Serie TV > Merlin
Ricorda la storia  |      
Autore: Ramiza    24/11/2009    5 recensioni
Il titolo cita dal Fu Mattia Pascal. Immagino una storia che non è andata come dovrebbe, un destino che non si è compiuto, tra passato e presente. Un passato in cui Artù ha condannato Merlino e un presente in cui è a sua volta condannato per quel tradimento. E un delirio di flux of consciousness e forse parzialmente incompiuta.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Perdonami Merlino, avrebbe voluto dirgli.

Di tutto, ma soprattutto di non aver capito.

Avrebbe voluto, ma non disse.

...

E Merlino lo guardava.


Il re lo fece chiamare nel salone rosso, Artù scese precipitosamente le scale.

Quando spalancò la porta vide suo padre in piedi, feroce, furente, e davanti, in ginocchio ma quasi accartocciato su stesso, Merlino.

Si buttò verso di loro. Due guardie lo fermarono.

«Cosa diavolo è successo?» ringhiò. Nelle sue parole e nel tono della sua voce un'accusa precisa, una presa di posizione, una scelta.

«Il tuo servitore fedele e affezionato è un mago. Lo sapevi Artù?» rispose Uther Pendragon, signore di Camelot, padre e padrone. Nelle sue parole e nel tono della sua voce un'accusa precisa, una condanna, una decisione già presa.

«No!» gridò il giovane principe. Un rifiuto. Rabbia. Paura.


Cancelliamo tutto, avrebbe voluto dirgli.

Torniamo indietro, torniamo quello che eravamo.

Pensò e non disse. Supplicò. E aveva paura.


Merlino guardò Artù.

«Spero che un giorno possiate capire, e perdonare» disse. La sua voce era sicura e ferma, nonostante il dolore che devastava ogni centimetro del suo corpo. Artù lo colpì al volto.

«Non ho nulla da capire, servo. Tutto è già chiaro. La tua colpa e il tuo tradimento» sibilò. Rancore, odio, ira.

Merlino sollevò ancora lo sguardo, sotto ai lividi e al sangue che gli coprivano il volto pulsante.

Non aveva paura.

«Non ho mai tradito, Sire»

«Ogni tuo gesto è stato un tradimento».

«Nei confronti di chi, Sire? Vostri o del mio destino? Potevo essere il più grande e sto aspettando la spada che mi ucciderà, ho tradito solo la mia magia».

Non lo aveva mai visto così fiero.

«Adesso basta, servo traditore».

Rabbia, rabbia, rabbia.

Ucciderlo, ecco cosa devi fare Artù.

Perché lui ha tradito te e tuo padre.

Perché lui è uno stregone e te lo ha tenuto nascosto.

Perché lui è il male e tu lo sai.

Perché allora il tuo braccio esita e la tua mano trema mentre levi alta la spada?

Paura, paura, paura.

Perché da qui non si torna indietro.


«Alzati, Artù» scandì nella sua testa una voce non reale.

La voce di Merlino.

Obbedì.

«In un tempo lontano il Drago profetizzò che saresti stato un grande Re».

Non posso esserlo senza di te. Pensò. E tacque


«Hai qualcosa da dire?».

Le ultime parole.


Morire per mano sua.

Aspettare la fine giungere dal suo braccio, dalla sua spada, da colui che aveva considerato amico.

Ripetersi fino all'ultimo che Artù non lo avrebbe fatto. Gli sarebbe bastata una parola.

Adesso guardarlo e sapere che era finita. La speranza era finita.

Chiedersi dov'era il grande Re profetizzato dal Drago, sorridere un istante tra sé e sé pensando a quella sciocca storia della medaglia a due facce.

Maledirsi per aver rinunciato a tutto per lui, per ogni volta in cui si era sacrificato in suo nome, per averlo amato come neppure aveva amato sua madre.

Maledirsi per averci creduto. Per aver creduto nella loro amicizia e nel loro legame. Per aver creduto che quel legame sarebbe stato più forte di qualunque cosa.

Maledirlo per ciò che stava facendo, per le frustate che gli aveva inferto, per gli schiaffi e i pugni, per i calci, maledirlo per averlo chiamato servo con le ultime parole che gli avrebbe mai rivolto, ma più ancora per averlo considerato un traditore.

Maledirlo per aver dimenticato ciò che c'era. Maledirlo, soprattutto, per non aver capito.

Guardare la spada di Artù, sperare ancora che potesse fermarla.

