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*lo Shinigami è Aoi*
Lo
vedo ogni giorno, quando vengo
in questo posto dimenticato da Dio.
Lui
viene, si siede sempre sulla
stessa panchina mettendosi nelle orecchie delle piccole cuffie di cui
ignoro
l’utilità.
Sta li per ore.
Intere
ore che passa a volte
cantando, a volte dormendo, altre sorridendo al vento immaginandosi
chissà
cosa.
Sembra
un normale ragazzo che ama
venire qui, in un posto dove nessuno disturba la sua pace.
In
un posto denominato maledetto
dal resto della gente.
Qui
ogni cosa, da qualche tempo ad
oggi cresce rossa, indistintamente: viole, tulipani e perfino i
girasoli che
sembrano guardare la loro unica ragione di vita con uno sguardo di
sangue
scarlatto, orribile, spietato.
Colpa
delle fabbriche troppo
tossiche?
Colpa
di una vecchia strega?
No,
ovvio.
Io
vengo qui ogni giorno da 100
anni e posso giurare che prima che il ghiaccio in me si sciogliesse
questo era
un posto del tutto comune: l’erba verde, i fiori colorati, i
bambini che, in
ogni era uguali, riempivano l’aria di dolci risa.
Era
bello.
Era.
Gli
anni sono trascorsi
inesorabili, passando fra guerre e matrimoni, sole e pioggia; dal mio
punto di
vista tutto restava comunque scandito dallo stesso ritmo lento e calmo
che
rendeva ogni cosa si presentasse ai miei occhi mite, fredda
e…lontana.
Per
tutti quegli anni ho assistito
a davvero molte cose e grazie a questo mi sono reso conto di quanto gli
umani
siano particolari.
Tanto
quasi da definirli stupidi.
Insensati.
Autodistruttivi.
Sin
da bambini ci sono scontri e
liti che poi crescendo mutando in piccoli o grandi drammi quotidiani,
ma allo
stesso modo stringendo un mignolo fanno pace, con una firma fermano una
guerra
e con un sorriso si dicono mille parole.
Ormai
mi ero rassegnato alla mia
vita fatta di gelo e onestamente la preferivo: niente rimpianti, niente
timori;
svolgevo solamente il mio compito seguendo fedelmente quello che la
lista mi
diceva.
Giudicavo
le anime con rigidità,
senza tenere conto di ogni gesto buono o soltanto gentile compiuto da
quello
che fino a poco prima era un uomo.
Eppure,
non tutte le anime che mi
sono trovato fra le mani le ho definite di un essere quanto meno degno
di
essere chiamato “umano”.
Uno
ha ucciso la sua famiglia
portando già la croce sul cuore, ma sarei davvero un
ipocrita a definirmi
meglio di lui, pur potendo porre fine alla vita di
quell’essere anticipandola
di quelle poche ore che sarebbero bastate per salvare la moglie e il
bambino
che la donna portava in grembo non l’ho fatto non ritenendolo
un mio compito.
Ma
quella è stata una mia scelta.
Solo
mia.
Sono
uno Shinigami e il mio compito
è quello di giudicare le anime che lasciano il suolo
terrestre.
La
carta della lista a cui sono
indissolubilmente legato da un filo invisibile si macchia di inchiostro
nero
che dilagando fra le increspature del foglio reso giallo dagli anni
formano il
nome della prossima persona destinata a morire e con lo stesso
indelebile
inchiostro sul cuore dei predestinati compare, lacerando la pelle, una
croce
rovesciata che li marchia fino all’ultimo respiro.
Infondo
il mio lavoro
è semplice, quasi come una caccia.
Una
semplice caccia che non va mai
a vuoto dato che a noi, cacciatori speciali, per individuare la preda
ci
limitiamo a seguire l’aura nera che emettono le loro croci;
una volta trovata
basta un colpo silenzioso e tutto si spegne.
Semplice.
Troppo
semplice per i miei gusti,
per questo motivo io prima di uccidere perseguito la mia vittima, la
seguo, mi
diverto a vederla impazzire rendendo visibile la croce sui loro corpi e
rivelando il terrore di una morte ormai in agguato che le segue gelida
e
impietosa.
