Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: PerseoeAndromeda    25/12/2009    1 recensioni
Iniziata il giorno esatto del compleanno di Seiya con un grande impeto, per poi arenarsi e proseguire al ritmo di neanche un rigo per giorno a momenti -.- Infatti la fine non mi convince. Lievi cenni shonen ai.
Genere: Generale, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RINASCERE SOTTO LE STELLE

Rinascere sotto le stelle

 

 

Le stelle trasmettevano una sensazione di malinconica nostalgia mentre si specchiavano negli occhi grandi di un ragazzo che le contemplava, in piedi, immobile sul molo, nelle orecchie il suono delle onde infrante sotto di lui.

Non sapeva spiegarsi il perché di quel cuore stretto; lo spettacolo degli astri, in passato, scendeva nel suo cuore come un invito alla forza, una doccia di energia e vitalità.

-In passato, già… ma non sono più un bambino, non dopo tutto quello che ho vissuto…

Era finito il tempo delle illusioni, non c’era niente di bello nella battaglia, niente di entusiasmante; si portò una mano al petto, rendendosi conto di quanto ancora bruciasse quell’ultima, terribile ferita, non per la sua gravità, non perché fisicamente faceva un male atroce, ma perché l’aveva cambiato nel profondo.

-Si è portata via Seiya, quella ferita…

Sussultò; la voce era giunta come un sospiro dagli astri, ma era umana e, soprattutto, amata, in un modo che lo terrorizzava, ogni giorno di più.

E quando due mani si posarono sulle sue spalle, non poté impedire a se stesso di tremare e di ricredersi immediatamente: non era cresciuto affatto, perché in quel momento si era tramutato in un bambino desideroso di piangere.

-Si è portata via tutto ciò che ti rendeva l’anima di noi sacri guerrieri…

Abbassò il capo; nessuna parola riuscirono a formulare le sue corde vocali per ribattere a quella che, in quel momento, percepiva come un’accusa. Le sue labbra fremettero, bevendo una lacrima sfuggita al controllo delle palpebre, senza che egli se ne accorgesse.

Infine una frase si formò, incerta, intrisa d’angoscia:

-Vi ho deluso fino a questo punto… mi dispiace…

Le mani lasciarono le sue spalle ed egli si sentì come abbandonato ma, con un passo lieve, il loro proprietario si portò al suo fianco, un evanescente scia di capelli corvini, danzanti in quella semplice mossa, gli sfiorò una guancia e, in qualche modo, la presenza si fece più palpabile e confortevole.

-Non hai capito, Seiya… nessuno di noi potrebbe mai sentirsi deluso da te…

Ancora non aveva il coraggio di voltarsi a guardare l’amico del cuore ma, a quel punto, era certo che egli invece lo stesse fissando, lo sguardo penetrante affondava nel suo spirito come una sonda che non lasciava scampo, che lo metteva completamente a nudo.

-Non hai deluso noi, perché noi sappiamo vedere dentro di te, noi sappiamo scorgere, dietro quegli occhi ora spenti, il cuore autentico di Pegasus… tu stai deludendo continuamente te stesso, perché non ti piaci più…

Deglutì; quanta verità in quelle parole pronunciate da colui cui si era aggrappato ogni istante nel corso della sua esistenza di sacro guerriero, fratello d’arme, fratello di sangue… e forse, era sempre più difficile nasconderselo, anche qualcosa di più, qualcosa che trascendeva e comprendeva in sé ogni definizione. Il dolore al petto si mutò in un grido d’agonia di ogni terminazione nervosa e che, sulle sue labbra, si plasmò in un singulto soffocato; sarebbe probabilmente caduto in ginocchio se, ancora quelle mani, non l’avessero sostenuto saldamente, afferrandolo per le braccia, all’altezza degli omeri.

Fidandosi ciecamente di quel sostegno, il ragazzo si abbandonò, lasciandosi andare contro il petto dell’altro, mentre un caldo abbraccio lo avvolgeva, forte.

-Torniamo a casa, Seiya... Seika-Neesan ti sta aspettando.

Avviandosi insieme a lui, l'amico non smise tuttavia di circondarlo con un braccio, come se temesse la capacità di reggersi in piedi del ragazzo triste che si aggrappava spiritualmente a lui, in una maniera che risultava sempre più morbosa.

-Shiryu-kun...

