Fröhe
Weihnachten
Il cielo scuro.
Lo fisso, immobile, senza vederlo
realmente. La mia mente è lontana. Anche se il mio
corpo di bambino è qui, seduto sul divanetto che dà sulla finestra, la mia
mente è altrove, come il mio cuore.
Mi sembra impossibile.
Un fiocco bianco di neve danza nell’aria,
prima di aggiungersi ai suoi “fratelli” che giacciono ovunque.
Sospiro, piano, affinché
mia madre non mi senta.
Affinché “nostra” madre, non mi senta. Deglutisco, poi
mi mordo le labbra, per non scoppiare a piangere, al pensiero di quanto
maledettamente mi manchi. Di quanto vorrei averti qui.
Un movimento alla mia sinistra.
Mi volto, non so
perché. Le altre mille volte, non l’ho fatto, ho continuato a fissare la
finestra, ignorando il resto del mondo. Ora però mi volto. La vedo.
La mamma che, al
contrario degli anni passati, addobba l’albero, da sola. Una fitta mi stringe il cuore.
Papà se ne è
andato.
Papà se ne è
andato.
Papà se ne è
andato.
Ha portato via
Tomi.
Basta solo questo pensiero ed ecco che le
lacrime iniziano a scorrere di nuovo sul mio volto. Accidenti, impreco
mentalmente, voltandomi subito verso il vetro della finestra, per non farmi
vedere da lei.
Lei che, come me, piange
a scatti, senza motivo apparente.
Stira i miei vestiti e improvvisamente scoppia a piangere. Rifà i letti e,
senza preavviso, scoppia a piangere. Deglutisco, preoccupato, temendo che
questo suo piangere a singhiozzo vada avanti ancora a
lungo.
Espiro, cercando di calmarmi.
Mi volto ancora verso di lei. La mamma, una
pallina rossa in mano, si avvicina all’albero. Un secondo. Di nuovo la fitta
allo stomaco.
Quest’anno l’albero non lo addobberemo
tutti assieme. Io e Tomi non litigheremo per mettere il puntale in cima. Mi
mordo le labbra, spostando di nuovo lo sguardo per non riappoggiarlo mai più
sul sempreverde.
Fisso lo sguardo fuori
dalla finestra. I fiocchi continuano a danzare. Lenti, scivolano,
aggiungendosi ai propri “fratelli”. Abbozzo un mezzo sorriso triste. Mi sembra
quasi di vederlo, il “fratello” fiocco, sdraiato sul terreno che apre le
braccia per abbracciare quello che sta scivolando dal cielo, per evitargli il
contatto troppo brusco con il suolo…
Che idea stupida…, penso,
appoggiando il mio volto fra le mie mani fredde. Rabbrividisco.
Continuo a fissare il mondo esterno. I
fiocchi cadere, senza vederli realmente. La via è vuota, immersa nell’oscurità.
I “fratelli” fiocchi l’unica cosa esistente…
“Billie…”
La voce stanca di mia
mamma chiama. Mi volto, di scatto, sfoderando un sorriso, fingendo di
stare bene. Non voglio che sappia. Non voglio che soffra anche perché soffro
io.
“Si?”
“Metti il puntale?” domanda, asciugandosi
con il dorso della mano una lacrima scivolata. A singhiozzo.
Un brivido mi attraversa la spina dorsale,
pietrificandomi. Sbatto le palpebre, fissandola. Lo stomaco chiuso. “Oh…” riesco soltanto ad articolare, prima di voltarmi di nuovo la
finestra “…Lo faccio più tardi, ok? Ora voglio guardare ancora un po’ la
neve…”
La sento espirare. Un respiro lungo.
“D’accordo” risponde poi. I suoi passi poi si allontanano.
Mi volto di nuovo. Il puntale, appoggiato sul
divano, brilla. E’ blue, il nostro colore preferito. Mi mordo le labbra,
maledicendo mentalmente il puntale.
Un movimento alla mia destra.
Un fiocco di neve, cadendo ha attirato
nuovamente la mia attenzione sulla strada.
Un secondo.
Un brivido mi attraversa la spina dorsale,
arrivando fino al mio volto. Sento i nervi irrigidirsi, nella
guance.
Una figura, tutta imbacuccata, si fa largo,
fra la neve. La fisso, un secondo, prima di iniziare a
correre come un pazzo verso la porta d’ingresso. Nel corridoio, per un pelo non
investo mia madre che, il catino in mano, si appresta a stendere i panni
puliti.
“Che accidenti ti prende?!?”
domanda subito lei, sconvolta.
Mi volto, un secondo,
urlando “C’è Tomi!”. Continuando a correre, spalanco la porta,
gettandomi di corsa giù per le scale.
“Billie!!! Non
essere sciocco! Tomi è a cento chilometri da qui!
Billie! Mettiti almeno la giacca o ti ammalerai!!!”
Ignorando le grida di mia
mamma, continuo a correre, stringendomi meglio la sciarpa che d’inverno
porto costantemente attorno al collo.
E’ Tomi! Lo so che è Tomi!
Sarei in grado di riconoscerlo fra mille. E’ Tomi!
Finite le scale mi getto di peso, contro il portone del palazzo,
spalancandolo. Il freddo mi colpisce subito, implacabile. Lo ignoro, stringendo
meglio la sciarpa, ricominciando a correre. Raggiungo la
strada, mi volto alla mia sinistra. La figura continua la sua lenta
marcia. Un secondo. Solleva il volto, i suoi occhi incontrano
i miei.
“Pensavi davvero che ti avrei permesso di
mettere il puntale, senza prima lottare?!?” domanda la
voce scherzosa, anche se un po’ tremante di mio fratello.
Un altro brivido lungo la schiena. Corro
verso di lui, allungando le braccia. Tom si ferma, il sorriso sulle labbra,
aprendo le braccia a sua volta. A poca distanza di lui, mi lanciò, sicuro che
lui mi prenderà.
Un istante.
Mio fratello mi stringe.
“Mi dispiace di essere dovuto andare via…”
“Non importa, non importa…” rispondo subito
io “Sei tornato…E’ l’unica cosa che conta…”
Mio fratello mi stringe ancora un po’. Io
continuo a deglutire, per non piangere. Un secondo, mi lascia andare. Sorride.
Gli sorrido di rimando prima di vederlo sgranare gli
occhi e poi corrugare le sopracciglia. “Senza giaccia…
Irresponsabile come al solito…” brontola, da perfetto fratello maggiore qual è.
“Non ho bisogno di preoccuparmi di certe
cose…” inizio io, scherzando “Ci sei già tu che lo fai per me…” sorrido, camminando
veloce al suo fianco.
Tom sogghigna, levandosi il berretto e appoggiandolo
sulla mia testa. “Buon Natale, fratellino stupido…”
Sorrido “Buon Natale, Tomi…”