Serie TV > Il mondo di Patty
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Autore: Okimar    02/12/2009    5 recensioni
One shot tragica basata sulla morte di Patty.
Raccontata in prima persona da Matias.
Non ha retto, il suo povero cuoricino non ha retto.
Sentirsi dire quelle cose da Antonella, le ha spezzato il cuore.
Matias lascia Antonella. Le divine spariscono. Ines dice a Leandro che lei ha fatto in modo che lui e Carmen si lasciassero. La donna confessa che Patty è la figlia di Leandro.
Ma questo non riporterà Patty in vita.
Ormai è andata.
E' persa per sempre.
L'angioletto biondo, ora potrà far sorridere gli altri angeli, lassù in paradiso, e incantarli con la sua voce magica..
Genere: Triste, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Guido Leinez, Josefina Beltrán, Matias Beltràn, Nuovo Personaggio, Patricia Díaz Rivarola
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L'angioletto dalle trecce bionde e il sorriso argentato

La notizia si era ormai diffusa e tutti sapevano benissimo che cos'era successo in realtà, ma si guardavano bene dal dirlo. Mi guardai intorno tristemente, così come ormai facevo tutte le mattine, ostinato a volerla incontrare, a poter vedere quelle sue treccine andare in aria mentre correva di qua e di la per aiutare qualcuno. Sapevo che questo non sarebbe potuto succedere, mai più, ma la mia mente, nonostante riuscisse ad ammetterlo a parole, non riusciva ad ammetterlo a se stessa e il cuore mio era convinto che lei fosse ancora qui. La mia povera mente, tanto era ormai andata, che si inventava, senza che io me ne potessi rendere conto, scuse su scuse, riguardo il motivo per cui lei non era lì con noi. "Ma si, sicuramente Carmen non l'avrà svegliata", disse una volta. Ma anche di peggio, molto peggio. Perchè non riuscivo ad ammetterlo a me stesso? Patty non c'era più. Lo dicevo. Lo pensavo. Eppure non ci credevo, non riuscivo a crederci, che lei non potesse più riempire d'amore la nostra vita sorridendo e mostrando quel suo apparecchio luccicante. Più volte ormai avevo provato a fare esperimenti, ma erano tutti falliti, non c'era una ragione chiara perchè io non potessi accettare la sua scomparsa.
Sentii una voce, ma non mi girai, sapevo che non era la sua, e ormai erano l'unica cosa che volevo poter sentire. Non mi interessava più il sogno di andare a giocare nel Boca, quello vero, e sentire il coro delle tribune che gridava il mio nome, incitandomi a fare un altro goal. Se non c'era più la persona alla quale dedicarlo, a cosa mi serviva fare un goal? Mi stupii all'inizio di quanta importanza le avevo sempre attribuito, senza rendermene conto. Insomma, rinunciare a giocare a calcio, per la sua mancanza? Che cosa aveva poi di speciale? Tutto, ed era questo il problema. Per quale cavolo di motivo doveva essere così diversa da tutte le altre ragazze? Così buona... Così ingenua.. Così perfetta nei suoi modi di non esserlo a tutti i costi.
"Matias" fece una voce, probabilmente la stessa di prima. Mi costrinsi a volarmi e vidi mia sorella, la mia adorata Giusy, che mi guardava come solo lei sapeva fare. Quando sapemmo la notizia, fu l'unica che non tentò in alcun modo di confortarmi, facendomi sentire solamente peggio. L'unica a non pensare male, l'unica a comprendermi veramente. E di questo io le sarò grato per tutta la vita.
"Si?" le chiesi, sbattendo le palpebre, mentre lei si avvicinava di qualche passo. Più era vicina, più si notavano segni che forse non sarebbero mai andati via, segni che potevano solo farmi stare peggio, poiché ricordi indelebili di quel giorno. Ormai i suoi capelli erano cresciuti, aveva smesso di tagliarli, così come faceva di solito, ma nonostante conservasse quella sua bellezza che aveva fin dalla nascita, profonde rughe solcavano il suo viso.