Gli
umani sono fragili e
vulnerabili, ogni cosa li spaventa e anche la più piccola
ombra di inquietudine
gli impedisce di vivere.
Alcuni
mi supplicano, altri
piangono e si disperano, altri ridono credendolo uno scherzo, altri
ancora
cercano perfino di corrompermi con inutili cose o addirittura
promettendomi la
loro anima.
Ma
io sono uno Shinigami che è
tenuto solo a svolgere il suo compito, se non adempissi ad esso
perderei il mio
essere tornando alle origini.
A
com’ero quando ho espresso il
desiderio di morire svanendo nel nulla e questo non credo potrei
sopportarlo.
Ricordo
ancora il dolore di quei
giorni, ero solo un bambino costretto ogni giorno ad essere messo a
confronto
con la sua inutilità rispetto al mondo, a giocare coi
coltelli sporchi di
sangue, a convivere con l’idea che perfino la mia famiglia mi
avesse venduto
per poche monete, ad essere ogni giorno picchiato e maltrattato per un
piccolo
errore o un sospiro di troppo.
Era
questo che significava essere
al servizio dei soldati.
Non
credo che molti
giudicherebbero la mia scelta di diventare uno Shinigami migliore,
però in
questa situazione il mio cuore è immerso in una tale coltre
di nebbia che non
vedrebbe neanche il più atroce dei delitti, non per niente
per fino gli altri
miei stessi colleghi mi evitano, ma va bene così.
Il
mio desiderio di svanire non
sentendo più quel dolore è stato esaudito ed era
l’unica cosa che mi
interessava e, come un disco che si inceppa mi trovo a ripetere
quell’inutile
era.
Adesso
non è più come in quei
giorni neanche da molto passati, non so cosa di preciso mi sia successo
ma dopo
aver visto quel ragazzo perseverare e venire ogni qual volta potesse
qui, è
cambiato tutto.
Mi
domando perché abbia scelto
proprio questo posto fra tanti.
Questo
posto in cui i colori non
esistono e ogni fonte di luce sembra coperta da tristezza.
Non
solo tutto è rosso ma ogni
cosa ha una vita prossima alla fine, infatti si dice che chiunque si
trovi ad
attraversare quei viottoli e a vedere le luci basse dei lampioni che
con il
loro chiarore rompono il buio silenzioso del parco, pochi giorni dopo
muoia con
il sorriso sulle labbra, ma questa è solo una falsa
illusione che si creano le
persone che le sono vicine per non dovere ammettere che quel sorriso
è solo il
risultato di un uomo in punto di morte che cerca di esalare
l’ultimo respiro
tendendo i muscoli che poi rilassandosi mantengono quell’aria
che per gli umani
simboleggia la felicità.
Stupidi…stupidi!
Perché
passano la vita a prendersi
in giro?
Per
non soffrire forse? Ma che
differenza fa? Alla fine la realtà viene sempre a bussare,
albergando nel
frattempo chiassosa nella coscienza più buia di ognuno,
logorando ogni cosa al
suo interno pur di arrivare all’anima e sbriciolarla
così come legna fra le
fiamme che bruciano piano e lentamente scoppiettando e spargendo le
ceneri che
cadono opache su tutto adombrando ogni cosa, rendendola indifferente e
ceca.
Che
tutto questo si possa
riassumere col termine apatia? Probabilmente si, ma è strano
pensare a come una
parola sola possa racchiudere una serie di concetti tanto orribili, ma
è anche
strano pensare che su un albero di un parco maledetto vi sia seduto uno
Shinigami che versa lacrime per un nuovo arrivo nella sua lista.
Eppure
è così.
Questa
volta non un “era” ma un
“è”.
Infondo
raccontare i fatti
accompagnandosi ad un “era” significa che niente si
può cambiare, le scelte
sono state prese e anche se solo di pochi secondi, il tempo
è passato svolgendo
il suo corso; invece con l’”è”
è tutto diverso.
Niente
è stato detto.
Niente
è stato deciso.
Tutto
un mondo ancora da fare e
costruire, tante decisioni da prendere e infine cose da capire.
Credo
sia per questo che ora mi
ritrovo di nuovo qua a guardare la mia prossima vittima versando
lacrime di
sangue che si infrangono gelide sui fili d’erba che
chinandosi sotto al suo
peso, le fanno scivolare più giù fino al terreno
che le assorbe passivo, non
sapendo che è colpa loro se da tempo li è tutto
rosso e destinato alla fine.
