Rieccomi ancora una volta con una nuova oneshot in ambito AU (inutile
dire che si collega con tutte le altre che ho già
pubblicato) e con
una nuova coppia crack decisamente singolare.
Si cari signori e care signore, vi presento qui una
BarraganxMatsumoto che più crack non si può!
Vi auguro una buona lettura, e per favore non criticate il pairing!
Grazie!
Reflection's
Morning
Il lunedì mattina non era
poi un giorno così diverso da tutti gli altri.
Almeno per
Barragan Luisenbarn, pensionato ormai da quasi una ventina di anni,
non vi erano grandi differenze. A parte quello di starsene
comodamente seduti su di una sedia di vimini sul balcone di casa, ad
osservare il vialetto dalle aiuole curate in comune con la villetta a
schiera – occupata da studenti universitari – poco
distante dalla
sua palazzina.
Fumare
il tabacco nella vecchia pipa di legno in silenzio, e borbottare un
po' seccato quando dalla cucina, giungevano rumori consistenti di
padelle mosse, e una voce di donna che cantava – volutamente
–
con la grazia di un cormorano.
Sua
moglie Matsumoto se voleva, sapeva cantare bene. Ma forse anni di
alcolici e sigarette, avevano per davvero minato la sua ugola.
E si
che alla sera quando stando sdraiata a letto rammendava qualche
camicia o fazzoletto, la sentiva canticchiare piano mentre si leggeva
il giornale e non aveva una brutta voce.
Nella
maggior parte dei casi comunque, era perchè aveva voglia di
fargli
sentire la propria presenza che iniziava a fare così.
Soprattutto
quando se ne stava in balcone a non fare niente oltre che fumare
quella pipa puzzolente.
Ma
dato che comunque – per una ragione nota solo a lei
– non gli
diceva apertamente “smetti di fumare che poi impregni tutta
la casa
di fumo”, si metteva a rompere le scatole in tal modo.
Il
vecchio tranviere si ritrovò a sbuffare seccato e a roteare
gli
occhi all'insù, per quella tanto tiepida quiete mattutina
che veniva
devastata da quella cocciuta ostinatezza al fumo.
Neanche
nel giro di pochi secondi poi, un fulmine biondo si
precipitò sul
balcone munito di sgabello di plastica sotto braccio, e una terrina
di plastica contenente un sacchetto colmo di fagiolini verdi
nell'altra mano.
Ed
ecco che un mugugno irritato sbuffò fuori dalle sue vecchie
labbra,
come una nuvoletta di fumo che malinconica andava a morire nel cielo
azzurrino.
Pacchia
finita anche per quella mattina, e per questo si vide costretto a
buttare il tabacco ancora bruciante di sotto con la speranza che le
pozze d'acqua sul vialetto – la notte scorsa aveva piovuto
– lo
spegnessero in fretta.
“Uff...
Stamattina fa proprio freddino vero?”
Debuttò
così sua moglie, non appena lo raggiunse con aria serena e
quasi
infantile. Sistemando velocemente lo sgabello sul pavimento e
sedendocisi sopra con decisione.
Porgendo
poi il sacchetto di carta al marito, mentre lei si limitava ad avere
in grembo quella vecchia ciotola di plastica. Busta colma di
fagiolini verdi che lui accolse un po' seccato.
Inizio
quindi pure lui il lavoro di sbucciatura di quella dannata verdura,
aiutando in tal modo la moglie a pulire quei fagiolini che quasi
sicuramente avrebbero fatto parte della cena quella stessa sera.
In
quel momento decisamente, non si sentiva un uomo fortunato come
dicevano – azzardavano – alcuni.
Era
come avere a che fare con una moglie a cui sei legato da cinquanta
anni anziché solo sette. Una seccatura si... Ma di quelle
che ormai
ci hai fatto l'abitudine e non puoi più farne a meno.
I
buffoni, anche i ragazzi che gestivano l'officina che possedeva, gli
dicevano che era un uomo fortunato ad avere una così bella
donna
come sposa.
Ma se
solo si fossero azzardati a guardare più a fondo Rangiku e
tutto il
suo mondo, si sarebbero ricreduti.
Lei
era una donna con dei problemi. Con dei problemi psicologici non
indifferenti.
Proprio
così! Detta come va detta senza troppi giri di parole, dato
che non
era da lui girare attorno al piatto.