"La pensi ancora?" mi chiese con voce naturale, tranquilla e pacata, voce che io non riuscivo ad usare, quando parlavo di lei. Annuii leggermente, con un cenno del capo. Certo che la penso ancora, non ho mai smesso di pensare a lei, non so perchè, ma non ci riesco. Eppure mamma e papà, nonostante mi manchino molto, li riesco a ricordare con il sorriso sulle labbra, ripensando ai momenti trascorsi con loro, alla testardaggine di mio padre, in continuo conflitto con me, per il calcio, il sogno che lui non poteva comprendere, ma che proprio grazie a lei ero riuscito a rendere realtà. E sono riuscito a dirle grazie, si, ma quanto valeva una parola uscita dalla mia bocca? Niente, anche se per lei valeva anche troppo.. Un giorno mi ero ripromesso, che sarei salito su una cima molto alta e avrei gridato GRAZIE per tutto quello che avevi fatto per me, anche e sopratutto quando non lo meritavo.
Mia sorella era ancora lì, ma pochi secondi dopo, e non c’era più, era sparita, era andata a casa, probabilmente dal suo Guido, mio caro amico d’infanzia con il quale non faceva altro che litigare in continuazione.. Ma si sa, il detto che l’amore non è bello se non è litigarello, aveva colpito anche loro due. Sorrisi pensando a loro, sorrisi ripensando al giorno del matrimonio di mia sorella con il ragazzo che era cresciuto con noi, con l’insicuro ma sicuro Grande Guido, ormai un uomo serio, ma sempre simpatico come una volta. Ero stato veramente felice quel giorno, era stato uno dei più belli della mia vita, poiché la mia sorellina aveva sofferto tanto, per vari motivi e meritava tutto l’amore possibile, che ovviamente io come fratello non potevo darle. Ripensando a loro, mi ricordai di un altra vicenda legata alla coppia “G” così come ormai avevo preso a chiamare da un po’, il giorno che era nato il mio primo nipotino. Ero diventato zio, non ci potevo credere! Era una sensazione indescrivibile, vedere quel bambino scalciare, buttarmi per aria la casa, fare storie perchè non voleva mangiare la sua pappetta.. era davvero fantastico, in tutta la sua ingenuità di un dolce bambino.. ma questo, non sul subito, ma qualche mese dopo, mi ricordò, inconsciamente, di lei, lei, perchè sempre si era comportata da bambina, ma come una bimba dolce, tenera, tanto ingenua, non come una lamentosa frignona, no mai, era una bambina fuori, ma dentro era grande, era più matura di tutti noi, ci aiutava sempre, così tanto altruista, buona.. perfetta, lei era solo perfetta.
Aiutandomi con le mani, feci un vano tentativo di mettermi seduto, sul quel maledetto lettino d’ospedale. Faceva male, ma non era niente paragonato al dolore della sua perdita. Al dolore di essermene accorto troppo tardi, di quanto in realtà le volessi bene. Fosse qui in questo momento, fosse vissuta tutti questi lunghi e tenebrosi anni, tristi e lugubri, che cosa mi direbbe, cosa farebbe? Sono certo che mi guarderebbe con quei suoi occhi nocciola scuro, attraverso i suoi occhialoni, sempre che non avesse provato a mettere le lenti a contatto, e mostrando ciò che credeva la facesse imbruttire, più di tutto, mi avrebbe detto “Matias, perchè sei così triste? Sai che non ne vale la pena. Non per me.” Così avresti detto, ne sono certo, non so il perchè, anzi, lo so, perchè tu hai sempre avuto una sbagliata concezione di ciò che eri in realtà, nonostante noi tutti te lo ripetessimo sempre, tu non ci credevi, e se per sbaglio commettevi l’errore di illudertene per un secondo, bastava una parolina di Antonella, e tutto tornava come prima.
Antonella. Questo nome mi fa male, un male tremendo, ma è un male egoista, perchè non è il suo nome che mi fa ricordare quella bellissima ragazza, dentro di se insicura, senza un padre, attrice ogni secondo della sua vita, con la grande passione del canto e della danza, no. Pensare ad Antonella, dopo la sua scomparsa, per me è equivalso a pensare alla causa, la vera e unica ragione se lei non era qui con me in questo momento. Ma io non la odio, nonostante questo, provo solo un misto di pena, ma non ho pensato male di lei, e sono stato felice di sapere che alla fine aveva deciso di vivere la sua intera vita con quel ragazzo che aveva usato solo per far ingelosire me, inizialmente, ma che amava davvero, forse più di quanto io abbia mai amato Antonella.
Il ricordo del giorno più brutto della mia vita è ancora vivo in me come se non fossero passati gli anni che invece sono trascorsi.

