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Autore: Juu_Nana    24/12/2009    5 recensioni
Spilli di ghiaccio macchiavano di bianco il cielo del 25 dicembre.
Carta luccicante e nastri colorati splendevano sotto l'albero di Natale.
E le schegge di vuoto che schiaciavano il suo cuore martoriato sanguinavano nero dolore.
Ma correndo su quel manto di candida neve incontrerà chi mai si sarebbe aspettato.
Qualcuno gli farà capire che per riuscire a superare il passato si può solo guardare al futuro.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio a tutti, fanwriters e lettori, prima di iniziare, una, anzi due precisazioni:
Questa fanfic è stata concepita a fine gennaio 2009, e, nonostante fosse stata pensata come One-Shot, è venuta tanto lunga che ho preferito dividerla, deciderò una volta raffinato il mio scritto se dividerla in due o tre parti.
Questo lavoro è una dedica natilizia a tutti voi, il mio personale augurio a tutti voi che leggete, scrivete e talvolta recensite.
Un saluto speciale lo voglio dedicare a Umpa_lumpa che legge puntualmente e recensisce quasi tutto quello che scrivo ^^
Buon Natale Efp! 

Notte di Natale


- Basta! Mi stai facendo male! -
La protesta esclamata tra le lacrime ricevette come unica risposta un violento calcio nello stomaco.
Poi un altro. E un altro. Entrambi seguiti da un pigolio disperato.
- Mi stai insultando, quattr’occhi? - sibilò minaccioso l’aguzzino rigirando il tallone affondato nel ventre  del ragazzino rannicchiato ai suoi piedi, piangente, col corpo pieno di lividi e contusioni.
Il registratore acceso in precedenza e non ancora spento, compiva coscienziosamente il suo dovere facendo riecheggiare in tutta l’enorme sala le allegre note di “Jingle Bell”. Note coperte dal rumore dei calci e dei gemiti da quasi cinque minuti.
La maggior parte degli allievi della Wammy’s House, che fino a pochi minuti prima stava festosamente decorando con addobbi natalizi un imponente abete decorato solo a metà, assisteva alla scena incapace di reagire di fronte alla furibonda violenza del bambino biondo che stava pestando senza pietà uno di poco più grande.
Nessuno aveva osato intervenire. Nè i più grandi nè tantomeno i più piccoli.
Il bambino che ancora stava massacrando di colpi il corpo inerme sotto le scarpe aveva solo sette anni ma la furia selvaggia che trapelava dai suoi occhi avrebbe reso restio a opporsi a lui ragazzi grandi il doppio.
Vigeva una silenziosa, prudente regola all’orfanotrofio: mai, mai irritare in qualunque maniera Mello il giorno della vigilia di Natale, per nessuna ragione.
Salvo ovviamente voler passare la festività in infermeria.
- Secondo te ti picchierei se non sapessi che ti sto facendo male? Eh?! - il ragazzino accompagnò l’ultima esclamazione con una nuova serie di poderosi calci tirati dovunque potessero colpire.
- Scusa! Mi dispiace davvero! Non avevo intenzione di pestarti il piede, lo giuro! Ti prego basta! - tentò di giustificarsi il ragazzino.
- Sai te che me ne frega delle tue scuse?! Potevi pensarci prima! -
Il ragazzino decise finalmente di smetterla e unì i piedi mentre faceva scivolare lo sguardo in ciascuna delle tre entrate.
“Dove sei, barbagianni? Per quell’unica volta che mi servi non ti fai nemmeno vedere?” pensò ansiosamente mentre tutti i presenti prendevano a bisbigliare tra di loro, augurandosi che fosse finita. Ma non comparve nessuno.
Mello scoprì i denti con un’esclamazione stizzita, prima di voltare le spalle al moccioso ancora tutto impaurito e dirigersi verso l’uscita ficcandosi le mani in tasca.
