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Autore: SenseAndSensibility    19/12/2009    6 recensioni
{N.Italy x Germany}
«E se ogni nazione fosse caduta attorno a loro, e se solo loro fossero alla fine rimasti, Feliciano non avrebbe rimpianto un solo passo del suo cammino, perchè aveva finalmente imparato a stare in piedi accanto a Germania.»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: One shot che ho scritto di getto, sulla base della canzone "La guerra di Piero" del grande Fabrizio de Andrè. Ovviamente non avevo intenzione di rovinare la canzone, nè di scrivere qualcosa che potesse risultare in qualche modo offensivo. Unica correzione che vi ho fatto: siamo in inverno e non a Maggio.
Spero che questa mia storia possa piacervi.
{In alcuni punti potrà risultare difficile da leggere, ma temo dipenda dal fatto che ho tentato di riprodurre il più fedelmente possibile dei flussi di pensiero. Non lasciatevi scoraggiare. Ci terrei molto.}

Titolo: Feliciano va alla guerra.
Fandom: Axis Powers Hetalia.
Coppia: Germania x N.Italia {Ludwig x Feliciano}
Rating: Verde
Parole: 2856 (W)
Avvertimenti: One-Shot, Shonen-ai, Guerra, Storico, Character death.
Note: Il giorno di settembre menzionato è ovviamente l'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio firmato dall'Italia con gli Alleati.
{Vi rimando per maggiore completezza alla pagina di Wikipedia}.


Feliciano va alla guerra


Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi
Dicembre 1943, Nord Italia.

Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente

Feliciano sedeva sulle rive di un fiume, le falde della divisa che si sporcavano mescolandosi al fango della terra, e fissava l'acqua. Si sentiva debole, ferito, stanco. Il suo corpo era ormai sfinito dai numerosi colpi inflitti senza pietà in ogni punto che fosse per i nemici possibile da raggiungere.
Germania l'aveva aiutato per quanto era stato possibile, questo era certo. L'aveva salvato da campagne fallimentari, l'aveva ripescato dall'oceano di sabbia di un infinito deserto, gli aveva teso la mano ad ogni sua caduta, quando Feliciano si abbatteva e quando invece veniva abbattuto. L'aveva fatto combattere accanto a sé in prima fila, i loro stendardi incrociati in indissolubile unione, e allo stesso tempo gli aveva fatto scudo con il suo corpo forte, parando i colpi che avrebbero segnato la fine di uno stato così gracile, così fragile. E ogni volta Feliciano aveva osservato il suo salvatore negli occhi, cercando di catturarne lo sguardo, e aveva osservato il leggero rossore che imporporava le guance del più forte, tradendo inaspettata tenerezza per quella nazione che nessuno al mondo avrebbe definito come qualcosa di poco più che inutile. Aveva osservato come lui si gettava davanti al suo corpo durante gli attacchi, ignorando, per salvarlo, tutte le più elementari regole della guerra. Per lui Ludwig era stato pronto a cancellare le regole del gioco che lui stesso aveva creato. Infine, Feliciano aveva osservato molto più di quanto aveva creduto di vedere.
Aveva saputo attendere e resistere, aveva saputo stringere i denti e sputare sangue, aveva imparato a mettere le mani avanti a sé quando cadeva per poi rialzarsi ogni volta più in fretta. Ma non l'aveva fatto per la vittoria. La vittoria era un miraggio così lontano... non più di un mero scintillio dell'oro dei conquistatori, sepolto dalla polvere e dal sangue versato dalla sua gente. E poi, Italia era abituato a perdere. Dopo gran parte della sua vita passata a cadere ai piedi di nazioni più forti, le sue ginocchia erano abituate a piegarsi, il suo capo sapeva chinarsi a sostenere il peso di corone che non erano le sue.
Ma no, non c'entrava nulla di tutto questo. La verità era che l'aveva fatto solo per Germania, solo e soltanto per lui. Feliciano conosceva bene il carattere di Ludwig. Sapeva che avrebbe continuato a camminare, mentre altri, meno determinati, cadevano attorno a lui. E Italia aveva imparato a rialzarsi sempre più in fretta, asciugandosi il sangue delle ferite senza farsi vedere, solo per poter dimostrare alla sua nazione preferita che anche lui, costasse che quel che costasse, avrebbe continuato a camminargli a fianco. E se ogni nazione fosse caduta attorno a loro, e se solo loro fossero alla fine rimasti, Feliciano non avrebbe rimpianto un solo passo del suo cammino, perchè aveva finalmente imparato a stare in piedi accanto a Germania.

