprio lui a spezzare del tutto quella quiete, abbassando lo sguardo mentre si ravvivava distrattamente i capelli dietro alle orecchie.
    «Scusa», bisbigliò, senza un motivo apparente. «Ti sto dando l'impressione di essere una ragazzina insicura, lo so, ma mi succede solo quando ho paura di esporre troppo i miei sentimenti e... e poi la colpa è anche tua, non ci si infila nel letto di altri a tradimento!» soggiunse quasi esclamando, con le mani chiuse a pugno sulle ginocchia e lo sguardo rivolto verso la soglia della sua camera. «E se fossero venuti i domestici a svegliarmi?!»
    Roy rise e gli cinse la vita, il respiro che gli solleticava il collo talmente era vicino.
«Volevo soltanto farti una sorpresa», gli sussurrò in tono mieloso, facendogli risalire lentamente le mani dietro alla schiena, quasi con dolcezza.
    Il biondino fu scosso da un piacevole e squisito brivido che non capì, ma che gli piacque molto. Si abbandonò completamente a quelle carezze, poggiando la testa contro il petto del moro, che canticchiava in tono basso tra sé e sé una di quelle uniche melodie che gli aveva insegnato nella sua lingua, come se con quella dolce nenia cercasse nel contempo di calmarlo. Entrambi poi si sdraiarono sul materasso, il ragazzo dai lunghi capelli scuri abbracciò l'altro da dietro sentendolo sussultare appena per il contatto, e gli poggiò quindi una mano sulla testa lisciandogli i capelli, come per rassicurarlo.

    «Quanto mi piacerebbe restare così per sempre», mormorò, baciandogli la chioma, e l'altro sorrise, stringendogli le mani che aveva poggiato sul suo ventre.
    «Aye, per sempre».


    Silenzio. Udiva solo quello da quando aveva riaperto gli occhi.
    Il soffitto in pietra della sua camera sotterranea gli sembrava immenso, ancora sdraiato com'era. Voltò appena lo sguardo per fissare il morbido velluto bianco del suo feretro, allungando pigramente un braccio per poggiare la mano delicata sul bordo, in modo da potersi drizzare a sedere nella larga e confortevole bara.
    Quando i suoi occhi d'ambra, ancora parzialmente annebbiati e vuoti nel torpore della morte, si posarono sulla figura che occupava un lato del letto poco distante, si fecero attenti e quasi incuriositi, mentre con l'altra mano si scostava la lunga treccia sfilacciata per farla ricadere sul petto nudo. Svogliato, si alzò in piedi scavalcando
il feretro, dirigendosi verso l'altra bara vuota per sorpassarla e andare verso la sedia, sulla quale riponeva i suoi abiti mortali, senza degnare di uno sguardo la presenta che l'osservava attento. Anzi, fece persino finta che fosse solo. Prese non curante i calzoni da cavallerizzo infilandoseli disinvolto, sistemandosi anche la camicia e il panciotto nero rifinito in quello che ricordava vagamente l'oro.
    «Come mai è qui, padre?» si degnò finalmente di chiedere, voltandosi appena verso di lui con i guanti in pelle abbandonati fra le mani. «È raro che attenda il mio risveglio».
    Hohenheim, in un frusciar di seta, abbandonò la sua postazione per avvicinarsi di poco al figlio, il volto privo di qualsiasi emozione mentre gli sfiorava non curante i capelli biondi. Ricevette un'occhiata dorata che non avrebbe saputo definire, prima che il giovane decidesse d'ignorarlo nuovamente per sistemarsi sulle spalle il giaccone nero in stile vittoriano, che terminava con maniche orlate di trina nera, a nascondergli parzialmente le mani ora fasciate dai guanti scuri. Si apprestò a cingersi il collo con un solino di seta al quale appuntò un piccolo opale in rubino, disfacendosi poi la treccia per lasciare i capelli sciolti sulle spalle. E il padre glieli accarezzò ancora, attorcigliandosi alcune ciocche intorno ad un dito.
