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Autore: cartacciabianca    04/12/2009    8 recensioni
Spoiler II libro.
"Il cavaliere inglese spogliò Brianna fino al punto consentitogli dalla decenza e poi se la sistemò in grembo, sedendosi in modo da appoggiarsi con il dorso alla parete della stiva e tenere la giovane contro il petto. Raccolse la coperta intorno a tutti e due e cinse la giovane con le braccia per scaldarla con il calore del suo corpo..."
Se Brianna avesse riaperto gli occhi quella notte e si fosse trovata a pochi respiri il viso dell'uomo che l'aveva accolta tra le sue braccia con premura, stiamo certi che una come lei non avrebbe mai tenuto le mani a posto. Quando il gelido tocco di due dita lo strappano al mondo dei sogni, Martewall si rifugia in un luogo cento volte meglio...
[Personaggi: Brianna x Geoffrey Martewall]
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if?, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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In somoniis, in Vitrio, Res sine Causa
“In sogno, nel vetro, un segreto senza motivo”

“Ian e Beau riscesero dal ponte della nave sino nella stiva, e lì sorpresero Ned Stone a ripulirsi le mani nella ciotola dell’acqua, dopo aver terminato il suo lavoro. Il capitano si asciugò in uno straccio infilato in cintura. -Non sanguina più- annunciò ai due appena arrivati. -Adesso, se non arriva la febbre, dovete solo tenerla al caldo fino a destinazione-.
-Non possiamo accendere un fuoco qui…- obbiettò Coda di volpe con un filo di voce.
-Ci penso io. È il minimo che possa fare per lei- intervenne Martewall e appoggiò lì accanto la coperta tenuta sulle spalle nude per chinarsi su Brianna e slacciarle i vestiti ancora fradici. Nel farlo alzò gli occhi su Coda di volpe. -Giuro su ciò che mi è più sacro che non intendo mancare di rispetto a tua madre- gli disse, serissimo.
Il ragazzo annuì, con un nodo in gola.
Il cavaliere inglese spogliò Brianna fino al punto consentitogli dalla decenza e poi se la sistemò in grembo, sedendosi in modo da appoggiarsi con il dorso alla parete della stiva e tenere la giovane contro il petto. Raccolse la coperta intorno a tutti e due e cinse la giovane con le braccia per scaldarla con il calore del suo corpo.


.:* Brianna *:.

Sul confine tra il sogno e la realtà, tra l’illusione e l’inganno, tra la speranza e la morte… Davanti all’oblio infinito delle mie palpebre abbassate, rivedevo le immagini del viaggio al quale avevo preso parte volutamente e con coraggio. Il mio solito coraggio sfacciato del quale non mi ero mai pentita, del quale non mi ero mai destata. Solo adesso, rileggendo quei ricordi come fossero scritti su carta, mi accorgevo del pericolo che avevo corso, della madre che avrei potuto strappare via al mio unico figlio, Beau…
Rivedevo il suo viso, il suo stupore, il suo terrore nel guardarmi sanguinare quando quella freccia di balestra mi aveva colpita. Era un dolore immenso cogliere e ricogliere mille volte la sfumatura dei suoi occhi verdi dissolversi nella paura di una vita che si spezzava: la mia.
Quel dipinto di sconforto fatto a mio figlio era l’ultima di una lunga ma intensa serie di piccoli quadri: il carretto, la nostra famigliola felice, il mercato…
Le guardie, il sangue, le grida, la fuga… e infine, quel mio gesto di madre che rubava al fato la vita del proprio figlio.
Quando avevo creduto di star precipitando nell’abisso, trafitta da un dolore che mi aveva mozzato il fiato senza pietà, guardavo allontanarsi la figura del soldato che aveva osato puntarmi. Ad arrestare la mia caduta, la mia improvvisa debolezza di gambe, era stato Jean: e mentre lui mi sorreggeva senza fatica, qualcuno aveva gridato, qualcuno aveva trattenuto le lacrime, ma insieme abbiamo lasciato quel luogo.
Era proprio lì, in sella ad un cavallo in corsa tra le urla e sibili di mille altre frecce, che i miei ricordi s’interrompevano piombando nell’oscurità.
Ora capisco: sono morta, ne sono certa. È questa la pena che l’uomo paga per i suoi misfatti e le sue insidie: ripercorriamo il cammino delle nostre ultime ore, all’infinito, per sempre, affinché il dolore non si consumi mai, e quegl’attimi possano durare in eterno rammentandoci di che pasta eravamo, e di quale ne siamo morti.
Ora toccava a me pagare i miei errori, rivedendo il volto di mio figlio frantumarsi dal terrore per la scena alla quale aveva assistito.
Avrei voluto essergli stata più vicino, averlo potuto consolare ancora una volta, stringergli la mano e carezzargli il viso riconoscendo in lui ogni aspetto di suo padre… poiché mi fosse sempre bastato osservare Beau perché ne sentissi come un peso la mancanza, e ne riconoscessi il bisogno.
Alla fine ero stata costretta ad abbandonare anche l’ultima prova in terra della mia esistenza. Il mio più grande torto era stato l’abbandono. Un simile atto non me lo sarei mai perdonata, neppure nell’eternità della vita oltre la morte.
E di fatti, com’era scritto che accadesse, tale atto non meritava di essere perdonato, ma accolto e, forse…
Rifiutato…