Questo era stato fino ad ora il loro legame, invidiabile, saldo, profondo. Era stato reciproco, nonostante la durezza apparente di Ludwig. Il rossore che colorava le sue guance, contrastando con la carnagione eccessivamente chiara, l'aveva dimostrato. Feliciano non aveva mai chiesto altro, aveva creduto di poter andare avanti così per sempre...
Non si sarebbe mai perdonato l'errore commesso in un giorno di settembre, ne era sicuro.
Il suo cuore si strinse in una morsa di ferro al pensiero, mozzandogli il respiro di colpo, lasciandolo affannato e tremante. I suoi piedi scivolarono un po' verso l'acqua del fiume. Non aveva timore di bagnarsi, né di cadere. L'acqua non sarebbe stata in grado di lavare via ciò di cui si era macchiato quel giorno.
Era stato irretito dalle proposte degli Alleati. Anch'essi erano sfiniti dall'interminabile gioco che erano costretti a compiere per aver salva la vita, ma avevano saputo agitare le code della loro grandezza di un tempo (o, nel caso di una certa nazione oltreoceano, della loro grandezza recentemente acquisita) in un ultimo guizzo di vittoria. E Feliciano era caduto nella loro trappola, tentato dalla possibilità di riposare il suo corpo ormai esanime, di potersi abbandonare finalmente nelle braccia di Germania senza che questi lo stesse stringendo per ricevere un colpo che in realtà era destinato a lui, e non per amore.
Il capo di Germania, invece, nella sua limitatezza, non aveva saputo vedere nel gesto di Italia l'amore per lo stato che egli comandava. Egli aveva intenzione di continuare il gioco, con o senza di lui. E si era affrettato a sparargli alle gambe, piegando di nuovo quelle ginocchia che tanto avevano faticato per sorreggersi da sole.
Feliciano era ormai allo stremo. Gli Alleati tardavano a rispettare le loro promesse, il vuoto assoluto al suo fianco gli divorava il cuore, gelandolo di assenza.
Voleva solo che la guerra finisse, e che finisse in fretta. Era stanco di stare seduto su quelle rive, vedendo passare la sua sconfitta. Vedendo passare la sua gente, portata in braccio dalla corrente.

Così dicevi ed era d’inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve

Era venuto anche il suo momento, infine. Doveva alzarsi, asciugare di nuovo le ferite alle gambe, posare di nuovo a terra una corona che non era la sua, nell'ultimo gesto di ribellione che poteva compiere.
Faceva freddo, davvero freddo. Nevicava. Non avrebbe chiesto momento migliore. Al freddo, nessuno avrebbe visto che stava tremando. E se anche quella fosse stata la sua ultima azione, forse lo stesso inverno gli sarebbe venuto in aiuto. In un giorno di inverno sarebbe stato più semplice morire.

Si passò per l'ultima volta le mani sporche tra i capelli, scompigliandoli. Si lisciò la divisa azzurra come meglio poté, asciugando le falde della giacca, stretta in vita da una cintura, battendo gli stivali neri a terra per scuotere via le ultime tracce della sua permanenza sul fiume della sconfitta. Si sistemò le maniche, spingendole il più possibile a coprire i tagli sulle mani deboli, che forse non avrebbero saputo reggere in mano un'arma mai utilizzata prima.
Qualcun altro era stato lì, al suo fianco, ad impedirgli di usarla, fino a quel momento...
Passò un'ultima volta il palmo delle mani sulla divisa stracciata, saggiandone la consistenza. Infine le sue dita salirono al laccio che gli stringeva il collo, perdendosi poi nelle pieghe della veste, scendendo, a contatto con la pelle, fino al cuore. Era il laccio che sorreggeva una croce, la croce che Germania gli aveva donato a suggellare il loro legame. L'aveva nascosta dopo quel giorno di settembre, ma non l'avrebbe dimenticata. Era per l'uomo che essa rappresentava che combatteva. E si aggrappò ad essa, chiudendo per un attimo gli occhi. Stringendola tra le dita cercò di carpirne la forza, la sicurezza, l'ottimismo di una vittoria.
Poi diede a lei il bacio che non era riuscito a consegnare a chi gliel'aveva donata, e partì.
Il vento gli sputava in faccia la neve.

Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce

Oh no, no. Non poteva fermarsi. Non ora che aveva una risoluzione, non ora che aveva asciugato le sue lacrime e aveva finalmente trovato l'orgoglio di reggersi in piedi, appellandosi ad un'assenza che sperava di colmare. E se anche gli avessero sparato alle gambe, le avrebbe convinte a non piegarsi più. Le avrebbe forzate a stare dritte, anche se avesse dovuto strisciare a terra per continuare ad andare avanti. I suoi gomiti erano già feriti, il contatto con la terra non era loro nuovo. I tagli erano già profondi, il fango che li copriva li aveva già infettati. Non avrebbe vissuto una situazione estranea. Ma nuovo sarebbe stato il finale, quello sì, l'avrebbe cambiato. E l'aveva giurato, ad ogni costo.