-Dimmi, Seiya...

-Grazie di tutto... grazie per esserci...

 

 

***

 

 

-Mi dispiace... vorrei poter fare di più per lui... e invece non sembra affatto felice, nonostante ci siamo ritrovati, nonostante la promessa di non separarci mai più...

-Non è colpa tua, Seika- mormorò la ragazza dai capelli castani, facendo frusciare il lungo abito bianco, che carezzava morbidamente il pavimento lucido, ad ogni passo della fanciulla.

-Se un responsabile è da trovare, quella sono io... per me i ragazzi hanno combattuto, per me hanno sacrificato la vita e la felicità... immolando sul mio altare persino la forza d'animo, che adesso vedo andare in frantumi...

Camminò fino alla poltrona foderata di morbido velluto verde e qui si lasciò cadere, il volto basso, l'espressione sconfitta, le mani intrecciate e nervose abbandonate in grembo.

-Saori-san...- mormorò l'altra giovane, contemplando quella figura infelice che, in quel momento, faticava a mantenere intatta la sicurezza conferitale dall'essenza divina risvegliatasi in lei ormai in maniera definitiva.

-Soprattutto lui- soggiunse tra sé la giovane tormentata. –E' come se quella spada avesse prosciugato in lui ogni cosa, la sua stessa identità... come se gli avesse fatto dimenticare chi è... lui...

Mentre Seika abbassava il volto, incapace di trovare le parole adatte per ribattere a quelle pessimistiche osservazioni, la porta del soggiorno si aprì e un viso incorniciato da riccioli d'oro scuro fece capolino.

-Posso entrare Saori-san? Vi disturbo?

-Certo che no, Shun- rispose l'interpellata, ritrovando il sorriso nell'accogliere l'angelo della casa, il più generoso e sensibile tra i suoi sacri guerrieri. Non avrebbe mai voluto sovraccaricare quel cuore già tanto provato anche delle sue preoccupazioni; con Shun avrebbe continuato a mostrarsi più rassicurante che poteva.

Il ragazzo varcò la soglia, le mani dietro la schiena, in apparenza titubante, si vedeva che cercava il coraggio di dire qualcosa.

-Domani... dovrebbe essere una giornata speciale- esordì poi, dirigendosi verso la finestra e guardando fuori, con tutta l'intensità del suo sguardo eppure, probabilmente, senza vedere realmente nulla, perso a contemplare il suo mondo interiore, tanto sconfinato che chiunque vi si sarebbe smarrito, pensava Saori mentre lo guardava, senza smettere di sorridere teneramente.

Comprese immediatamente di cosa stesse parlando, di quale importante ricorrenza: l'anniversario della nascita di Seiya e, al contempo, dell'anima fulgida dei sacri guerrieri appartenenti a quella nuova generazione.

Anche Seika aveva compreso ed un sospiro sfuggì alle sue labbra.

-Se solo... potessimo aiutarlo a rinascere domani, e così a ritrovare se stesso..

Era stato ancora Shun a parlare, senza mutare la direzione del proprio sguardo, continuando a contemplare l'infinito.

Gli occhi di Saori si sgranarono in un lampo azzurrino e, subito dopo, si alzò, preda di una rinnovata risoluzione d'intenti che la colse con un impeto d'entusiasmo.

-Possiamo farlo!- sentenziò sicura la voce ferma di Dea che parlava con il tono della guida spirituale.

Seika e Shun si voltarono verso di lei, nei loro sguardi la perplessità si mescolava ad un'istintiva fiducia derivata dal carisma che emanava dalla signora protettrice di Giustizia.

-Raduniamo gli altri- ordinò poi la fanciulla guerriera. -E prepariamoci per un viaggio tra i ricordi.

 

 

***

 

 

La notte del primo giorno di dicembre si affacciò limpida con il suo manto di stelle; Saori, insieme ai ragazzi e a Seika, era giunta quel pomeriggio in terra di Grecia, dove i gold saint rinati e i pochi silver e bronze lì presenti avevano accolto lei ed i fratelli Kido con sincero entusiasmo.

Ma poi tutti erano scomparsi, persi in chissà quali questioni, pensava Seiya, persino i suoi fratelli si erano dileguati lasciandolo completamente solo, avvolto nel silenzio di quella pungente giornata volgente all'inverno, tra le mura fredde che sembravano osservarlo come giganti da un passato di cui conservavano l'opprimente memoria.

