Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Black_Eyeliner    26/11/2009    4 recensioni
-… Tu… Come ti chiami, demone?
-Io sarò chi e qualunque cosa lei desideri che io sia, mio signore.
Ovviamente, SebastianxCiel
[Yaoi]
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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 Fragile

[Hurt  Me]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell'anima.

 

Hermann Hesse

 

 

 

 

 

 

 

 

Labbra di velluto, armoniosamente cesellate, si dischiudono piano; incurvandosi maliziose, dispensano ambigui sorrisi, talvolta venati da un’eccentrica, dolcissima sfumatura d’intenerita passione.

E’ ostinata, candidamente impudente l’infinita beltà che si cela dietro la piccola bocca di miele, corrucciata in una smorfia di un dolore fragile, che non chiede d’essere lenito; arrogante, allettante sofferenza: chiede solo d’essere riverita, chiede solo d’essere adorata.

 

-Signorino…

 

E quasi le labbra roventi e piene del demone, sfiorando leggiadre la punta del minuto naso all’insù, non sanno più sottrarsi all’ebbrezza di pronunciare ancora e ancora quella parola, intrisa di devota sottomissione e del desiderio incommensurabile di assaporare quella succosa e amara lacrima, non ancora versata.

-Sono qui. Non ha nulla da temere, oramai.

 

 

Si spegne in un’infida carezza lungo la piccola schiena, nivea e morbida, il brivido che l’ha percorsa; un sorriso salace accompagna il casto bacio del demone sui bei capelli di seta antracite, disperdendosi tra le ciocche madide e profumate d’eccitante, puerile abbandono del piccolo capo contro il suo petto.

In fondo è una lusinga fin troppo squisita, per colui che è stato evocato con tanto ardore dalle profondità più oscure degli Inferi, appropriarsi d’ogni tremore di quell’esile corpo che ha strappato alla morte, respirare d’ogni suo nuovo e diabolico respiro, possederne l’acerba bellezza, reclamarne il sangue, il sudore, lo sperma, le lacrime; sporcarne la purezza.

 

Morderne l’anima.

 

L’anima di Ciel.

 

Perché è così che si chiama.

 

Ciel.

 

Forte, da poter fare del male.

 

Ciel.

 

Fragile, da potergli fare del male.

 

-Bocchan…

 

 

Viene meno la voce, arrochita, sospesa nel vuoto di una fugace esitazione; presto si dilegua in un sussurro, tracimante di complice venerazione: ruba al silenzio la sua malinconica melodia, ottenebrandone la trasparenza, ogni enigmatica essenza, ogni orchestrale e drammatico arpeggio.

Invero è bello, quel borioso ragazzino; non sorride più il demone e un soffio di melanconica tenebra offusca le sue iridi ferine, come fumo nero di una infernale lussuria: langue il rosso vermiglio, diluito nel brillante turchese di un’onda spumosa, specchio di un cielo terso ed immenso.

Superba, l’iride sinistra risplende d’azzurro; specchio traslucido di una coscienza densa d’inspiegabili emozioni, come una pioggia di stelle cadenti che solca l’anima, prima d’infrangersi sul fondo, spolverandola di mille scie brillanti, eco di brame e altri mille desideri taciuti e risorti, risplendenti di un nuovo, dolcissimo violetto: un’unica, tenace volontà, impressa in un fulgido pentacolo, nell’iride destra.

 

Le dita, gelide e sapienti, lambiscono le gote debolmente arrossate del giovane nobile; si sparge, da ogni sospiro smorzato tra le labbra schiuse, l’effluvio invitante dell’anima che continua a fremere, avvinta al demone che ne inala la smania di rivalsa, il sentore lascivo della vendetta: la vuole, eppure l’attende con ossequiosa pazienza, continuando a carezzare la carne deliziosa che la racchiude, desiderandola.

 

 

 

Innata è, dopotutto, nella natura di un fedele maggiordomo, la virtù di dissimulare efferati intenti, brame selvagge ed effimeri istinti –inumani- nunzi di fiamme cremisi che ardono incessanti, lascivi portavoce di un Inferno che reclama la voluttà di ansimi sommessi, gemiti soffocati e tocchi proibiti, ammalianti e peccaminosi, elargiti sulla pelle nuda e arrossata.

 

E che continui ad attendere l’inferno, quella stessa carne, già una volta dilaniata.