Sentirsi dilaniato, distrutto, morto.

Sapere di aver fatto ciò che il Destino gli aveva chiesto, ammettere di aver amato quel Destino perché gli aveva permesso di camminare accanto a lui.

Capire improvvisamente che tutto era stato falso.

Vedere l'amicizia che Artù gli aveva promesso infrangersi sul primo verso ostacolo, vederlo tornare Re, sentirsi trattare come un qualunque servo traditore.

Rendersi conto che non gli era stato concesso nemmeno il tempo di una versa spiegazione.

Sapere che ad Artù, lui, avrebbe perdonato tutto.


«Hai qualcosa da dire?» chiese il principe. Forse alla ricerca di un ultimo appiglio, dell'ultima possibilità di salvarlo. Forse solo per prendere tempo, perché sapeva, in fondo, che qualcosa gli stava sfuggendo, che qualcosa non era al proprio posto e non ci sarebbe tornato mai più.

«Hai qualcosa da dire?» chiese il principe. Le ultime parole.


Sentire la rabbia crescere dentro e con essa la magia pulsare nelle sue vene.

Sentirla più forte che mai, più impetuosa, più travolgente.

Sentirla gridare, gridare, gridare.

Sentirla lottare per uscire.

Sentirla esplodere e non volere più trattenerla.


«Hai qualcosa da dire?».

Le ultime parole.

«Sì».


Un vortice rosso, poi verde, poi blu.

Un calore innaturale e travolgente.

Il Re grida, afferra la spada. Le guardie si precipitano verso il ragazzo inginocchiato. Artù lo guarda, immobile.

Ma non è più lui. Non è più Merlino. Sulla sua immagine si disegna la figura del Drago, ha la stessa forza, la stessa possanza.

È il più grande. Colui che a nessun uomo deve rendere conto.


«Riprendo in mano la mia vita».


E poi niente è uguale a prima.


Perdonami, vorrebbe dirgli.

Non sai quante volte ho desiderato cambiare le cose.

«Sono il solo colpevole», dice invece.

Merlino lo guarda. Del ragazzo di allora non appare traccia. Lo hanno ucciso quel giorno, se anche la spada non è mai calata sul suo capo. Lui lo ha ucciso, e lo sanno entrambi.

Con la sfiducia, con le parole, con l'abbandono.

Merlino lo guarda. I suoi occhi sono freddi, il suo potere immenso.

Artù lo sente. Distintamente.

Il tempo trascorso ha cambiato ogni cosa.

No.

La solitudine.

Il dolore della solitudine.

Questo ha cambiato ogni cosa.

Merlino lo guarda come se non lo conoscesse

Intorno a loro i corpi inermi dei soldati. Respirano a mala pena. Quella magia insostenibile li ha travolti. Il corpo quasi immobile di Uther Pendragon, che socchiude gli occhi e ancora una volta maledice la magia.

«Artù» dice Merlino «Artù...»

«Sono qui» risponde.

Rimane in piedi a fatica.

«Risparmiali» supplica il Principe.

«Perché dovrei? Non mi importa nulla di loro. Non sono niente. Niente».


«Pazzi» ringhiò il Drago quando gli furono davanti «Tu, Artù, sei pazzo».

Dalla sua bocca un groviglio di fiamme. Nei suoi occhi solo disperazione.

«Come hai potuto, Artù di Camelot, levare la spada su chi t'ha amato come un fratello?».

Silenzio.

«Ma poiché hai calpestato ed ucciso il vincolo dell'amicizia, di cui nulla al mondo è più sacro, io ti dico, Artù di Camelot, che più nulla sarà come è stato scritto. Il tuo smisurato orgoglio ha cambiato il Destino del mondo».

Spade levate, volti atterriti.

«Ora, folli, voi sfidate un Drago dei tempi antichi. Nemmeno comprendete la misura della vostra pazzia. Uther Pendragon, Signore di Camelot, così ciechi sono i tuoi occhi, così ottusa la tua piccola mente?».

Terrore. Terrore.

«Avevi tutto, Artù di Camelot, e lo hai perduto. A te solo il tuo Destino adesso. La tua sorte non mi riguarda più».

«No» gridò. Sapeva, sapeva che con il Drago avrebbe perduto ogni speranza di rivederlo.

Ma il Drago si levò in una nube di fumo e fuoco, e non lo videro più.


«Sono qui, Merlino. Ai tuoi piedi, come un servo».