Era fiero delle sue gambe, adesso. Continuavano a muoversi, da sole. Non si lasciavano tentare dalla paura di quello che poteva essere il loro ultimo cammino. Si muovevano e basta, andando sempre avanti.
Era vero, le voci dei suoi caduti gli suonavano sempre, fioche, nella mente. Erano il suo popolo, li amava e li rispettava. Aveva promesso fin da subito di non dimenticare mai la croce che avevano ricevuto in cambio della loro fedeltà. Ma anche lui ne aveva ricevuta una, di croce. La portava al collo, e per essa era pronto a dare la vita. In quel momento anche Feliciano non era nulla di più che un soldato - non una nazione, non un uomo ferito, né un uomo scoraggiato. Nulla di più che un soldato.
Feliciano andava alla guerra, e il vento gli passava un po' addosso.

E mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore

Aveva raggiunto il fronte, camminando di buona lena. Si era unito ai suoi uomini, portando in loro nuova speranza. E adesso stava in piedi, in cima ad una collina, guardava dall'alto il suo territorio violato da un gioco che si era spinto troppo oltre. Ancora fece il gesto di lisciare la sua divisa, ormai a brandelli. E ancora si passò tra i capelli le mani, non curandosi più di nasconderne la debolezza e la fragilità. Quelle mani avrebbero dovuto reggere ciò che le sue spalle ora sostenevano, la sua arma e la sua anima. E forse, proprio in quel momento, queste ultime stavano diventando la stessa cosa.
Sorrise, mentre il vento carico di neve gli sfiorava gli occhi, e il cielo bianco lo fissava di rimando. Le nuvole gonfie passavano senza sosta nell'alto silente, e raffiche di mitra turbavano invece la terra degli uomini e delle nazioni, in basso nella valle ai piedi della collina.
Il suo sguardo venne attirato da una macchia nera che si muoveva lentamente contro il bianco abbacinante della neve, nella conca profonda.
Aveva visto troppe volte la divisa tedesca per non riconoscerla immediatamente. Se si fosse concentrato, avrebbe saputo raccontare la consistenza e il profumo di quella divisa, la sensazione di appoggiarvi sopra la guancia alla ricerca di una protezione che non avrebbe tardato ad arrivare.
Sapeva di stare andando contro tutte le regole del gioco. Gli sguardi riprovevoli delle altre nazioni gli passavano davanti agli occhi della mente, beffardi, stizziti, sconvolti. Quale orrore, seguire una nazione simile, quale errore affidare la propria vita ad uomo che ne avrebbe potuto fare pezzi con un solo gesto della mano. Non sarebbe stata certo la prima volta. Germania aveva una certa esperienza. Aveva una vita che lo attendeva nel suo territorio, da cui non cercava di fuggire. Sapeva quello che vi stava accadendo, sotto gli ordini del pazzo che lo comandava. Ma aveva deciso che era suo dovere andare avanti.
E Italia aveva deciso di avere anch'egli un preciso dovere.
Feliciano andava alla guerra per seguirlo.
Così che davvero i due uomini, uno nella valle e uno sulla collina, con la divisa di un altro colore, avevano lo stesso identico umore.

Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue

No, no! Non era questo quello che intendeva. Non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai sparato. Era deciso a salvare la sua gente, era deciso a riconquistare l'occasione perduta, ma era deciso a farlo a modo suo. Non avrebbe ceduto ai ricatti di nazioni che, forti della loro alleanza e del loro isolamento, erano riuscite a metterlo contro a quello che fino a un certo giorno di settembre era stato il suo unico sostegno, e anche il primo uomo che gli avesse teso la mano per sorreggerlo, e non per colpirlo al volto, così com'era sempre stato. Di quante nazioni aveva subito le percosse! Anche dalle stesse a cui aveva così stupidamente ceduto non aveva ricevuto altro che dolore.
No, non avrebbe sparato, né un colpo né due colpi.
Nessuno, mai più, sarebbe caduto in terra a coprire il suo sangue.

