WITHOUT

Fermo. Immobile.

Davanti a me c’è la porta di quella stanza.

Di quella stanza di ospedale.

Voglio entrare.

Voglio vedere come sta il nonno.

Capire.

Uccidere questi fantasmi.

…

Non ce la faccio.

E…e se fosse grave?

…se fosse…?

Sento dei passi affannati dietro di me. Voci familiari. Persone che sicuramente lo sono.

"S…Sakuragi!"

Ora lo so. Me lo chiederanno.

Come sta.

Come sta, vorrei tanto saperlo anch’io.

Ma cosa aspetto?

Perché non mi muovo?

Il mio corpo è pietrificato.

Come se il tempo attorno a me avesse iniziato a vorticare e io, qua in mezzo, fossi l’unico punto fermo nella galassia. Come se tutto dipendesse da me.

"Come sta…come sta il signor Anzai?"

Le lacrime riempiono i miei occhi. Non devo piangere.

Percepisco chiaramente la loro preoccupazione.

Mi volto lentamente.

Non lo so…cosa mi sta succedendo.

Il mondo che procede ovattato. I miei sentimenti, le mie paure che si materializzano.

Il fantasma della morte aleggia in piedi davanti a me.

Li guardo.

Percepiscono.

Deglutiscono.

Hanno paura, anche loro.

E…

E…non ce la faccio.

Scappo.

"Sakuragi!"

Ma sono già lontano.

Mi fermo soltanto quando sono nelle vicinanze del campetto di basket.

Asciugo le lacrime.

Che mi è preso?

…

Lo so. È tutto dannatamente come quel giorno.

Facevo le medie. Quel giorno ero di ritorno da una scazzottata colossale di cui, però, ero uscito vincitore. Da solo contro quattro, delle superiori, per giunta.

Erano a terra. I loro sguardi trasparivano rabbia e anche…vergogna. Battuti da un mocciosetto delle medie. Ero fiero di me stesso e di quello che avevo fatto.

"Vergognatevi…quattro contro uno…sarete anche delle superiori." Tono alto, sprezzante.

Si sarebbero vendicati, era certo. Ma li avrei battuti ancora, cento duecento volte, se necessario. Invincibile…come solo l’adolescenza può far credere di essere.

Poi sono tornato a casa. Ho aperto la porta.

E.

E mio padre era disteso al suolo. Scosso da una sorta di tremito. Posseduto.

Intrappolato sulla linea di confine.

Non c’era tempo da perdere. Sono uscito di corsa.

L’ospedale più vicino era a pochi metri.

Potevo farcela. Potevo salvarlo, ma dovevo fare presto. Presto.

Una corsa contro il tempo.

Ma.

Ma, non avevo fatto i conti con la vendetta.

A sbarrare la mia strada adesso erano in otto.

Otto ragazzi che non avevano nessuna intenzione di lasciarmi passare.

"Lasciatemi passare!!" avevo urlato al vento.

"Visto…che quattro di noi li hai sconfitti facilmente siamo tornati in otto."

Risate generali. Erano tutti attorno a me.

"Diamine…! Lasciatemi passare…mio padre sta male!" Scosso dalla paura.

Li supplicavo. Dovevo andare…dovevo andare al più presto o… o…

Qualcosa mi colpì alla testa. E poi al viso. Alla schiena. Cercavo di difendermi…ma era come combattere contro qualcosa di invisibile.

"Mio padre sta male! Ha bisogno di me!!"

Sordi. Spettri. Insensibili.

Io dovevo…dovevo…

…presto…presto…

…lasciatemi…

…altrimenti…

Alzo gli occhi, verso il sole. L’aria è calda e umida come solo quella di giugno sa essere.

Ho fame di vittoria.

Voglio vincere domani.

Devo battere Sendoh. Anche per il nonno.

Ricomincio a correre in direzione della palestra.

Allenarmi, adesso è l’imperativo.

Battere il Ryonan l’obiettivo.

I fantasmi del mio passato ristagnano nell’aria…

…ma io non ci penso già più.

**OWARI**

Author’s note: scusatemi…ho scritto l’ennesima storia strana, e che in fondo è solo una descrizione dei sentimenti di Hanamichi…ma non ho potuto farne a meno, quando ho rivisto quella puntata in televisione. Era troppo bella…