Ogni mormorio cessò di colpo, mentre gli spettatori aprivano un largo varco per far passare il biondino che procedeva a testa bassa per mascherare l’espressione cupa.
Prima o poi qualcuno sarebbe venuto a cercarlo e Roger sarebbe stato costretto a fare qualcosa, di questo era fortemente convinto.
Si trascinò stancamente in camera sua.
Che ore erano? Le sette?
Dannazione, l’aver pestato quel bambino era stata la sua ultima possibilità di passare quella notte da solo.
Se Roger non lo fosse venuto a chiamare entro un quarto d’ora tutti i disastri che aveva combinato da quella mattina non sarebbero serviti a niente. E alle sette e mezzo, non vedendolo arrivare in mensa sarebbero andati a chiamarlo e non se ne sarebbero andati finché non li avesse seguiti...
E lui voleva restare solo.
Sì, solo.
Non gli sembrava di chiedere tanto, eppure ogni anno Roger gli faceva storie.
“Non è bello che tu rimanga da solo la notte di Natale” gli diceva, “devi imparare a convivere con quello che ti è successo e ad andare avanti. Non puoi chiedermi di lasciarti in camera tua, andrai a festeggiare con tutti i tuoi compagni. È la medicina migliore per guarire dal tuo trauma”
Bla, bla, bla.
Avrebbe tanto voluto vederlo in una situazione come la sua.
Cosa ne sapeva che cosa era meglio per lui?
“È  come andare da un lupo e dirgli di smetterla di mangiare solo carne perché una dieta sempre uguale è dannosa. Vediamo come ti risponde, vecchiaccio” si disse Mello accendendo la luce e gettandosi a peso morto nel letto, a faccia in giù sul cuscino.
Lui il 25 dicembre non lo avrebbe festeggiato.
Non aveva senso per lui celebrare quella data.
Non quella notte in cui era stato lasciato solo, in cui tutto gli era stato strappato via.
Quando non era diventato altro che un bambino di quattro anni gettato in pasto alla vita senza il minimo riguardo.
Perché festeggiare una giornata del genere...?
Il bambino strinse il cuscino bianco così forte che le nocche sbiancarono mentre prendeva ad accartocciarsi su se stesso come una foglia secca.
In quella, un forte e rapido bussare.
Il biondino si tirò su di scatto, preso alla sprovvista.
- Mello! Lo so che sei lì dentro! Roger ti vuole vedere! - esclamò un’infantile vocetta femminile.
Finalmente!
Balzò giù dal letto e aprì la porta con tanta violenza che per poco non colpì sul naso la bambina che era andata a chiamarlo.
- Ehi! Stai attento! - strillò lei prima di rendersi conto di cosa avesse detto e di mettersi a correre lungo il corridoio, dalla parte opposta da cui era venuta.
Ma Mello non se ne curò minimamente e si diresse a passo di marcia verso quell’ufficio che normalmente gli metteva addosso una certa fifa, ma che quel giorno non vedeva l’ora di raggiungere.
Aveva pensato che, siccome chiederlo non avrebbe avuto senso, avrebbe costretto il barbagianni a rinchiuderlo in camera sua. Per questo, da quella mattina, aveva scarabocchiato con i pennarelli tutto il corridoio principale, aveva giocato al lancio del disco con i piatti della cucina e aveva picchiato quattro ragazzi che non gli avevano praticamente fatto niente. Cinque, contando il pidocchio di poco prima.
In men che non si dica percorse quei due corridoi e mezzo che lo separavano dalla sua punizione che, secondo le sue previsioni, avrebbe previsto il divieto di uscire per almeno due settimane, doppio carico di compiti e forse qualche disgustoso lavoro sociale, come magari pulire la mensa dopo  i pasti.
E ovviamente ci sarebbe stato il categorico divieto di avere un qualche minimo contatto con un essere umano. E sarebbe potuto finalmente rimanere da solo con il suo dolore, passando la sera a sguazzare depresso in quei pochi ricordi frammentati della sua vita fuori di lì.