    «
Sei molto debole, figlio mio», mormorò, con velata perfidia. «E anche il mio corpo ormai si appresta a compiere gli ultimi sforzi... sai bene ciò che potrebbe succedere se non vedrò compiuto il mio piano e la mia vendetta, nevvero?»
    Edward non rispose, nonostante l'espressione che aveva assunto il suo volto. Rassomigliava a quella d'un uomo furioso, ma sfociava vagamente nel viso sofferente d'una donna.
I canini palpitarono e furono ben in mostra mentre ringhiava sommessamente, con un rombo che gli risaliva flebilmente su per la gola e che cresceva ogni secondo di più. Cercò d'ignorare la sensazione negativa che imperversava nel suo animo, chinandosi per indossare gli stivali neri con le fibbie in oro che completavano la sua tenuta d'equitazione, quasi la stessa che indossava quand'era ancora ragazzo. «Lui non deve toccarlo, padre», sibilò, raccogliendo i capelli in un piccolo fermaglio, legandoli giusto al di sotto delle scapole, in modo che sembrassero voluminosi. «Non si azzardi assolutamente a toccarlo».
    Una mano gli si posò sulla spalla costringendolo a voltarsi, incrociando così gli occhi dorati del padre, così simili ai suoi ma così diversi.
«Questo non posso assicurartelo», mormorò tranquillo, quasi mellifluo. La sua solita voce calma non fece altro che scatenare l'ira del giovane vampiro.
    Le mani di Edward scattarono fulminee afferrando il padre per la camicia bianca, quasi volesse alzarlo di peso da terra, scuotendolo in malomodo. I suoi occhi dorati non riflettevano altro che un agitato tormento e rabbia repressa. Avrebbe perso il controllo di lì a poco. «Ti ammazzo con le mie stesse mani se succede qualcosa a Roy!» esclamò fuori di sé, snudando maggiormente le zanne. «Non voglio perderlo ancora a causa tua!»
    Impassibile, Van scansò in un unico movimento serpentino le mani del figlio, dandogli su una guancia un sonoro ceffone che risuonò nella stanza. Le fiammelle delle candele accese sui doppieri poggiati sulla modesta mobilia tremolarono per un breve istante, prima di spegnersi del tutto e lasciare solo un sottile fil di fumo e un odore di cera bruciata. Furono immersi completamente nel buio per attimi che parvero interminabili, poi una lanterna posta sulla scrivania si accese d'improvviso, rivelando il volto del padre trasfigurato da una smorfia d'irritazione, mentre teneva stretto in una morsa il polso del figlio, i cui occhi dorati erano appena dilatati per lo stupore e la sorpresa.
    Hohenheim guardò la mano che puntava ad artiglio verso il suo cuore per pochi attimi, prima che portasse la sua attenzione sul viso diafano del figlio maggiore, che confuso sembrava boccheggiare; gli storse il braccio dietro la schiena costringendolo a dargli le spalle, fiammeggiante d'ira.
«Volevi approfittare del buio per colpirmi, Edward?» sussurrò al suo orecchio, senza mollare o allentare la presa. «Dovresti lasciar perdere certi giochetti».
    Sentendo la rabbia ribollire sempre più dentro di lui, a quelle parole, il giovane si divincolò dalla presa del padre con uno strattone, e quando si girò di scatto la cera delle candele ormai spente si sparpagliò furente intorno a loro, esplodendo e macchiando le pareti. Gli occhi d'ambra, infiammati di rabbia, non perdevano di vista quelli del padre, che continuava a fissarlo saccente senza dire una parola. Quando poi il figlio snudò ancora una volta le zanne e con un ringhio che gli attraversò la gola si gettò verso il padre, quest'ultimo socchiuse appena le palpebre, riaprendole giusto qualche istante prima che i canini perlacei gli sfiorassero la pelle del collo.