"Vuoi entrare a vederla?" mi chiese mia sorella tra le lacrime e lo sconvolgimento. Io annuii. Sì era la risposta a questa sua domanda. Perchè stavolta non c'era spazio né ai se, né ai però e tanto meno ai ma. Se non fossi entrato subito in quella stanza non avrei mai più avuto occasione di rivederla. Certo non sarebbe stata la stessa cosa che andare a trovarla a casa sua. Peggioriamo. In ospedale. Arriviamo al punto. Nell'obitorio che Leandro aveva affittato per fare in modo che almeno quel giorno lei fosse sola, non appena aveva scoperto, momento peggiore davvero non c'era, di essere il padre della ragazzina il cui decesso era appena stato proclamato. E tra lo sconvolgimento e la rabbia, solo una cosa ci legava tutti quanti lì dentro: un profondo dolore comune. Rimasi fuori ancora un po', nonostante tutto non potevo affermare che in quel momento ero così deciso e convinto dalle mie stesse parole da agire senza pensarci su troppe volte. La verità era una sola. Avevo paura. Una paura grandissima e mai provata. E anche inutile, se ci pensavo su bene. Perchè ormai la notizia era arrivata alle mie orecchie e sapevo che non si poteva più tornare indietro. Quindi cos'era a spaventarmi in modo così atroce? Io stesso. Le varie opzioni di reazione che avrei potuto avere non appena l'avrei vista. E man in mano che le scartai, tutte mi parvero sbagliate. Non c'era il modo giusto di reagire ad una cosa del genere. Ero e nonostante tutto sono ancora il suo migliore amico. Del quale lei era innamorata. E della quale io ero innamorato, ma senza sapere che era lei. E quando l'avevo saputo.. non c'era poi stato molto tempo per fare qualcosa. Mi feci coraggio. Dovevo farlo. Dovevo entrare. Posai la mano sul pomello della porta che ci separava. Fosse stato solo quello..! Pensai in quel momento mentre misi il primo piede all'interno. E via con il secondo. Non potevo farmi frenare dalle mie paure, visto che ormai ero dentro, così mi sforzai di aprire gli occhi. E fu in quel momento. Che la vidi. Ma ero certo che era la prima volta che la vedevo. Perchè per me non era più lei. Distesa come se stesse dormendo, con la testa su un cuscino bianco che le rialzava di poco il viso, indossava un vestito bianco, quelli tipici da feste mondane e in quel momento sentii la sua voce, tratta però da vari ricordi, che mi diceva "Matias, ti rendi conto di come mi hanno conciata? Uffa!" e mi venne da ridere, ma per fortuna riuscii a trattenermi. Ero certo che lei se era lassù che mi stava guardando, sarebbe stata d'accordo con il mio pensiero. E non avrebbe voluto che suo padre, anche se non sapeva ancora che fosse proprio Leandro, il suo grande amico che già comunque si comportava con lei sempre come se lo fosse, non sarebbe stata felice che lui sfrattasse altri suoi ora "simili" per lasciare tutto lo spazio esclusivo a lei. Non l'era mai piaciuto stare al centro dell'attenzione e secondo me nemmeno adesso cambierebbe opinione. Tornai a osservarla, tanto ormai avevo scoperto che non mi faceva affatto impressione. I suoi capelli biondi, sempre legati in trecce, per una volta avevano una diversa disposizione: erano legati in due code che lasciavano la parte inferiore libera e liscia. Depositati in modo armonioso sul suo corpicino ancora da bambina. Appunto. Era troppo giovane per morire. E poi per morire per una cosa così assurda!

In quel momento non ero ancora giunto alle conclusioni che invece ho adesso, quindi ero ancora molto, ma molto arrabbiato con la responsabile di tutto.

