Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: ReikaLangley    20/12/2009    3 recensioni
“Mi guarda con il suo sorriso di pietra, profumato di ciliegie e vaniglia.
Riesco a vedere i suoi denti bianchi e aguzzi, che sembrano non aspettare altro che triturarmi in quella bocca assassina.
«Roxas.»
Pronuncia il mio nome, quasi con un ghigno. I suoi zaffiri mi osservano, mi scrutano, quasi a volermi spogliare di tutti i miei sentimenti e di tutto il mio coraggio già notevolmente ridotti.”
[AxelxRoxas]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Naminè, Roxas
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note del capitolo: Questa storia l’ho scritta un sacco di tempo fa. Pensate che ho un sacco di storie incompiute, nel mio archivio!

Praticamente, quella che andrete a leggere l’ho scritta tre anni fa. È una storia sul breve arco di tempo in cui Roxas scopre di essere... “invisibile” ai suoi amici ed incontra Axel. Vi è un leggero tratto yaoi, per questo ho preferito mettere rating arancione, visto che non si spinge tanto in là xD

Ovviamente è un What If...?, per me il finale che dovrebbe avere questa stupenda coppia quale l’AkuRoku. Buona lettura <3

~ Who I Am?

Mi guarda con il suo sorriso di pietra, profumato di ciliegie e vaniglia.

Riesco a vedere i suoi denti bianchi e aguzzi, che sembrano non aspettare altro che triturarmi in quella bocca assassina.

«Roxas.»

Pronuncia il mio nome, quasi con un ghigno. I suoi zaffiri mi osservano, mi scrutano, quasi a volermi spogliare di tutti i miei sentimenti e di tutto il mio coraggio già notevolmente ridotti.

«Numero XIII.»

Cerca di mandarmi in confusione, forse, mentre quegli strani tatuaggi a forma di lacrima mi saltano agli occhi. Si passa una mano tra i capelli spinati, ingellati e appiccicosi, poi la porta al petto, avanzando verso di me.

«Ti ricordi di me?»

La mia testa non riesce ad elaborare più nessun pensiero, ormai: sono sotto pressione. Il rumore dei suoi passi scandisce i battiti del mio cuore talmente lentamente che rischio di avere un collasso.

Mi scruta ancora con fare indignato: si morde un labbro con tale potenza che riesco a intravedere i segni del dente premuto sulla carne.

Deglutisco, guardandomi alle spalle: noto il sole che sta scomparendo dietro le montagne del Ring di Sabbia. Provo a muovermi, ma non ci riesco. Sono inchiodato lì, come se gli arti inferiori fossero una proprietà a me sconosciuta, con quello sconosciuto che afferma d’esser mio amico.

«Come sospettavo.»

I suoi occhi diventano improvvisamente lucidi: per un attimo credo che stia per piangere. Forse è vero, forse ci siamo conosciuti, ma credo che un tipo come lui sarebbe difficile da dimenticare.

Se non sapessi che sa parlare, giurerei che quello strano individuo sia un animale, più probabilmente un’istrice, data la sua magrezza e la sua somiglianza sconcertante.

Desidero solo sparire, in quel momento. Sprofondare negli abissi della vergogna e rinchiudermi lì per sempre. Lo guardo, tremante in tutto il corpo. Sento la gola secca, i battiti che vengono ancora a mancare. La paura si insinua dentro di me e riempie ogni parte del mio piccolo corpo, impadronendosene ufficialmente.

«Come mi chiamo?»

Cerca una risposta.

Non sono capace di dargliela.

«Ti ho fatto una domanda.»

Indietreggio, mentre lui avanza.

Tende le braccia in avanti. In uno strano bagliore, nelle sue mani compaiono due piccole armi a forma di cerchio, infuocate e minacciose, che punta subito verso di me.

Chiudo gli occhi.

Cerco di ricordare.

«Come mi chiamo?»

Lo ripete, ma in modo più minaccioso.

«Axel?»

Ricordo.

Finalmente mi ricordo di lui.