E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia

Era un bersaglio fin troppo semplice Feliciano, con quella divisa azzurra, in piedi sulla collina, stagliato contro il cielo bianco. Il candore della neve scomponeva la luce nell'aria in mille bagliori, riflettendosi spietatamente sul volto del giovane, fragile soldato che era andato alla guerra per cercare la pace.
No, la guerra era un mestiere serio, secondo Germania. C'era stata solo una persona per cui era stato pronto a trasgredire le regole, a disobbedire agli ordini, a scaricare le responsabilità. Ma quella persona non era lì al suo fianco a pregarlo come al solito di non sparare, adesso. Non era lì a ricordargli che anche sull'altro fronte chi combatteva era un uomo, non era lì a dirgli che se avesse usato pietà nei suoi confronti forse la guerra sarebbe finita prima, forse avrebbero potuto raggiungere un accordo. Non era lì a cingergli i fianchi, ad appoggiare il volto contro la sua schiena, non era lì a tendere la mano sul suo braccio per abbassargli lentamente l'arma.
No, non era lì. Non gliene faceva una colpa. Anche Ludwig, per quanto fosse spesso in difficoltà a leggere l'atmosfera, aveva imparato a conoscere Feliciano. Aveva conosciuto le sue debolezze (tante), ma anche i suoi tanti pregi. E come l'aveva fatto lui, anche altri c'erano riusciti. Solo che, a differenza sua, ne avevano approfittato.

No, Feliciano non c'era più. Ludwig non avrebbe mai neppure sognato che si trovasse lì, in quella valle. Lo immaginava lontano da quella guerra, che sapeva che egli aveva tanto odiato nel profondo. Lo immaginava salvo, così come l'aveva sempre voluto vedere.

Nessuno era lì ad abbassare il suo fucile. La luce nascondeva il volto del soldato in piedi sulla collina, che, lo vedeva bene, aveva in mano un'arma, ma sembrava esitare.
Ah, questi italiani...
Non si esita in guerra, Ludwig aveva sempre tentato di farglielo comprendere.
Ed imbracciata l'artiglieria, non gli ricambiò la cortesia.

Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato

Aveva le labbra ancora dischiuse, Feliciano. Aveva appena riconosciuto nell'uomo che si muoveva nella valle il suo Ludwig, il motivo per cui aveva camminato tanto, combattuto tanto. Avrebbe voluto chiamarlo.
Una pallottola gli bloccò un grido in gola. Trapassandogliela, arpionò tutte quelle parole che avrebbe voluto pronunciare, disperdendole nell'aria.
Non pensava nulla, Feliciano. Sentiva la sua vita scorrere via, e non pensava nulla. Troppo dolore, troppo rimpianto lo attanagliavano, quando il pensiero del peccato commesso ancora in un giorno di settembre lo sfiorava impietoso.
Era caduto, Feliciano. E il tempo che aveva sempre creduto eterno si rapprendeva in gocce e cadeva insieme al suo sangue.
No, il tempo non sarebbe bastato a chiedere perdono per ogni peccato.

Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno

Anche Ludwig aveva le labbra dischiuse. Ma la sua non era una smorfia di dolore. Era concentrazione che si era presto mutata in sorpresa, sgomento, terrore, rabbia. Fino a lasciare spazio ad un vuoto assoluto, ad un bianco più abbacinante della neve, ad un orrore che non aveva parole.
Non pensava nulla, Ludwig.
Ma poteva muoversi, e correva. Correva, evitando le raffiche di pallottole provenienti dalle trincee ben nascoste sul colle, correva risalendo il pendio e lanciando dietro di sé quel maledetto fucile.
Non pensava nulla, Ludwig.
Vedeva di fronte a sé, un unico, orribile fotogramma: il soldato che cadeva, allontanandosi dalla macchia di luce che gli rifletteva sul volto. Un ricciolo di capelli castani che salutava per l'ultima volta il cielo, confondendosi poi con la neve.
Una vita finiva quel giorno, e non ci sarebbe stato un ritorno.

E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi il fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole

Non aveva parole, Feliciano. Ma aveva ancora occhi per vedere.
E sarebbe stato sempre grato di aver potuto vedere Ludwig per l'ultima volta.
Di aver potuto vedere i suoi occhi chiedere silenziosamente perdono, di aver potuto vedere le sue braccia stringersi intorno al suo corpo, le sue labbra avvicinarsi finalmente alle sue.
Non aveva parole, Feliciano, ma non ne aveva bisogno. Ludwig aveva sempre conosciuto quelle tre che avrebbe voluto dirgli, e le aveva a suo modo, silenziosamente, ricambiate.
Adesso toccava a Feliciano andarsene silenziosamente.
E allora, in silenzio, affidò le sue parole al grano che covava sotto la neve.
E si allontanò dalla guerra che aveva tanto odiato, con il grano che lo stava a sentire.

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
  
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