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Autore: Beatrix82    19/12/2009    1 recensioni
Tre nuove famiglie sono nate dall'ultima generazione di guerrieri Z, che ora vivono tranquille dopo la pace conquistata anni prima con l'ennesimo sacrificio. Ma ora qualcuno, a conoscenza del loro segreto, sta tessendo alle loro spalle un piano diabolico: conquistare i favori e i poteri di tre cuccioli ancora ignari della crudeltà del mondo. Seguito ufficiale di "Il signore della Terra" e cronologicamente successivo agli spin-off "Moonlight" e "Sunshine" della saga di Dragonball NG.
Genere: Azione, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Goten, Marron, Pan, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Prologo

 

 

Il laboratorio era ancora vuoto, silenzioso. Nell’aria si percepiva solo il ronzio dei macchinari in riscaldamento, nascosti negli angoli in penombra della stanza, dove la glaciale luce al neon dalle vaghe sfumature verdi non li raggiungeva pienamente.

Frederik aprì lo zainetto di tela, estraendo da esso un camice bianco ripiegato con cura, che indossò senza fretta.

Mentre si abbottonava, sollevò la giovane testa verso lo specchio a muro che comprendeva buona parte di una delle pareti del laboratorio. Per un po’ rimase a fissare il suo volto pulito, i suoi occhi grigi dallo sguardo ancora insicuro e puro di un adolescente, i capelli color biondo cenere che li ricadevano in parte sul volto, incapaci da domare, il camice vecchio e logoro di chi si può permettere acquisti sono in negozi di seconda mano. Era ben lungi, ancora, da interpretare l’uomo colto e altolocato che un giorno sognava di diventare. Per ora era solo un giovane tirocinante in attesa di conseguire la laurea, unico obiettivo a cui, per ora, poteva pensare.

Dal corridoio percepì l’avvicinarsi di rapidi passi. Passi di donna, accentuati dal rumore di tacchi alti contro il pavimento di linoleum. Ed ecco entrare la donna che per lui costituiva un mito, un idolo, un’istituzione, eccola farsi avanti con i corti e lisci capelli pettinati elegantemente in un caschetto azzurro, il bel viso illuminato dagli occhi blu sfavillanti di luce e dalle labbra rosse, il camice bianchissimo aperto su un’elegante tailleur nero, scollato al punto giusto, in modo da dare anche alla più impegnata delle scienziate la grazia e la bellezza di una donna che ha il fascino nel sangue.

Bulma Brief, presidente di una delle più famose aziende del pianeta, gli aveva concesso gentilmente di frequentare i suoi laboratori durante le vacanze estive. La Capsule Corporation, infatti, era una delle massime fornitrici di macchinari scientifici del laboratorio in cui svolgeva l’internato, e prendendo lezioni direttamente dall’inventrice, Frederik era sicuro di poterli usare al meglio. Il giovane era ancora stupito di come la donna lo avesse accolto senza problemi fin dal giorno in cui si era presentato alla Capsule Corporation, rendendosi sempre disponibile e felice di fornire chiarimenti e spiegazioni, nonostante la scarsità del suo tempo e il lavoro a cui doveva badare.

Frederik ammirava quella donna. Forse la invidiava, un po’. Avrebbe voluto essere come lei, un giorno. Ma a lui non interessavano tanto i soldi, la fama, i riconoscimenti scientifici…era convinto che la soddisfazione più grossa, per uno scienziato, venisse non dagli altri, ma da dentro di se, la gioia e la realizzazione di aver creato qualcosa di straordinario, di unico, di inimitabile…quello era senz’altro il riconoscimento più grande…

“Ciao, Freddie” lo salutò la donna con un caldo sorriso.

“Salve, signora Brief” rispose il ragazzo, inchinandosi impercettibilmente.

Lei incrociò le braccia, alzando un sopracciglio con uno sguardo di rimprovero.