Giunse quindi alla sua meta.
Si stampò un mezzo sorriso più falso che mai, poi bussò un paio di volte, prima di entrare spedito senza nemmeno aspettare che gli venisse dato il permesso e fece due passi nella stanza. Il vecchio seduto dietro la scrivania con i gomiti poggiatici sopra e le mani intrecciate aspettava con gli occhi chiusi e un’aria grave in volto.
Socchiuse stancamente le palpebre quando sentì la porta chiudersi dietro il bambino appena entrato, domandandosi per la decimillesima volta cosa mai potesse fare con quel demonietto biondo.
- Mello... - iniziò, un po’ incerto della reazione del ragazzo.
Ma quello non lo lasciò parlare.
- Sì, Roger, sono stato io. Mi dispiace tanto, e sono tanto pentito. Sì, sì, sì. E so che questo non mi salverà dalla punizione - interruppe velocissimo.
- Lasciami parlare... - cercò di intromettersi l’anziano direttore, ma Mello non lo stette nemmeno a sentire.
- Quindi, siccome sono molto affranto e tutto quanto, accetto la mia punizione senza discutere e ti saluto qui. Ci vediamo domani direttore. Buone feste - l’ultimo saluto lo disse con un tono così velenoso che suonava più come una maledizione che come un augurio.
Non aveva nemmeno finito di palare che si era girato, tempo di dire l’ultima sillaba e già aveva girato la maniglia della porta, pronto ad andarsene.
- Leva le mani da lì per favore, Mello... -
Questa era probabilmente la cosa che più odiava del suo direttore: l’inespressività totale.
Fin da quando ci aveva posato sopra gli occhi la prima volta, Mello aveva capito che una delle sue più grandi sfide sarebbe stato fargli mutare quell’espressione da rapace notturno.
Ma non ci era mai riuscito, nemmeno una volta.
Con le mani percorse da un leggero tremito, il bambino si voltò lentamente, fino a posare i suoi occhi azzurri sulla figura di Roger, che lo fissava ancora con occhi socchiusi.
- Siediti Mello - disse indicando  con un ampio gesto della mano una delle due sedie dinanzi a sé.
Mello ci si sedette di malavoglia.
- Mi hanno riferito che hai fatto cose non molto carine ai tuoi compagni durante l’arco della giornata. Passi lontanamente per l’intero servizio di piatti che hai mandato in frantumi, visto che avevo già da tempo intenzione di comprarne uno nuovo, ma non posso minimamente tollerare i segnacci rossi che hai lasciato sulle pareti, ne tantomeno il fatto che ben cinque ragazzi siano dovuti andare in infermeria per colpa tua.
Mello, so che non riesci in alcun modo a farti piacere il Natale, ma non per questo devi accanirti sul nostro povero istituto - e qui Roger si interruppe per un sospiro afflitto. Un'altra cosa che il bambino non sopportava del vecchio: le sue noiosissimi prediche. Giri e giri di parole nel tentativo di farlo sentire in colpa. Come se non sapesse che con lui non funzionavano. Mello prese a dondolare leggermente sulla sedia.
Allora, si decideva o no a dargli quella maledetta punizione?
- Ascolta, ragazzo - ricominciò il dottore, col tono di chi prevede il prossimo arrivo di un uragano
- So perché hai fatto quello che hai fatto. Speravi che dopo aver combinato guai dalla mattina alla sera ti facessi rinchiudere in camera almeno per due settimane, così avresti saltato la festa di stasera -
Sentendosi scoperto, il biondino inghiottì a vuoto sforzandosi di non impallidire.