Aveva gli occhi chiusi. Naturalmente non mi stupii, non ce n'era ragione. Pareva veramente che dormisse. O meglio, vista da lontano avrei pensato che dormiva. Ma avvicinandomi anche di poco, vedendo quel volto cinereo e la pelle pallida come mai era stata, capivo benissimo che non stava affatto riposando, non solo momentaneamente. Ma non mi sembrava nemmeno che dormisse. Meglio. La mia impressione era quella di guardare una statua di cera che la rappresentava in modo raffinatissimo e molto dettagliato e accurato. Una sua perfetta copia, insomma, ma che non era mai stata viva. Per questo assurdo motivo non mi faceva così impressione guardarla. Stavo guardando un morto, in fondo. Ma per me non era già più lei e se pensavo alla ragione che mi convinceva di questo, mi sentivo ancora più ridicolo e sciocco. Ma non potevo fare a meno di credere che la sua anima se ne fosse già andata, avesse già abbandonato il suo corpo e quindi avesse lasciato a noi poveri esseri umani solo la sua scorza, per dirlo in modo più raffinato, le sue spoglie. Mi fece molta più impressione, anche se, se lo raccontassi mi darebbero dello svitato e forse in quel momento lo ero, leggere su quella targhetta dorata "Patricia Castro" e in seguito sotto la data di nascita, separata da un trattino dalla data di morte. E anche qui mi immaginai quello che avrebbe detto lei. "No, ma perché ha messo il nome intero? Mia mamma dovrebbe sapere che non voglio che mi chiamino così!" sorrisi, ma debolmente, così se qualcuno stesse entrando in quel momento, avrebbe pensato che lo facevo perchè ricordavo qualcosa del nostro passato insieme. Beh, più o meno era così. Uscii e chiusi per bene la porta. Tanto non mi stavo lasciando alle spalle lei. Mi bastava, dovunque mi fossi trovato nel mondo, alzare il capo e guardare lassù, sopratutto se era notte e c'erano stelle a ravvivare il cielo, per sentirla vicina. Perchè ne ero sicuro, lei era lì, che mi stava guardando, anzi, per non sembrare egocentrico o egoista, che ci stava guardando. Comunque non parlai mai di quello che provai e avevo sentito quel giorno, né con mia sorella stranamente, né certamente con nessun altro. Non volevo che la cosa si diffondesse, non sapevo nemmeno io il perché, volevo che restasse una cosa tra me e lei, un nostro segreto.
Poco tempo dopo quel giorno, ne arrivò un altro, quello del suo funerale. Mi ero vestito di nero. Mentre mi preparavo sentii una voce, la sua, che mi domandava "Matias perchè ti sei vestito di nero?" cosa che mi colpiva, perchè da sempre sapevo che per andare in luoghi dove si celebravano lutti o altre cose tristi, bisognava vestirsi di nero o colori scuri, lugubri insomma. E quindi mi sembrava strano, non più di tanto sentire la voce di una persona che non era più sulla terra, ma che lei non trovasse adeguato il mio abbigliamento. Poi di colpo fu come se lei me lo stesse spiegando in qualche strano modo. Vestirsi di nero non era simbolo di lutto. All'inizio era così, ma poi era diventata una di quella tradizioni che perdevano il loro senso iniziale. Una di quelle cose che nonostante non avessero utilità si continuavano a fare all'infinito. Nonostante questo rimasi vestito allo stesso modo, di nero, apposta per testare una teoria che ero sicuro fosse stata lei a suggerirmi. Se mi fossi vestito.. che so io.. di giallo o comunque di un colore chiaro o vivace, sono certo che avrei indovinato le reazioni di alcuni presenti, non posso dire di tutti. Le persone superficiali che lei non avrebbe voluto dentro di se se fosse stata qui, che venissero alla sua "cerimonia finale", avrebbero detto che io, che tutti sapevano essere il suo migliore amico, che a me non importava niente di lei, anzi, ben peggio, che addirittura era un affronto verso lei e alla sua famiglia che mi fossi vestito indossando colori vivi, come lei non era più. Insomma, stupidaggini, cavolate. Perchè cosa conta come ti vesti alla cerimonia funebre di una persona alla quale tenevi molto? Inventai un personaggio di fantasia che si fosse comportato molto, ma molto peggio di Antonella con lei quando era viva, che poi, però, al suo funerale andava vestito adeguatamente. Ma quello che contava di più, restava che io le avevo voluto bene e lei a me, e questo non cambiava indossando o meno le cose secondo la nostra società appropriate. Naturalmente non ero arrivato a questa conclusione da solo, diciamo che era stata lei a suggerirmela.. non so come.