 

Che attenda.

 

Ancora un po’.

 

Che attenda l’inferno, di poterla consumare.

 

Di nuovo.

 

-V-va’ a-avanti…

 

Lo sfrigolio, a malapena percettibile, dei tizzoni ardenti nel caminetto accompagna un vagito: fievole, così commoventemente infantile; eppure è dolcemente arrogante l’ordine impartito dalle sottili e rosee labbra, che, vibranti, boccheggiano ancora un po’, prima di premersi contro il pregiato tessuto della giacca scura che il demone, a cavalcioni del quale il giovane Conte è seduto, indossa.

 

-Ha provato molto dolore, mio signore?

 

Crepita il legno di noce, inesorabilmente brucia: strina tra lingue di fuoco a divorarlo con avida lentezza, poco alla volta; si attarda, quel fuoco, con deliberata e crudele tenacia, quasi a voler prolungare l’estatica attesa dell’attimo in cui della legna non rimarrà altro che cenere.

Decine di faville aranciate e verdastre vorticano, sprizzando tra le fiamme amaranto; macchioline di colore acido si amalgamano, sovrapponendosi e correndo in spirali luminose lungo le pareti scure: schegge dorate squarciano l’ombra densa che avvolge la stanza da letto, infinitesimali, impalpabili gemme brillanti, come lucciole mimetiche a striare di luce le tenebre di una fredda notte d’autunno, con ogni battito di fragili ali.

 

-Taci, demone…

 

Il soave riverbero del fuoco inonda di luce pesca le lenzuola di seta; lambisce la pelle lattea di Ciel che, nonostante il tepore del caminetto, continua a tremare.

 

-… Ti ho detto di non fermar-

 

E sono ancora scintille: chiazze luminescenti di porpora, smeraldo e turchese che ballano nel buio, disegnando ipnotiche linee concentriche e spezzate di luce nell’aria tetra, sempre più rarefatta.

Si sprigionano, per sensuale attrito o selvaggia attrazione, a ogni nuovo e delizioso contatto con quella pelle morbida e pallida, a ogni nuova, bizzarra carezza di mani diafane e gelide cui le cosce scoperte del signorino soccombono: si schiudono ingenuamente in grembo all’uomo che reclama il possesso d’ogni sussulto, d’ogni spasmo di quell’esile corpo, tanto forte e ora mai tanto fragile, abbandonato contro il proprio su quel letto disfatto, immenso e partecipe di una stravagante, lasciva complicità.

 

-Come desidera, bocchan…

 

Le dita, contornate da unghie perfette e laccate di nero, oscillano febbrili; procedono nella loro beffarda avanzata, appropriandosi del lembo della leggera veste da notte che il ragazzino indossa e sollevandolo fino a scoprire i fianchi stretti, che cedono alla lusinga di polpastrelli ansiosi di sfiorarli e tracciarne la linea armoniosa e aggraziata.

 

-… Manca solo l’altro. Cercherò di essere il più delicato possibile…

 

Tra i fili intricati dei capelli umidi, il profumo afrodisiaco dell’olio di cocco penetra nelle narici affilate del demone, devastandone ogni lucido tentativo di resistere a tanta sfrontata determinazione; lo respira, quel saccente ragazzino che lo ha invocato, che tanto è riuscito a osare: ne sfiora i glutei morbidi, tanto piccoli da poter essere carezzati dal palmo di una sola mano e il suono del respiro, ormai frammentario, del signorino, che diffonde nell’aria trasparente e intrisa dell’eco di quel dolce sussurro, fa da altrettanto dolce preludio all’urlo, intervallato da flebili singhiozzi, che prorompe improvviso dalle labbra tumide di Ciel.

 

-Shhh…

 

Sorride, il demone, sibilando piano; le labbra soffici e sensuali increspate da una piega inequivocabile, inconfutabilmente sardonica: ritrae l’ago, godendo delle piccole mani che stringono spasmodicamente la sua camicia; è consapevole, nel suo diabolico intelletto, di essere l’unico appiglio di quel ragazzino, l’unico espediente a incatenarlo a una terra che ne ha ripudiato la sofferta esistenza, l’unica ancora che lo trascinerà sul fondo, verso la perdizione.

All’inferno.

