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Autore: Anthy    12/12/2009    11 recensioni
Dicono che il suono del violoncello sia quanto di più vicino alla voce umana.
Dicono che la sua forma è simile al corpo di una donna, armoniosa e morbida. Elegante.
Dicono che per suonarlo ci vogliono mani abili.
Ma questo Sophie non lo sa... Fino a che nella sua vita non entra un violoncellista dall'aria tenebrosa e tormentata. Solitario.
O forse... E' lei che è entrata nella sua vita?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cello3
LE FANTAISIE DU VIOLONCELLE








<< Il narcisismo dell'altro esercita una forte attrazione
su colui che ha rinunciato a una parte
del proprio e va in cerca di un oggetto d'amore>>
Sigmund Freud



Non amare il proprio carattere, o almeno una parte di esso, a mio avviso poteva considerarsi una cosa naturale. Avevo il massimo rispetto di coloro che non trovavano neppure una pecca nella loro personalità.
Ma consideravo più normale chi aveva almeno una cosa che avrebbe voluto cambiare in sé.
Io? Oh, io avrei cambiato molte cose.
Non esiste niente di peggio che essere imprigionati in un carattere che non è il proprio, essere costretti a comportarsi con gli altri in un modo che si giudica estraneo ma l'unico conosciuto per rapportarsi.
La consapevolezza di non poter essere sé stessi, di non riuscire ad essere sé stessi a volte risulta opprimente.
Queste erano sempre state le mie opinioni. Purtroppo – ahimè – si rafforzarono con l'incontro di questo alquanto scostante violoncellista.
E mai come ora desidererei mostrare una sicurezza che non mi appartiene...


Chapitre 3 – Cognac

Croissant de Lune, 23.45 pm

Desiderava un Cognac. Un Remy Martell, per l'esattezza.
Uhm.
Si presupponeva che io dovessi prepararglielo. Soprattutto, che io fossi in grado di versarlo.
Ma in quel momento non riuscivo a staccare gli occhi dal suo volto; ora che era vicino, potevo notare un leggero accenno di barba, che aumentava il lato studiatamente trascurato che mostrava di sé.
I capelli mi attraevano pericolosamente: sembravano così morbidi e setosi, seta nera fatta solo per essere toccata.
E gli occhi... Mon dieu erano così neri e mi stavano fissando.
Un momento.
Oh, accidenti!

<< O-oui. Glielo preparo subito.>> distolsi velocemente lo sguardo, voltandomi alla ricerca di una bottiglia che sapevo già dov'era posizionata.
Ma avevo bisogno di prendere tempo.
Avevo fatto una figura misera. Farsi beccare a fissare un proprio cliente non poteva considerarsi un comportamento professionale. No di certo. Non potevo permettere alla mia testa di vaneggiare in quel modo, dovevo mostrarmi ligia e composta. Dovevo tentare perlomeno.
Afferrai la bottiglia richiesta. Il cognac è un acquavite francese che richiede di essere versata nei ballon di piccola forma: cercai il suddetto bicchiere, tentando di mostrare un contegno che in quel momento faticavo a mantenere. Era inammissibile un comportamento del genere. Non solo perché mi stavo rendendo ridicola di fronte ad un cliente, ma perché non mi era mai capitata una cosa del genere.
Non avevo mai provato un disagio del genere.
Ma al contempo sentivo un'attrazione difficile da spiegare.
La domanda, tuttavia, era un'altra: si poteva rimanere stregati da un uomo solo osservandolo suonare?

Gli posai il bicchiere di cognac di fronte, senza una parola. E lui, senza una parola, lo prese.
Non bevve subito, si limitò ad oscillare il ballon fra le mani, il liquido ambrato che vorticava. Ancora una volta, non potei non notare quelle dita affusolate, curate. Imprigionavano il bicchiere in una presa decisa e, senza fretta, lo portarono alle labbra.
Quelle labbra decisamente sensuali...
Mi ritrovai a deglutire, imbarazzata, e velocemente distolsi lo sguardo.
Ero ridicola. Ridicola!
Mi guardai intorno, alla ricerca di una fonte di distrazione. A quanto sembrava, tutti quelli seduti al banco avevano già ordinato e conversavano fra loro oppure osservavano il musicista di fronte a me, che, incurante, sorseggiava la sua bevanda, perso nei suoi pensieri.
Mi limitai a compiere ciò che avevo imparato a fare alla perfezione: lucidare un bicchiere.
Potevo essere più banale?