.:° Geoffrey °:.

Mi risvegliai dal sonno accorgendomi mio malgrado di aver ceduto a quella futile necessità: mi ero promesso che, pur badando a Brianna, sarei riuscito a stare il più vigile possibile! Ma alla fine avevo ceduto come ogni altro uomo, con un simile accogliente calore vicino, avrebbe fatto.
La barca scivolava sulle acque dell’oceano permettendo al ritmo dei suoi dondolii di cullarmi in un sonno poco tranquillo. Ogni tanto udivo qualche zampettare di un topolino, oppure un nuovo sussulto del legno o sussurro del vento che gonfiava a sorpresa le vele spiegate. Le sentivo rumoreggiare quietamente, nella notte, accompagnate dal dolce ondeggiare della barca e dal canto di alcuni gabbiani che sorvolavano l’oceano. Dal ponte provenivano i passi quieti dei marinai responsabili della barca almeno quanto il capito, del quale avevo perso la vista da ore.
D’un tratto, una corrente fredda invase come un turbine la stiva, giungendomi sino in viso e facendomi rabbrividire. Istintivamente schiusi gli occhi, che in breve si abituarono alla poca luce della stiva. Intanto il vento non smetteva di sibilare attraverso l’ingresso in alto, dal quale pendeva la scala d’accesso per il magazzino.
Era da lì che veniva quel vento sprovveduto e malizioso, il quale aveva sollevato un lembo della coperta che copriva me, ma anche il grazioso e debole corpo di Brianna. Serrando i denti ed irrigidendomi appena, maledissi l’uomo che si era permesso una tale dimenticanza: il Conte Jean Marc de Ponthieu, ultimo ad aver lasciato la stiva salendo la scala senza richiudere lo sportello che divideva quel locale dal ponte della nave.
Quando cercai di reprimere tali sentimenti di inutile astio, tornai a fissare il vuoto dinnanzi a me, tenendo sempre saldo al mio petto, ma con delicatezza, il corpo di Brianna. Mi accorsi che una spalla della ragazza era rimasta scoperta, e il primo impulso fu quello che assecondai: la ricoprii e successivamente mi accertai che il suo corpo aderisse meglio al mio, così da trarne tutto il calore necessario ad evitare la febbre.
La giovane era rigida come un legno e fredda come il marmo. Eppure avvertivo con sollievo il suo respiro lento e spezzato scaldarmi un punto impreciso attorno alla clavicola, mentre la morbidezza delle sue labbra mi sfiorava il collo. Per un attimo temetti che la mia barba lasciata sfatta da troppo tempo avrebbe potuto infastidirla, così lasciai ricadere la testa leggermente all’indietro permettendo alla fronte della donna di posarsi sulla mia spalla, invece che altrove.
Richiusi gli occhi lentamente, senza prima però mancare di un’occhiata alla piccola figura di Coda di volpe, steso sul pagliericcio poco distante da me.
Mi lasciai sfuggire un sorriso nell’accorgermi ancora una volta della sua presenza accanto alla madre per la quale ci sarebbe sempre stato. Il ragazzo stava traversando il dolore peggio di tutti, sulla nave. L’unico componente della famiglia che gli restava aveva rischiato la vita per salvare la sua. Beau era però consapevole che sua madre ce l’avrebbe fatta, che Brianna avrebbe vissuto ancora al suo fianco per vederlo crescere sano e forte come il cavaliere che avrebbe voluto diventare. Perciò non c’era motivo per cui disperarsi troppo.
Ned Stone, oltre ad essere un gran marinaio e condottiero di cui mi fidavo ciecamente, si era rivelato un medico tutt’altro che apprendista.
Fu con quel sorriso sulle labbra e il vento leggermente attenuato che ricaddi in sonno, ma questa volta in una dimensione del tutto diversa del risposo: una realtà nella quale, mentre carezzavo con una mano il fianco nudo di Brianna nascosto sotto le coperte, non avrei mai desiderato perdermi.

