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Autore: Jo_    27/11/2009    7 recensioni
Storia che scrissi di getto lo scorso anno per un concorso scolastico. Ovviamente era troppo bella per poter esser pubblicata. Sottotitolo: Poi dicono che la cavalleria è morta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il rating giallo è solo per un riferimento ad un brutto episodio.

 

Pensando a me, ho il voltastomaco. E non è perché ho lo stomaco pieno di Martini.

Semmai il contrario.

Il marmo del mio bagno è terribilmente freddo. Ho la schiena poggiata al muro, gli occhi umidi, le labbra asciutte.

Ero andata là solo per lui. Ma lui non c’era. Lui non c’è mai, quando mi serve. Nell’SMS ha scritto: SCUSAMI MA MIA MOGLIE HA DECISO DI ANDARE A CENA DAI SUOI. DI NUOVO. PERDONAMI, BACI.

Primo Martini, con ghiaccio. Abbondante.

Ricordo di essermi guardata intorno. Ero probabilmente la più vecchia, là dentro. Io mi domando: ma come possono dei genitori responsabili permettere che i figli- e le figlie, soprattutto le figlie- se ne vadano in giro fino a notte fonda in preda agli ormoni? La ragazza seduta accanto a me al bancone ha un top scintillante di paillettes e una gonna che le copre malapena quel punto in cui le calze cambiano di colore. Sorride e parla ad alta voce con un ragazzo che pensa a ben altro che alle sue parole.

Non so che musica fosse, quella di sottofondo, ma era davvero fastidiosa.

Il barista mi ha tolto il bicchiere vuoto da davanti.

Ho un conato. Ma lo ributto in gola.

Ad un certo punto ho sentito qualcuno sedersi accanto a me. Aveva un buon odore di dopobarba, nonostante sembrasse non si fosse rasato da almeno un paio di giorni. Cosa che gli dava senza dubbio un gran fascino.

Ho guardato il barista. “Lloyd, un bourbon per me, grazie” mi ha anticipata “…e per la signorina…?”

L’ho guardato meglio. M’ha squadrata con un paio d’occhi verdi che non finivano più- ho trattenuto il respiro per un paio di secondi e ho biascicato un “Martini Dry per me grazie…”.

Mi ha chiesto perché sembravo così disorientata. Eh, bella domanda. Avevo un sacco di scelte: la verità, una mezza verità, una mezza bugia, o una cazzata così stratosferica che non poteva che non crederci. Opto per l’ultima. “E’ che mi sembra di essere la madre della metà della gente che è qua dentro…”

È più forte di me, le bugie mi salgono da sole per la gola e non riesco a fermarle. Come altre cose, in questo momento.

Fine secondo Martini.

Mi ha sorriso, con le labbra chiuse. Ma quanti anni poteva mai avere?- mi ha detto che non è vero, che sono una bella donna, che a meno che non abbia cinquant’anni potrei al massimo essere la loro sorella maggiore, che le ragazzine di oggi si divertono a fare le Lolita in erba ma non sanno neanche come reagire davanti a qualcuno sopra ai vent’anni di età…Nel frattempo Lloyd mi toglieva il bicchiere, e mi ricordo che ho notato che il suo era ancora mezzo pieno. Magari voleva solo abbordare- magari il bourbon gli faceva pure schifo.

Metto la mano in tasca e sento un foglietto accartocciato.

Lui continuava a sorridermi e a farmi domande. Niente di eccessivamente scabroso o privato, ma ad ogni risposta si avvicinava sensibilmente alla mia sedia. Io non mi spostavo.

Terzo Martini. Il valzer nella mia testa ha ufficialmente inizio.

Apro il foglietto di carta. Andrea, se ti va (e se ti ricordi ancora di me) chiamami. 3348586878. Il tipo ha una scrittura nervosa che ricorda quella di mia madre.

Mia madre, mi ricordo ancora qualcosa, di lei. I suoi lunghi capelli ricci sempre spettinati, che portava sempre sciolti. La notte in cui l’ho ritrovata le cadevano sul viso, così non ho visto l’ultima espressione che ha avuto prima di rendersi conto che era ormai troppo tardi, per rimettere i piedi sopra la sedia. Mio padre non è neanche voluto venire al funerale. Forse la sua nuova moglie non voleva che frequentasse la sua vecchia famiglia, neanche dopo morta.

