MERRY KILLER
- Sì, certamente... grazie. Grazie molte.
Scostò la mano dall'orecchio e scrutò accigliata il piccolo e
lussuoso dispositivo di comunicazione cellulare che stava
comodamente nel suo palmo.
- Indovina chi era... - disse poi spostando il proprio sguardo
severo sull'uomo seduto dall'altra parte del tavolo, su una modesta
sedia.
- Non indovinerò mai – rispose quello sollevando lo sguardo dalla
generosa scollatura che lei offriva.
- Era Yoko, la ex nichilista. Mi ha fatto parlare col suo capo, uno
molto vicino alle gemelle, sembrerebbe.
- E quindi? - l'uomo già abbozzava un sorriso, che si riflesse subito
sul viso della donna, ma più ampio e brillante.
- Pare che si siano decisi. Prenderò il posto di Telopulos qui, al
quarto settore.
- Complimenti! - esclamò lui sorridendo apertamente ora. La guardò
alzarsi dalla poltrona, seducente e maliziosa, fasciata com'era nel
suo costoso abito nero adornato da una grossa spilla di diamanti. Samila
Semian si avvicinò alla grande finestra dell'attico dove riceveva i
clienti della sua agenzia pubblicitaria, un'efficace copertura per i suoi
piccoli traffici di droga e prostituzione gestiti all'ombra delle gemelle. Ma ora
sarebbe entrata nel giro grosso, da dove l'ingombrante presenza di
Telopulos l'aveva sempre tenuta fuori. Le mani di lui si posarono caldissime
sui suoi fianchi asciutti e slanciati. Lo vide riflesso nella finestra polarizzata. Fermò quelle pallide mani rapaci prima che le
raggiungessero il seno bloccandole sotto le proprie, sul ventre piatto.
- Hey... abbiamo finito poco fa... - gli sussurrò cercando il calore
della sua guancia ruvida col proprio viso, cercando il suo profumo.
- Non mi basti mai... - quel sussurro caldo e umido, la consapevolezza
delle labbra dell'uomo a poca distanza dal suo orecchio ingioiellato le
accesero un fuoco nel ventre.
- È proprio Natale, tempo di regali... prima te, poi la morte di Telopulos...
e ora... il giro d'affari di quel vecchio puttaniere. Tutto per me.
- Sei fantastica...
Le mani di lui le erano sfuggite e prontamente avevano ghermito la loro
morbida preda. Stuzzicavano, stringevano dolcemente, accompagnando le sensazioni
elettriche che scaturivano dalle labbra di lui posate sulla pelle nera del collo
totalmente scoperto. Si girò di scatto tra le sue braccia, tuffandosi verso il
suo petto. Lui la accolse stringendola a sé.
- Me lo faresti un bel regalo di Natale?
Lui le sorrise, dolcemente canaglia.
- Quella ricca sei tu... che regalo posso farti io? - Samila gli afferrò
le natiche e spinse il proprio inguine contro quello di lui.
- Dimmi che non lo fai per i soldi... dimmi che lo fai per me – sospirò,
mordendogli piano il mento.
- Non c'entrano nulla i soldi – bisbigliò lui cercando le labbra scarlatte
che gli sfuggivano.
- Stai mentendo – ansimò: vittima delle mani avide e invadenti, cedette
alla dolce violazione della sua intimità.
- Non si dicono bugie a Natale – finalmente trovò quelle labbra turgide e
con le proprie vi si avvinghiò senza incontrare più resistenza. Le assaporò,
le mordicchiò piano senza fermarsi mai. Samila si aggrappò alle sue spalle
e con forza strinse le cosce intorno ai fianchi dell'uomo, godendo nel
sentire tutti i suoi muscoli che si contraevano e si indurivano per sostenere
il peso. Fortemente le braccia di lui scesero per sostenerla, spingendo
le mani sotto le natiche ormai scoperte.
- Ethan... - sospirò non appena lui le concesse di prendere fiato. Poi,
sempre sostenendola con la forza della schiena, percorse i pochi metri
che li separavano dalla lussuosa scrivania sgombra e lì l'adagiò supina. La
ferrea presa delle cosce di lei non venne meno, anzi: Ethan sentiva i
talloni che premuti contro le reni lo costringevano verso la sua intimità.