“Freddie…quante volte devo dirti di chiamarmi semplicemente Bulma?” sorrise. “Non vorrai farmi sentire vecchia, vero?”.

“Oh…assolutamente no…Bulma” rispose il ragazzo, passandosi una mano tra i folti capelli con imbarazzo.

“Bene!” esclamò la scienziata. “Vedo che anche oggi sei in perfetto orario e già pronto per il lavoro! Sei proprio un bravo ragazzo, Freddie!”.

Frederik sorrise, arrossendo leggermente. Fare buona impressione e mostrarsi volenteroso e determinato era la base per diventare qualcuno, per avere la possibilità, in futuro, di fare grandi cose. Solo così, piano piano, avrebbe potuto salire la montagna, lui che non partiva solo dalla base, ma da luoghi ancora più profondi…suo padre era morto quando aveva solo tre anni, sua madre lavorava in una sartoria a stipendi miserabili, e lui non aveva altra possibilità, se non con le sue sole forze, di combattere il grigiore dell’esistenza che lo aveva segnato fino ad allora, concedendosi una possibilità per sentirsi qualcuno.

“Allora” iniziò Bulma. “Ieri abbiamo visto insieme i macchinari che usate per conservare i campioni biologici…adesso ti faccio vedere le centrifughe, vieni!”.

La seguì nella stanza attigua, da cui si accedeva dall’ultima porta del corridoio. Entrando, notò subito che lo specchio dell’altro laboratorio corrispondeva ad una vetrata trasparente sulla faccia opposta della parete divisoria.

Bulma notò la sua curiosità.

“Quella? E’ una vetrata da cui, quando lavoro qui, posso vedere se tutto è apposto nell’altra stanza, cioè il laboratorio principale…da lì, invece, sembra di avere davanti un semplice specchio!”.

Frederik sorrise tra se, pensando a come il gusto estetico di Bulma Brief arrivasse anche entro le pareti del suo luogo di lavoro.

Si sedettero davanti alla macchina in questione, della quale Bulma, con pazienza e chiarezza, iniziò a spiegargli dettagliatamente le funzioni, le modalità d’uso, le varie utilità. Mentre la donna parlava, indicandogli pulsanti e dispay, lui seguiva attentamente, rapito dalla voce della sua maestra quanto dal mondo che lo circondava: un’infinità di invenzioni con il marchio dell’azienda, uscite da una sola mente, non solo in quella stanza e nel resto dei laboratori, ma anche nelle città e nelle case di mezzo mondo…chissà cosa provava, lei, nell’aver creato qualcosa di così meraviglioso…

Dal corridoio percepì un’avvicinarsi di passi, questa volta lunghi e pesanti, accompagnati da un pianto infantile che non accennava ad acquietarsi. Bulma si girò istantaneamente verso la porta, sospirando poi arrendevolmente.

“Mio marito con mia figlia” spiegò. “L’avevo lasciata a lui per un po’…a quanto pare la piccola non ne vuole sapere!”.

Freddie sorrise, ricordando la buffa faccina della bimba che spesso aveva preso in braccio, non aveva nemmeno un anno, ancora, ma era già così graziosa e così simile alla madre da averlo subito conquistato. Anche il figlio maggiore, un ragazzino tredicenne con dei bizzarri capelli lavanda, era un tipetto piuttosto simpatico, che una volta gli aveva anche offerto una sfida ad un suo nuovo videogame in un momento di pausa.

Era con il padre, che proprio non riusciva a comunicare. Era noto a molti che il marito di Bulma Brief fosse un tipo alquanto strano e burbero, ma conoscerlo di persona era stato di gran lunga peggio. Ogni volta che lo incrociava, lui lo squadrava sempre con diffidenza, attraverso quegli occhi neri impenetrabili e al si sotto di quelle sopracciglia aggrottate, ai suoi saluti spesso rispondeva borbottando qualcosa di incomprensibile o evitando semplicemente di considerarlo. C’era qualcosa in lui che lo spaventava, che lo metteva in soggezione, sebbene non riuscisse a capire che cosa.