Mi concessi una veloce occhiata nella sua direzione, sperando di non essere sorpresa.
Aveva indossato un cappotto elegante, lasciato aperto.
Gli stava perfettamente.
La custodia del violoncello era accanto a lui, appoggiata al bancone.
Inevitabilmente, mi ritornarono in mente immagini sulla sua esecuzione. E le emozioni provate.
Era veramente bravo. La musica è qualcosa di soggettivo, come l'arte: può piacere come no. Tuttavia, non si può negare che, per quanto un genere non piaccia o non rientri nelle proprie conoscenze, se l'artista è bravo te lo fa apprezzare.
E così era stato per lui. Violinisti se ne erano succeduti al Croissant, tutti di indiscutibile bravura. Così come pianisti, sassofonisti e altri musicisti. Monsieur Duvall non era l'unico che era riuscito a conquistarmi, no. Ma era l'unico che mi aveva fatto provare sensazioni che non avevo mai sentito.
Un insieme di eccitazione e frenesia mai conosciute.
E le avevo provate mentre tenevo gli occhi chiusi. Perché le melodie prodotte da uno strumento musicale possono paragonarsi al suono della voce umana. Ascoltare una persona quando parla, senza averla vista in volto, ti permette di fantasticare ed immaginare. Così la musica: ogni artista ha il suo stile, unico, e ti permette di volare con la mente a seconda della sua bravura.
Lavorare al Croissant de Lune mi aveva portato a maturare questi pensieri e niente mi aveva fatto cambiare idea.
René Duvall, tuttavia, univa al suo talento il fascino della sua persona: misteriosa, scostante, seria. Al di sopra di tutti, come se si trovasse per caso fra noi mortali, come se la sua musica fosse qualcosa che ci viene concesso per bontà sua.
Non sapevo se la cosa mi irritasse maggiormente o se aumentasse la mia attrazione.

<< Ha finito di fissarmi?>> bassa, irritata, profonda.
La sua voce mi riscosse, e mi resi conto che quella che doveva essere un'occhiata veloce era stato un esame approfondito.
<< C-chiedo scusa.>> balbettai imbarazzata, distogliendo velocemente lo sguardo.
Dovevo considerarmi fortunata se non mi beccavo una denuncia per molestie.
Avrei voluto sprofondare. L'occhiata che mi aveva rivolto era stata raggelante, seppur breve.
Certo, aveva tutti motivi per essere infastidito: anche a me dava sui nervi essere fissata.
Tuttavia mai avevo provato sulla pelle la sensazione di uno “sguardo che uccide”.
Non era questo che volevo, come primo approccio. Avevo drasticamente visto ridursi le mie possibilità di manifestargli quanto lo apprezzassi.
Ogni mio complimento probabilmente d'ora in poi verrebbe preso come fatto da una guardona pazza.
Maledetta me e la mia testa! Colpa sua se mi ero incantata.
E colpa di Duvall se era troppo affascinante.

Ma cosa stavo pensando?

Sospirai, indispettita dal mio comportamento.
Non che fossi una persona razionale: insomma, ero un'artista, quanto di più lontano ci fosse dalla razionalità. Eppure non ero mai riuscita a gestire le mie emozioni egregiamente.
Non ero mai arrivata a raggiungere un mio personale equilibrio.
Per quanto riuscissi bene a trasportare le mie sensazioni nei dipinti o riuscissi a trovare soggetti molto espressivi per le mie foto, trovando significati anche dove non ce n'erano, altrettanto facile non mi risultava per le mie questioni interpersonali.
In questo campo ero una frana. Davo l'impressione di essere una ragazza o troppo fredda o infantile. Nessuna via di mezzo, nessun grigio. Pochi avevano scalfito la corazza che mi proteggeva, tutte persone a cui io sola avevo concesso l'accesso.
Amici.
Non che fossi una persona solitaria, mi piaceva la compagnia, ma chiunque mi tenessi vicino conosceva solo un pezzo di me. Pochi potevano dire di aver visto il puzzle completo. Che del resto completo non si poteva definire: come poteva dirsi terminato un puzzle in cui il tassello dell'amore mancava?
Mai conosciuto, neanche da lontano. Tante attrazioni, nessuna abbastanza forte da spingermi oltre.
Nessuna che mi spingesse a buttarmi.
Questo mi mancava, il coraggio di buttarmi.
Avevo paura del dolore, della sofferenza. O semplicemente avevo paura e basta.
A cosa serviva fare classificazioni?
L'unica cosa di cui ero certa era la mia natura contraddittoria, poco chiara anche a me stessa, che mi faceva dubitare sulle mie effettive capacità mentali. Ero un concentrato di volubilità, solare ma anche malinconica.
Timida coi più, estroversa con chi meritava.
Un disastro.