Si,
proprio colpa loro.
Le
lacrime degli Shinigami non
sono limpide come quelle degli umani che a volte riescono perfino ad
esprimere
gioia, ma sono sporche.
Portano
con loro ogni morte, ogni
dolore, ogni pena inflitta nel cuore del suo padrone.
Si
dice che l’oste non porta pena
ma in questo caso non c’è cosa più
falsa.
Noi,
Dei della morte non
piangiamo, o meglio, non dovremmo.
I
motivi per farlo sarebbero
inesistenti per un apatico essere del genere, credo sia per questo che
chi ci
ha creati ha pensato che non ne avessimo bisogno e non
c’è le ha donate.
L’eccezione
alla regola però
esiste anche in un mondo come questo e sono io, lo stupido Shinigami
invaghito
di un umano.
Un
umano con cui non ha mai
neanche parlato ma solo visto da lontano.
Non
credevo sarebbe mai potuto
succedere di provare interesse per una persona solo guardando da
lontano come
si comporta, cosa gli piace, i piccoli gesti che compie e
più semplicemente
lui.
È
la prima volta che provo
qualcosa di diverso da rabbia, dolore e tristezza e non credo mi
piaccia.
Niente,
neanche dover uccidere dei
bambini fra le braccia delle loro madri disperate mi ha mai fatto
versare una
lacrima ma da quando ho cominciato a vedere il suo nome salire sempre
di più
nella mia lista facendosi largo fra gli altri condannati, dagli occhi
mi sono
aperte quelle piccole fessure dolorose da cui scendono le scie che non
sono
altro che gocce del mio stesso sangue che fino a pochi istanti prima
erano
congelate all’interno delle vene.
Ma
cosa mi importa? Anche se le
piangessi tutte io non necessito di sangue per sopravvivere.
Sono
un fottuto Shinigami a cui
servono solo le anime delle persone richieste dalla lista per
continuare
quell’inutile esistenza come mietitore.
Continuo
a fissare la croce nera
che c’è impressa sul suo cuore che, nonostante sia
coperta dai vestiti riesco a
vedere chiara come il cielo in una giornata di sole e la riesco a
percepire
come se stesse consumandosi su di me.
Devo
decidere, oggi è il giorno,
se non lo ucciderò prima della mezza notte io
tornerò a vivere il mio incubo
senza neanche avere la certezza di salvarlo.
Nessuno
ha mai disubbidito perciò
non ho idea di cosa succeda ai non morti, potrebbero trasferirsi su
un'altra
lista oppure suicidarsi o magari la durata della vita verrebbe
prolungata.
Cosa
dovrei fare? Non è nella mia
natura essere positivo ma all’idea di ucciderlo mi tremano le
mani e il sangue
sul mio volto scende ancora più veloce.
Lui
è li.
Steso
sulla solita panchina
abbandonato ad un sonno da cui non dovrebbe più svegliarsi e
le immancabili
cuffiette, sfilatesi dalle orecchie, giacciono cadute sul petto.
Le
varie ragioni si contendono la
supremazia nella mia testa, tutte con un fondo di verità.
Perché
gettare al vento tutto ciò
che ho fatto fin ora tornando così nel vortice di
disperazione in cui vagavo?
Perché…perché…PERCHé?
La
testa è talmente pesante da
fare male, porto le mani a sostenerla, forse è semplicemente
stanchezza.
Profonda
ed eterna stanchezza di
ogni cosa che sembra così trasparente, inutile.
Lentamente
mi sta uccidendo,
prosciugando ogni mio interesse, ogni… non oserei
permettermi di usare il
termine “emozione” ma almeno quei piccoli brividi
che ti percorrono veloci come
fulmini che squarciano il cielo notturno.
Veloci,
pericolosi, ma allo stesso
tempo rischiarano per pochi attimi tutto ciò che fino a
pochi attimi prima era
in un buio perso.
Gli
Shinigami sono immuni da ogni
stimolo esterno, questo è vero, però dentro di
noi si genera quell’eccitazione
provocata anche solo dall’idea di certe cose.