“Bulma!” lo sentì chiamare a metà corridoio, con quella sua voce grave e profonda che quasi mai aveva sentito.

“Ti dispiace se mi assento un attimo?” gli chiese Bulma leggermente mortificata. “Credo che Bra abbia fame…”.

“Oh, no…figurati!” rispose Frederik, rassicurante. “Intanto, prenderò appunti sulla lezione”.

Bulma approvò soddisfatta, per poi uscire dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle, in modo da concedergli maggiore concentrazione.

Mentre si accingeva a scrivere sul suo taccuino, sollevò leggermente la testa verso la vetrata a muro, da cui notò che Bulma, seguita dal marito che in quella situazione sembrava alquanto impacciato, si era seduta nel laboratorio principale con in braccio la piccola. Preso il biberon dalle mani del marito, da quello che Freddie poteva capire tentava con poco successo di mostrare all’uomo come sfamare la figlia senza perdere la pazienza.

Il ragazzo sorrise, divertito.

Quando rialzò di nuovo lo sguardo, Bulma, lasciando la figlia nelle braccia del padre, aveva risposto frettolosamente ad un citofono sulla parete del laboratorio. La vide dire qualcosa all’uomo, per poi uscire e tornare da lui.

“Mi ha chiamato la portineria, Freddie” si scusò la donna. “Devo salire un attimo”.

“Nessun problema” approvò il giovane, immerso diligentemente nei suoi appunti.

Era di nuovo solo. Solo, con quell’uomo nella stanza vicina. Fortunatamente, lui non doveva sapere della sua presenza. Altrimenti, non era da lui venire a rendersi ridicolo come padre quando nelle vicinanze c’erano ospiti. Di solito, sarebbe stato il più lontano possibile. Meglio così. Non era obbligato a salutarlo e a sentirlo rispondere con un grugnito annoiato, o fissarlo come se fosse il più sconosciuto degli estranei.

Si concesse invece un giro del piccolo laboratorio. Esattamente come negli altri, c’era un largo bancone bianco da lavoro, degli sgabelli di legno, attrezzi ingegneristici di varia natura e alcune delle invenzioni in fase di terminazione, di cui probabilmente Bulma doveva testare il funzionamento prima di inserire nel mercato. Tra le cose di cui riuscì a capire l’utilità, c’era uno strano apparecchio per leggere l’intensità di flussi elettromagnetici, dotato di una specie di ago a bussola e di un display numerico, un buffo triciclo motorizzabile per bambini, con cui probabilmente faceva divertire la figlia, e un micro computer tascabile dotato di navigazione in internet, satellitare e di linea telefonica. Quella donna era un pozzo di risorse…

Si girò di nuovo verso la vetrata. La bimba ora aveva smesso di piangere, prendendo a giocare con gusto con un buffo sonaglio rotondo. Quando però questo le scappò di mano rotolando tragicamente sotto uno dei grossi refrigeratori del laboratorio, la piccola scoppiò di nuovo in lacrime, seduta sul pavimento della stanza come un fagottino smarrito.

Il marito di Bulma si avvicinò al macchinario. Tenendo con la mano sinistra il biberon, con la destra sollevò il frigorifero.

Frederik sobbalzò, mentre il blocco degli appunti, la penna e una serie di fogli volanti cadde sparpagliandosi sul pavimento.

L’uomo tenne alzato il macchinario con naturalezza, fin quando la bambina non ebbe recuperato il sonaglio con il sorriso sulle labbra e potè rimetterlo a terra.