Giunse il momento di parlare davanti a tutti. Ognuno disse la sua, mia sorella tra le lacrime che le bagnavano i capelli corvini e riccioluti, Tamara e Sol che continuavano a interrompersi a vicenda singhiozzando rumorosamente. I ragazzi, divini o popolari, unificati da una grande confusione mentale, le parole sembravano sparire davanti ai loro occhi. E toccò anche a me. Mi feci coraggio, perchè nonostante tutto, nonostante sapessi che dovevo dire, perchè ce l'avevo scritto nel cuore, inciso, per rendere meglio l'idea che avevo io, avevo ancora paura al pensiero che tutti avrebbero sentito quelle frasi, ma sopratutto, il maggior numero non l'avrebbero neanche capite.
"Patty è una persona fantastica. Ogni giorno trasmetteva a tutti, sopratutto a chi non lo meritava" guardai storto verso le divine. "il suo amore, per la vita e per tutto quanto, che ancora continuerà a trasmetterci. Perchè la sua anima è rimasta intatta, intatta nei nostri cuori, in quelli delle persone che l'hanno amata quando era qui con noi, e anche in quelli di chi la trattava male, perchè sappiamo che lei perdona tutti.." qui una mano si alzò, e la proprietaria mi domandò perchè continuassi a parlare di lei, al presente, come se.. ci fosse ancora. Sciocchi esseri, che però bisogna poterli perdonare, non hanno colpa a non volerlo capire, anch'io sarei tra di loro, se non avessi la perenne sua presenza accanto a me. Risposi semplicemente che il motivo l'avevo già detto, ripetei che la sua anima era ancora viva e poi conclusi il discorso scartando le solite frasi fatte.

Ma ancora non era giunto il momento peggiore. Non essendo suo parente non lo vissi io, ma sua madre e questa cosa comunque segnò la mia adolescenza, perenne bimbo che ero e sono.

La buca era già scavata. Tutti erano pronti. Leandro, quell'uomo così vitale e forte, non stava piangendo, ma ne si faceva forza, era un freddo cubo di ghiaccio, inutile per la sua fidanzata, per la madre di sua figlia. Mentre Carmen nonostante tutti i pronostici che avevano certamente fatto quelle pettegole delle amiche di mia madre, detto con molta dolcezza, si stava comportando da donna forte e allo stesso tempo ferita dalla cosa, e toccò a lei entrare mentre avrebbero chiuso la tomba mettendo delle viti che sarebbero state avvitate da un semplice trapano. Atto finale. Era finita per sempre. In quel momento, le dicemmo tutti addio. La bara venne calata nella buca e subito cominciarono a riempirla di terra. Vita a morte, terra a terra. Da lì in poi, per chi non contava più di tanto, il pensiero di Patty sarebbe stato modificato. Perchè si sa, non appena sparisci, diventi subito buonissimo, anche se hai ucciso magari tuo figlio, magicamente compari intelligente e bello, pieno di pregi e lindo di difetti. Giunsi alla conclusione che alla gente piace davvero molto parlare dietro alle spalle.

"Ahi!" gemetti più di una volta. Me ne rendevo conto benissimo anche da solo, che stavo per andarmene anch'io, per intraprendere quel viaggio verso la luce. Ma non volevo che succedesse in un ospedale. Volevo essere a casa mia, nella mia amata casetta. Sporsi una mano dalla pelle raggrinzita verso il comodino e riuscii ad afferrare il mio cellulare. Trovai il numero che cercavo nella rubrica. "Pronto?" era la voce di uomo. "Ciao Guido.." dissi io.
"Matias.. è successo qualcosa?" il mio vecchio amico aveva intuito tutto.. "Sì.. penso che sia arrivato.. quel momento.." il marito di mia sorella comprese subito.
"Certo.. so già che cosa devo fare.." la chiamata si concluse senza nemmeno un saluto. Un'ora dopo mia sorella Giusy era di nuovo nella mia stanza, insieme a un giovane che devo dire era più un misto tra me e Guido, che tra lei e lui. Guido arrivò poco dopo loro. Sorrisi a tutti e tre. Alla mia famiglia.
"Vi voglio bene.." dissi. "Veramente.." mia sorella era in lacrime. Io pensai alla Patty. "Non ne vale la pena.. non piangere per me, Giusy..". Lei si fece più vicina.
"Non posso crederci, fratellino.. chi mi rimprovererà se non ci sarai più tu?" guardai verso Guido.