Notai due clienti che ricercavano la mia attenzione e mi dedicai a loro con piacere, bisognosa di interrompere quello strano flusso di pensieri. Era da brevettare: come perdersi nelle profondità della propria mente lucidando un bicchiere.
Forse potevo scriverci un libro.
Un sorriso mi sfuggì al pensiero, ma mi affrettai a nasconderlo prima che potesse venir mal interpretato. I clienti del Croissant erano di natura variegata: si poteva trovarsi davanti uno snob spocchioso o un ricco estroverso.
Di solito, preferivo la clientela del mattino. Manager sempre di corsa, imprenditori, donne in carriera...
Le chiacchiere si diffondevano nell'aria; noie, problemi, gossip, confessioni... Si sentiva un clima meno esclusivo rispetto alla sera.
Meno chiuso.

Ritornai al mio posto e il mio sguardo si appuntò meccanicamente su Duvall. Era assorto nei suoi pensieri, gli occhi concentrati sul cognac, l'altra mano a sostenersi la testa.
L'avevo ammirato. Mi era piaciuta veramente la sua performance prima e mi dispiaceva che mi avesse presa in antipatia. Forse erano solo mie paranoie: come può un cliente prendere in antipatia una cameriera.
Può essergli indifferente, non antipatica. Per arrivare all'antipatia si presuppone una conoscenza, che non rientrava nel nostro caso.
In ogni caso non mi ero certo figurata di fare una così brutta impressione al primo tentativo di rivolgergli la parola. Anzi, non si poteva definire tentativo: era lui venuto da me!
Io mi sarei limitata di aspettare, prima di...

<< Dirgli quanto bravo era.>> mormorai, sovrappensiero.

Oh merda! Non potevo, non potevo aver... oh sì che l'avevo detto ad alta voce.
Il movimento di capo di René Duvall, che aveva sollevato lo sguardo per puntarmelo contro, mi diede la conferma.

<< Prego?>> aveva un'espressione strana: un misto di confusione ed irritazione.
Ormai il danno era fatto. Speravo solo di non essere troppo rossa...
<< Mi chiedevo se potevo permettermi di dirle quanto abbia apprezzato il suo pezzo di prima. E di aggiungere quanto la consideri bravo.>> grazie al cielo, non avevo balbettato nemmeno una volta.
Tuttavia non rispose subito, né distolse lo sguardo. Lo lasciò vagare per il mio viso, inconsapevole – o incurante – del mio disagio.
Ogni emozioni era scomparsa dal suo volto. Niente più indifferenza o irritazione.
Che avessi osato troppo? Sicuramente sì.
Non che mi aspettassi un ringraziamento per quei complimenti, non sapevo neppure io cosa aspettarmi. La mia bocca aveva parlato spontaneamente, senza nessun controllo da parte mia.
Stavo per allontanarmi, per sprofondare nell'imbarazzo più profondo, quando...
<< Mi sembra... Che lei l'abbia appena fatto. O mi sbaglio?>> nel tono usato, c'era nota ironica che mal si intonava con l'imperscrutabilità del suo volto.
Una nota ironica che mi mortificò.
Era chiaro che l'avevo appena fatto, non serviva rinfacciarmelo.
Ma non ero io il cliente.