Era
una donna che già dieci anni fa, quando era arrivata nella
sua
palazzina, aveva mostrato un tenore di vita un po'
“frivolo”.
Non
gli pagava mai l'affitto puntualmente – a differenza degli
altri
condomini presenti – ed era incredibilmente molesta.
La
sera era spesso ubriaca, e chissà perchè andava a
cantare con la
sua voce di cormorano proprio sotto il suo balcone.
Quante
secchiate d'acqua gelida buttate da lassù, solo Dio sapeva
il conto
preciso.
Lui
buttava con gelida fermezza ettolitri d'acqua a quella femmina
impertinente, e quella nonostante fosse zuppa dalla testa ai piedi,
gli urlava addosso “porco” e altri epiteti poco
carini.
Lui,
al padrone di tutto il condominio.
E di
rimando Barragan non faceva altro che sbottare uno
“strega” con
una certa enfasi teatrale.
Solo
“strega” e basta. Per lui quella femmina era solo
quello. Non
puttana, non oca, e neppure cagna.
Solo
e semplicemente quell'epiteto quasi infantile.
E
forse Matsumoto gliene era grata, anche se in una forma tutta sua,
dato che sembrava evidente che di parole – a lei –
gliene erano
state dette di tutti i colori.
Ebbero
comunque ben due anni per conoscersi meglio, e in quel lasso di tempo
aveva capito con che razza di donna aveva a che fare.
Lei
era una autentica maschera.
Che
si nascondeva dietro amabili sorrisi, e lacerandosi dentro –
rigorosamente in silenzio – per difetti e pregiudizi che
avrebbe
fatto volentieri a meno di avere incollati.
Con
scarso interesse, tolse l'ennesima punta al baccello che aveva in
mano brontolando per l'ennesima volta.
Prima
di gettarlo nella terrina in grembo alla moglie che lo ignorava nella
sua protesta, e continuare con quel lavoro infame.
Dicevamo,
il problema principale di Rangiku – e questo lo avrebbe
appreso col
tempo – era nel suo stesso corpo perfetto.
Anche
se dire “perfetto” era una parola troppo grossa.
Matsumoto
si compiaceva della propria prorompente bellezza, facendone quasi una
ossessione.
La
casa non a caso, soprattutto l'armadietto in bagno, era cosparso di
cosmetici e trattamenti di bellezza vari. Roba che a lui davano
profondamente alla nausea ma lasciava correre.
Poiché
in quella insana passione verso la cura del proprio corpo, verso la
propria bellezza invidiata e ammirati da molti, vi era la
volontà di
esorcizzare il più grande difetto che una donna potesse
possedere.
Ossia,
Rangiku non poteva avere figli.
Ancora
una volta andava detta così come andava detta
perchè, a lui, di
ricamare sopra argomenti scabrosi non piaceva affatto.
Di
questo se ne rese in parte conto quando lei un bel giorno, gli
portò
l'affitto chiedendogli pure scusa.
Inchinandosi
quasi come se fosse al cospetto di un re, chiese
umilmente
perdono per le scenate compiute.
Imbarazzata
per l'ovvio comportamento infantile, che mal si addiceva ad una donna
sulla quarantina d'anni.
Roteando
gli occhi seccato, l'aveva invitata dentro casa a prendere un
caffè,
e schiarirsi un po' le idee. E da li ben due ore di chiacchiere
–
parlò quasi esclusivamente lei precisiamo – che
oltre a farlo un
po' esasperare in silenzio, gli permisero di farsi un quadro preciso
di che donna fosse questa molesta inquilina.
Solo
dopo due anni, dopo chiacchiere e confidenze, dopo aver visto un
fiume di lacrime versate perchè trattenute così a
lungo che neppure
un essere umano normale riuscirebbe a sopportare, aveva capito.
A
modo suo, Barragan paragonava la cosa ad una offesa personale al
proprio onore.
E
Matsumoto era profondamente disonorata da se stessa.
Perchè
una donna bellissima deve essere perfetta sotto ogni punto di vista.
Deve
avere un fisico snello anche a cinquanta anni.
Deve
essere seducente e ammiccante anche mentre lava i piatti.
Deve
avere l'audacia di una ballerina nel letto coniugale, e deve essere
sempre disponibile.
E
deve sempre e comunque sfornare figli bellissimi al marito che l'ha
comprata al supermercato.
