Cos’ho fatto…
Questa era la frase che accompagnava Gilbert Blythe da 5
anni…
Cinque anni erano infatti passati dal giorno in cui Anna
Shirley gli aveva rotto la lavagnetta in testa… Cinque anni in cui, se si
escludevano le sporadiche parole mormorate più per educazione che per altro a
beneficio dei presenti, non si parlavano.
Per lei lui non esisteva, anzi era il suo nemico, il suo
più acerrimo nemico, colui che andava sconfitto per non essere sconfitta a sua
volta…
Per lui lei era la ragione che lo spingeva ad alzarsi alla
mattina, il sole che illuminava le sue giornate, la calma che culla il dolce
riposo notturno…
Già si era innamorato… Lo sapeva da parecchio tempo ormai,
forse dalla prima volta che l’aveva vista, ma non osava rivelare i suoi
sentimenti alla rossa: temeva la sua reazione.
“Accidenti signor Davis!” urlò improvvisamente il giovane.
Un’anziana matrona lo guardò stupita per l’esclamazione appena sentita.
Gilbert chinò il capo rispettosamente in direzione della
signora che lo guardava sospettosa.
Con passo veloce imboccò il sentiero che l’avrebbe condotto
a casa.
Ormai gli esami erano terminati, Anna aveva vinto la borsa
di studio ed a Gilbert era toccata la medaglia d’oro.
Gilbert sapeva già di non poter andare all’università, i
suoi genitori avevano bisogno di aiuto e lui non poteva negarlo solo per
ambizione, almeno così gli aveva detto suo padre. Ed un padre è sempre un
padre. Gilbert avrebbe desiderato continuare a studiare ed intraprendere la
carriera di medico. Ma per il momento questo suo sogno era accantonato. Così
come aveva accantonato l’idea di andare all’università con Anna. Aveva così
accolto favorevolmente la proposta fattagli dai dirigenti scolastici del paese:
era ancora ufficioso ma, già si mormorava che sarebbe stato lui il prossimo
insegnante di Avonlea. Suo padre pensava che questo avrebbe fatto tornare
Gilbert con i piedi per terra, perché, come spesso sosteneva, Gilbert non era
più un ragazzino ma un uomo, ed un uomo la testa la deve avere salda sul collo.
Cinque anni erano passati ed avevano lasciato il segno su
tutti i ragazzi della signorina Stacy. Gilbert era diventato un uomo di
diciott’anni, alto, muscoloso, con folti capelli scuri e dolci occhi nocciola
che facevano già palpitare parecchi cuori femminili, ma non l’eterea Anna
Shirley, la flessuosa venere dai capelli rossi e dai profondi occhi grigi che
occupava il posto di regina nel cuore del giovane Gilbert.
Lei era l’unica che, al suo passare, non si copriva il viso
per nascondere il rossore causato dall’aitante ragazzo. Persino Diana Barry
amica del cuore di Anna Shirley, oramai fidanzata da due anni e prossima alle
nozze con Fred Wright, non poteva nascondere un occhiata furtiva colma di
ammirazione per il bel Gilbert.
Gilbert la osservava, stando ben attento a non farsi
scorgere dalle matrone di Avonlea, non voleva rischiare che qualche
pettegolezzo giungesse alle orecchie della dolce Anna.
Il tempo non aveva cambiato Anna, che era rimasta pressoché
la stessa, i capelli rossi lunghi fino metà schiena erano setosi ed erano il
tormento del povero Gilbert: quanto avrebbe voluto poterli accarezzare. I suoi
occhi erano di un intenso grigio, limpidi e vispi, capaci di far perdere un
battito al cuore quando si posavano su di te. Le lentiggini, il cruccio di
Anna, erano pochissime ma lei faceva di tutto per evitare di prendere il sole e
rischiare, quindi, che queste si accentuassero. Il corpo era sottile e snello:
nonostante le torte che la signora Lynde, con ogni possibile scusa portasse al
Tetto Verde, affinché le mangiasse non riusciva a farla ingrassare di un etto.
Durante le interrogazioni era un piacere ascoltarla parlare, era dotata di
un’intelligenza molto fine e gli sarebbe piaciuto poter parlare con lei anziché
con le altre ragazze, che sembravano sempre volerlo compiacere.
Si sa, se le notizie corrono le brutte notizie volano: così
in un caldo pomeriggio di fine luglio Gilbert apprese che Matthew Culthber era
morto, infarto avevano detto.
Il suo primo pensiero fu per Anna. Quanti sogni così
velocemente spezzati! Voleva vederla ma sapeva che la sua visita non sarebbe
stata gradita.