<< Tuttavia...>> rialzai il capo, abbassato alla constatazione, stupita che ci fosse un continuo. << Non sono così maleducato da non ringraziare un complimento. Perciò la ringrazio.>> ero allibita.
Non mi aspettavo che mi ringraziasse, dopo quanto mi aveva rinfacciato.
E poi cos'era quel discorso? “Non sono così maleducato da ringraziare?”
Però lo era abbastanza da umiliare una persona, prima di compiere uno sforzo come ringraziare. Mi morsi la lingua, per non ribattere. Ecco, quello era uno dei miei più grandi difetti: discutere.
Odiavo aver torto, ero puntigliosa su determinate cose e adoravo rispondere a tono, a volte dimenticando la timidezza.
Ma quello non era il caso...
Mi limitai ad un cenno del capo, cominciando a strofinare fin troppo veemente il bicchiere. Speravo solo di non aver messo il broncio.
Eppure lo vidi.
Vidi l'angolo della sua bocca piegarsi verso l'alto, mentre si portava il cognac alle labbra. E fu come vedere un'altra faccia.
Perché era quanto di più vicino ad un sorriso ci fosse. Non credevo ne fosse in grado. E se da un lato il mio orgoglio protestava a quel probabile gesto di scherno, la parte affascinata da quell'uomo così indisponente, così serio, non poté non palpitare.
Piegare verso l'alto le labbra significa ghignare, significa essere divertito da qualcosa – o da qualcuno – e su di lui risultava molto naturale. Non un sorriso, un ghigno.
Mon dieu, stavo lodando un'azione che doveva essere tutt'altro che lodato. Patetica.
Ora più di prima.

<< Posso sedermi qua?>> non so se mi arrivò prima la voce alle orecchie, o il profumo alle narici. Ma bastò a interrompere quel momento.
Una signora molto elegante, probabilmente sulla quarantina passata, si avvicinò a monsieur Duvall.
Quest'ultimo, il bicchiere ancora alle labbra, non si era minimamente scomposto né si era affrettato a finire di sorseggiare per rispondere.
Solo dopo aver gustato quanto riteneva il giusto, si voltò verso la donna, un sopracciglio inarcato.
Ma non rispose verbalmente. Annuì.
La donna ringraziò con il capo prima di accomodarsi accanto.
<< Un Bordeaux, per cortesia.>>
Mi ripresi dal mio stato di osservazione per servirla.

Ero curiosa. Inutile ammettere il contrario.
Se voleva complimentarsi con lui, poteva rimanere in piedi! Escludevo che si conoscessero, altrimenti non avrebbe chiesto il permesso di sedersi. Non riuscivo a capire perché fosse là e la curiosità si faceva insistente.
<< Volevo farle i complimenti, monsieur Duvall. La sua esecuzione è stata brillante, molto emozionante. Forse una delle migliori che ho avuto il piacere di ascoltare al Croissant.>>
<< La ringrazio, signorina...?>> signorina?! Dove?
La signorina scoppiò in una risatina cinguettante. << Signora, monsieur, signora ormai. Anche se la ringrazio per il garbo mostrato. Sarah De Gallard è il mio nome.>> conoscevo quel cognome: monsieur De Gallard era un noto proprietario terriero, borgognone trapiantato a Parigi, ma non frequentava il nostro locale.
O almeno io non l'avevo mai visto.
<< La ringrazio, Madame De Gallard.>>
<< Mi chiami pure Sarah.>>
<< Sarah.>> concesse.

Mi sembrava di essere ritornata indietro di qualche secolo. Questo scambio di battute era quanto di più banale avessi mai sentito.
E cominciavo ad intuire dove stesse andando a parare Sarah...
Servii quanto richiesto e mi misi a lustrare un altro bicchiere.
Ormai stava divenendo un'arte.

