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Autore: Shinalia    01/12/2009    12 recensioni
2 classificata al contest "Da una frase..."
+ premio speciale: attinenza al tema.
Indetto da: Superkiki92
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve, eccomi a postare questa storia (one-shot). é stata scritta per un concorso:

Da una frase... indetto da: Superkiki92

Risultato: 2 classificata+ premio speciale: Attinenza al tema

LUXURE

“Non si può scegliere chi amare.
Non si può smettere d'amare”

Spesso si crede che il tempo guarisca tutte le ferite, lenisca quella sofferenza che ha attanagliato anche il cuore più duro ed indifferente.
Ma non è così...
L’amore ti soggioga contro ogni volontà ed aspettativa. Quando non vi erano desideri in proposito, e talvolta da chi meno si era desiderato.
Ed è stato ciò ad imprimere nella sua vita un marchio indelebile, a lei, Elisabeth. Un amore ingannevole sin dal suo inizio, impossibile ad ogni prospettiva. Un amore che non sarebbe mai dovuto sbocciare o essere covato nel suo cuore.
Un amore che ha inevitabilmente distrutto molto... forse troppo.

Elisabeth Jones viveva in un sobborgo malfamato di New York. Una ragazza dalla semplice bellezza e dal passato burrascoso. Proprio quest’ultimo l’aveva costretta ad intraprendere una “carriera” non propriamente rispettabile, quando alla morte dei suoi genitori aveva compreso che avrebbe dovuto bastare a se stessa.
Senza dote o degna educazione, non poté che cadere vittima della strada, cedendo il proprio corpo al miglior offerente.
Non aveva che quindici anni quando fu condotta da Agathe, la proprietaria, in un rinomato bordello di periferia: il “Luxure
Sebbene fosse una situazione tutt’altro che piacevole, Elisabeth non aveva mai emesso il benché minimo lamento in proposito. Svolgeva il proprio lavoro con impeccabile solerzia e devozione, ostentando una maschera di perfetta seduttrice, sebbene non dai suoi esordi. Al suo arrivo, l’innocenza e la purezza del suo viso la resero presto la scelta più auspicabile per coloro che desideravano da quelle ore il diletto dato dal fascino dell’inesperienza e della limpidezza.
E lei era tutto ciò. Pura ed innocente.
Una bambina che del mondo conosceva ben poco.
Con il trascorrere del tempo, però, quella purezza era andata man mano scemando, sottratta dalle mani di uomini spesso rozzi e grossolani. Non che la rimpiangesse.
In lei non vi era che il piacere per quella vita di lussuria che la rendeva donna, sebbene solo nel corpo, perché la superficialità dei suoi pensieri e la futilità dei desideri non mostrava nulla se non una mente infantile. Raccoglieva le sue riflessioni tra le pagine di un piccolo quaderno malconcio che fungeva da diario, in cui negli ultimi tempi si ritrovò ad imprimere e sfogare la frustrazione per una scelta sbagliata che, inevitabilmente, avrebbe compromesso la sua vita.

10 novembre 1865

Un nuovo cliente nella notte è giunto al “Luxure”. Il suo sguardo spaurito ed a tratti intimidito ha intenerito il mio cuore. Mi sono occupata io stessa di soddisfare i suoi desideri dettati dell’inesperienza della sua prima notte.
Un giovane dotato di autentica bellezza. Dai capelli color grano che, raccolti in un’ordinata coda, ricadevano sulle spalle e i cui occhi, profondi e cupi, parevano celare un’anima profonda. Mi son perduta nella contemplazione del suo viso, la mascella squadrata e forte, gli zigomi pronunciati ed il naso dal perfetto taglio.
Ogni cosa in lui trasmetteva un senso di splendore assoluto ed il suo fascino mi ha di certo irretita, sebbene solo per pochi istanti.
Che sciocca, non trovi? Per la prima volta ho provato attrazione per un cliente. Maria mi ha confidato essere usuale e che lei stessa, talvolta, si è invaghita di uomini di cui aveva allietato le notti.
Ha aggiunto che la mia giovane età non mi aveva permesso di sperimentare prima una simile emozione, e che forse il mio cuore immaturo non era mai stato predisposto ad un tale coinvolgimento.
Non ho gradito le sue parole, sebbene ora mi trovi a riderne di gusto. Non mi considero affatto immatura, svolgo questo lavoro da anni ormai, da quando non ero poco più che una ragazzetta. Non avevo più di quindici anni, se non erro.
Mi duole sentir pronunciare di me un simile giudizio, come fossi una fanciulletta inesperta. La tristezza dei miei giorni ed i doveri ad essi conseguiti mi hanno reso donna prima del tempo dovuto. Ma non lo rimpiango e non rinnego i miei gesti.
Agathe reclama le mie attenzioni e mi appresto a raggiungerla nella sala grande.