Bene,
lui non ha mai capito cosa fosse realmente successo nel passato di
questa donna – cosa l'avesse spinta a peregrinare di
città in
città – ma doveva essere una cosa che l'aveva
sconvolta dal
profondo.
Benché
poco trasparente, ci pensarono poi le carte mediche a parlare in
parte per lei.
Una
volta che si erano sposati in comune, e lei si fu trasferita da lui,
nel rovistare tra i suoi scatoloni aveva trovato il vaso di Pandora
d'eccellenza.
In
quelle carte ingiallite dal tempo, vi era la realtà di ben quattro
aborti spontanei, avvenuti tutti in archi di tempi differenti tra
loro. Il più vecchio risaliva a quando aveva solo venti
anni.
L'ultimo – il più recente e forse più
drammatico – era giunto
sino al settimo mese di gravidanza per poi concludere miseramente la
sua corsa.
Non
un solo bambino che fosse sopravvissuto nel grembo materno tanto a
lungo da poter vedere la luce.
Non
un solo infante che le desse la gioia di chiamarla
“mamma” e di
romperle le scatole di continuo.
Solo
un completo fallimento del proprio corpo apparentemente
perfetto e meraviglioso.
La
verità poteva essere incredibilmente dolorosa per una donna
orgogliosa come lo era Matsumoto.
Perchè
in una società come quella umana, la sterilità in
una donna era
vista come una menomazione a livello mentale.
E
questo l'aveva profondamente ferita dentro, odiandosi a volte per
quel corpo che tanto amava.
Esorcizzando
il problema, prendendosi cura di esso in un disperato tentativo che
qualche premura in più avrebbe risolto il problema.
Nulla
da fare sinceramente, e questo aveva un po' minato la sua
sanità
mentale. Annegando la depressione nell'alcool caro amico di tanti
disgraziati, e in tante pasticche colorate che ancora consumava.
Nonostante
la serenità ritrovata.
“Ehi...
Luisenbarn!”
Ad
interrompere i tormentati – e seccanti – pensieri
dell'anziano
proprietario del condominio, ci pensò una voce aggressiva e
ben
nota.
Grimmjow Jaggerjack, dal balcone accanto al suo, si era affacciato di
corsa e con il proprio figliolo sotto braccio.
Una zazzera di capelli chiari come quelli del padre, che già
a
quattro anni era un autentico terremoto. Almeno in compagnia del
proprio genitore, per quanto ne sapesse Barragan, con la madre e con
Matsumoto ad esempio, quel bimbo era un santo.
Aveva un aspetto un po' tormentato il suo detestato inquilino.
Evidentemente doveva aver dormito poco il ragazzo, causa il lavoro
che faceva e il divorzio che da un anno lo tormentava.
“Che vuoi Jaggerjack?” tuonò
all'improvviso l'interpellato.
Mentre con una certa malagrazia, cercava di evitare che il ragazzo
guardasse il disonore di lui costretto a sbucciare fagiolini.
Benché
non sembrasse minimamente interessato a quello che i due stavano
combinando.
“Non ce l'ho con te vecchio... Ce l'ho con tua
moglie!”
A quelle paroline magiche, l'attenzione di Matsumoto venne calamitata
unicamente sulle due figure del balcone accanto, e lasciò
momentaneamente perdere la verdura da sbucciare.
“Sì, Grimmjow?!”
“Ehi, lo vuoi il bambino...”
Il giovane non riuscì neppure a formulare la domanda, che
quella
donna rispose con un raggiante “SI” che
soppiantò, in tono di
voce, il burbero “no” del marito.
Alzandosi in piedi senza neppure scollare gli occhi di dosso dalla
piccola preda, poggiò la terrina sullo sgabello e si
avvicinò a
grandi passi alla balaustra per tendere immediatamente le braccia nel
vuoto e raccogliere quindi quel frutto prezioso.
La distanza tra un balcone e l'altro non era poi così ampia.
Giusto
un metro.
Di conseguenza il giovane poliziotto non ebbe neppure lo sforzo di
allungare troppo il braccio per porgergli il molesto bambino.
Che come unica precauzione gli raccomandò di fare il bravo e
di dare
retta alla nonna. Il tutto detto, precisiamo, con
tono poco
convinto.
“Jaggerjack, ma che diavolo succede si può
sapere?”