Lo culla tra le sue braccia, il demone; sa che, da quando tre giorni prima ha cullato il signorino allo stesso modo tra le sue braccia, sollevandolo dall’altare lercio del sangue che ancora colava, quell’anima sola e benedetta gli sarebbe appartenuta per sempre. In eterno.

 

Gli cattura il mento delicato tra le dita, costringendolo a incontrare le proprie iridi vermiglie; è dotata di una bellezza intrinseca, tragicamente sfuggevole, quella lacrima che indugia tra le ciglia lunghe e scure dell’occhio destro di Ciel, ottenebrando il pentacolo che rifulge di luce violacea nella penombra e annacquandolo per un istante di tenera, puerile fragilità, sciacquandone via ogni tracotanza.

 

-Shhh… Ora le passa, signorino…

 

Aggrotta le sopracciglia, il demone; ambiguamente divertito: immensamente appagato.

Gli carezza la fronte madida di sudore gelato, baciandogli le ciglia umide e leccando le ultime tracce di sale della lacrima appena stillata, nel vano tentativo di restituire silenzio a un’anima che ancora anela di poter riavere a consolarla una vecchia cantilena, intonata al suo capezzale dalle labbra degli spettri dei tanto amati cari ad attenderlo sulla soglia del Paradiso.

 

Prima che si schiudessero i battenti di un Inferno, lo stesso che continua ad attenderlo.

 

E che attenda quell’Inferno.

 

Che attenda ancora un po’.

 

Di poterlo riavere.

 

-… Devo dire che le stanno benissimo, queste piccole pietre. In questo modo, gli somiglia molto.

 

 

E’ bellissima quella lacrima che, dalle ciglia tremolanti, cola in basso, solcando la guancia arrossata di Ciel: muore sulle labbra del demone, che la raccoglie in un bacio salato e meschinamente romantico.

 

 

-Tu…

 

Dall’ampia vetrata della finestra, un raggio argenteo di luna sfiora la madreperla oltremare che impreziosisce i piccoli lobi del giovane Conte; e di nuovo le labbra si attillano in un bacio fugace, prima che un’eccentrica domanda s’infranga contro la bocca dischiusa dell’uomo che continua ad osservarlo, incuriosito.

 

-… Tu… Come ti chiami, demone?

 

Sgrana gli occhi, il demone; dona alle proprie ingannevoli e umane fattezze un’espressione allibita, sinistramente sorpresa: poi reclina il capo, in un riguardoso inchino, posando un lieve bacio su ciascuna delle gracili ginocchia del ragazzino, seduto sul bordo del letto.

 

-Io sarò chi e qualunque cosa lei desideri che io sia, mio signore.

 

-Continuerai ad essere il mio fedele servitore, fino alla fine. Da questo momento in poi, sarai null’altro che Sebastian.

 

Si curvano le labbra del maggiordomo; i capelli corvini incorniciano il volto altero ed elegante, adombrandone i tratti contorti in un ampio sorriso di vago scherno.

 

-E qual è il suo primo ordine, da adesso, signorino?

 

Sorride Ciel; è aspro e disilluso, il suo sorriso, venato di una sfumatura di fragile malinconia: forse è proprio come il suono di una mesta cantilena che si diffonde nell’aria tiepida.

L’ascolta per l’ultima volta; prima che svanisca oltre il varco del Paradiso, per sempre perduto.

 

-Solo per stasera… Confortami, Sebastian.

 

 

E’ irresistibile la percezione di labbra umide che s’incurvano contro la pelle liscia e bianca delle ginocchia, scendendo lungo le gambe snelle per poi risalire, esperte; ed è per Ciel uno spasimo di piacere liquido, che cola in ogni fibra della sua infantile essenza, il respiro caldo di Sebastian a solleticargli l’interno coscia...


... Mentre tre parole, dolcemente sibilate, si spengono tra le sue gambe.

 

 

 

 

-Yes, my lord.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda: piccola shot incentrata sugli orecchini di Ciel XDXD Ho sempre sognato del momento in cui si è fatto gli orecchini, come suo padre, e mi sono sempre chiesta chi glieli abbia fatti, dato che al momento in cui Sebastian è stato evocato non li aveva, e quasi subito dopo invece sì. Ho dato spazio a questa piccola fantasia perché si sa, la mente di una fangirl è labile XD Ad ogni modo se la fiction vi è stata gradita, fatemelo sapere.

 

A presto.

 

Stè.

   
 
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