<< Ciò che mi ha inoltre stupito è la sua giovane età. Quanti anni avrete? Ne dimostrate una trentina.>>
<< Sì, trent'anni a breve.>>
<< E siete così bravo. I miei complimenti.>> fece una pausa, per bere dal suo calice. Lo portò alla bocca lentamente e non persi la nota sensuale con cui lo fece. << Davvero delizioso. Ma tornando a noi...>> nonostante il bancone a separarci, notai la mano che si era andata a posare sulla gamba di Duvall; ma questi non fece nulla per spostarla né per mostrare il suo fastidio ad un gesto tanto sfacciato.
Solo le sue labbra, per l'ennesima volta, mostrarono un cambiamento.
Si sollevarono, pigramente.
Ghignarono, ancora.
<< ... mi piacerebbe molto conoscere la sua storia. Un musicista del suo talento deve aver frequentato i migliori conservatori e mi piacerebbe sapere dove l'hanno portata i suoi studi. Sempre se desidera.>>
Aspettai la risposta. Era ovvio che tale invito era pieno di sottintesi e la signorina non aveva fatto nulla per nasconderli. Era certa di una risposta affermativa. E pure io, per quello.
Ero schifata.
Una donna della sua età, sposata e che aveva tutto dalla vita, corteggiare un uomo più giovane di molto in maniera così spudorata.
Certo, contava sul fatto che i camerieri presenti fossero pagati per farsi gli affari propri. Così era, ma ciò non toglieva il ribrezzo che provavo.
Pure lui mi lasciava perplessa. Mi sembrava che avesse mostrato un autocontrollo notevole per una situazione così inusuale; e non parlo del tradimento, perché può darsi che lui non sappia lo stato civile della donna, ma del ricevere una così sfrontata avance.
Per non parlare della sua reazione. Del suo ghigno.
Chi era quell'uomo?
O meglio, com'era fatto?
Erano questi i motivi per cui non bisognava mai lasciarsi trasportare dall’immaginazione e dall’aspetto fisico.

<< Temo che stasera non potrò... soddisfare... la sua richiesta.>> bassa, la sua voce era velluto. Gli occhi erano concentrati sul suo bicchiere.
Poche volte l'avevo visto staccare lo sguardo dal liquido al suo interno, come se stesse leggendo qualcosa a noi sconosciuto. << Sono desolato.>>
Notai il lampo di stizza che attraversò gli occhi della donna, ma si affrettò a nascondere la delusione.
<< Non si preoccupi. Sono sicura che troveremo un giorno che possa aggradare entrambi. Non mi resta che salutarla e sperare di che quel giorno arrivi al più presto. Buona serata.>>
Con un gesto del capo, la salutò pure lui.
Il mio sguardo era appuntato sulla figura della donna, che si allontanava.
Non potevo non pensare alla sfacciataggine avuta da entrambi, come se fossero gli unici presenti al banco.
E lei, così, così...

<< A quanto sembra, il suo è un vizio. Quello di fissare intendo.>> sobbalzai nel sentire quella voce rivolgersi a me. << Oltretutto – proseguì – lo condisce con il giudicare le persone.>>
Avvampai, colta in fallo.
Non avevo dubbi, sul fatto che lo avesse notato: più volte mi era stato rimproverato di essere come un libro aperto.
Ma la mia bocca fu più veloce della mia mente.
Ancora una volta.
<< I-io non volevo... Non... Solo che, insomma, ci ha provato così spudoratamente. Inoltre è sposata ! Con quale coraggio si può fare una cosa del genere?>> borbottai la parte finale più rivolta a me stessa che a lui. Insomma, la decenza dovrebbe essere una cosa acquisita dalla nascita per quella classe sociale, ma evidentemente mi sbagliavo.
<< Non è affar suo cosa fanno le altre persone, finché non la coinvolgono. Né si può permettere di giudicare.>> la sua risposta mi gelò. Boccheggiai, in cerca di una risposta adatta, ma non ce n'erano.
Aveva ragione.
Non dovevo permettermi di lasciarmi andare in quella maniera. Non con uno sconosciuto.
Non con un cliente!
E poi, non ero stata io stessa a rimproverargli il comportamento maleducato che aveva tenuto nei miei confronti prima io? Nonostante ciò, avevo agito alla stessa maniera.
Da maleducata.
Mi ero lasciata trascinare dai miei pensieri, dai miei giudizi. Avevo parlato abituata a dire sempre quello che penavo.

<< Tuttavia, la sua ingenuità è divertente.>> fu solo un basso mormorio, ma lo sentii ugualmente.
René Duvall mi fissava serio, la voce strascicata che stonava con quanto detto. Se c'erano tracce di divertimento, io non le notavo in lui.
Oltretutto, forse ero ingenua, ma non ne avevo di certo dato prova in quel momento. Perfino io ero riuscita a scorgere le avance di quella donna.
<< L'uomo è sempre alla ricerca di piacere, per combattere la noia. È la forma in cui lo cerca, che cambia. E non può immaginare come questa classe...>> allargò le braccia, in un ampio segno del locale, quasi vuoto. << ... si annoi fin troppo facilmente. La sua ingenuità, tuttavia, non può mostrarle questo aspetto, sebbene sia ogni giorno sotto i suoi occhi.>>
Mi indispettii. << Beh, mi fa piacere sapere che lei ha trovato un diversivo contro la noia, per stasera. Anche se mi dispiace per Sarah.>> non ero riuscita a trattenermi, nonostante tutti i rimproveri che mi ero fatta fino a poco fa.
Cliente o meno, stella della serata o no, mi aveva seccato con questa risposta.
Affascinante quanto voleva, il suo menefreghismo, il suo cinismo, mi urtava.
Sembrava che stesse parlando di un argomento comune: io avevo accennato al tradimento, lui parlava di noia e di come fosse normale combatterla come se fosse una giustificazione naturale.