.:* Brianna *:.

Come una melodia di sottofondo all’oscurità nella quale vedevo perdersi la mia coscienza, mi giunse alle orecchie il dolce mormorio delle onde. Poi, lentamente, mille altri suoni di simile intensità mi avvolsero nella propria natura. Nel proprio silenzio.
Udii lo scricchiolio del legno che mi proteggeva dalle intemperie esterne sottoforma di quattro pareti. Dunque si trattava di un luogo chiuso, quello in cui mi trovavo, e di conseguenza mi accorsi del pungente profumo di salsedine che mi invase i polmoni. Il sale, depositato sul legno delle pareti di quell’angusto luogo che, anche ad occhi chiusi, riconobbi come la calda stiva di una nave, produceva un sapore inconfondibile pungente sulla lingua.
Tutto ciò era soffuso, distante, coperto da un velo che ovattava le mie percezioni costringendole a quel poco di essenziale di cui potevano accorgersi.
I sensi riaffiorarono poco alla volta, lentamente: avvertivo il dolore al fianco attenuarsi, ma il ricordo della sofferenza trascorsa solo poche ore prima riemerse strappandomi un sussulto là dove ero stata ferita.
Era notte fonda: in cielo c’erano le stelle, il canto di alcuni gabbiani era sospinto sino a me da una corrente invernale proveniente dall’alto, ma comunque dall’esterno.
Tra un accorgimento e l’altro del mondo attorno a me che prendeva forma poco a poco, mi sentivo intorpidita dal freddo che dimezzava le mie capacità di ripresa. Il luogo, il tempo nel quale stavo fuggendo alla morte, era la vita.
Ormai mi ero capacitata di quella convinzione, della certezza che ogni mio peccato si fosse assolto nella vanità delle mie torture mentali sull’esistenza, quand’invece, quello per cui valeva la pena lottare, non avrei mai voluto abbandonarlo.
Mai.
Beau…
Nel frattempo, però, prendevo coscienza del mio corpo e della posa raggomitolata che esso si era permesso. Solo allora mi accorsi della calda ma grezza coperta che mi copriva le spalle. Eppure, il calore che percepivo diffondersi tutt’intorno, era dovuto alle due braccia che fungevano da riparo alla mia esile figura adagiata, imbacuccata, contro il solido petto d’un uomo.
Non avevo ricordi delle ultime ore, e questo mi rendeva ancora più scettica del come fossi finita raggomitolata sul corpo caldo e solido di un uomo. La ferita al fianco pulsava, come a volermi rammentare di chi potessi mai essere in compagnia.
In un istante il mio pensiero volò a monsieur Jean.
L’imponenza della sua figura si materializzò dinnanzi ai miei occhi socchiusi nella penombra della stiva. Cercai però di sfuggire alle malizie che presero piede nella mia testa in quel momento, rammentando il rispetto che dovevo nei suoi e nei confronti della sua dama che lo attendeva in patria, oltre la Manica.
Al suo posto non poteva esserci altri se non il barone di Dunchester.
Inarcai leggermente la schiena cercando una posizione più comoda contro i muscoli scolpiti dell’uomo che mi cingeva le spalle. Quel mio spostamento non provocò alcun fastidio a sir Geoffrey, il quale ringraziavo mentalmente col cuore per tanta premura mentre ne ascoltavo i battiti del cuore e il respiro regolare.
La stanchezza però ebbe nuovamente il sopravvento, prima che un nuovo pensiero potesse impadronirsi della mia coscienza.