Il ragazzo scosse con decisione la testa, correndo più vicino alla vetrata e stropicciandosi gli occhi con violenza, convinto che ciò che aveva appena visto fosse solo un’allucinazione. Quell’uomo era senz’altro molto forte e muscoloso, ma nessun uomo era capace di sollevare una decina di quintali di ferro e alluminio con una sola mano! Non era semplicemente possibile…

Che avesse preso qualche integratore dietetico? Qualche anabolizzante? No…in commercio non esistevano di così potenti…a meno che…non fosse un’invenzione di Bulma…

Rimase con il naso a pochi centimetri dal vetro, senza più pensare a quanto si trovava vicino a quell’uomo e a quanto rischiava di essere visto, perché in quel momento tutto ciò che gli interessava era quello che stava succedendo, qualcosa di impossibile e straordinario…

Ma tutto quello non era niente in confronto a ciò che vide dopo alcuni secondi.

La bambina, annoiata dal giocattolo, aveva ricominciato a piangere. Il padre, al limite della pazienza, aveva tentato invano di farla calmare. Posandola infine a terra, le si era messo davanti, aveva ispirato profondamente e qualcosa di una potenza e una lucentezza straordinaria era uscito dal suo corpo, qualcosa che in un primo momento aveva abbagliato Frederik, costringendolo a coprirsi gli occhi. Quando finalmente si abituò alla luce, vide il suo corpo come ardere in un fuoco dorato, che però non lo bruciava, anzi, lui sorrideva con fierezza, e i suoi capelli…diventati improvvisamente biondi, mentre la bambina lo guardava divertita, battendo le piccole mani.

Come poteva essere…quale spiegazione per tale fenomeno?

Sul bancone davanti a lui, dove aveva appoggiato le mani per tenersi in piedi, c’era il rivelatore di energia elettromagnetica. Avrebbe potuto accenderlo. Aveva paura di farlo, di premere l’interruttore. Ma doveva farlo…

Lo fece, con le mani che gli tremavano, impacciate nel tenere lo strumento dritto verso l’uomo. Il display segnò “error” dopo aver raggiunto il massimo valore che poteva comprendere. No…impossibile…quell’uomo stava sprigionando un’energia inconcepibile…niente del genere era mai stato descritto in natura…

Il suo cuore gli martellava in petto così velocemente che temette di lasciar cadere lo strumento.

Dopo alcuni secondi che a Frederik parvero un’eternità, i capelli dell’uomo tornarono magicamente neri e tutto il bagliore intorno al suo corpo sparì così com’era cominciato. Adesso, il segnale del rivelatore tornava progressivamente a zero. Non si accorse subito, però, che spostando il puntatore verso la bimba seduta sul pavimento, la numerazione tornava ancora a salire, non fino al limite come nel caso di lui, ma verso valori incomprensibilmente elevati…

Era come se la bimba avesse risposto con una piccola emanazione di energia a quella potentissima del padre…

Follia. Pura follia.

Eppure aveva avuto tutto davanti agli occhi, e i suoi occhi non potevano mentire alla sua mente…

Deglutì faticosamente, cercando di calmare il respiro affannato che gli cresceva in gola.

Ciò a cui aveva assistito aveva del magico, del sovrannaturale, ma evidentemente quell’uomo possedeva qualcosa che glielo permettesse come se fosse la cosa più naturale del mondo. E se anche la bambina possedeva, sebbene in misura minima, quella dote, doveva certamente essere qualcosa di ereditabile…

Il suo cuore non accennava a dargli trema, ma adesso pulsava più per l’eccitazione che per la paura. Era di fronte ad un miracolo, ad una meraviglia della natura, che però doveva avere una spiegazione…

Cercando di non fare rumore, si avvicinò cautamente alla porta chiusa, aprendola lentamente. Nessuno nel corridoio. Era estremamente rischioso, ma lui doveva sapere

La porta del laboratorio principale era solo accostata. Non ebbe il coraggio di guardare all’interno, gli occhi di quell’uomo sembravano scrutare costantemente in ogni direzione, in ogni angolo, come se scavassero anche nel profondo dell’anima. Si limitò a fermarsi contro la porta, sperando di non tradirsi, o per lui sarebbero stati guai seri.