Ma la sua risata... quella non era prevista.
Roca, sensuale.
Quasi innaturale, se non avessi visto la sua mano portarsi alle labbra per coprirle.
<< Oh, spero anch'io di averlo trovato un diversivo. E per Sarah, ritenterà.>>

Lo fissai, allibita, ma non ebbi tempo di rispondere.
<< Sophi!>> la voce di Bennie mi fece voltare il capo. Per un attimo dimenticai l'uomo che mi confondeva seduto di fronte.
Il sorriso di Bennie catturò la mia attenzione. << Oh, mi scusi.>> chinò velocemente il capo nei confronti di Duvall, prima di proseguire rivolto a me, stavolta a tono più basso. << Chris mi ha scritto! Ha detto che mi viene a prendere.>> gli occhi scintillavano, felici.
E io ero felicissima per lui. << È stupendo! Hai visto? Risolverete tutto.>>
<< Solo che io dovevo accompagnarti a casa, ricordi?>> accidenti, aveva ragione.
Abitavo distante dal locale e vista l'ora in cui chiudevamo, tornare a casa da sola non era propriamente sicuro.
Per questo, di solito mi accompagnava Bernard.
<< Ma se vuoi gli scrivo di non venire, oppure se può accompagnare pure te.>>
<< No no.>> mi affrettai a interromperlo.
Aveva la possibilità di chiarire, non volevo che rimandasse ancora. << Io tornerò a casa e tu andrai con Chris. Potrei farmi venire a prendere da un taxi, oppure...>>

<< Potrei accompagnarla io.>>

Sia io che Bennie ci voltammo verso Duvall.
Ci fissava, a braccia conserte, quasi annoiato.
<< Prego?>> domandò il mio amico.
Non ero l'unica ad aver dubitato di averlo sentito parlare.
<< Ho detto che potrei accompagnarla io.>> scandì, lentamente.
Lo osservai, torva. << E il suo diversivo?>> non avevo dimenticato la nostra conversazione.
E non mi era passata il nervosismo provato alle sue parole.
<< Non ci sono problemi. Non credo si lamenterà.>>
D'accordo.
Avevo appena ricevuto una proposta di passaggio dall'uomo su cui avevo fantasticato da inizio serata.
Lo stesso che poi mi aveva sconcertata per certi atteggiamenti e discorsi.
Un uomo sconosciuto.
<< Le posso assicurare che può fidarsi. Domani sera devo ripresentarmi qui, per suonare. Non ho intenzione quindi di commettere reato e farmi rinchiudere.>> come se mi avesse letto nella mente, il suo tono quasi seccato aveva dato risposta ai miei pensieri.
Tuttavia non riuscivo a fidarmi di lui.
Non potevo. Non lo conoscevo!
Però era un uomo conosciuto dai più e non aveva la faccia da criminale.
Forse potevo...
<< Bene, accetterò la sua proposta.>> lo facevo più per Bennie, che alternava lo sguardo scioccato fra noi, che per me.
Sapevo che non avrebbe ceduto finché non avesse saputo che sarei tornata a casa in modo sicuro.
Non ero convinta, tuttavia, di aver fatto la scelta giusta
Il mio amico, troppo sorpreso, si limitò ad un sintetico << Perfetto.>> prima di andarsene.
Sapevo che prima o poi, quando avrebbe incamerato la notizia, mi avrebbe assillato.

<< La verrò a cercare io per accompagnarla all'auto.>>
Voltai la testa di scatto, il tempo di vedere la schiena di René Duvall che si allontanava.

Il bicchiere di cognac vuoto.