Il giorno del funerale nonostante tutto andò in chiesa. Ad
Anna il lutto non donava, si ritrovò a pensare Gilbert. Anna era fatta per i
colori caldi, solari, com’era lei. Si ricordò della vigilia di natale di tre
anni prima quando, in occasione della recita scolastica, Anna aveva indossato
quel meraviglioso vestito marrone con le maniche a sbuffo, i capelli erano
stati acconciati in due trecce iniziali che terminavano riunendosi in una unica
treccia e come ultimo tocco una rosa bianca.
E proprio quella rosa bianca, a metà recita, era scivolata
dai capelli di Anna. Lui l’aveva raccolta e se l’era appuntata all’occhiello:
Anna non si era accorta del fatto ma Diana, sempre vigile, l’aveva visto ed
aveva fatto notare il gesto ad Anna. Lui aveva conservato quella rosa come un
dono prezioso, anche se sapeva che Anna non la pensava come lui. Ed ora tutta
la sua allegria sembrava svanita, persa irrimediabilmente.
Il giorno successivo incontrò casualmente la signora Lynde
“Anna non andrà all’università, almeno non quest’anno. Ha deciso di lavorare,
magari a Carmody oppure a Charlottetown, sai lì stanno cercando degli
insegnanti, ed Anna è uscita da Queen con un’ottima media, come te del resto.
Marilla non è più giovane ed inizia ad accusare l’età. Ed Anna vuole esserle
d’aiuto. E poi una donna non dovrebbe studiare troppo…” lo informò.
Era risaputo in tutta Avonlea: la signora Lynde riusciva
sempre a dire tutto, più di quello che chiunque avrebbe voluto sapere. Quando
Gilbert apprese la notizia rimase stupito, certo sapeva che Anna era molto
legata a Marilla ma rinunciare alla borsa di studio ed all’università… La
signora Lynde continuò, senza notare il viso pensieroso di Gilbert, “Anna ha già
fatto domanda a Carmody ed a Charlottetown come insegnante: sa che il posto che
si era liberato ad Avonlea è già tuo.” Gilbert parlò un altro po’ con la
matrona: non voleva che pensasse avesse parlato con lei solamente per avere
informazioni su Anna e sul suo futuro.
Gilbert sapeva che, cinque anni fa, chiamandola “pel di
carota” l’aveva offesa ed ora voleva rimediare ed avrebbe rimediato. I suoi
genitori non avrebbero approvato la sua scelta ma lui non sarebbe tornato
indietro. La sera stessa andò a casa del capo della dirigenza scolastica e
rifiutò la carica di insegnante di Avonlea e propose Anna al suo posto. A nulla
valsero le proteste del dirigente per cercare di convincere il ragazzo a
desistere dal suo proposito.
Gilbert uscì un’ora dopo dalla casa del dirigente con un
sorriso felice sulle labbra. Sapeva che la scelta di abbandonare un lavoro già
assicurato e vicino casa per l’incertezza non era stata una scelta facile, ma
aver preso tale decisione aveva fatto sì che si togliesse dalla coscienza un
grosso peso.
Il giorno successivo il ragazzo andò a Carmody e grazie
alla media invidiabile ottenuta all’accademia, ed una buona parola messa dal
capo della dirigenza scolastica di Avonlea, valsero a Gilbert il posto di
insegnante Carmody e, dietro consiglio di un componente della dirigenza
scolastica del paese, ottenne anche una stanza per non fare ogni giorno il
pendolare.
Nel pomeriggio, di rientro da Carmody, decise di fare la
vecchia strada, quella che passava accanto al cimitero di Avonlea: era infatti
poco propenso ad ascoltare le sfuriate di suo padre e le crisi di pianto di sua
madre.
Intanto, quella stessa mattina ad Avonlea, la dirigenza
scolastica aveva convocato Anna e le aveva offerto il posto di insegnate.
“Credevo che aveste scelto Gilbert Blythe per questo lavoro”
disse Anna alquanto stupita della proposta.
“Infatti era così signorina Shirley, almeno fino a ieri
sera” disse il più anziano dirigente “solo che, ieri sera, è venuto a casa mia il
signor Blythe ed ha rifiutato il posto dicendo che non si riteneva
sufficientemente qualificato per questo lavoro. Poi mi ha suggerito di chiamare
lei, in quanto secondo lui, più qualificata. Allora signorina Shirley, accetta
la nostra proposta?” concluse il dirigente. Anna era sbalordita. Gilbert aveva
rinunciato al lavoro per lei. Si accorse che i dirigenti aspettavano una
risposta e, per non rendere vano l’aiuto datole da Gilbert, accettò l’offerta.
Nel pomeriggio, con un mazzo di fiori colorato, andò in
cimitero e raccontò a Matthew quanto accaduto quella mattina.
Verso il tramonto, mentre stava percorrendo la via di casa,
intravide Gilbert: solitamente, da cinque anni quando si incrociavano e non
c’era nessuno nei dintorni, come per un tacito accordo l’uno o l’altra
cambiavano strada, cosa impossibile da fare adesso dato che poco più di dieci
metri li dividevano.