“Hai visto? Quello era il super sajan, il guerriero dorato più forte”.

Nel sentire la voce dell’uomo, Frederik sobbalzò, temendo che quelle parole fossero rivolte nei suoi confronti. Poi capì che stava parlando con la bambina. Ma che significava?

Super sajan...sajan...

E’ così che chiamava quella cosa? E’ così che chiamava…se stesso?

“E ricordati sempre, piccoletta, che tuo padre non solo è un sajan, ma è il principe dei sajan!”.

Principe…ma cosa…

La bimba risacchiò gioiosamente, come se, nonostante la tenera età, capisse perfettamente le parole del padre.

“I Son sono sajan di terza classe” continuò. ”Prima o poi lo capirà Goku!”

Goku...Son Goku...

Ma sì, adesso ricordava dove aveva sentito quel nome. Non che fosse un grande appassionato del campo, ma doveva essere stato un mitico vincitore di qualche torneo di arti marziali, in passato.

Un sajan anche lui? Ma cosa erano, esattamente, i sajan?

Un rumore di passi nella stanza. L’uomo si stava spostando, forse veniva verso la porta, verso di lui…

Scattò come una preda attaccata da un cacciatore, precipitandosi su per il corridoio, verso l’uscita, lontano da lì, accelerò il passo inciampando verso i mobili accostati ai lati, corse finchè sbattè contro qualcosa che lo fece tirar fuori un’esclamazione terrorizzata.

“Freddie…”.

Davanti a lui c’era Bulma Brief, contro la quale si era scontrato nella sua istintiva fuga. La donna lo guardava con un’espressione confusa e apprensiva. Solo allora si rese conto che i suoi occhi dovevano sembrare quelli di chi aveva appena visto un fantasma, che i suoi capelli erano in parte appiccicati alla fronte per via del sudore che aveva cominciato ad imperlargli il viso, e che ansimava come un criminale in fuga.

“Tutto bene?” gli chiese la donna, preoccupata.

Frederik fece per risponderle, ma le parole gli si impastarono in bocca, facendolo boccheggiare invano come un pesce.

La donna le posò gentilmente una mano sulla spalla. Il suo tocco era morbido, delicato, la sua mano così piccola. Chissà però se anche lei…

“Che ne dici di fare una pausa?” propose Bulma. “Posso prepararti una tazza di thè”.

Il ragazzo, ancora incapace di parlare, annuì, accennando un sorriso forzato.

 

Continuava a fissare distrattamente il liquido ambrato all’interno della sua tazza, che girava e rigirava senza sosta tra le mani. Il fluido ruotava contro le pareti, sempre più veloce, creando un vortice verso il quale si sentiva tirar giù inesorabilmente.

“Sai, questo è uno dei miglior infusi di thè che c’è in circolazione” gli spiegava Bulma mentre trafficava allegramente nella spaziosa cucina, disponendo sul tavolo deliziosi vassoietti di pasticcini. “Ho anche delle tisane rilassanti, sono un vero toccasana quando devi lavorare tutto il giorno, e…”.

La donna parlava, parlava, ma Frederik non l’ascoltava, la sua mente, d’altronde, era rivolta a ben altri pensieri, che lo tormentavano e l’eccitavano al tempo stesso. Adesso, finalmente, poteva pensare con maggiore lucidità a ciò che aveva visto e udito. Poco prima, nei laboratori, la sorpresa e lo choc erano stati troppo intensi per permettergli di riflettere. Ora, però, ripreso contatto con la realtà, era il momento di pensare, capire e…prendere delle decisioni.