_________


Matthias Brown era l’esponente di una rinomata famiglia di New York. Giovane e ricco abbastanza per permettersi notti con donne dei sobborghi, e tanto affascinate da poter aspirare alle più belle fanciulle di cui la società disponeva.
Vanitoso e borioso, amava ammaliare con i modi galanti che ostentava, celandosi dietro una maschera di perfezione e signorilità, propria di ogni famiglia di buon nome.
Ciò che Elisabeth mai comprese, con una superficialità di una mente puerile racchiusa in un corpo troppo maturo, fu l’animo di quel nobile che, con poche e forbite parole, aveva sedotto il suo cuore pur non desiderando realmente disporne.

22 novembre 1865

Quest’oggi a reclamare i miei servigi vi era Matthias, il giovane che pochi dì or sono mi ha stregato con la sua avvenente bellezza.
Non ho potuto non bearmi di quei particolari che al primo incontro non ho avuto modo di notare opportunamente. La sua aria distinta, il portamento eretto e la postura dignitosa mostrano la levatura delle sue origini.
Eppure ho provato un enorme stupore nel poter rimirare la sua persona nuovamente in quella tetra e angusta stanza, e non posso celarti di aver avvertito un moto al cuore non appena i suoi occhi mi hanno sfiorata. In essi non vi ho letto che desiderio e brama e ciò mi ha lusingata più di quanto fosse lecito.
Le sue mani mi sono apparse differenti, meno incerte e timorose. E le sue parole ... non vi è modo per descrivere quanto fossero poetiche ed appassionate. Una miriade di brividi mi hanno percossa mentre le sue braccia mi scaldavano e le sue labbra mi cercavano in una danza peccaminosa.
Che sia amore? Ho temuto.
Ora sorrido a questo pensiero tanto irrazionale. Non potrei mai provare un simile sentimento per un cliente, sarebbe sconveniente e poco appropriato.
[…]
30 Novembre 1865
Thanksgiving day[1]. Quest’oggi vi è festa in ogni dove nella nostra amata terra, e con una nutrita compagnia mi sono recata in città per festeggiare il dilettevole evento. L’allegria ed il fermento che vi ho potuto ammirare mi hanno entusiasmata. Ogni via era gremita di gente spensierata e giocolieri che compivano strabilianti prodezze. Tra saltimbanchi e abili imitatori le risa si sono levate allietandoci, accompagnate dai canti a cappella.
Con rammarico devo però affermare di aver abbandonato molto presto l’allegria che il luogo destava, quando i miei occhi si sono imbattuti in una figura conosciuta. Celare lo stupore è stato tutt’altro che semplice, ed il mio sguardo si è soffermato su di lui più del dovuto, sebbene conscia non fosse opportuno.
Lui, su di un grazioso calasse attraversava la piazza principale in compagnia di due uomini ed una fanciulla dall’aria signorile.
Il fastidio ed il disappunto mi hanno turbata più di quanto fosse legittimo. Non ne ho compreso il reale motivo, ma son certa sia normale provare talvolta un sentimento di possessione verso coloro che possiamo considerare abituali clienti. Anelare qualcosa che appare proibita ed irraggiungibile. Ma son certa che tale increscioso sentimento non tarderà a svanire quanto prima.
Ne son certa.
__________________________