Axel. Ma non so chi sia, né tantomeno da dove venga.

Ho come la sensazione che sia stato molto importante per me, in passato.

«Sei tu?»

Apro gli occhi: incontro i suoi, così distanti, freddi e distaccati, che mi guardano interrogativamente.

«Ti ricordi?»

Più che una domanda sembra un’affermazione: non è tanto preciso, quel tipo. È così strano. Così disumano.

È Axel.

«Sì.»

Affermo, ancora insicuro.

Il petto mi bolle; brucia come il fuoco. È un calore rasserenante, però, così piacevole e così spregevole allo stesso tempo. È come se il mio cuore si stesse consumando a poco a poco.

«Ricordi l’Organizzazione?»

Sussulto. E riprendo a pensare.

Non ricordo. Basta, sento il cervello scoppiare, come se contenesse troppi dati per una testa sola, e al tempo stesso ci fossero cose rinchiuse in un cassetto di cui non ho la chiave.

Un attimo.

Chiave. Keyblade.

Lo faccio comparire tra le mie mani. Lo guardo.

È forse questa la chiave di tutto?

Axel lo guarda sbalordito.

È come se l’avessi risposto facendo comparire tra le mie mani il Keyblade.

L’Organizzazione. Il numero XIII. La chiave del destino. Roxas.

Sono io?

«Sì...»

Mento: cerco di rimettero tutto ciò che ho elaborato fin’ora insieme.

Ci sono.

Io, Roxas, numero XIII nonchè chiave del destino, facevo parte dell’Organizzazione XIII.

Non ci posso credere. Ora ricordo tutto.

Sento alcune lacrime bagnarmi la felpa. Le emozioni salgono, salgono, salgono dal profondo. E non riesco a controllarle.

«Roxas... stai piangendo?»

Lo dice come se avesse visto in me un alieno.

«Sì. Come puoi vedere sì.»

Continua a fissarmi magneticamente.

«Non puoi piangere. Sei un Nessuno, non puoi avere sentimenti.»

Eh?

Non capisco. È forse un insulto darmi del Nessuno?

«Cerca di spiegarti meglio!»

Urlo. Lui è come pietrificato. Non si muove, non sbatte ciglio, non respira.

«Va’ alla villa!»

La voce che mi dà quel comando è roca, ben diversa da quella di Axel. Lo guardo per l’ultima volta, preoccupato, poi mi dirigo alla Villa, senza pensare a cosa andrò incontro; voglio solo tornare normale. Sono come trasparente... sono forse diventato un fantasma? Allora perché Axel riusciva a vedermi?

Sono a disagio. Voglio sapere cosa c’è sotto.

Voglio sapere chi sono veramente.

Voglio sapere cosa sta succedendo a Crepuscopoli.

Mi abbasso, entro nella piccola apertura rocciosa che porta al boschetto: lo percorro senza timore, arrivando vicino al cancelletto sigillato. Ad aspettarmi però ci sono quegli strani esseri bianco latte che mi avevano già tormentato in precedenza; non me ne curo troppo: continuo a correre, sperando di seminarli, inoltrandomi nella villa.

«Roxas!»

Qualcuno mi chiama: è una voce femminile.

Mi volto.

«Naminè, sei tu!»

Lei oscilla con i suoi capelli color ebano e il vestito color panna.

Sembra contenta di rivedermi.

«Roxas, ormai non manca molto.»

Sgrano gli occhi. «Come?»

Lei sorride.

«Non importa. Sono felice di averti conosciuto.»

È calma, leggera come una piuma; la sua voce è dolce, graziosa, melodiosa come il canto di cento sirene.

Nonostante ciò, non riesco a capire.

«Grazie, Naminè. Cosa vuoi intendere?»

Mi guardo intorno: la sala è completamente bianca, ma tappezzata di disegni di tutti i tipi, probabilmente opera di Naminè.

In uno di questi riesco a riconoscermi. Tendo la mano ad un ragazzo dai capelli castani; la sua faccia è rivolta verso il muro, quindi non riesco a distinguerla.

