Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
Ricorda la storia  |      
Autore: Black_Eyeliner    26/11/2009    14 recensioni
Gli lecca piano le labbra, baciandolo a lungo, prima di sussurrare contro la sua bocca in un sospiro sommesso.
-Se è così, sappia che io… Non mi scorderò mai di lei…
SebastianxCiel
Yaoi
Oneshot
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciel Bleu

 

 

 

 

***Remembering of a blue sky***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La soave fragranza delle morbide zolle di terra umida serpeggia tra i roveti celesti di vaniglia selvatica1; e l’aria cristallina, ancora satura della delicata sinfonia di una rada pioggerella primaverile, trabocca d’impalpabile, grumosa, dolciastra nostalgia.

 

A oriente, le tenebre si macchiano di un roseo alone, una tela scura schizzata di un idilliaco acquerello; lentamente, come schiuma mescolata in un gradiente di evanescenti sfumature violacee, le nubi si diradano: lasciano filtrare i primi riflessi opalescenti dell’aurora, giunta a spegnere il bagliore argenteo delle stelle, a eclissare la luna e a disperdere l’impercettibile eco di un sospiro, l’ultimo, esalato nella notte silenziosa.

 

Perle trasparenti di rugiada solcano i ciuffi d’erba, sempre più alta: è solo una sua mera impressione, o magari è grottesca, romantica realtà; giacché, ad ogni suo ritorno, tra le crepe e le scalfitture di quell’antico e ormai logoro lastricato, fioriscono nuovi germogli a riappropriarsi della nuda terra sottrattagli, un tempo sommersa, celata sotto il selciato.

In un repentino battito di lunghe ciglia scure ed eleganti, come fragili libellule nere danzanti nei cunicoli foschi e fumosi degli Inferi, si consuma l’ebbrezza di una struggente goduria, dissoltasi presto; troppo: un fatale, intenso, umano interludio di desiderio e sacrificio nell’arco di una diabolica esistenza, immensa, infinita, eterna.

 

E’ alquanto bizzarro, per un demone, fermarsi e, semplicemente indugiare nella piacevole stasi di un simile istante, unico, irripetibile, forse: è un vortice di soffici piume a carezzargli il cuore nero, un arabesco di eccentrica malinconia a graffiare la sua indifferenza, un diamante blu a rifulgere d’immenso nella turpe vacuità di una vita oscura, senza fine.

D’un tratto, non è più incomprensibile il senso dello scorrere incessante di ore, minuti, secondi; e le iridi imperscrutabili di Sebastian, fendendo scarlatte la tenue penombra, scorgono ancora l’erba bagnata e i cipressi rigogliosi e l’edera che, sempre più fitta, ricopre le desolate rovine di pietra e marmo: colgono il segreto del Tempo e del suo strisciare polveroso tra quelle mura diroccate, che sembrano sgretolarsi con ogni respiro, ancora pregne dei leggeri e dolci lamenti riecheggianti nell’aria piovosa ed umida.

 

Non ricorda, Sebastian, quante volte quel luogo ha ascoltato le urla e il pianto atroce dei suoi innumerevoli visitatori: ma, stavolta, ogni cosa è più vivida, crudelmente reale; forse è il lieve torpore che avverte nelle ginocchia, da troppo tempo prostrate sul ruvido marmo ai piedi dell’ampia panchina di pietra, o forse è il gelo mortale della piccola mano che continua a lambire con le labbra, prima di tornare a stringerla tra le proprie, così teneramente più grandi e più mature.

 

Un soffio spumeggiante d’aria di stagione scompiglia i capelli corvini del demone, scostandogli le frange più lunghe dal volto spigoloso e impassibile; Sebastian ha soffocato ogni rimembranza sotto la spessa coltre dell’avidità, ha cancellato ogni immagine, svuotando la memoria come una pellicola fotografica senza alcuna, inutile, deleteria impressione: ha scordato i volti di coloro che, di volta in volta, sono stati stesi sulla stessa panchina adesso dinanzi a sé, ha scordato i loro inutili e irritanti piagnistei, il loro invocare una pietà che non gli sarebbe stata concessa, non in ultimo, una volta tirate le somme del loro patto demoniaco.

E, soprattutto, Sebastian ha scordato, dopo l’iniziale e vorace libidine della sazietà, il gusto scialbo e terribilmente insulso delle loro anime, dilaniate da volgari colpe e peccati scioccamente testardi.

 

Le dita affusolate, prive del guanto candido lasciato cadere al suolo, fremono; rimangono sospese a mezz’aria, immortalate in un interminabile lasso di tempo, che pare infinito: poi, finalmente, avanzano leggiadre come ali di farfalla, posandosi sulle labbra livide del giovane Conte incosciente, ridisegnandone mille e mille volte ancora i contorni screpolati per i morsi a trattenere le urla di dolore, prima di sfiorare, con il dorso della mano, la soffice guancia fredda ed esangue.