    Fu un attimo, e il giovane si ritrovò dall'altro lato della stanza, sbattendo la schiena contro il muro e accasciandosi sulla scrivania tranciata a metà, dove fogli ingialliti e vecchi libri la ricoprivano completamente, sparpagliandosi anche sul pavimento per la forza d'urto sprigionata.

    L'anziano vampiro lo squadrò a lungo, prima di sospirare e sistemarsi in un gesto distratto gli occhiali sul naso, ravvivandosi nel contempo i biondi capelli all'indietro.
«Non mostrarmi mai le zanne, Edward. Non minacciarmi», disse severamente, osservando il giovane mentre cercava di rimettersi in piedi, gli occhi dorati ardenti di collera. «Ti ho donato la lunga vita e la giovinezza eterna. Non puoi ripagarmi in questo modo».
    Edward gli lanciò un'occhiata rabbiosa, dopo aver sentito quelle parole. Si puntellò più velocemente che poté sui gomiti spostando con un braccio gli ingombri che gli erano ricaduti addosso drizzandosi a fatica sulle gambe, serrando i pugni lungo i fianchi.
«Io non ci volevo nemmeno diventare così!» sbraitò subito di rimando, facendo vorticare l'aria intorno a loro come se fosse percossa da elettricità statica.
    Si squadrarono a lungo senza proferir parola, tra loro la tensione sembrava poter essere sentita a pelle e persino sfiorata, talmente era satura di malvagità. Poi Hohenheim distolse lo sguardo, puntandolo verso una delle piccole feritoie, portandosi le braccia dietro alla schiena come se fosse assolutamente tranquillo in quelle circostanze. Come se non temesse nessun attacco da parte del figlio, in quel momento.
    «Era inevitabile, essendo mio figlio», riprese, e dalle labbra sfuggì un sospiro mentre guardava distratto il feretro in legno d'ebano.
«Ti ho solo risparmiato il dolore della transizione, mille volte più terribile di quello che ti ho procurato io anticipando i tempi». Con la coda dell'occhio, vide le polle dorate del figlio fissarlo con astio. Lo stesso sguardo che gli aveva rivolto quando aveva ucciso il suo uomo. Gli aveva perdonato molte cose in passato, ma il punto di rottura c'era stato quando aveva raggiunto l'età per la sua transizione, ed era poi andato ad eliminare l'unico ostacolo che ancora lo teneva costantemente legato al mondo degli esseri umani.
    Non avrebbe mai potuto scordare il modo in cui era rimasto a disperarsi accanto a quel corpo immobile per tutta quella notte di pioggia torrenziale, rifiutandosi di tornare al maniero prima dell'alba. Era stato lui stesso a trascinarlo nuovamente al suo interno, nonostante cercasse di restare lì in quella piccola radura ad urlare il suo nome. E c'era riuscito solo perché era ancora debole per la transizione, altrimenti sarebbe stata necessaria la presenza di altri. E quello sguardo, da quel momento, non l'aveva più abbandonato. Persino quando lo costringeva ad uscire di notte per procacciarsi il cibo doveva lottare contro quello sguardo che sembrava ricordargli la colpa di cui si era macchiato.
    Il ringhio del figlio richiamò la sua attenzione distogliendolo una volta per tutte da quei pensieri di trecento anni prima, e vide ancora una volta le zanne scoperte.
«Non mi interessa se hai anticipato i tempi razza di padre degenere!» sbraitò il giovane, e risuonarono nell'aria i rombi dei tuoni. «Se tu non avessi mai sposato la mamma... se te ne fossi rimasto nascosto tra le ombre che ti hanno generato io...»
    «...avresti potuto avere una vita normale?» concluse per lui il padre, con il volto diafano privo di qualsiasi emozione, mentre i capelli, ricaduti davanti, gli coprivano appena gli occhi. «Amavo tua madre, lo sai», soggiunse, e il suo tono di voce divenne quasi nostalgico, sebbene la stanchezza gli si scorgesse in viso. «Ma quando ha scoperto che ero un vampiro non è riuscita a reggere la notizia, con il fisico già provato che si ritrovava da quando vi aveva messi al mondo».