"Penso che lui sarà un ottimo sostituto.. tranquilla.. non devi essere triste.. sapevamo che sarebbe successo.." quante frasi complicate e anche sciocche che stavo dicendo. La donna corvina annuì e il liscio l'allontanò da me. L'unico dei tre che era restato zitto, si avvicinò al mio letto.
"Zio.." cominciò a dire.
"Piccola peste.." risposi io subito con affetto. "Come va?" lo chiesi io a lui e non il contrario. Bizzarra la vita. Lui alzò le spalle.
"Come deve andare.." rispose quindi. Degna parte del mio sangue. Qualcosa in comune l'avevamo. "Tu resterai con noi.. anche quando non ci sarai, vero?" mi domandò poi con voce triste. Io annuii.
"Ma certo.. ti ricordi.. quando ti ho parlato.. di Patty?" gli domandai a bassa voce. Tanti nostri piccoli segreti, tra poco io non potrò più aprir bocca su questo, anche se non l'ho mai comunque fatto e mai lo farei. Mio nipote annuì. "Lei è sempre stata presente, anche adesso, e io lo sarò per te, per tua madre e tuo padre.. basterà che guardi in alto nel cielo, o anche solo che ti posi una mano sul cuore, io sarò sempre con chi mi vorrà, ma sopratutto con te.." il ragazzino mi fece un sorriso.
"Va bene, zio.. un giorno, mi piacerebbe vedere una foto della tua Patty.. me ne hai parlato così tanto.. da come la descrivi dev'essere stata una ragazza bellissima.." lo interruppi.
"E' vero, lo era, ma a modo suo, e sopratutto, la cosa più importante, che ti ho anche detto un sacco di volte, è che era una brava persona, questo conta di più, ricordatelo sempre.." tossii.
"Sì. Non lo dimenticherò mai.." furono le ultime parole che udii come essere umano terreno. Poi l'immagine di mia sorella, di Guido e del mio nipotino, si offuscò lentamente e alla fine sparì del tutto. Sentii una voce. Chiara e nitida. Non reale, ma esistente nella realtà in cui mi trovavo.
"Matias.. forse ti sorprenderà che proprio io sia venuta a prenderti.." Patty era in piedi davanti a me. Mi guardai. Vidi braccia giovani e gambe altrettanto in forma. Lei fece uno dei suoi bellissimi sorrisi argentei e io mi ci vidi riflesso. Non ci potevo credere: avevo di nuovo quindici anni.
"Ma.. Patty.. è incredibile.. è impossibile.. è.." Patty trovò il modo di farmi tacere. La vidi avvicinarsi sempre di più a me, fino a che mi si chiusero gli occhi, ma nonostante questo, compresi che lei aveva posato le sue labbra sulla mia bocca. Non so quanto rimase su di me, fatto stava che non mi era dispiaciuto. Avevo provato una sensazione stranissima. Senza sentire che lei si separava da me, la rividi interamente. Senza fiato, riuscii a chiederle "Ma perchè mi hai dato questo bacio?" lei non smise di sorridere.
"Io so il motivo che mi ha spinto a farlo. Ma perchè non provi piuttosto a domandarlo a te stesso?" che maledetta domanda, quella che aveva posto. Sapevo dove voleva arrivare.
"Beh.. perchè sei innamorata di me.. me l'hai detto tu." Patty non annuì. La osservai con più attenzione. Indossava un unico vestito bianco, bianchissimo, in fondo era il colore della purezza e non c'era niente di più puro e sincero al mondo, di lei. I suoi capelli biondi erano raccolti in due trecce come sempre, ma quello che li tratteneva erano due lembi di stoffa azzurro chiaro, la cui parte inferiore le sfiorava una delle due spalle. Non aveva sul naso e davanti agli occhi nocciola scuro, i suoi occhialoni neri giganti.
"E' ora di andare, Matias.." disse poi lei. Quanto tempo ero rimasto a fissarla? Mah, chi poteva dirlo.
"No.. aspetta..! Dimmi perchè mi hai baciato.." lei non mi rispose. Ora che ero tornato uno spirito giovane mi alzai in piedi facilmente e la raggiunsi ancora più in fretta. "Patty. Voglio che tu mi dica la verità, come sempre hai fatto.." ancora non disse niente, ma io le presi il viso fra le mani e la costrinsi a guardarmi dritto negli occhi.
"Io.. non so se posso dirtelo.." con una mano lasciai andare il suo viso e la presi per la vita.