- Quindi la tua punizione sarà andare da tutti coloro a cui hai fatto del male oggi, chiedere loro scusa e poi pulire tutti i segnacci che hai disseminato per i corridoi. Deciderò io se e chi ti aiuterà -
Lo sgomento e l’improvviso timore che si erano per un attimo impossessati di Mello iniziarono rapidamente a scemare, mentre si rendeva effettivamente conto di cosa Roger volesse fargli.
- Non... non verrò lasciato in pace questa sera? - sibilò scoprendo i denti, come se avesse intenzione di saltargli alla gola.
- No, Mello. È meglio così, credimi -
Questo non avrebbe dovuto dirlo.
Davvero non avrebbe dovuto.
- Ma che cosa ne sai tu?! - urlò Mello scattando in piedi, con tanta foga che la sedia cadde all’indietro schiantandosi sul pavimento.
- Cosa ne sai di come mi sento io quando vedo la gente che si scambia i regali tutta contenta quando a me, questa stessa sera di dicembre, hanno portato via i genitori?! Cosa ne sai tu di quanto mi faccia schifo unirmi alla festa o anche solo pensare di farlo sapendo che in questo giorno di tre anni fa sono rimasto solo, eh?! -
Non se n’era accorto, probabilmente, ma già dalla parola “io” il suo viso aveva iniziato a rigarsi di lacrime.
Di fronte al silenzio del suo direttore, il ragazzino emise un’esclamazione disperata, si girò e si precipitò verso la soglia, spalancandola con violenza.
- Va al diavolo! - gridò prima di sbattersi la porta alle spalle.
Roger sentì i suoi passi in corsa attutiti dalle scarpe allontanarsi in un baleno, un attimo prima che un quadro posto accanto all’uscio si staccasse dal suo chiodo e atterrasse sul pavimento con un tonfo sordo.
Sospirò di nuovo, domandandosi se un giorno ce l’avrebbe mai fatta a combinare qualcosa di giusto con quel ragazzo. Si alzò e si diresse lentamente verso il quadro caduto. Lo raccolse, lo riappese al suo posto e uscì mesto dalla stanza, dopo aver spento la luce.

“Dannato, dannatissimo Roger!” questo il pensiero fisso di Mello mentre correva a caso per i corridoi urtando con violenza chiunque avesse la sfortuna di passare sulla sua strada.
Lui lo sapeva cosa significava per lui la sera del ventiquattro dicembre, lo sapeva, eppure si ostinava a volerlo costringere a passarlo con gli altri, magari con un sorriso carico di ipocrisia pura stampato in volto.
Perché?!
Lui chiedeva solo di stare da solo tutta la notte, in camera sua, rannicchiato sul letto.
Quasi senza accorgersene attraversò l’intero edificio, fino a scontrarsi contro il portone principale che conduceva in giardino. Si fermò un istante a fissarlo, scosso da un paio di violenti singhiozzi, poi, senza nemmeno pensarci, senza nemmeno avere indosso il giaccone, schiantò entrambe le mani contro i battenti che si spalancarono pesantemente con una facilità che Mello non aveva mai incontrato. Poi riprese a correre, affondando nella neve fino ai polpacci.
Non credeva che la sua assenza sarebbe stata comunque notata da qualcuno, né che alcuno degli altri orfani si sarebbe preoccupato per lui.
Non aveva amici.
Chiedeva tanto a quel vecchio barbagianni? Solitudine, per una sera.
Non gli sembrava granché.
Davvero non gli sembrava...
E le lacrime continuavano a cadere.

***

Si fermò ansante solo quando arrivò dietro l’istituto, a pochi metri dalla cancellata scura che delimitava la proprietà. Si fermò e prese ad ansimare pesantemente, dopo aver appoggiato le mani sulle ginocchia.
Grosse nuvolette di condensa gli uscivano dalla bocca a ogni respiro, che iniziò presto a farsi più lento.
Mello si rimise in posizione eretta, guardando a destra e a sinistra un paio di volte.
