Primo capitolo, prompt: dolore.
Asato Tsuzuki centric, accenni di Tsuzuki/Hisoka.
Marchiato.
«Perché?»
«Io voglio vivere!»
«Non io, ti prego!»
«Perché?»
«Fa male, fa male...»
«N-Non avvicinarti, mi metto a urlare!»
«PERCHÉ?»
Corpi
si accumulano l’uno sull’altro, sangue denso
scivola a occupare tutti gli
spazi vuoti – una potente muraglia che impedisce alla luce di
passare. Pochi gli
sprazzi ancora aperti, riempiti rapidamente eccezion fatta per una
singola
fenditura all’altezza degli occhi.
Impossibile
quindi distinguere contorni della macabra prigione.
Una
mano si allunga dal nulla sulla fronte, un dito paffuto scivola
seguendo la
linea del naso, accarezzando con disperazione la guancia destra,
macchiando di
sangue pelle e abiti. E i polsi si fanno pesanti, tanto pesanti...
Un
mare dai riflessi cremisi avvolge e nasconde tutto, avvolge e
nasconde l’ultimo raggio di sole.
Apre
gli occhi di scatto, scoprendosi ancora immerso nel buio della camera
da
letto. Il respiro è affannato, una zavorra improvvisamente
più leggera libera
il petto in agonia.
«Tsuzuki...?»
Dalla
notte, al suo fianco, la voce assonnata del compagno lo sorprende e
rassicura.
«Scusa,
Hisoka».
Ascolta
il sospiro del giovane con una punta di divertimento.
Un
braccio lo stringe improvvisamente in vita, due labbra sfiorano il
cuore
emozionato.
«Il
dolore fa parte della natura umana», mormora Kurosaki, quasi
inudibile. «Quindi,
se non vuoi che io ti faccia
soffrire
più del necessario, torna a dormire».
Risponde
alla stretta con una mezza risata.
«D’accordo».
Le
voci del sogno si fanno più lontane, difficile distinguere
le une dalle
altre.
Poi
scompaiono.