Si coricò su di lei, il ventre premuto contro il suo. Con le mani sgusciò
il desiderabile frutto dallo stretto vestito mentre quelle di Samila affondavano
gli artigli neri nella sua pelle dopo essersi fatta strada aprendo il
cheongsam bianco e nero che lui indossava. La ricambiò imprigionandola sotto
di sé, scorrendo la sua pelle di cioccolata col mento ispido e la lingua umida,
facendo scivolare le mani dagli addominali lisci e duri, esercitatissimi, ai
seni sodi e ai capezzoli neri, erti e rigidi. Infine le mani bianche
attraversarono il petto ansimante e si raccolsero alla base della gola palpitante
e vulnerabile. La circondarono ed Ethan, le braccia tese, cercò coi pollici il
punto migliore e ve li affondò con tutta la forza di cui era capace.
Samila sussultò convulsamente tra suoni strozzati e scricchiolii di cartilagini
che si spezzavano sotto le dita dell'uomo. Lei, una trentanovenne atletica e
molto in forma, resistette una decina di secondi agitandosi furiosamente prima
di abbandonarsi esanime con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, riversa
sul proprio tavolo al centro del lussuoso ufficio.
Ethan controllò le ferite e si tamponò meglio che poté: aveva fatto prima
sesso e poi una vera e propria lotta con Samila, e in entrambi i casi aveva
sperimentato la durezza delle unghie della donna. Ricompose il proprio abito
cercando di capire se si fosse sporcato di sangue. Poi si avvicinò al terminale
integrato nella scrivania e usando il badge di Samila avviò una chiamata.
- Salve, Yoko – salutò il volto che apparve sullo schermo olografico: una
giovane dai tratti decisamente asiatici, il viso truccato di bianco e nero
secondo lo stile nichilista.
- Fatto?
- Tutto fatto – la rassicurò. Afferrò la testa del cadavere per i capelli
neri, lisci e curati e offrì il viso sconvolto alla telecamera del terminale. Yoko non
mostrò alcuna emozione.
- Ottimo. Un problema in meno.
- Ricordati quello che mi hai promesso... niente DNA – Ethan stava mostrando
molta calma, ma tutto il suo corpo ancora fremeva per lo sforzo compiuto.
- Stai tranquillo: abbiamo ancora molti amici in divisa – la freddezza di
Yoko era invidiabile. Lui ci aveva fatto l'abitudine: quello non era il primo
contratto che accettava da lei per conto delle gemelle. Ma era il primo in cui
veniva coinvolto a lungo con la vittima, e che terminava con un corpo a
corpo. In quell'ufficio e sul cadavere c'era tanto di quel materiale genetico
da poter dare vita a un esercito di suoi cloni.
- E il resto? - il suo tono di voce tradì nervosismo.
- Secondo i patti. Stasera, direttamente all'indirizzo che mi hai dato –
imperturbabile Yoko, si disse Ethan.
- Non sarò lì – non sono completamente idiota, pensò trattenendo una smorfia.
- Lo immaginavo. Non risponderò alle tue chiamate da terminali che non
conosco. Se vuoi i soldi, puoi averli dove vuoi. Ma devi dirmi dove.
Non fidandosi dei pagamenti telematici, Ethan pretendeva sempre contanti e
materiale in cambio delle sue prestazioni. Trasse di tasca una card telefonica
e la posò sull'unità di lettura del terminale, elegantemente camuffata nella
superficie della scrivania.
- Guarda se ti piace questo.
L'immagine di Yoko nello schermo olografico abbassò gli occhi pesantemente
cerchiati di trucco nero. Probabilmente stava controllando qualcosa sul suo
terminale.
- Cifrato... bene. È sufficiente – accompagnò le parole con un mugolio
soddisfatto.
- È stato un piacere – il tono di commiato di Yoko non lasciava dubbi. La
conversazione finiva lì.
- È sempre un piacere per me – un istante dopo interrompeva la comunicazione.
Afferrò nuovamente per i capelli la testa del cadavere ed espose il viso ai sensori
del terminale. Dopo qualche secondo in quella scomoda e faticosa posizione, fu
premiato da un segnale sonoro che decretava l'accesso ai file riservati di
Samila. Lasciò cadere il corpo morto sulla scrivania e la testa batté con un
rumore sinistro. Si frugò in una tasca dei pantaloni, da dove trasse una capace
card memoria. Appoggiò la memoria sul lettore del terminale e cominciò a copiare
tutto quello che gli capitava a tiro, svuotando man mano la memoria di massa. Meglio pensare alla vecchiaia, si disse.