«Quello? Ti dice niente il nome Sora?»

Naminè non risponde alla domanda precedente: probabilmente è qualcosa di segreto, che nemmeno io stesso posso sapere.

Un attimo.

Sora?

Mi ricorda qualcosa.

I sogni che ho fatto.

Il prescelto del Keyblade.

Lui. Sora.

«Sono io.»

Mi viene da dire spontaneamente, senza pensarci su.

Scuoto la testa. «Scusa. Non so proprio che mi sia preso.»

Naminè avanza verso di me, con aria preoccupata.

«In parte ciò che hai detto è vero.»

Ora sono ufficialmente confuso.

Cosa vuol dire?

«Per favore, spiegati.»

Mi guarda. «È tempo che tu sappia.»

Mi prende la mano; io sussulto, essendo preso alla sprovvista.

«Sora è il tuo Nessuno.»

Ci risiamo. Cos’è un Nessuno?

Stavolta Naminè, però, non potrà rispondermi.

Un uomo la sta conducendo in un varco, mentre un altro mi sta tenendo fermo le spalle per non lasciarmi scappare.

«Ci rincontreremo, Roxas! Tu non cesserai di esistere, tu sei diverso dagli altri!»

Quindi... ero immortale?

Non capivo.

L’incappucciato le avvolge una mano sulla bocca, mentre il bendato mi dà uno scossone prima di sparire in un varco oscuro.

Quando riapro gli occhi, dopo aver tossito a lungo per il duro colpo che quell’uomo mi ha inferto, non trovo nessuno davanti a me. Naminè non c’è. Sono di nuovo solo, in quella camera bianca, e non so più come reagire, dove andare, cosa fare.

Io non cesserò di esistere. Non sono come gli altri. La rincontrerò.

Queste parole erano il mio unico punto di riferimento.

Mi addentrai nella villa, sperando di trovare altre risposte.

Entrai in una sala misteriosa, poco illuminata, predisposta con vari aggeggi tecnologici, tra cui un computer e un... all’apparenza, un raggio per il teletrasporto.

Uhm. Un attimo.

Un raggio per il teletrasporto?

Mi ricorda... qualcosa di famigliare.

«Roxas, perché vuoi andartene dall'organizzazione?»

«Tanto nessuno sentirebbe la mia mancanza, Axel.»

«Non... non è vero. Io... io la sentirei.»

~

«Chi è lui, DiZ?»

«Lui è Roxas, il Nessuno di Sora. Ha bisogno di una copertura, fintanto il processo di risveglio di Sora non sarà concluso.»

«Povero piccolo Roxas. Quando tutto questo avrà fine?»

«Non saprei, Ansem. Naminè deve sbrigarsi.»

Ora... ora ricordo.

L’Organizzazione. E Axel. E tutti gli altri.

Perché me ne sono andato?

Perché?

«Tu non sei come gli altri! Tu sei il Nessuno di Sora!»

Le parole di Naminè mi tornarono in mente.

Nessuno. Io ero un Nessuno, e facevo parte dei Tredici, esseri privi di cuore, come me.

Mi guardai le mani trasparenti.

Allora ero solo un’illusione.

Allora non avevo un cuore?

Ero sempre stato sicuro di essere un umano, di provare sentimenti come tutti gli altri.

Fino ad un giorno fa, piangevo, ridevo, mi offendevo insieme ai miei amici.

Tutto. Tutto era un’illusione.

Tutto.

E di me che resterà?

Neanche una foto.

Nessuno si ricorderà di me.

Nè Jane, nè Olette, nè Pence, nè Hayner.

Nessuno.

«Roxas! Sei qui!»

Qualcuno mi chiama. Ancora.

«Axel!»

Corro verso di lui.

«Perché sei andato via?»

Mi immergo nei suoi zaffiri. In verità me lo stavo chiedendo anch’io.

«Oh, Roxas!»