    Il volto del giovane divenne una maschera d'indecifrabile disgusto.
«Non scaricare la colpa su di noi, adesso!» tuonò, facendo vibrare l'aria e i vetri delle piccole finestrelle. «Sei tu che ti sei divertito a volere una famiglia!»
    A quel vociare tonante e ruggente, i vetri finirono in frantumi, sparpagliandosi ovunque e lasciando che la poca pioggia che riusciva a giungere sin laggiù cominciasse a scendere ed entrasse nella stanza. Tuoni e lampi poi, imperversarono in cielo, quasi seguissero la rabbia del giovane vampiro. Strinse le labbra livide in una linea sottile, serrando al contempo la mascella, mentre le bionde sopracciglia si corrugarono in un'espressione di assoluta furia.

    Furono investiti entrambi da una rabbia cieca scaturita dal giovane, che stava facendo vorticare in un turbine le gocce d'acqua e i fogli, che scagliati in una danza selvaggia tagliavano tutto ciò che capitava loro a tiro, non scalfendo minimamente i due vampiri. Persino i frammenti diamantini dei vetri si unirono a quel tornado di potenza, forando i fogli contro cui si scontravano e conficcandosi persino nella cera delle candele, tranciate di netto dai fogli che continuavano a vorticare selvaggiamente.
    Hohenheim trasse un altro sospiro, scansando con svogliatezza un foglio che gli era finito sul volto, bloccando quel turbinio così in fretta che tutto finì riverso a terra, immobile; gli diede del tutto le spalle e cominciò
a camminare non curante per la stanza, con le braccia dietro alla schiena, a passo tranquillo e sicuro mentre osservava con distratta attenzione le goccioline di pioggia e i vetri infranti sul pavimento, spostando la sua attenzione sul volto del giovane vampiro. «Cerca di startene buono per un po', Edward», sussurrò mieloso, increspando appena le labbra in un piccolo sorriso. «Ti ho ben promesso la libertà, sia per te che per il tuo sciocco amante, ma devi ancora aiutarmi».
    Quelle ultime parole aleggiarono intorno a loro come un'allarmante nota definitiva mentre si allontanava per lasciarlo solo a respirare quasi affannosamente, nel tentativo di riportare parzialmente l'aria nei polmoni.
Guardò la confusione che regnava nella sua camera mortuaria, lanciando un ruggito rabbioso. Investì in questo modo tutto ciò che era rimasto intorno a lui con un turbinio di violenza, dando il via ad una serie d'esplosioni a catena, e non si calmò finché qualcuno non gli poggiò una mano sulla spalla, tranquillizzandolo parzialmente.
    Edward si voltò debolmente verso il nuovo venuto, vedendo due vampiri farsi indietro e chinarsi formalmente, con una mano poggiata sul petto.

    «Ci perdoni per l'irruzione nella sua camera, signorino», disse uno dei due, scansandosi un ciuffo di capelli d'ebano che gli era ricaduto su un occhio ceruleo, mentre alzava pian piano lo sguardo per indietreggiare ancora un po'.
    «È stato vostro padre a mandarci», soggiunse una donna, flettendo il corpo sinuoso.
    Respirando a pieni polmoni, il biondo liquidò la questione agitando distratto una mano, sorridendo però con un lampeggiar di zanne mentre risistemava i suoi abiti.
«Quasi mezzo secolo che siete via, e ancora gli ubbidite», ironizzò, non riuscendo a nascondere l'amarezza che quella constatazione gli provocava. «Ne ho davvero abbastanza di questa storia».
    «Posso ben capirla, signorino», replicò l'altro assolutamente calmo, ricevendo un'occhiata color rubino dalla donna accanto a lui.