Il cuore spesso giunge dove i nostri occhi e la nostra ragione spesso non possono giungere. E sebbene a lei stessa quelle parole apparissero tutt’altro che veritiere, preferiva negare che una simile frivolezza come l’amore potesse averla raggiunta. Non si riteneva una sciocca sprovveduta capace di cader in così folle intoppo, conscia di quanto irrealizzabile potesse essere una realtà in cui una donna della sua levatura potesse lasciare i borghi per una sistemazione di più alta e dignitosa.
Qualsiasi congettura di tale genere era stata preventivamente abrogata da Agathe nel giorno del suo arrivo al “Luxure”, e non vi era motivo per credere che per lei potesse essere differente.
Avrebbe chiuso gli occhi dinanzi ad ogni singola illusione di un amore che sapeva essere inconveniente.
O, almeno, queste erano le sue speranze.


20 dicembre 1865
Ammetto di aver timore. Mai prima di ora il mio cuore è apparso tanto insicuro.
L’assiduità delle sue visite non giova a questa mia insana infatuazione. Con le sue parole mi incanta, e sebbene io finga stentati sorrisi per non incorrere in ulteriori illusioni, in cuor mio non posso non avvertire una nutrita speranza.
Con quanto ardore mi ha decantato frasi di famosi autori per illustrarmi il suo bisogno della mia presenza e la lussuria che guida la sua man!
Ed io, circuita dal suo sorriso e dai suoi modi galanti, non ho potuto che annuire.
La felicità era palese sul mio volto, come lo sarebbe tutt’ora se il timore non mi avesse soggiogata.
Nel mio cuore non alberga che confusione per i desideri che sono in tal modo differenti. Soffro, agogno la sua presenza ad ogni istante, ma ciò mi spaventa.
Come posso provare un tale trasporto solo a pronunciare il nome suo?
Non vi è dubbio che questa non sia nulla oltre che un’immonda follia, eppur per ciò[2] che la ragione scaccia con irruenza, il mio animo ed il mio cuore non possono non angustiarsi.
Oramai sobbalzo quando la sua figura impeccabile attraversa l’atrio con un sorriso canzonatore. Arrossisco sotto il suo sguardo od il suo tocco.
Impazzisco, oramai folle di un desiderio smodato, dedicato a chi in realtà non lo comprende.
________________

18 gennaio 1866

L’ennesimo dì è trascorso. La mia pena non si allevia ed i miei occhi non vedono che lui.
Quanti anni dedita a questo lavoro degradante con il solo scopo di poter rimembrare un giorno le mura di casa? Quel luogo distante che a malapena rammento, ma che porta con se sé ricordi sfocati di felicità.
Quel sentimento che ora mi appare tanto distante.
Ed ora mi pento, rimpiango la vita abbandonata anni or sono. Mi inganno che siano le sue mani a stringermi ed accarezzarmi quando il lavoro reclama le mie attenzioni. Mi illudo di poter osservare nei suoi occhi amore, e non solo desiderio e brama per il corpo di una bambola.
Perché una bambola è ciò che sono! Un corpo ben curato, usato e poi gettato da chi più offre per ottenerlo. Eppure, mai ho provato pena o angoscia per questa posizione. Vivevo in un modesto agio quando la via della rettitudine improvvisamente mi è sfuggita, quando la mia vita ha perso il suo senso ed il suo candore, dopo una perdita troppo grande.
E da allora io sola avrei badato a me stessa, era ciò che mi ero detta con fermezza.
Ora contrariamente a quel tempo, osservando il mio corpo, noto non vi è più alcun accenno di sicurezza, solo il tremore di una bambola che spera di covare un amore che non può permettersi.
Ma mai prima di ora ho maledetto la scelta, mai prima di incontrare quegli occhi pregni di emozioni deliranti e passione. Mai prima di lui.
Egli è un signore, un uomo ricco e benestante che delle sofferenze e dei patemi conosce ben poco. Ciò che decanta burlandosi del mio cuore con dolci parole non è che una menzogna ben congegnata. Ilare, si diverte ad alimentare il fuoco del mio amore, forse non consciamente.
Come potrebbe sol pensare che una donna della mia leva possa osare nutrire amore per uno come lui? Io, che non son nulla se non una schiava della lussuria altrui. Io, donna del peccato che in un borgo patisce il suo inferno per un amore insano e folle.
Io, che senza alcuna forza vorrei ribellarmi per non crollare nella disperazione che questo tetro mondo mi infligge.