Gilbert si destò dai suoi pensieri e la vide più bella che
mai: la luce del tramonto rendeva i suoi lineamenti ancora più delicati ed
infuocava i suoi lunghi capelli incendiando i suoi sensi.
Capì che non poteva cambiar strada senza sembrare
maleducato.
Gilbert decise di passarle accanto ignorandola, certo ogni
volta che la vedeva gli faceva male, ma era un dolore sopportabile: non sarebbe
stato altrettanto facile sentirle dire parole di disprezzo.
Anna dal canto suo era in preda ad un conflitto con se
stessa: l’orgoglio le diceva di non fare nulla e di proseguire verso casa, la
ragione le diceva che era ora di perdonare, dopotutto Gilbert aveva rinunciato
ad un lavoro certo per lei.
Prevalse la ragione e così, quando meno di metro li
separavano, Anna si fermò ed attese che Gilbert le si avvicinasse: non sapeva
spiegarselo ma era inspiegabilmente tranquilla, felice di quel confronto.
Quando Gilbert la raggiunse non poté fare a meno di
salutarla: lei capì che lui non si sarebbe fermato.
“Gilbert…” disse in un sussurro, “Gilbert aspetta…” disse
stavolta con voce normale.
Lui si fermo: aveva sentito il suo nome sussurrato dalla
rossa ed un fremito lo aveva scosso. Che sensazione meravigliosa sentire il suo
nome sussurrato da Anna…
Si voltò in attesa che lei continuasse a parlare.
“Volevo ringraziarti, Gilbert. So che ti era stata offerta
la carica di insegnante e tu l’hai rifiutata a mio favore. Ti sono grata.”
disse Anna.
“Non ringraziarmi Anna. Cinque anni fa mi sono comportato
malissimo con te e volevo rimediare. Dimmi solo che adesso potremo finalmente
essere amici” disse Gilbert.
“Va bene, era tempo che volevo far pace, ma il mio orgoglio
non me l’ha mai permesso. Amici allora? ” disse Anna con un sorriso dolcissimo
allungando la mano. Gilbert sorrise felice e gliela strinse.
“Saremo i migliori amici. Abbiamo cinque anni da
recuperare!” disse Gilbert.
Avrebbe preferito qualcosa di più, ma come inizio non era
male.
Iniziarono da subito a parlare, ricordando i vecchi tempi
ed i giorni da poco trascorsi.
Erano arrivati al Tetto Verde e continuavano a parlare.
Marilla si affacciò alla finestra e vide Anna ferma sul cancelletto intenta a
parlare con un ragazzo “Gilbert Blythe?! Anna e Gilbert Blyth?! Rachel aveva
ragione…”
Anna rientro, aveva le guance rosse e gli occhi lucidi,
Marilla era intenta a cucire “Dove sei stata?” chiese con finta noncuranza
Marilla.
“Oh, ho parlato qualche minuto qui fuori con Gilbert” disse
Anna con il fiato corto, come se avesse fatto una corsa.
“Qualche minuto eh? Veramente è quasi un ora che tu ed il
giovane Blythe siete lì fuori a parlare…” disse Marilla lanciando un’occhiata
furtiva ad Anna.
“Cosa?! Abbiamo parlato per così tanto tempo?! E perché non
mi hai chiamato?!” rispose Anna con crescente imbarazzo.
“Parlavate così bene… A proposito, da quand’è che siete
così amici?” buttò lì Marilla con uno sguardo curioso.
Anna raccontò tutto a Marilla, tralasciando i battiti
accelerati del suo cuore durante l’incontro con Gilbert, ignara del soffuso
rossore che le aveva imporporato le guance e degli occhi scintillanti, dettagli
che non sfuggirono all’occhio esperto dell’interlocutrice.
Intanto Gilbert stava rientrando a casa con un sorriso
felice. Per il momento erano amici ma lui pregava ardentemente che Anna
ricambiasse presto i suoi sentimenti. Non si aspettava d’incontrare Anna sulla
via del ritorno, ne tantomeno che lei lo ringraziasse. Pensava che l’avrebbe
zittito, ed invece aveva accolto la sua richiesta di amicizia ed erano stati
quasi un’ora a parlare: il tempo era volato. Sperava con tutto il cuore che non
si trattasse di un sogno. Che piacere parlare con lei, e la sua risata era
cristallina e fresca da sembrare un ruscello d’alta montagna… Domani l’avrebbe
rivista.
Anna si ritirò in camera sua e, avvicinatasi alla finestra,
ammirò il cielo stellato ripensando agli eventi di quella giornata. Era proprio
vero, la sua strada non era diritta, ma era ricca di curve, e dietro ad ogni
curva poteva esserci la felicità.