Solo dopo scoprii che mia madre teneva un diario dettagliato di tutto quello che le passava per la testa nell’arco della giornata. Ritrovai solo quelli degli ultimi due mesi, probabilmente perché gli altri li aveva il suo psicanalista (a tredici anni non sapevo neanche cosa significasse, la parola “psicanalista”, pensavo fosse una specie di dentista, però per la testa). E li lessi tutti. L’effetto che mi fecero, non so dirlo. Strano, senza dubbio. Facevo fatica a comprendere la sua grafia, gravata da problemi che neppure avrei mai lontanamente immaginato. L’argomento principale era mio padre, sempre lui, comunque lui. Di come l’aveva ridotta ad uno sbiadito fantasma di se stessa. Di come era riuscito a corrompere l’unica cosa rimasta pura, della sua sporca vita. Di come aveva tradito l’unica persona che gli era rimasta fedele, negli anni. Mia madre non se n’era mai fatta una ragione, di come avesse potuto agire così schifosamente e spudoratamente. Dico, la segretaria, più banale di così si muore. L’unica nota di colore, un po’ positiva, un punto di luce nel buio dei suoi ultimi mesi, era rappresentato dalla figlioletta, che vedeva sbocciare sotto ai suoi occhi irrimediabilmente malati. Un sorriso mi spezzava le lacrime, mentre leggevo quelle breve righe di speranza nei miei confronti.

Ma comunque erano passati un sacco di anni, e l’unica cosa che ricordavo di lei era la sua scrittura, nevrotica quasi quanto i suoi capelli.

Mi ricordo che il terzo Martini è finito tanto in fretta quanto il mio pensiero di andarmene in quel preciso istante, senza proseguire il patetico siparietto. Ogni tanto fa piacere esser lusingate, no?

Lloyd si è messo a preparare il Quarto Martini, mentre il bourbon doveva ancora finire.

Il valzer si è trasformato in una frenetica tarantella. Colui che credo si chiami Andrea mi ha preso la mano con cui tenevo il mio nuovo migliore amico Signor Bicchiere e l’ha stretta nelle sue. Molto più calde nelle mie, nonostante l’alta percentuale di alcool che mi scorreva nelle vene.

Mi ha chiesto se mi sentivo bene. No dico, che razza di domanda è mai questa? Come può una persona con mezza bottiglia di Martini in corpo star bene? Gli ho detto che stavo una favola.

Poi credo di essergli caduta addosso. Mi ricordo solo che il pavimento era sporchissimo.

Poi lui mi ha presa per un braccio e mi ha rimessa in piedi. Mi ha fatta sedere sulla sedia e ha iniziato a frugarmi nella borsa. Non ho neanche provato a fermarlo. Il mio unico pensiero è stato: se prova a violentarmi non ho neanche la forza di reagire. Potrei vomitargli in faccia per spaventarlo.

Poi ho visto che tirava fuori le chiavi della mia automobile. Ha pagato tutti i miei drink (lasciando ancora un sorso del suo bourbon) e mi ha passato un braccio intorno alle spalle, per aiutarmi a camminare. Abbiamo salutato Lloyd e siamo usciti.

Mi ha chiesto quale fosse la mia automobile. Poi guardando il portachiavi l’ha riconosciuta a prima vista. Si, in effetti non c’è molta gente che va in giro con una Punto con gli adesivi dei Rolling Stones e il portachiavi con la statuina di Keith Richards. Mi ha fatta salire sul lato del passeggero e si è messo alla guida. Ho tentato debolmente di protestare, ma ho lasciato presto stare. Non mi piace che altra gente tocchi la mia Stonesmobile. Mi ha chiesto dove abitavo. Gli ho dato l’indirizzo della tana di Sherlock Holmes. Mi ha ripetuto gentilmente la domanda. Questa volta gli ho dato l’indirizzo giusto.

Le chiavi della macchina sono sopra al tavolino, insieme alla borsa, alla giacca e alle scarpe col tacco che credo si siano guadagnate un posto d’onore nella pattumiera.

Ho precisa in mente la scena di Andrea che entra nel vialetto della mia bella casettina e L’Altro che mi aspetta davanti al portone con una faccia che definire sconvolta sarebbe di gran lunga riduttivo.

Ha frenato, e io sono scesa dalla macchina, cadendo rovinosamente a terra. Lui mi è venuto a sorreggere, mentre Andrea chiudeva la mia meravigliosa Stonesmobile infangata e tentava di spiegare la situazione in qualche modo. Inutilmente. Lui mi ha guardata, con sguardo compassionevole, mi ha aiutata a reggermi sulle mie gambe, mi ha dato un bacio sulla fronte e si è messo in cammino per tornare dalla sua amorevole mogliettina. Lo stronzo.

Andrea mi ha aperto la porta di casa, ha posato le mie cose sul tavolo e mi ha portata in camera, dove mi ha stesa sul letto e mi ha messa a dormire con un bacio sulla fronte.

Poi ho sentito la porta di casa chiudersi e qualcuno che con passo affrettato cercava di tornare alla vita normale, mentre io mi alzavo per andare in bagno.

Poi dicono che la cavalleria è morta.

 

 

Per chi lo stesse pensando: Si, sono follemente invaghita del nome Andrea.

  
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