Con il calore accomunato per la corsa e per la rabbia che iniziava a diminuire e con il freddo che iniziava a tendere le dita sotto la sua felpa scura, il bambino si accostò all’inferriata del cancello, aggrappandoci sopra le manine che iniziavano già a farsi livide.
Era tutto così scuro e vuoto là fuori...
Il biondino poggiò la testa nello spazio tra due sbarre, in mezzo alle sue mani, senza levare lo sguardo dal nero della notte davanti a sé.
Mello iniziò ben presto a sentire bagnato sotto le dita, laddove il calore della sua carne aveva cominciato a sciogliere il ghiaccio che incrostava il ferro, e che di certo non aiutava a trattenere caldo nel suo corpo,
Una macchina sfrecciò lungo la strada, inghiottita subito dopo dalla notte.
- La sorveglianza di Roger inizia decisamente a perdere colpi, se uno studente è riuscito a uscire dopo le sette serali -
Il piccolo biondo trasalì dalla sorpresa e si voltò di scatto con un verso strozzato.
A parlare era stato un ragazzo alto e allampanato, che a una prima occhiata si aggirava tra i quindici e i diciotto anni. E, sempre a una prima occhiata, Mello realizzò che era completamente fuori di testa.
Passino i capelli scurissimi e arruffati che di sicuro non ricordavano nemmeno vagamente che aspetto avessero pettine e spazzola. Passino anche quelle pesanti occhiaie violacee di chi dorme una notte sì e tre no, pendenti sotto quei occhiacci neri, incavati e dall’aria completamente persa nel vuoto.
Ma nessuna persona sana di mente sarebbe uscita all’aperto con la temperatura polare che c’era protetto solo da una maglietta che dava ben poco l’idea di tenere caldo, dei jeans e delle scarpe che a occhio e croce sembravano aver vissuto almeno quanto il loro proprietario, se non di più.
Lo sconosciuto teneva tra il pollice e l’indice il bastoncino bianco di un chupa-chups alla fragola che si ficcò in bocca subito dopo aver parlato, prendendo a fissare Mello con sguardo indecifrabile.
Un po’ insospettito dalla nuova comparsa, il biondino staccò le mani dal cancello e si voltò verso di lui.
- Chi sei? - chiese, cercando di suonare irritato dalla sua presenza.
L’altro si staccò dal muro esterno a cui appoggiato e si avvicinò di un paio di passi, che affondarono nella neve con un leggero “crock crock”.
Levò il dolcetto dalla bocca, prima di parlare, con tono pacato e vagamente strascicato.
- Le probabilità che tu non abbia mai sentito parlare di me sono inferiori allo 0,7%, non mi aspetto che tu non mi conosca - e qui fece una pausa per dare un altro paio di leccate.
Poi concluse, riposando lo sguardo, che aveva per un attimo spostato sulla sua umidiccia caramella, sul bambino dagli occhi azzurri.
- Io sono L -
Mello, dopo due secondi netti, richiudette la mascella che aveva involontariamente socchiuso dallo stupore.
E quello strampalato sarebbe dovuto essere il mitico, il leggendario L?
Il detective migliore del mondo?
Ma stiamo scherzando?!
Mello rimase interdetto e stette impalato al suo posto, non sapendo cosa dire mentre L aveva ripreso a leccare avidamente il suo dolce e sembrava aver completamente perso interesse per lui.
Il biondino decise comunque che era forse arrivato il suo turno, di presentarsi.
- Io... - iniziò, leggermente intimidito dalla figura innanzi a sé.
Non era del tutto sicuro che quello di fronte a lui fosse il noto detective oggetto di venerazione in tutto l’orfanotrofio, ma quel ragazzo smunto gli ispirava un’ istintiva timidezza.
- Io sono... -
- Mello-kun - lo interruppe tranquillamente L senza distogliere lo sguardo dal lecca-lecca.
Il bambino rimase nuovamente di stucco.