Quando ebbe finito, spense il terminale e uscì lasciando tutto come si trovava:
le luci soffuse, la finestra polarizzata, Samila seminuda supina sulla propria
scrivania, morta.
Passò davanti alla scrivania vuota della segretaria, che credeva di lavorare davvero
per una agenzia pubblicitaria gestita da una elegantissima e raffinata
professionista. Le era stato opportunamente concesso un prolungamento delle ferie
affinché non dovesse essere involontaria testimone di un delitto. Gli sarebbe
spiaciuto dover eliminare anche lei, la bella Monique. Anzi, era decisamente
rammaricato di non poterla corteggiare, ora che si era liberato dell'ingombrante
e impegnativa Samila. Per ovvi motivi sarebbe stato meglio per lui non farsi
vedere mai più da quelle parti.
Mentre l'ascensore si tuffava verso i livelli più bassi di quel gigantesco edificio,
si lasciò cullare da oziosi pensieri. Sentiva un po' di appetito, avrebbe voluto
mangiare qualcosa. Avrebbe voluto anche soddisfare altri bisogni: i preliminari
con Samila, interrotti bruscamente, gli avevano lasciato addosso una certa
eccitazione che non sembrava volerlo abbandonare.
Ma dovette cambiare ascensore per prendere quello più grande e mescolarsi alla
folla, sebbene fosse necessario, lo indispettì al punto da fargli dimenticare
anche il desiderio di sesso. Gli uomini avevano ormai abbandonato la superficie
del pianeta da secoli, recidendo molti legami millenari. Ma uno di questi era
sopravvissuto, completamente avulso dal contesto d'origine. Il
Natale.
Non aveva più alcun senso: il calendario era fatto di giorni tutti uguali,
tranne il sabato e la domenica. Molte festività erano state dimenticate insieme
alle religioni. Non c'erano stagioni sulle stazioni orbitanti, quindi la neve e
i cappellini rossi orlati di finta pelliccia bianca erano privi di senso. Guardò
innervosito i bimbi che stringevano a sé colorati pacchi dono incartati con fogli
di plastica iridescente e decorati con nastri impreziositi da dozzinali ologrammi
con slitte, renne, pupazzi di neve con sciarpa e berretto. Quante idiozie, pensò
Ethan. Anche da bambino per lui non c'era mai stato Natale.
Per strada non andava meglio: fuori dai negozi si sprecava la gente vestita con
ridicoli costumi rossi e finti pancioni. Invitavano a gran voce a entrare per
le spese di Natale, proclamando sconti e promozioni speciali. Per colpa del Natale
Ethan, il giorno precedente, aveva pagato un prezzo assurdo per centoventi grammi di
bistecca di manzo. Di sintesi, ovviamente. Fortunatamente nessuno sembrava interessato
a lui; nessuno gli si avvicinava per fargli gli auguri e chiedergli l'elemosina;
nessuno cercava di regalargli card magiche che usate sul terminale avrebbero scaricato
a poco prezzo decorazioni natalizie per la rete domestica. Il Natale sembrava scivolare
come acqua attorno a Ethan come se egli fosse chiuso in una bolla di impermeabile,
oleoso cinismo.
Si recò al suo nuovo appartamento e, controllato che fosse tutto a posto e non ci
fossero brutte sorprese ad attenderlo, usò il badge per aprire la serratura.
- Buonasera, signor ospite. Sono le diciotto e quarantadue di martedì ventitré
dicem...
- Basta!
Il terminale tacque di colpo, zittito dal brusco comando vocale. Per un attimo
desiderò che quella voce femminile avesse un corpo. Invece era frutto di una semplice,
odiosa sintesi vocale.
Si lavò accuratamente, esaminando le ferite inferte da Samila con le sue
unghie. Quando ritenne che fosse il momento, infilò la card telefonica nel
terminale del microscopico appartamento e osservò girare il programma che vi
era contenuto. La card cifrava la comunicazione con un codice usa e getta: una
volta inserita nel lettore, quella chiamò Yoko per comunicarle il nuovo indirizzo
a cui recapitare il compenso per il contratto. Il tutto con una forte cifratura,
a prova di attacco telematico. E senza che lui muovesse un dito. Aveva sempre
usato quel metodo e non aveva mai fallito: nessuno oltre Yoko avrebbe mai saputo
dove lui si trovava.