Era stato testimone di un fenomeno inimmaginabile, dal potenziale immenso. No, parlarne con la polizia, con i giornalisti o con gli scienziati sarebbe stato un tremendo errore, una mossa sbagliata…certo, gli avrebbe fatto guadagnare quanto neanche avrebbe potuto mai sperare in una vita, garantendo a lui e a sua madre un futuro più agevole, ma non era solo la ricchezza che gli interessava…il suo sogno non era questo…

Ciò a cui aveva assistito apparteneva solo a lui. L’aveva visto lui, l’aveva capito lui, lui ne era il solo beneficiario, e solo così avrebbe potuto sfruttare al meglio questa occasione per conoscere fino in fondo il suo significato…

“Vuoi una fetta di torta?” gli offrì gentilmente Bulma, riportandolo alla realtà.

“Oh, no, grazie…” balbettò, ancora non completamente a suo agio. Ciò che era successo avrebbe cambiato per sempre la sua visione di quella donna, di quella casa, di quella famiglia. “Io…avrei bisogno del bagno” mentì.

“In fondo al corridoio a destra, Freddie” indicò Bulma, accompagnandolo fuori dalla stanza.

Il ragazzo avanzò, indeciso, fino ad arrivare alla porta della stanza, entrarvi e richiuderla frettolosamente a chiave.

Appoggiò le spalle al legno della porta, sospirando. Ma non era il momento di esitare, quello, doveva agire, ora o mai più. I Brief non avrebbero capito…non si rendevano conto di ciò che poteva voler dire il loro potere per il mondo della scienza, come di colpo avrebbe potuto rivoluzionare tutte le certezze scientifiche attuali, abbattuto tutti i dogmi della mente umana, come avrebbe potuto aprire nuove strade verso nuovi orizzonti, verso nuovi valichi, e su, più su, fino alla cima della montagna, fino ad innalzare l’uomo a divinità…

No, non avrebbero capito…nessuno forse poteva capire quanto lui

Aprì nervosamente cassetti e sportelli della stanza, finchè finalmente trovò ciò che cercava. Un piccolo pettine. Tra i denti erano rimasti alcuni capelli. Puntò il pettine verso la luce. Capelli color lavanda, di media lunghezza. Appartenevano certamente al figlio maggiore.

Sorridendo con soddisfazione, ma con una punta di tensione, inserì un paio di capelli all’interno di un piccolo astuccio trasparente che estrasse dalla tasca dei jeans, nascondendolo poi accuratamente. Per tutta l’operazione, continuò a dare occhiate terrorizzate verso la porta. Anche se era chiusa a chiave, temeva da un momento all’altro che il marito di Bulma la sfondasse facendo irruzione. Quell’uomo sarebbe stato per molto tempo motivo di incubi notturni, ma allo stesso tempo il simbolo di una nuova consapevolezza.

Si guardò allo specchio, sistemandosi i capelli e sciacquandosi il viso, cercando di riprendere controllo di se. Infine, uscì dalla porta, tornando in cucina.

Bulma stava riponendo le tazze nel lavabo, accingendosi a sciacquarle.

“Bulma…io…dovrei andare”.

La donna si girò verso di lui, sorpresa.

“Mi sono appena ricordato che…devo accompagnare mia madre dal medico. E’ molto importante” cercò di dire, con la massima naturalezza possibile.

Bulma sorrise, comprensiva.

“Certo, capisco benissimo, Freddie. Và pure, ci vediamo domani”.

Ma il giorno dopo Frederik non tornò affatto. E neanche quello successivo. Quel giorno sarebbe stato l’ultimo, l’aveva saputo nel momento stesso in cui aveva visto ciò che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Non in modo apparente, però. La sua esistenza sarebbe trascorsa in modo assolutamente normale, portando avanti ciò che già aveva cominciato, senza escludere impegno, sacrificio, giornate di duro lavoro. Ma in cuor suo si rasserenava, perché era a conoscenza di qualcosa di straordinario, da mantenere segreto e al sicuro, ma che di certo sarebbe stato il suo tesoro più grande.

   

 

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