"Non è che puoi.. tu devi dirmelo." non le lasciai alcuna opzione. Lei annui sconfitta.
"Questo era il bacio della pace eterna. Si dice che la persona che più di tutti ti ama o ti ha amato quando eri in vita, e quando anche lei, nel mio caso, era in vita, debba darlo alla persona che ama.. è un casino, lo so, ma è tradizione qui.. adesso.. fai parte di quest'altro mondo.. e io.. posso anche salutarti.." dopo la spiegazione il suo visetto si incupì e intristì, ci mancava solo che si mettesse a piangere. Io non ce la feci più.
"Ma.. io non voglio.. salutarti.. avevo capito che eri venuta per quel motivo, ma questo non significa che ci dobbiamo separare ancora..." lei annuì ad occhi chiusi allontanandosi da me.
"Sì invece.. perchè tu.. tu non mi ami." mai nessuna frase mi aveva ferito più di quella che mi aveva appena detto Patty. Allungai le mani verso di lei e riuscii ad afferrarla e riportarla vicino a me.
"Come fai a dirlo?" le chiesi.
"Lo so e basta. Ora io.. devo tornare a vigilare.. su mia madre.. mentre mio padre lo sta facendo con mio fratello.." si stava allontanando di nuovo, verso il nulla e verso il tutto.
"Ok. Ma sappi che ti sbagli. Perchè ora, finalmente ora, ho capito che ti amavo. E che ti amerò per sempre. L'ho capito quando mi hai baciato." era vero quello che le stavo dicendo. Per tutti questi anni l'avevo tenuto nascosto, ma non potevo farlo per sempre. E ora che mi trovavo nel per sempre, mi ero trovato costretto ad ammetterlo. A me stesso e a lei. Patty cominciò a piangere.
"Sapevo che.. se ti avessi baciato.. e se tu avessi provato qualcosa, ma l'avessi sempre coperto a tutti e a te stesso.. allora non avresti più resistito e avresti confessato.. ma non ci speravo più di tanto.." io l'abbracciai. "Non possiamo più comunque né abbracciarci, né tantomeno baciarci.." aggiunse lei. Mi separai.
"Perchè?" chiesi come un piccolo innamoratino alla sua fidanzatina che l'aveva appena lasciato.
"Perchè.. sono cose comunque materiali.. lussuriose.. e non sono permesse, qui.. qui si può solo amare.. amare in modo spirituale.. e essere amati.." le sorrisi.
"Va bene.. sento già comunque una forte sensazione di amore.. senza bisogno di baciarti, ne altro.." divenni aria. Spirito. Parte di quel grande amore comune. Anche lei perse le sue finte spoglie umane unendosi a me e tornando a essere quello che era diventata. "Sei un angelo.. l'angioletto dalle trecce bionde.. e il sorriso argentato.." non potevo vedere il suo sorriso, ma lo sentii in me.
"E tu.. ora sei diventato... l'angelo dai piedi d'oro.." le ricambiai la sensazione. "E il tuo compito.. sarà proteggere costantemente tuo nipote.. lungo la via della sua vita.." fui subito d'accordo.
"Certamente. Gli ho detto che gli sarei stato vicino. Specialmente a lui."

E' mancato questa notte l'anziano Matias Beltran, ex giocatore del Boca, squadra natale di quando era giovane, passato poi al Barcellona e quindi l'ultima squadra di cui aveva fatto parte era stato il Milan, in Italia. Annunciano la sua morte la sorella scrittrice Josefina, il cognato Guido e il nipote.

Era solo un pezzo di carta. Ma quello che mio zio mi aveva insegnato, quello non l'avrei mai dimenticato. Ed era ciò che contava veramente in questa vita. Perchè essa assume valore, solo quando diventa precaria.

Spazio autrice:

lo so, questa fan fiction è diversa da tutte le mie altre.. ma l'ispirazione è presa dalla realtà.. ovvero le cose che pensa Matias, le ho pensate prima io.. lo so, devo essere matta probabilmente.. xD.. ma non è colpa mia.. se vi è piaciuta almeno un po', commentate questa storia.. perchè per me conta molto..
p.s. sono state le mie amiche a convincermi a pubblicarla.. fosse per me neanche tra un millennio avrei trovato il coraggio! già, sono peggio di Patty in fatto di insicurezza! XD
Angy
  
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