12 febbraio 1866

É tornato! Dopo due decadi di assenza ho potuto ammirare nuovamente la sua figura e bearmi di quella visione agognata.
In quelle poche ore, le sue braccia mi hanno avvolta e il mio cuore ha ripreso ogni suo battito. Il suo tocco deciso, i suoi baci voraci e la veemenza nella sua stretta sono ricordi che custodisco gelosamente in questo mio cuore illuso.
Eppure non posso impedire al sorriso di affiorare sulle mie labbra. Stanotte sono stata sua e sua soltanto. La sua Elisabeth, che ha soddisfatto ogni suo desidero e gli ha donato un amore che forse non merita, ma che inevitabilmente gli appartiene.
Come il sole al suo sorgere, il mio giorno si illumina al suo passaggio ed il delirio pregna ogni mio sogno alla sua ricerca.
Ora e per sempre soltanto sua nell’animo, sebbene non nel corpo.


25 aprile 1866

Quante ore ad annegare nelle lacrime più amare! Quanta la delusione per un gesto non compreso!
Che io non fossi abbastanza?
Il dolore ha squarciato il mio petto quando i miei occhi hanno incontrato i suoi. Egli era qui, in questo borgo malfamato, ma non per me.
Non erano le mie carezze ed il mio corpo che anelava.
Ma di un’altra bambola che mai avrebbe potuto donargli l’amore che io provo e che imprimo in ogni mio gesto. Con lui nulla è meccanico e scontato, la passione guida le mie mani così come la voglia di donargli ciò che posseggo.
Un cuore ormai calpestato dalla sua sfrontatezza e noncuranza.
Oh mio diario, le lacrime incontrollate impediscono alla mia penna di proseguire in questo sfogo e saranno loro a liberarmi, sebbene in parte, da questo strazio.

20 maggio 1866

Stamane passeggiavo liberamente per il paesino, allegra per l’incontro della precedente sera. Ebbene si sì, mio diario, Matthias è tornato. Desiderava me ed ha invocato il mio nome con un tale ardore da far vibrare il mio corpo al solo suono della sua voce.
Mi ha donato il suo tocco voluttuoso e mi ha chiesto perdono per la sua errata scelta e per l’offesa a me arrecata.
Eppure non pare comprendere che non è la mia vanità ad essere stata calpestata, ma quell’amore che nutro per lui. Un amore tanto grande da avergli concesso il perdono nonostante tutto.
Conscia di non poter serbare rancore, troppo è il desiderio della sua compagnia. Eppure una nota dolente ha turbato la mia momentanea spensieratezza. Mi ha confessato che per molte decadi non potrà far ritorno, ed io non ho indugiato in domande che non avrebbero ricevuto risposta alcuna. O forse timorosa di comprendere cosa potesse intrattenerlo lontano da me.
Oramai l’illusione è il solo mio rifugio.

15 giugno 1866

Il mio cuore distrutto sussulta a quella immagine ancor impressa nella mia mente. Sebbene il suo corpo sia stato mio sino ad allora, il suo cuore non mi è mai appartenuto. Quanto narcisista sono stata per averlo solo sperato? Quanto, mio diario? Non vi è consolazione nemmeno ad imprimere su carta il mio dolore.
Ho atteso nella speranza di rivedere il biondo cenere dei suoi capelli, o i suoi occhi neri colmi di desiderio. Mi sarebbe bastato! Avrei accettato anche solo l’illusione delle poche ore stretta tra le sue braccia, beandomi del calore del suo corpo dimenticando quelle immagini che hanno dilaniato il mio cuore.
Il dì del suo matrimonio.
Il suo sguardo aveva indugiato su di me per non pochi secondi, in cui non vi avevo letto che terrore. Paura di una rivelazione che avrei potuto compiere, timore del disgusto che la fanciulla tra le sue braccia avrebbe potuto provare.
Ed io l’ho desiderato ... oh quanto l’ho desiderato. Avrei voluto punirlo per avermi illusa ed ingannata con le sue dolci parole. Avrei voluto correre su di quella scalinata narrando delle notti d’amore che gli avevo donato. Notti in cui era il mio corpo che cercava, e non il suo ...
Ma a cosa mi avrebbe condotta?
Non avrebbe che infranto l’illusoria speranza di vederlo tornare a reclamare i miei servigi.
E cosa avrei potuto realmente recriminare a lui, se non era che mia la colpa dei sentimenti che avevo covato? Le sue parole, sebbene volte a circuire il mio cuore, non erano che un segnale di scherno per la mia ingenua persona.
Mio è stato l’errore di credere e sperare in qualcosa di tanto irrealizzabile. Mio il folle desiderio che ogni dì affondava radici nel mio cuore conducendomi sul precipizio della follia.
Quanto dolore mi dilania, e ad ogni mio tentativo di reprimerlo, cercando conforto in altre braccia, non può che aumentare avviluppandomi nella sua agonizzante stretta.
La consapevolezza che non son sue quelle carezze in cui cerco sollievo. Quei movimenti e quel sorriso scaltro mi perseguitano gettandomi in un limbo di antica sofferenza.