Poco più tardi…

Ero viva.
Sì, ce l’ho fatta… ho sconfitto la morte, per Beau…
Voltando leggermente il capo e schiudendo un po’ gli occhi mi accorsi dell’esile figura d’un giovanotto nascosta sotto una coperta e stesa su un pagliericcio poco distante da noi.
Ripetei il suo nome: Beau…
Come un gattino nascondeva le mani sotto al collo per tenerle calde. Le ginocchia strette al petto, una guancia premuta sul pagliericcio si era leggermente arrossata. Teneva gli occhi chiusi, respirava con regolarità, me ne accorsi dalla nuvoletta di condensa che risaliva dal suo musetto lentigginoso, e dormiva.
Dormiva come un Angelo, con la fronte coperta da alcune ciocche dei suoi capelli rossicci. La distanza che ci divideva mi parve troppa, inaccettabile.
Beau…! Ripetei tra me e me schiudendo le labbra dopo tanto silenzio.
Davanti al viso avevo l’ostacolo dei miei boccoli rossi che si erano arruffati per via dell’umidità. Sollevare le palpebre era uno sforzo enorme, il respiro tornò a farsi interrotto da alcuni sussulti di dolore al fianco che riprese a pulsare non appena, per desiderio di avvicinarmi a mio figlio, protesi una mano nella sua direzione.
Il freddo mi al braccio come fosse il puntaspilli preferito di un sarto. La pelle d’oca non tardò ad arrivare.
-Beau…- quella volta la voce nella mia testa risalì sino alla gola, e ne produsse un suono stemperato dal dolore e reso solo un sussurro.
Quando la sensazione di congelare divenne intollerabile fui costretta a richiamare il braccio sotto le coperte, ma non appena lo feci, la mia mano infreddolita si posò inaspettatamente su un punto sensibile del petto di sir Geoffrey.
L’uomo si lasciò sfuggire un leggerissimo gemito dalle labbra quando le mie dita gelide andarono a turbare il torpore del suo corpo.
Mi maledissi almeno un centinaio di volte prima di trovare il coraggio per sollevare un poco la testa e constatare coi miei occhi se l’avessi effettivamente svegliato oppure no.
Fortunatamente sir Geoffrey pareva dormire più profondamente di mio figlio. Solo allora mi accorsi della vicinanza dei nostri volti a tal punto che percepivo il suo respiro solleticarmi la fronte riscaldandomi la punta del naso. Allo stesso tempo, però, feci caso al suo braccio solido stretto attorno alla mia vita, sotto la coperta, e al modo parsimonioso che avevano le sue dita di carezzarmi il fianco. Il suo era un gesto del tutto dettato dal sonno nel quale era caduto prigioniero. Si era addormentato continuando a sfiorare con lentezza la mia pelle senza rendersene probabilmente conto. Ciò non m’infastidiva, ma mi turbò piuttosto il pensiero che in un dormiveglia così leggero si fosse potuto accorgere di altro.
Ma la verità era che io… avrei proprio voluto se ne accorgesse.
Aprendo il palmo e poggiandolo nuovamente sul suo petto, ottenni l’effetto desiderato, procurandogli un nuovo brivido di freddo. Questa volta però, il cavaliere mugugnò qualche parola il cui significato tenne stretto per sé.
Non seppi perché o cosa mi avesse spinto a farlo, forse la debolezza mentale della febbre che andava annidarsi nel mio organismo, ma ben presto mi ritrovai a lambire ogni centimetro del suo petto nudo con le dita, carezzandolo lentamente e riuscendo a riconoscere i suoi punti più sensibili per via dei brividi che riuscivo a fargli salire la schiena.