Quei blocchi di pietra e marmo erano sempre stati una casa per il ragazzo, mai l'avevano inquietato a tal punto, costituivano tutto ciò che più lo metteva a proprio agio. Quel giorno, invece, gli comunicavano unicamente un pesante senso di solitudine, di abbandono, simboli di ciò che non tornava mai più.

Quando il sole si rifugiò dietro i monti, lasciando spazio alla cortina di stelle e pianeti così diffusa da ubriacare la mente, Seiya uscì dall'alloggio che avrebbe dovuto condividere con i fratelli se solo si fossero decisi a rientrare e prese a vagare, quasi sconvolto dall'abbandono che impregnava quei luoghi. Il Santuario non era certo un angolo di mondo popoloso, lo sapeva, ma quella sera aveva l'impressione di trovarsi su un altro pianeta, dove ogni forma di vita era annullata; neanche gli uccelli notturni facevano sentire la propria voce, quasi tutti si fossero messi d'accordo per lasciarlo completamente solo, unica anima vagante in un universo vuoto e nero.

Ed il male al petto tornava, istante dopo istante, sempre più intenso, unico compagno nell'oblio.

Un bambino abbandonato non si sarebbe sentito più smarrito di così. Lui, il guerriero che aveva combattuto uomini e dei, tremava come un cucciolo che non trova la strada di casa e che si sente minacciato da un luogo che non riesce a riconoscere... un luogo che era sempre stato la sua casa.

Un suggerimento del cuore lo invitò a sollevare gli occhi al cielo, lo sapeva perché: era urgente il bisogno di ricercare le sue stelle guida, le uniche che avrebbero potuto aiutarlo, in quel momento, a dare un senso al nulla che lo circondava. Ma non vide cielo né stelle, una nebbia gli impediva di scorgere qualunque cosa, un bruciore intenso lo spingeva a stringere le palpebre... velo di lacrime infuocate, accompagnate da un'invocazione impotente:

-Dove sei, Pegasus? Se mi abbandoni anche tu, io come faccio... a sopravvivere?

Non sei forse tu, ad avermi abbandonato, Seiya?

Un rimprovero dall'angolino più nascosto della sua anima spenta, ma probabilmente era la sua immaginazione... o forse no, dopotutto.

-Come faccio? Come faccio a ritrovarti?

Annaspando nel dolore acuto si artigliò il petto con dita feroci, trattenendosi a stento in piedi sulle proprie gambe. Davanti a lui lampeggiarono, candide nell'oscurità, le colonne del tempio di Aries. Era abbastanza cosciente da rendersi conto di dove si trovava, nonostante tutto, ma ciò non bastò a rassicurarlo.

Roteando su se stesso, barcollante, diede la schiena al pilastro più vicino e vi si appoggiò, una mano ancora impegnata ad arginare le pugnalate di sofferenza che si irradiavano dal petto, l'altra mano sollevata, tremante, agli occhi; fiochi gemiti salivano alle labbra in sottili singhiozzi.

Se Shiryu mi vedesse adesso, che vergogna sarebbe per me.

Ma gli importava davvero, in fondo? Non era più il guerriero orgoglioso e a volte tanto sbruffone da voler nascondere a tutti i costi le proprie debolezze; in realtà, in quel momento, avrebbe desiderato con tutto se stesso che Shiryu giungesse, come poche sere prima, ad allontanarlo dal baratro.

Non fu Shiryu a giungere, ma una sorta di folletto dalla chioma fiammeggiante che saltellò davanti a lui proprio nell'attimo in cui abbassò la mano dal volto, una figurina bassa e sorridente nel suo ghigno da spiritello maligno.

-Kiki...- mormorò Seiya.

-Credevo di doverti venire a cercare fino al tuo alloggio, invece mi hai risparmiato un sacco di strada- squittì la vocetta squillante del bambino, mentre gli occhietti vispi lo scrutavano con aria sbarazzina.

-Cercavi me?- borbottò Seiya con tono neutro, lottando tra il sollievo che una presenza familiare gli comunicava in quella nottata strana e il vago senso di timore, perché l'apparizione del piccolo amico contribuiva ad accentuare l'onirica atmosfera di quegli istanti bizzarri, sentore che si fece più pregnante nel momento in cui il piccolo si avvicinò e prese, nella sua, una mano di Seiya.