Se
sono belle o brutte non ha
importanza, infondo il concetto di cosa è bene e cosa
è male è del tutto
soggettivo non per niente ogni volta questo muta sfumando in mille
piccole
sfaccettature e, si sa, se queste non le si guardano da vicino non si
riescono
a cogliere tutte le varianti che lo compongono.
Ma
la regola generale non esiste.
Tutte
le volte che vengono viste
con occhi diversi anche i colori cambiano a seconda della percezione in
cui
l’inconscio di ognuno le tramuta.
Ma
che vita è se si consumano i
giorni andando dissolvendosi giorno per giorno
come perfetti cristalli che, scendendo dal cielo vengono
assorbiti dal
manto bianco che riposa tranquillo a terra, unificandosi ad esso e
diventando
parte integrante di quel nulla che regna costante? Tutto ciò
non si può
chiamare vivere ma semplicemente esistere.
Anche
le pietre esistono.
Vivere
è diverso.
Vivere
è respirare e sentire
l’aria fresca che si espande in tutto il corpo, correre e
passare fra i campi
sentendo l’erba che si scontra con le gambe cercando di
fermarti, ma vivere è
anche andare avanti.
Vivere
è giocare coi giorni,
contare i secondi fra un respiro e un altro, ridere per niente, sentire
il
cuore battere per un viso o per una piccola gioia.
Vivere
è diverso da esistere
perché quando si vive si sogna e se pur non
c’è ne accorgiamo nel nostro essere
qualcosa esiste.
Quel
qualcosa che ogni giorno fa
aprire gli occhi e da la forza di alzarsi.
Mentre
quando si esiste si ha la
vuota percezione del niente che va infrangendosi contro un muro di
indifferenza.
Ma
la differenza che più le
distanzia è una.
Si
vive perché lo si desidera, si
esiste perché si deve.
Il
sole va sciogliendosi verso
l’orizzonte ricordandomi con i riflessi scarlatti che lo
circondano che la
decisione deve essere presa.
Forse
più che decidere della sua
vita dovrei decidere della mia.
Scegliere
tra continuare in eterno
ad esistere e cominciare, anche se per poco, a vivere.
Tra
gli umani c’è un detto che
dice: meglio un giorno da leone che cento da pecora.
Forse.
Ma
davvero quel leone è tanto
coraggioso e quella pecora tanto stupida? Se ci avessi pensato qualche
tempo fa
avrei detto sicuramente che non aveva la minima logica, ma adesso mi
trovo a
rifletterci pensando che, probabilmente quel singolo giorno vale come i
cento.
Ma
come può un giorno equivalerne
cento? Ogni cosa ha una ragione, però forse quei cento sono
trascorsi come in
un sonno profondo e quell’uno come il momento del risveglio.
Già,
il risveglio.
Mentre
il sole finisce la sua
corsa chiudendo gli occhi dietro alle cime ombrose degli alberi si
consuma la
mia scelta.
Con
un piccolo salto esco dal mio
nascondiglio fermandomi davanti alla mia prossima vittima che quasi mi
avesse
sentito si sveglia aprendo piano gli occhi e rimanendo immobile,
sorpreso di
trovarsi qualcuno davanti.
Sbatte
qualche volta le ciglia
confuso per poi sorridere timido, come imbarazzato per essersi fatto
trovare
addormentato su una panchina da uno sconosciuto.
Io
gli sosto davanti il più
inespressivo possibile sentendo
la croce
chiamare la mia falce.
Mi
inchino a lui.
Era
da tempo che non abbassavo il
capo.
Da
bambino lo facevo per scusarmi
e supplicare il perdono dei soldati, sperando così di non
venire punito.
Adesso
non so perché lo sto
facendo.
Forse
ho ancora il bisogno di
porgere le mie scuse e di sperare che esse vengano accettate anche se
so che
questa volta nessuno mi farà del male.
Guardando
verso il basso noto un
fiore.
Gli
Occhi di Maria.
Occhi
rossi che mi guardano impassivi
dal basso.
Le
luci dei lampioni risaltano nel
buio della notte, da lontano si sentono echeggiare vaghi i rintocchi
della
mezza notte provenienti dal vecchio campanile che veglia sulla
città.
Il
tempo è terminato e come
Cenerentola vorrei scappare ma i secondi sgocciolano fino a
prosciugarsi.