25 dicembre 1866

Sono trascorsi mesi da quando concedevo a queste pagine di custodire i miei più reconditi segreti.
Ho sofferto, la mia mano non è stata più guidata da quell’ingenua spensieratezza che nei primi dì imprimevo, quando vivevo certa che il mondo non fosse tanto ingiusto come poi si è palesato essere.
E che non fosse ardito sperare in un amore che poi si è rivelato essere fonte di soli tormenti.
Oggi è dì di festa,odo la gioia ed il calore nelle case attigue, beandomi dei canti allegri che con probabilità non avrò modo di udire nuovamente. Ciò non può non alimentare il mio sconforto.
Ho sperato. Solo Dio può sapere quante mute preghiere gli ho rivolto nella speranza di una consolazione a questo male che non mi abbandona.
Lui non è tornato.
Dal quel dì lontano, in cui sotto gli occhi del Signore si è legato a quella donna, non ha più fatto ritorno in questo borgo.
Ed io ormai mi crogiolo in questo stato di desolante abbandono .Ho atteso, vedendo sfumare ogni possibilità con i mesi che trascorrevano nella tetra consapevolezza mai ammessa.
Ma ho compreso che in questa attesa non vi son certezze o possibilità.
Ho trascorso mesi nel vano tentativo di rimuovere dolorosi ricordi che, impressi nella mia mente, non avrebbero che alimentato la mia follia.
Dimenticare. Quanto appare semplice questa parola, ma quanto complessa la sua realizzazione.
Questa che ora mi appresto a scrivere non può che configurarsi come mia lettera di addio a questo mondo che, brutalmente, mi ha strappato troppo. La mia ingenua fanciullezza, abbandonata anni or sono insieme a quel candore che forse mi avrebbe reso sposa felice. Non vi è nulla in questa vita che valga anche un solo sorriso, non un appiglio su cui far forza ed in cui trovar conforto.
La mia ultima pagina come mia unica compagna per allietare le ultime ore di un’esistenza costellata solo di lugubri eventi, intercalati da ben poche liete novelle.
Come poter indugiare vivendo in questo corpo che mi ripugna e che rammenta in ogni istante quei dolorosi e peccaminosi ricordi? Troppe forze spese a tale inutile scopo …
Non vi è che una soluzione, porre termine a questa vita e a questo corpo di cui non resta che un guscio vuoto. Privo di speranze ed amore, perché ogni frammento del mio cuore si è infranto e dissipato sotto il peso del suo ultimo sguardo.
E con il mio animo corrotto, tra le braccia della morte mi abbandono sperando in un riposo che sia più lieto, verso le fiamme dell’inferno forse meno atroci di quelle in terra.
Tua,
Elisabeth

Tutte le passioni ci fanno commettere errori, ma l'amore ci induce a fare i più ridicoli.

François de La Rochefoucauld

Shinalia



[1]

[1] La festa del Ringraziamento (Nel 1863 il presidente Abraham Lincoln collocò la festa nel calendario al quarto giovedì di novembre, data che da quel momento è rimasta sempre uguale.) – fonte: Wikipedia.

[2]

[2] Inteso: per quello che.

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