-Vieni!

Non si trattava di una preghiera, un invito, una semplice richiesta; era un'imposizione, un ordine tranquillo ma che non ammetteva repliche; e Kiki era in grado di soggiogare lo spirito di una persona molto più lucida di quanto fosse Seiya in quel frangente.

Così si lasciò trascinare, come un sonnambulo, tra rovine e sentieri millenari, neanche si chiedeva per quanto tempo camminarono prima che il bimbo si fermasse; il ragazzo più grande si era vagamente reso conto che avevano da poco varcato l'entrata di una struttura a cielo aperto, ma non era in grado di porsi troppe domande. Gli eventi agivano su di lui senza che si sentisse capace di parteciparvi attivamente.

Si guardò intorno con aria perduta e, quando ricercò con gli occhi la presenza al suo fianco, si accorse di essere rimasto solo.

-Ki... Kiki...- balbettò, maledicendosi perché, pur consapevole di essere cambiato, quell'inquietudine dettata dal senso di abbandono in un luogo che comunque conosceva lo rendeva ridicolo persino a se stesso.

Devo darmi una scrollata, si disse in un impeto di rabbia e con una smorfia di sdegno grazie alla quale, per un istante, assomigliò al ragazzino volitivo ed energico di un tempo. Ma fu un attimo ed il suo sguardo si plasmò nuovamente in una tristezza che, in apparenza, non lasciava scampo alcuno.

Si strinse le braccia al petto; faceva freddo in quella notte volgente all'inverno, ma non più del gelo che aveva sopportato in ben altre occasioni. Il suo gesto era dovuto più che altro ad una ricerca di calore interiore, il desiderio di un abbraccio... non importava da parte di chi... forse del cosmo, delle sue stelle guida soprattutto, che non riusciva più a sentire.

Cercò di sollevare ancora gli occhi al cielo ma, nel movimento del volto, un bagliore attirò la sua attenzione verso un podio rialzato qualche metro davanti a lui, come una guida accesa nella notte: una forma metallica, un contenitore sulla cui superficie era incisa una forma... che il ragazzo riconobbe immediatamente.

Quello era il suo Pandora's cloth e dentro riposava l'armatura di Pegasus. Da quanto tempo, ormai, non si avvicinava alla sua veste da guerriero, al dono che le stelle gli avevano concesso?

Al tempo stesso riconobbe anche il luogo: si trovava nell'arena, retaggio dei tempi del mito, all'interno della quale, anni prima, aveva conquistato il diritto alla propria investitura, la prima volta in cui aveva potuto urlare al cielo: Io sono un saint, un sacro guerriero di Athena!

Rabbrividì mentre le gambe cominciavano a muoversi, come spinte da una volontà propria, in direzione dello scrigno di bronzo; anche le braccia del ragazzo si sciolsero da quella stretta che sembrava voler chiudere fuori il mondo e si tesero, forse intenzionate a ristabilire un contatto che da troppo tempo era stato spezzato.

-Ero un sacro guerriero di Athena- mormorò. -Cosa sono adesso?

Intanto si lasciava scivolare in ginocchio, non appena giunto ad una distanza in virtù della quale avrebbe semplicemente potuto allungare una mano per sfiorare il contenitore. Non osava, il desiderio di aggrapparsi ad esso era struggente, ma lui non trovava il coraggio, non se ne sentiva degno.

Un lampo sembrò levarsi dallo scrigno, quasi una lacrima di rimprovero nei suoi confronti, quasi da quell'involucro di metallo cosmico e da ciò che giaceva al suo interno giungesse un messaggio:

Ho bisogno anche io di te... perché non ti lasci semplicemente andare?

-Prova a ricordare come ti sei sentito quel giorno, Seiya, torna indietro... rivivi quel momento...

Una voce dal tutto che lo circondava, un canto dagli astri che avvolgevano la terra...

-Mia Dea...

Una lacrima accarezzò la sua guancia, l'ennesima pianta dal ritorno dall'Ade; serrò le palpebre, trattenendo il respiro, sicuro che Athena era lì, da qualche parte e lo osservava, il cuore colmo della speranza che il suo guerriero, l'eroe di tante imprese sovrumane, sarebbe tornato per lottare ancora al suo fianco, se ce ne fosse stato il bisogno.