- Sette anni. Arrivato qui il Natale di tre anni fa. Tedesco, di Berlino. Una delle migliori promesse della Wammy’s House degli ultimi anni -
Il moro terminò il suo sintetico elenco e prese a fissare Mello, dopo aver fatto sparire in bocca il chupa-chups di cui però il bastoncino bianco gli spuntava tra le labbra, volendo vederne la reazione.
Il bambino sbattè un paio di volte le palpebre, basito.
- Ma come...? - riuscì solo a balbettare.
- Sono un detective. Molti mi reputano il migliore del mondo. Avere almeno informazioni di base come queste sulle persone con cui devo o dovrò avere a che fare mi sembra il minimo - rispose l’altro come fosse la domanda più ovvia del mondo, con le parole biascicate a causa della mascella occupata.
- Ah... - commentò semplicemente Mello, all’improvviso a corto di parole. Quel tipo era decisamente disarmante, su questo non aveva il minimo dubbio.
L si ficcò le mani in tasca e fece qualche altro passo, fino a portarsi anche lui davanti al nero cancello di ferro e prese a fissare fuori dove un manto di neve immacolata regnava sovrano su tutto. Diede un leggero sbuffo prima di afferrare nuovamente il suo stecchetto e di rigirarselo nella bocca.
- Cosa ci fai fuori al freddo, Mello? Non bisognerebbe restare soli al buio la notte di Natale - chiese prendendo a fissare il cielo notturno nero nelle nuvole che lo opprimevano.
Mello, che aveva seguito il movimento del ragazzo più grande e che non aveva smesso di fissarlo un secondo, rimase leggermente sorpreso dalla domanda. E fu con una leggera stizza che colse tra le righe il desiderio di L che si levasse dai piedi.
- Non so se l’hai notato... - iniziò con un sorrisetto, assumendo la stessa posizione del moro, che nel frattempo aveva estratto il dolciume dalla bocca e lo rimirava come se quella caramella rosa dovesse rivelargli chissà quale arcano mistero.
- ...ma anche tu stai passando da solo la notte di Natale -
L si voltò un po’ sorpreso verso il suo giovane interlocutore, rendendosi conto di avergli involontariamente dato l’occasione di ribattere e notò che, anche se non lo guardava, aveva stampato in volto il classico sorriso di un bambino che è riuscito a mettere nel sacco qualcuno più grande.
Sorrise pallidamente a sua volta, mentre rivolgeva nuovamente la testa al cielo, il sorrisetto quasi sarcastico di chi incassa il colpo ma che sta già pensando a come controbattere.
- Non è corretto - rispose infatti
- Io stavo passando da solo la notte di Natale -
E un fiocco di neve solcò il cielo in quel momento, come ad accompagnare quelle parole.
Solitario, volteggiò pigramente nell’aria, poi prese a planare leggero, fino ad atterrare nella manina rosea che Mello aveva aperto, quasi per accogliere quel solitario, bianco pioniere del cielo.
Il quale si sciolse rapidamente a contatto con quel calore, troppo intenso per un delicato come lui, e i suoi resti acquosi si sommarono a quelli già presenti sul palmo già bagnato del piccolo settenne.
Ben presto altre decine di piccoli coraggiosi candidi presero a volare sospinti da un leggerissimo vento, gareggiando allegramente su chi per primo sarebbe arrivato a terra per sommarsi alle altre decine di veterani già arrivati nei giorni precedenti.
I due ragazzi non smisero di fissare quel cielo nero puntellato di bianco per un numero imprecisato di minuti, almeno finché un sonoro “ecciù!” ruppe l’atmosfera.
Mello inspirò rumorosamente, per rispedire da dov’era venuto un viscido rivoletto di moccolo.
- Non dovresti restare qua fuori con questo freddo con addosso solo una felpa. Andiamo dentro, o ti verrà un malanno -
Mello non protestò.