Il mio volto vicinissimo al suo, il calore suadente dei suoi muscoli e la sola idea che un uomo così bello avesse accettato con tanta premura di tenermi con sé, nella debolezza dei sensi e del genio, feci per avvicinarmi ancora a lui, fin quando le mie labbra non arrivarono a sfiorare un angolo della sua bocca.
Grazie avrei voluto dirgli, ma le parole mi morirono in gola.
Si Geoffrey Martewall inclinò la testa da un lato e, senza mai aprire gli occhi, mi rubò un bacio nell’oscurità e nel silenzio della stiva.
La morbidezza delle sue labbra immobili mi accolse con dolcezza, mentre potevo accorgermi del battere leggermente accelerato del suo cuore. Un’ondata di calore tutta nuova mi avvolse, e assieme a quello la corrente portò con sé un fiume in piena di emozioni contrastanti attenuate da un manto di nebbia, da un vetro qual era l’incoscienza del sonno.
Ma come capita spesso in alcuni sogni, cominciavo a desiderare che questo non finisse mai, che il tempo si fermasse e mi restituisse gli anni di solitudine e abbandono che avevo vissuto in Inghilterra dopo la morte di Mathieu.
Quel primo impatto fu la chiave che spalancò tutte le porte all’incoscienza.
Un movimento troppo frettoloso del bacino mi costrinse ad una nuova fitta di dolore che quasi mi piegò in due. Il fianco fasciato mandò una scossa che mi rubò un gemito, costringendomi ad allontanare il volto da quello dell’uomo. Serrai la mascella cercando di riacquistare un briciolo di lucidità e tornai a poggiare la fronte sulla spalla del cavaliere.
Tutto mi era apparso sottoforma di un sogno, e tutto con tale forma avrei rammentato al mio risveglio.
Entrambi prigionieri l’uno del calore dell’altra, chi per la stanchezza e chi per debolezza fisica, crollammo nuovamente nel sonno, desiderando il riposo e dimenticando il peccato.



















Angolo d’Autrice
Salve ^^ Il mio nikname è Elika95 ma potete chiamarmi comodamente Irene.
Hyperversum è un libro che meriterebbe davvero di finire sul grande schermo. La sua trama mi ha appassionata sin dalle prime righe, e innamorarsi dei personaggi creati dalla mitica Cecilia è quasi del tutto impossibile per chi soffre di questa sindrome da fan fiction! XD
Premetto che non ho ancora finito di leggere il secondo libro della trilogia, perciò non so in che modo si concluderanno le vicende tra Brianna, Ian, Geoffrey e Coda di volpe; piuttosto ho voluto “giocare” con questi due fascinosi personaggi (Brianna e Geoffrey) ipotizzando alcuni fatti narrati da lei/lui accaduti durante quella notte in cui Brianna, ferita a morte da un colpo di balestra, veniva riscaldata dal baldo Martewall pur di evitare la febbre.
Con ciò chiudo questa breve premessa augurandomi che questa non sia la mia ultima fan fiction su questo splendido romanzo che mi ha letteralmente “presa in ostaggio”.
Ringrazio tutti coloro che hanno dato una sbirciatina al testo, fatemi sapere presto cosa ne pensate! ^^

   
 
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