E Athena parlava con le stelle e con il cosmo, tramite loro; nell'abbraccio dell'universo, in quella notte spettacolare, percepiva l'abbraccio della sua Dea, per questo, forse, restando in ginocchio, si trovò a spalancare le braccia, come per rispondere a quell'abbraccio ed interiorizzarlo. Un tempo, un tale gesto avrebbe significato, per lui, la consapevolezza di poter avvolgere, con la sola circonferenza dei suoi arti superiori, l'intera volta celeste. Invece, nel farlo in quegli istanti, si sentiva piccolo, minuscolo, incapace... e troppo insignificante.

-Toccalo...

Non era più la voce della Dea, ma altrettanto cara alle sue orecchie; qualcuno si era accucciato dietro di lui e una mano si allungò a prendergli il polso, invitandolo con fermezza a raggiungere lo scrigno.

Seiya tremò, era convinto di non potercela fare, di non essere più degno, eppure si lasciò guidare, perché a quella mano si sarebbe affidato anima e corpo, a colui che stava alle sue spalle avrebbe affidato quanto aveva di più prezioso ed anche la propria dignità. Shiryu non avrebbe mai voluto il suo male; se qualcuno poteva ricondurlo alla vita, era il santo del Dragone, fratello maggiore... e altra metà della sua anima... la più bella metà.

Così sfiorò lo scrigno e non poté trattenere un urlo al bagliore accecante che lo aggredì, lo stesso con cui il cloth di Pegasus l'aveva accolto la prima volta; ma allora era preparato a riceverlo.

Sei ancora pronto... sei sempre tu... accoglimi...

-Lasciati andare, Seiya...

Percepiva ancora il contatto delle mani di Shiryu su di lui; forse non ce l'avrebbe fatta da solo... o forse sì, perché dentro di sé aveva già deciso. Pegasus lo chiamava e questo poteva significare solo una cosa: lo riteneva ancora degno.

Tutto dipende da me, rifletté il ragazzo, se non sono io a voler ritrovare me stesso, nessuno potrà farlo al mio posto. Anni fa sono nato in questo giorno... Questa notte rinascerò, una terza volta, la seconda come Pegasus e niente e nessuno mi toglierà più le mie stelle guida!

Il calore lo avvolse come una vampa di fuoco, cancellando il gelo ormai quasi invernale; all'inizio gli sembrò di soffocare, il suo spirito dava l'idea di essere sul punto di esplodere, urlò, come non aveva fatto neanche la prima volta.

Ma poi il dolore bruciante si fece tepore, sentore di sicurezza e protezione, di comunione totalizzante con quegli astri che, seppur ad occhi chiusi, poteva visualizzare, perché impressi nella sua anima.

Dove sono sempre stati... e dove devono essere... dove dovranno restare...

In quella luce il ragazzo scomparve agli occhi di chi, nascosto nell'ombra, assisteva alla scena e, quando ricomparve, era avvolto nel candore stellare del cloth di Pegasus, lo sguardo fisso davanti a sé, lo sguardo del guerriero rinato dopo essersi smarrito nelle paure di un bambino cresciuto troppo in fretta.

La sua prima occhiata fu per Shiryu, anch'egli in piedi, sorridente, davanti a lui e, probabilmente, solo lui era in grado di scorgere le lacrime che scorrevano sulle guance dell'amico e fratello. Da lontano era ravvisabile solo l'atteggiamento consapevole, fiducioso, di eroe rinato.

Le prime a farsi vedere, portandosi al fianco di Shiryu, furono Seika e la Dea, sorridenti a loro volta, seguite immediatamente dagli altri fratelli di Seiya, dai gold saint, dai silver e da tutti coloro che, in quel momento, costituivano la vita pulsante del Grande Tempio di Atene. Gli astri che si specchiavano negli occhi di Seiya si riflettevano negli sguardi di tutti i presenti e, per parecchi istanti, sembrò che il cielo fosse sceso sulla terra, divenendo tutt'uno con essa.

-Ci siete tutti...

Fu solo un mormorio quello di Seiya, eppure ciascuno lo udì e, per ognuno, fu un regalo, la consapevolezza che Seiya era tornato, l'anima dei santi della speranza rifulgeva ancora su di loro ed intorno a loro per guidarli in nuove avventure o in un lungo, meritato periodo di pace.

 

 

 

 

 

 

   
 
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