    «Ricorda solo qual è il tuo compito», ribatté il biondo, con tono a sua volta tranquillo. Vide con la coda dell'occhio, mentre si sistemava anche i capelli, il vampiro chinare referenziale il capo, con un luccichio sinistro nei suoi occhi quasi di ghiaccio.
    «Lo prendo molto sul serio, signorino», la sua voce risultava solo un mormorio sommesso.
    Uno sguardo dorato lampeggiò nella sua direzione, prima che Edward guardasse il pavimento con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
«Se non riusciremo a prenderlo di sorpresa non avremo altre possibilità di vittoria Greed, tienilo bene a mente», sussurrò con quella sua voce mielosa e densa. «Se avrà il tempo di richiamare gli altri non risparmierà nessuno di noi tre», soggiunse, e la voce divenne gorgogliante come le acque di un ruscello.
    «Ce ne rendiamo perfettamente conto», fu la risposta della donna, che si era prontamente immischiata nel discorso. «Se ce lo consentite, recupereremo noi stessi la preda».
    «Di questo non devi preoccuparti, Lust», mormorò il giovane, alzando lo sguardo topazio per fondere i suoi occhi con quelli color rubino di lei. «Ho già provveduto a mandare qualcun altro».
    «Come meglio crede, signorino», si limitò a dire quell'altra creatura, chinando referenziale ancora una volta il capo, il ciuffo laterale di capelli neri gli ricadde su uno degli occhi socchiusi, nascondendoglielo quasi.
    «Bene», disse solo, prima di dirigersi verso la porta. «Pensa tu al mio giaciglio, Lust», soggiunse voltandosi appena a guardarla, mentre usciva dalla sua stanza per cominciare a risalire lento dalle viscere della terra seguito dall'altro vampiro. Ed entrambi, una volta ritornati nell'ampio ingresso, trovarono anche gli altri lì radunati, apprestandosi poi a salire le scale per raggiungere le stanze del padrone.
    Il più giovane, seduto su una delle scale con il mento poggiato sul palmo della mano, alzò lo sguardo nella sua direzione, sorridendo quasi ironico.
«Hai intenzione di andare da nostro padre?» sghignazzò, rivolto al maggiore; ci guadagnò appena un'occhiata, prima di vederlo continuare ad avanzare come se nulla fosse. Stava difatti salendo i primi gradini seguito dal vampiro che sondava con i suoi occhi socchiusi i volti di ognuno, ma dovette fermarsi quando sentì una sua mano afferrargli il pantalone scuro. Abbassò lo sguardo verso di lui, con un sopracciglio inarcato.
    «Lasciami, Alphonse», lo minacciò con voce ferrea.
    Lui, però, aumentò la stretta, scuotendo la testa. Aveva solo una vaga idea di cosa volesse fare il fratello, in quel momento, e non gli sembravano propriamente delle buone intenzioni. Il suo volto abbandonò ogni sorta di divertimento, e divenne una maschera indecifrabile.
«Nay, Edward», fece schietto. «Sto solo cercando di non farti fare pazzie».
    Con un ringhio rabbioso, che fece sussultare e zittire il fratello, Edward si chinò appena a mezzo busto strattonandosi il pantalone, facendogli mollare con ben poco garbo la presa della sua mano su di esso. Era calato il silenzio anche sugli altri vampiri presenti, che appuntarono su di lui la loro più completa attenzione, restando in un silenzio referenziale e assorto. Stava per ammonirli tutti
e rispondere a tono al fratello minore quando una delle porte in quercia del maniero si spalancò d'improvviso, sbattendo contro il muro.
    Accigliati e confusi, si voltarono tutti simultaneamente, scorgendo la figura bagnata e dal petto nudo del moro, rischiarata dai lampi che spesso solcavano il cielo. Freddi e inespressivi, quegli occhi d'onice s'appuntarono sulla figura del giovane fermo sulle scale di marmo, prima che le zanne luccicassero sinistramente fra le sue labbra.


ATTO NONO. FINE




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