Alle
nostre spalle un parco torvo
e qui la mia vita che si spezza.
Mentre
la vista comincia ad
offuscarsi sento il corpo svanire.
Ora
posso sentire il terrore di
quel leone che, seppur coraggioso sa di star vivendo i suoi ultimi
respiri e
l’angoscia di sentire il cuore battere,
dopo tanto tempo, disperato mentre piano, rallenta.
Ora
non esisto più.
Ne
sono sicuro.
Per
la prima volta sicuro di
qual’cosa.
Pochi
istanti dopo tutto era
terminato.
Delle
piccole scaglie luccicanti
si libravano a mezz’aria per poi poggiarsi delicate sul
terreno.
Dello
Shinigami non era rimasto altro
che un fiore circondato da petali lucenti.
Mentre
tutt’intorno perse colore
tingendosi di un bianco smorto, pallidi spettri rimasti ancorati al
suolo,
accolti nel triste letto di morte che solo poco tempo prima gli aveva
donato la
vita.
In
mezzo a tutte quelle
inconsapevoli vittime che, come fantasmi alla deriva, venivano scossi
passivi
dal vento, cominciava come un lieve tremolio, a farsi sentire la
mancanza di
quel rosso tanto acceso.
L’occhio
di Maria però sembrava
ancora piangere sangue che, come una cascata, passava scivolando da
petalo in
petalo non cadendo mai.
Li
un ragazzo assisteva inerme
allo spettacolo.
Era
impaurito, preso alla
sprovvista da tutto.
Si
chinò solo un attimo che gli
bastò per sfiorare con l’indice
quell’unico fiore che sembrava condividere con
lui il timore e la tristezza che aleggiavano nell’aria, per
poi scappare da
quel luogo lasciandolo con una lacrima versata come dono a quella
creatura che
forse aveva solo immaginato.
Le
ore ripresero tranquille a
trascorrere, il tempo non si ferma mai nonostante tutto.
Arrivò
mesta la mattina
illuminando nuovamente ogni cosa e al cancello mangiato dalla ruggine
del parco
maledetto appariva di nuovo il ragazzo del giorno prima.
Takanori.
Avanzava
piano in quel parco
bianco fino ad arrivare alla solita panchina che per la prima volta non
lo
stava aspettando da sola.
Su
di essa vi era seduto un bimbo
dai capelli neri, i vestiti sgualciti e sul grembo un fiore.
L’occhio
di Maria che ancora
brillava.
Takanori
piano si avvicinò al
bambino avvolgendolo col suo cappotto.
Faceva
molto freddo e quel bambino
sembrava già abbastanza malandato e non sapeva spiegarsi il
perché, ma a
vederlo così, solo come una piccola macchia nera in mezzo a
tutto quel candore
aveva fatto crescere in lui un senso di protezione.
Gli
si sedette accanto guardandolo
dolce ma appena gli occhioni del piccolo si alzarono intimoriti
agganciandosi ai
suoi un brivido lo percorse.
Quel
colore così intenso con
celata al loro interno un innocente nota di malinconia non gli erano
nuovi.
In
un flash rivide il volto della
creatura del giorno prima, accompagnato da quell’unico fiore
ancora rosso che
il bimbo teneva stretto fra le manine.
Un
cristallo di neve appoggiatosi
sul piccolo naso e un altro tenero sorriso del più grande.
-
come ti chiami?
-
Yuu…
Dopo
di questo solo silenzio rotto
solo dal gesto di quel bambino che porgeva il suo tesoro che nascondeva
fra le
mani fredde al nuovo amico.
Ora
non più come il cristallo di
neve che si confonde fra tutti ma come un rubino scarlatto e perfetto
che si poggia
sul morbido manto bianco.
***FINE***
Salve
a tutti! Spero che questa
piccola storia vi sia piaciuta e che l’orribile punteggiatura
non abbia dato
troppo fastidio ( contaci! =_=)
Non
so se è molto chiaro però il
bambino è lo Shinigami che è tornato alle
origini, ma come dice sopra il tempo
non si ferma quindi lui non poteva tornare indietro nella sua era
quindi è
rimasto al presente come bimbo senza ricordi.
A
presto,
Chie.