***

Ero normale. Una ragazza normalissima e lo specchio rimandava la mia figura.
Capitava spesso che, quando mi cambiavo togliendomi la divisa e non c'era nessuno, mi soffermassi a guardarmi.
Checché ne dicesse Bennie, ero più che normale.
Il mio corpo, coperto solo da semplice intimo, non era diverso da quello di tante donne. Non troppo alta, mi portai le mani ai seni. Erano una terza. Una normalissima terza.
Lasciai scivolare le mie dita fino al ventre, per poi posarle ai fianchi. Erano un po' ampi, ma per fortuna non avevano troppa ciccia accumulata: ero abbastanza attiva e questo mi permetteva di combattere i ciò che introducevo con i miei abbondanti pasti.
Per un attimo, la figura di Madame De Gallard mi apparve davanti agli occhi: sicuramente, alla mia età doveva essere stata una donna fantastica, visto come portava i suoi anni ora.
Avvicinai una mano sullo specchio, in corrispondenza del mio volto. Accarezzai la superficie fredda.
Nonostante la mia normalità, ero sola. Perché?

<< Se hai finito, potremmo avviarci.>>

Sobbalzai, spaventata. Il cuore prese a battere furiosamente, prima per la paura, poi per la vergogna.
Quando mi girai, trovai la porta dello spogliatoio aperto.
Ma nessun paio di occhi neri a guardarmi.




Note: capitolo decisamente lungo, ma non mi andava di spezzarlo. È da una settimana che ce l’ho in mente, ma sono riuscita a finirlo solo oggi.
Il problema era il contorno: se le scene principali le avevo fissate, mi mancava la cornice.
E senza un’adeguata cornice, un quadro non si regge.
Si sono toccati diversi aspetti di lui, in questo capitolo. Freddo, scostante, cinico. Con una dose di malizia malcelata.
Pian piano, verrà fuori.
Non voglio anticiparvi nulla, ma se credete che dal prossimo capitolo andranno a letto insieme, mi dispiace dirvi che non sarà così. ^^
Due paroline pure su di lei. Forse può sembrarvi un insieme di contraddizioni: bene, è così. Lei non si doveva permettere di giudicare la signora, per quanto potesse non piacerle il comportamento. Ma a parlato senza pensarci.
E da cosa è nata cosa. ^^

Se ci dovessero essere errori, sappiate che in ogni caso ricontrollerò meglio domani: a quest’ora può essere che me ne siano sfuggiti. ^^

Ringrazio i preferiti e coloro che seguono.
Ma soprattutto, coloro che commentano: grazie di cuore!

MsEllie: ora mi hai reso curiosa u.u Perché ti piace quel nome? Ahahah, ovviamente non sei obbligata a dirmelo (scherzo ^^).  
Spero che René ti sia piaciuto pure qua.
Un bacione!!!

Himechan: sì, Sophie piace pure a me. Cerco di renderla più “normale” possibile, difetti compresi.
Anche se a volte risulta complicato. Tenderei a scrivere molto di più su quel che pensa, ma dopo diventerebbe pesante e si allunga drasticamente il capitolo.
Direi che qualcosa di più si è scoperto su di lui, anche se non propriamente delle “belle” caratteristiche.
Spero ti sia piaciuto.
Un bacione!!!

BlueSmoke: l’introduzione è quella che mi fa pensare di più. Siccome non è un diario, non posso farla parlare come se sapesse già quel che accade. Tuttavia devo scrivere qualcosa che si adatti a quanto scriverò. O_O
Paura? Ihihih, pensa ora che darà un passaggio a Sophie…
Oh oui, tanta passione!!!
Un bacione!!!

Valespx78: sono felice che ti sia piaciuto.
Spero che pure questo sia stato di tuo gradimento. ^^
Un bacione!!!

Lollyna: mi fa piacere sapere che ti piace come scrivo! Anche perché questa è la prima che scrivo con un tema, come dire, serioso (mettiamola così ^^), più “cupa”.
Ti ringrazio dei complimenti e spero che questa prima evoluzione nei caratteri non ti abbia deluso.
Un bacione!!!

Vigife: rispondo qua, anche se hai commentato il primo.
Sono felice che la trovi intrigate! È quello che desidero, per questa storia!
Un bacione!!!


Al più presto (ho uno Yankee da scrivere ^^)
Anthea

   
 
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