Mi abbraccia, senza lasciarmi rispondere: appoggia la mia testa sul suo petto, sfregandomi i capelli con la mancina.

Le mie gote si infuocano, proprio come l’elemento che padroneggia. Il cuore mi martella in petto: ormai ne sono sicuro.

Non sono un Nessuno come tutti gli altri.

Ma non è questo il momento di pensarci.

«La mia vita è diventata vuota senza di te. Vuota come il posto qui, dentro la cassa toracica, dove dovrebbe esserci il cuore.»

Trattengo una lacrima. «Volevo conoscere Sora, la mia parte umana.»

«No, tu non capisci. Sei un umano a tutti gli effetti, ormai: sei in grado di provare emozioni.»

Axel tirò su con il naso.

«Anche tu provi vere emozioni, Axel.»

Appoggio l’orecchio contro il suo petto. Sento dei battiti regolari di un cuore vivente. Il cuore di Axel.

«Sento il tuo cuore. Tu non sei un Nessuno.»

Toglie la mano dai miei capelli biondi: mi spinge un po’ più in la, per provare a verificare la mia teoria.

Lo sente.

Sotto i suoi polpastrelli.

Sente un cuore che batte.

Mi sorride. Il suo volto s’illumina.

«Roxas, ti amo.»

Lo guardo a mia volta.

«Non sai quanto io.»

Mi avvicino: poso leggermente le mie labbra sulle sue. Sono così calde, umide, sanno di limone e di altri aromi mediorentali... così carnose, mi attraggono come una calamita e non posso farne a meno.

Axel, però, trasforma il bacio in qualcosa di più passionale: incomincia a muovere senza controllo la bocca sulla mia, toccandone ogni parte con la sua lingua biforcuta.

Io mi scanso, insicuro. Lui mi guarda come se fossi un animaletto indifeso ed ha subito voglia di abbracciarmi e stritolarmi; mi attira nuovamente a sè, baciandomi il capo e mordicchiandomi il lobo dell’orecchio.

Ho un brivido che mi ripercorre la schiena, dove Axel va ad insinuare le sue possenti mani, per carezzarmi dolcemente.

Io gemo. Gli mordo distrattamente il collo, facendolo sussultare appena un po’.

«Ehi, piccolo, vacci piano.»

Mi sussurra nell’orecchio, leccandomene la parte interiore. Il suo alito è uno sbuffo di calore, un’insieme di emozioni mescolate tutte insieme, una cosa che mai avevo provato prima d’ora.

Lecco il sangue che fuoriesce dal collo come una gattina con il suo gattino; succhio energicamente con tutta la forza che ho, mentre Axel ride divertito.

Lui sa benissimo che ormai rimane poco tempo.

La reintegrazione è al 98%.

Vuole godersi quegli ultimi istanti passati in mia compagnia.

Io gli lascio fare.

«Roxas.»

«Cosa?»

Chiedo, attaccato al suo cappotto.

Reintegrazione al 99%.

«Ci incontreremo nella prossima vita.»

«Contaci.»

Mi stampa un ultimo dolce bacio sulle labbra.

Il nostro ultimo bacio, prima di sparire per sempre all’interno di un corpo che sarà la mia prigione.

Mi era bastato pensare ad Axel, per ricordarmi quanto l’avevo amato e quanto l’amavo, senza contare quanto avevo sofferto abbandonando l’Organizzazione.

Addio, Axel.

Addio, amici.

Reintegrazione al 100%.

Note dell'autrice: Oddio. Questa storia l’ho scritta un sacco di tempo fa; non so se definirla tale, visto che è quel piccolissimo arco di tempo in cui Roxas incontra Axel e si ricorda di lui (ovviamente ho cambiato alcune cose <3).

Premetto che non è uno dei miei più grandi capolavori, ma comunque non ho trovato un motivo per non postarla, quindi!

Prendetela come uno sfogo XD.

Le risposte ai commenti le troverete nella mia descrizione (ecco perché odio le one shots... non c’è spazio per rispondere ai commenti!)

Baci.

  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: ReikaLangley