La domanda del vecchio Luisenbarn era più che lecita, ma
quel
giovanotto scapestrato, con indosso occhiaie profonde sinonimo di
latente stanchezza, si limitò a ringhiare esasperato e ad
allontanarsi con aggressività verso casa.
“Niente, ho un coglione alla porta”
Un coglione? Beh, effettivamente, a Barragan gli era
parso che
poco prima che la moglie saltasse fuori in balcone, di vedere un
tizio vestito piuttosto elegantemente entrare nella palazzina.
Ma non si aspettava che fossero visite per quel ragazzo problematico
quanto lo era la sua sposa.
Un giovane che di arroganza e infantilità, ne possedeva
parecchia.
Giunto nel suo palazzo quattro anni fa, con una moglie incinta e
tanti problemi per pagare il mutuo dell'appartamento che avevano
comprato da lui, erano immediatamente entrati nelle grazie di
Matsumoto.
Quella dannata di sua moglie si era taccata in un modo morboso a
quella ragazza di nome Orihime, tanto da diventare quasi una
“madre”
per lei.
Magari – ed era pronto a metterci la mano sul fuoco
– fu proprio
nello stato interessante della giovane a suscitare in lei interesse.
Quindi non c'era da stupirsi che si facesse chiamare
“nonna” dal
moccioso. Una cosa che avrebbe dato rabbia a tante donne, a lei
faceva piacere.
Se le due donne si erano coalizzate come galline, i
rispettivi
mariti si erano messi in disparte come galli.
Guardandosi male e lanciandosi ogni tanto punzecchiature più
o meno
velenose, con Grimmjow che mal sopportava che Matsumoto gironzolasse
attorno alla sua famiglia. E per Barragan quel giovane era un emerito
idiota, anche se aveva intuito che a Rangiku mancava qualche rotella
seppur piccola.
Quel ragazzo era così impossibile da gestire che persino la
moglie
lo aveva abbandonato! Ritrovandosi ad avere il bambino solo due volte
a settimana. Cioè sabato e domenica.
“Un coglione senza dubbio”
pensò l'anziano re del
palazzo, tornando a finire il lavoro di sbucciatura abbandonato dalla
moglie.
Mentre da dentro casa giungevano strilli divertiti di chi stava
giocando senza pensare a lui.
Avrebbe potuto riaccendersi la pipa, questo era vero, ma non voleva
dare dispiacere alla moglie non facendo quel piccolo lavoretto.
Continuando a sbucciare fagiolini dal gusto insapore, non
poté non
fare a meno di tirare le somme di tutto quel complicato pensiero che
lo aveva accompagnato in quella fredda mattinata.
La sua vita fino a quel momento, era stata insapore come un fottuto
fagiolino. Amara e aspra.
Solo verso sera – verso la fine della sua corsa –
aveva trovato
di che condire quella verdura.
E a cuocerli era stata proprio Matsumoto, che in quel preciso momento
si stava divertendo a giocare con il “nipote”.
Vecchio testardo che ora si ritrovava a borbottare mentre continuava
a sbucciare con quelle sue vecchie mani, e ritrovarsi quasi perplesso
che si fosse “rammollito” solo ora.
Per tutti quegli anni si era ripetuto che sarebbe stato un vecchio
avvoltoio solo e indisposto.
Ma quello che era duro da ammettere, era che la solitudine si stava
facendo sentire eccome. Per quanto avesse la scorza dura e una
testardaggine incredibile, alla fine dei conti anche un re è
un
essere umano.
Ed esattamente come Matsumoto era umana nei suoi sentimenti di
disperazione, altrettanto lo era lui per la solitudine.
Finalmente a lavoro concluso, dopo che anche l'ultimo baccello aveva
abbandonato il sacchetto che aveva in grembo, posò tutto
sullo
sgabello di fianco e sbuffò dalla sollevata seccatura.
Poté quindi riprendere in mano l'adorata pipa, ed iniziare
nuovamente a riempirla di tabacco preso direttamente da una busta
posta nella tasca interna della giacca.
Dall'interno dell'appartamento, la voce del bimbo e di sua moglie
continuavano imperterrite a rovinare quell'ambiente
tranquillo
con il loro chiasso innocente.
“E voi li dentro... Dateci un taglio con questo
casino!”
Ma benché venne ancora una volta
ignorato, della cosa parve non
dispiacersene affatto.
Per
oggi basta pensare.