Si aspettava che avrebbe fatto come tutti gli adulti facevano quando volevano portarlo da qualche parte: lo prendevano sempre per la mano, che veniva imprigionata tra quelle dita enormi in confronto alle sue e lo trascinavano amorevolmente dove volevano.
L non fece nulla di tutto questo.
Si limitò a girare i tacchi e ad incamminarsi tranquillamente verso la porta principale, sempre con una mano nella tasca, mentre l’altra reggeva ancora la bacchetta plasticosa di quella che ormai era l’ombra di un lecca-lecca, tanto si era fatto piccolo e trasparente. Non si voltò per vedere se il biondino lo seguiva, non lo chiamò quando ormai era palese che era rimasto impalato dove l’aveva lasciato.
Mello pensò una volta in più che quello era un ragazzo decisamente fuori dagli schemi.
La cosa gli piaceva.
Gli piaceva molto.
Con una rapida corsa si portò di fianco al moro che non gli rivolse nemmeno un’occhiata.
- L? - chiese all’improvviso il piccolo ruotando la testa verso di lui.
Non seppe mai rispondersi sul perché avesse all’improvviso creduto alla vera identità di L.
Il detective si limitò a un mugugno, per far capire al demonietto biondo che aveva la sua attenzione.
- Prima hai detto che per te è il minimo del lavoro del detective avere qualche informazione sulle persone con cui hai o avrai a che fare, giusto? -
- Sì… - rispose l’altro distrattamente, mentre il “crunch crunch” che proveniva dalla sua bocca, faceva chiaramente capire che l’esistenza del chupa-chups era decisamente giunta al termine.
- Allora... com’è che sapevi che avresti avuto a che fare con me? - continuò il bambino, cui senza nemmeno rendersene conto era tornato il buon umore.
L emise un rantolo, come se gli fosse tornata in mente qualcosa che voleva dimenticare per più tempo gli fosse possibile.
- Sono in trasferta - rispose prima di estrarre lo stecchetto mordicchiato e rigirarlo un paio di volte tra le dita.
-... in trasferta? - ripeté Mello, non del tutto sicuro di aver capito bene.
- Sì, quest’anno il barbagianni ha deciso che era troppo tempo che non vedeva il signor Wammy, così lo ha chiamato e gli ha detto “perché non vieni a festeggiare il natale qui alla Wammy’s House? E già che ci sei, visto che ha così poco da lavorare, perché non ti porti dietro anche il signorino L? così magari gli altri alunni lo conoscono e magari si fanno un’idea di chi prima o poi dovranno prendere il posto”. Il fatto che il sottoscritto non avesse chissà che voglia di tornare in questo posto, visto soprattutto che ha almeno una decina di casi da risolvere possibilmente per la fine delle feste, era assolutamente irrilevante... –
L accelerò il passo, quasi come se questo potesse allontanarlo da quel per lui tanto lugubre pensiero, tanto che Mello stentò a stargli dietro.
- Quindi anche Watari è qui adesso? - chiese di nuovo.
- Già... è andato dentro circa un quarto d’ora prima che uscissi tu... - rispose mentre si iniziava a intravedere la luce interna che usciva dai vetri del portone.
- Quindi sarà quasi mezz’ora che sei là fuori al freddo! È per questo che sei così pallido? -
- No, è il mio colore naturale -
Mello stavolta riuscì a cogliere nel tono una leggera sfumatura che, se non era esasperazione, la ricordava parecchio. E si pentì subito di non essere stato capace di zittirsi per almeno dieci secondi di fila.
Però aveva ancora una domanda, una domanda piccina e innocente che moriva dalla voglia di fare, mentre ormai erano a pochi passi dall’uscio.
“Poi” si promise “starò zitto tutta la sera”
- Ehm... L? -
- Che cosa c’è adesso? -
- ... anche tu Roger lo chiami barbagianni? -
Mello vide le labbra di L arricciarsi all’insù in un sorrisetto divertito, mentre apriva la porta.


  
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