 

Scalpita la memoria insieme al suo cuore, ora così scioccamente umano; gli ansimi soffocati e i piccoli, doloranti gemiti di Ciel, sottratti alla sua tenera gola riarsa mentre l’anima, in stille d’alito rovente, gli veniva sottratta, con brutale e sadica lentezza, nel modo più doloroso possibile, così come egli stesso aveva ordinato.

 

-Sta tremando, mio signore.

 

Gli aveva detto inizialmente il demone, quasi avesse voluto invitare il suo giovane padrone a riformulare quell’ultimo ordine, proferito con un filo di sottile arroganza.

 

-E’ solo freddo. Fa’ ciò che devi.

 

Difatti, così era stato: sulla lingua di Sebastian si era mescolato lo stuzzicante sapore, pregiatissimo e variegato, d’ogni ingenuità, d’ogni sofferenza, d’ogni strafottente solitudine del suo giovane e prezioso signorino, d’ogni sua emozione mai espressa, d’ogni suo desiderio ucciso, della sua coscienza cui ripetutamente aveva sparato colpi sordi di rivoltella, con ogni delizioso peccato a separarlo dalla sua incipiente vendetta.

 

Ma, dopo, ogni cosa era stata diversa.

 

Sebastian lo aveva visto cadere, esanime, contro quel duro schienale di pietra, e nessuna smorfia di sofferto sfinimento aveva increspato la fronte liscia e puerile; le palpebre abbassate, la pelle sempre più pallida e le labbra appena schiuse, come quelle di una bambola di porcellana.

 

 

Un bacio sulla piccola bocca corallina e inconsapevole non concede la risposta a ciò che Sebastian continua a chiedersi, genuflesso a ridosso di quel dolcissimo capezzale.

 

Perché è l’unico che, a vederlo così, fa male?

 

Un demone non dovrebbe provare dolore: senz’altro non è dolore, né rammarico, né rimpianto; o almeno s’illude Sebastian, che non lo sia.

 

Magari è solo il cielo che si diverte.

 

Magari è solo il cielo, sconfinato e profondo, che si prende gioco di un demone, schiarendosi nel riflesso iridescente dell’alba a imitare il colore, la bellissima sfumatura di quell’iride superba come un turchese, che lo fissava con malizia e candore ogni sera, prima che giungesse per Ciel l’ora di ritirarsi nelle sue stanze, imponendogli talvolta, con ingenuo ardore, di attendere finquando non si fosse addormentato.

 

Infine, davvero il suo fedele maggiordomo non ha mentito: anche adesso veglia la beltà di quel sonno placido.

 

Eterno.

 

Solo a Sebastian sarebbe più che gradito, dopotutto, risentire quella voce indispettita e rimirare l’impudente azzurro dei suoi occhi: sorride beffardo a quel pensiero stuzzicante, ed infine si porta di nuovo la mano del ragazzino alla bocca, baciandola con tenero trasporto e inalando l’effluvio di quel fragile fiore, ancora intrecciato al pollice del suo signorino.

 

Un anello.

 

Un anello blu, profumato d’ineffabili e oblianti emozioni.

 

Un fiore.

 

Un nontiscordardime.

 

-E’ questo che voleva dirmi stanotte, quando mi ha stretto, bocchan?

 

Gli lecca piano le labbra, baciandolo a lungo, prima di sussurrare contro la sua bocca in un sospiro sommesso.

 

 

 

 

-Se è così, sappia che io… Non mi scorderò mai di lei…

 

 

 

 

 

Da perfetto maggiordomo, Sebastian assolve il suo ultimo compito, con prodiga devozione.

Lo solleva, cullandolo tra le braccia, prima di baciarlo ancora, un’ultima volta; poi reclina leggermente il capo all’indietro, osservando il colore blu assoluto del cielo, cui dedica quel nome che mai, mai ha pronunciato.

 

-… Ciel…

 

 

E che mai il signorino potrà ascoltare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fin†

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 La vaniglia selvatica è uno dei nomi del fiore “non-ti-scordar-di-me”.

 

 

 

 

 

 

 

Nda: Disintossicatemi, ve ne prego XD Non so, consigliatemi un manga, un pairing, qualunque cosa, perché qui il passo da fanwriter incallita e fangirl da ricovero in ospedale psichiatrico è breve XDXD

 

Scherzi a parte, mi piaceva moltissimo l’idea che il fiore che Ciel indossa come anello nell’ultima parte fosse un nontiscordardime, così come adoro l’idea che Sebastian, dei suoi padroni, volesse imprimere nella propria memoria solo il suo signorino.

 

Detto questo, se la storia vi è piaciuta, non dimenticate di farmelo sapere, se non altro per guarire da questa “malattia”.

 

 

Kiss.

 

Stè.

   
 
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler / Vai alla pagina dell'autore: Black_Eyeliner