Nell'attesa preparò la valigia: ovviamente, stare lì dopo la consegna non era
la cosa migliore da fare. Se Ethan era ancora vivo, tutti i suoi clienti felici
e tutte le sue vittime decedute lo doveva anche a un po' di sana paranoia. Quando
il terminale cicalò segnalandogli che c'era qualcuno alla porta, si infilò svelto
il suo cheongsam sul torace nudo e una piccola pistola a canna corta nella cintura
dei pantaloni. Andò a controllare lo schermo, diffidente anche se i tempi erano
giusti: non poteva essere altri che il corriere di Yoko. La telecamera del terminale
mostrava un idiota vestito da Babbo Natale con le mani ingombre di pacchi regalo.
- Non compro niente! - lo apostrofò duramente.
- Devo consegnare, da parte della signorina Yoko!
- Che idioti – Ethan comandò l'apertura della serratura, un ghigno sbieco dipinto
sul viso. Erano arrivati i suoi soldi, finalmente. Ogni volta che trasmetteva la sua
posizione a qualcuno per essere pagato, era assalito dal nervosismo. Non si calmava
fino al momento di rimettersi in viaggio, le tasche piene di soldi freschi.
- Permesso... - non si era ingannato: il timido corriere vestito da Babbo Natale
era una ragazza bruttina e lentigginosa. Piccina e magra, da sotto il berretto natalizio bordato
di finto pelo bianco le sfuggivano numerosi ciuffi ribelli di un rosso vivace ma
naturale. La giacchetta col cinturone nero sembrava fatta per una che fosse almeno
il doppio di lei ed era semplicemente ridicola. Come i pantaloni risvoltati perché
troppo lunghi che cadevano diseguali su brutte scarpe di gomma, sporche e
consumate. Una ragazzina che approfitta del fottuto Natale per racimolare qualche
soldo, si disse Ethan. Sorrise al pensiero che lavorava per le gemelle: pensò che
una volta finito con lui avrebbe forse consegnato della droga a qualche pusher della
zona... e tanti auguri di buone Feste.
- È questo – gli disse indicando il pacco regalo più in alto della pila che portava
in braccio. Lui lo afferrò e strappò senza grazia la pellicola olografica decorata
con i soliti motivi natalizi. Nella scatola c'era quanto pattuito: card da mille al
portatore. Denaro contante non tracciabile. Perfetto, si disse cominciando a
contarle. Dovevano essere cinquanta.
- E il resto? - chiese quando capì che le card c'erano tutte. Solitamente
parte del pagamento era dell'attrezzatura. Aveva chiesto una pistola calibro sei,
nuova e con il silenziatore. Era da un pezzo che non sparava a nessuno, ma l'arma
che aveva nella cintura aveva già fatto fuoco una volta e quindi era schedata dalla
polizia. L'avrebbe usata solo in caso di estrema emergenza, per salvarsi la vita. I
poliziotti non vedevano l'ora di poter mettere due omicidi in relazione tra loro e
quello era un regalo che non gli avrebbe fatto facilmente.
- Tannhauser sei millimetri, automatica, con due caricatori e silenziatore – declamò
in fretta la ragazza vestita da Babbo Natale, sorridente. Ethan scoprì che aveva dei
bellissimi occhi verdi.
- Sì, esatto – confermò lui.
- Eccola.
Babbo Natale senza perdere il sorriso lasciò cadere i pacchi che le ingombravano
le mani. Ethan si allarmò, ma troppo tardi. La Tannhauser lo guardò per un istante,
ferma nella mano della lentigginosa portatrice di doni.
I primi due colpi lo raggiunsero in pieno petto, fermandogli il cuore. L'uomo volò
all'indietro, cadendo scompostamente tra la parete e il letto. La ragazza travestita
lo raggiunse ed esplose altri tre colpi che lo raggiunsero tutti alla testa,
deturpandogli il viso.
- Buon Natale – disse infine quella gettando l'arma calda sul cadavere che cominciava
a sanguinare lentamente.
Uscì chiudendo la porta dietro di sé con calma e attenzione.