Artù si inginocchia, supplica colui che un tempo lo serviva e si inginocchiava davanti a lui.

No.

Supplica chi un tempo gli era stato amico, devoto come un fratello, fedele come un amante.

Vorrebbe chiedergli perdono ma non può.

Sa che non esiste perdono per ciò che ha fatto.

Lo sa.

Non esiste perdono per il suo tradimento.

Merlino lo guarda, lo vede piccolo e tremante.

«Cos'è rimasto del grande Re che avresti dovuto essere?» chiede, a lui o a se stesso.

«Niente» risponde Artù «ogni grandezza in me, se mai ve ne fu una, morì quel giorno».

Merlino serra i pugni. Li stringe.

Perché, vorrebbe chiedergli, perché non ha potuto credere in me?

Vorrebbe, ma non ci riesce.

Il ragazzo lo chiederebbe, e il ragazzo non sa più trovarlo. Non vi è che il mago, adesso.

Artù è in ginocchio davanti a lui, umiliato, sconfitto.

È stato così facile, pensa Merlino. È stato un attimo distruggere il grande guerriero, il cavaliere imbattibile e perfetto. Lui e tutti i suoi soldati non hanno potuto nulla.

La magia è semplicemente più forte.

«Lasciali andare, Merlino» ripete il Principe

«Non sei nelle condizioni di chiedere niente»

«Lo so».

Perché allora, Merlino, tu chiedesti e ti fu negato.

Chiedesti comprensione, protezione, amicizia. Chiedesti di essere ascoltato, di poter spiegare.

Ricevesti calci, pugni e frustate. Ricevesti rifiuto e dolore.

«Che ne è, Artù, del muro che ergesti allora?».

Artù non risponde nulla. Non può rispondere.

Non esistono parole che possano spiegare.

Grida di dolore quando sente la magia divorargli le ossa.

«Ho detto, che ne è, Artù, del muro che ergesti allora?».


Una mano sulla sua spalla.

«Merlino...».

Sfiorò quella mano, senza guardarla in volto.

«Morgana...».

La ragazza si sedette al suo fianco.

«Come mi hai trovato?» chiese senza eccessivo stupore.

«L'ho visto» rispose.

Silenzio.

Lungo come l'eternità.

«Ti sei lasciato trovare, non è vero?» chiese.

«Sì».


Artù si contorce e vomita.

Ha paura.

Poi quel volto e quel sorriso.

«Merlino...».

Quel sorriso e quel volto.

«Morgana...».

Si avvicina. Non guarda nulla di ciò che le sta intorno.

Cammina sicura verso il mago.

Lei lo conosce. Lei sai chi è davvero, e vede ancora quel ragazzo, e lo ama.


«Volevo salutarti» sussurrò.

«Perché non sei venuto, allora?» chiese senza capire.

«Perché avevo paura» rispose, e fu l'ultima volta in cui lo disse.

Lei appoggiò la fronte contro la sua.

«Paura di cosa?» domandò ancora, stringendo la sua mano.

«Che anche tu mi odiassi».

Chinò lo sguardo, avvertì il peso che per anni aveva portato sulle spalle.

Si sentì solo.

Ma lei, lei lo accarezzò e sorrise.

«Che sciocco, Merlino!».


Morgana tende una mano.

«Non farlo, Merlino».

La sua voce è la stessa di allora.

Non prega, non supplica.

Si trova davanti al mago più grande del mondo, ma gli si rivolge come ad un amico.

Come ad un amore.


Gli accarezzò i capelli e forse per la prima volta sentì di potergli parlare davvero.

Non c'era più Artù tra loro. Non c'erano più segreti.

Erano Morgana e Merlino, ciascuno con il proprio dolore, ciascuno con il proprio mondo in pezzi.

«Mi dispiace» sussurrò lui, e fu l'ultima volta in cui lo disse «per aver taciuto».

«E a me dispiace che tu abbia dovuto portare da solo questo peso. Mi dispiace di non avere capito».


«Non farlo, Merlino»

«Perché?» chiede lui.

Ma Artù sente già il dolore abbandonarlo, sente la vita ritornare e Morgana sa che Merlino non vuole una risposta.

Lei sa che lui vuole soltanto che lei lo chieda.

Si avvicina e lui le prende la mano.


Merlino le prese la mano.

«Ma cosa dici? Come avresti potuto?».

«Con l'amore» rispose lei.







  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: Ramiza