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Autore: Red S i n n e r    26/12/2009    3 recensioni
Rubava ore di sonno alla sua vita, rubava ore alla sua vita per vederla di nuovo, rubava vita dal suo volto per trovare la forza di alzarsi al mattino.
Era vita anche quella?
E lo sapeva, lo sapeva che era una fottutissima malattia, una stupida ossessione, un’inconfessata maledizione: amare una farfalla, e una farfalla notturna per di più, lo avrebbe reso infelice.
Le farfalle amano la libertà e le falene sono – e saranno- follemente innamorate delle luci della sera e vi si avvicineranno sempre, sperando in un briciolo di calore, e saranno felici: saranno felici anche di bruciarsi.
E se lei si fosse bruciata a lui chi avrebbe pensato?
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mousse, Shan-pu
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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City of blinding lights. ~
____Oh, you look so beautiful tonight!

 
The more you see the less you know
 
The less you find out as you go

I knew much more then than I do now ~

U2- City of blinding lights.

 

 Strade sempre stracolme di una folla sciamante e chiacchierona, scalpiccio di passi che invade le orecchie come un ronzio fastidioso.

Voci, suoni  e colori che si rincorrono in acquerelli e tempere senza fine sulla tela del pazzo artista di turno.

Follia dilagante negli occhi dalle pupille dilatate della folla che avanza, talvolta barcollante, verso un nessun posto, dimentica dei muti interrogativi che il sole ama mostrare.

Ma la notte – oh, la notte! – la notte ricopre tutto con una fantasmagorica coperta di buio e oblio, prontamente illuminata dai fuochi fatui di un popolo troppo stanco per cercar risposte e per vivere, ma abbastanza sveglio da non voler andare a dormire.

Tra la folla, illuminata dalle luci al neon, c’era lui; lui che mai nella vita aveva bevuto un goccio di un qualsivoglia alcolico, lui che mai – mai!- avrebbe assunto droghe.

 E’ da pazzi, è da folli, è da gente stupida. Sei stupido anche tu?, Gli domandava retoricamente sua madre e lui, da bravo figlio qual’era, le dava ragione preferendo con cercare l’oblio artificiale nell’alcolico di turno.

Lui così stoico e irreprensibile, lui così perfetto e pulito.

Era stato un trauma per i suoi genitori quando aveva deciso di lasciare il suo tranquillo villaggio per trasferirsi in pianta stabile nella grandissima e bellissima Pechino.

Vado a cercar lavoro, aveva detto, così potrò aiutarvi economicamente se ce ne sarà bisogno.

Lo disse tranquillo, sapendo di star mentendo, e i suoi genitori l’avevano osservato attenti, bevendosi quella menzogna e cercando di dimenticare che lui intendeva inseguire lei.

Lei che se n’era andata qualche mese prima inseguendo come una folle falena le luci accecanti e oniriche della grande capitale, lei che l’aveva abbandonato senza neanche salutarlo.

E perché mai avrebbe dovuto disturbarsi a farlo?

In diciannove anni di vita Mousse era riuscito a parlarle solo per pochi minuti e solo una manciata di volte, probabilmente, neanche si ricordava il suo nome.

Lei non era a conoscenza degli anni di amore silente che aveva acceso nel cuore di quel bambino, ora adulto; non conosceva nessuna delle lacrime versate in sua assenza e all’ombra del suo ricordo.

Lei era andata via senza voltarsi indietro, lasciando la sua famiglia e i suoi amici, era andata via inseguendo quelle fantastiche luci mai viste, ma di cui già era follemente innamorata.

La piccola Shampoo era troppo bella per vegetare in un piccolo villaggio come il loro e Mousse lo sapeva, ma ciò non lo aiutava affatto.

L’aveva inseguita come un pazzo, aveva trovato un lavoro, una modesta abitazione e, infine, l’aveva ritrovata.

Mousse si fermò davanti alla stessa strada in cui si fermava da ormai nove mesi a quella parte.

Fermatosi  fece un gran respiro, assaporando l’aria frizzante della sera rinforzata dai profumi afrodisiaci ed allettanti provenienti da ogni dove, chiuse gli occhi un’ultima volta e poi imboccò la piccola via laterale.

E lei era lì, lì come sempre.

Vestita di un lungo abito rosso dal taglio cinese, finemente decorato da fili dorati;  i lunghi capelli viola legati in alto con un elegante chignon, il volto truccato finemente, le labbra dipinte di un rosso provocante.

Sorrideva lasciva dall’interno di una vetrina, mostrandosi senza vergogna al piccolo pubblico che si era venuto a creare lì davanti.

Mousse non si avvicinò, rimase dall’altro lato della strada, rimase a fissare lo spacco generoso del vestito - che lasciava scoperte le gambe flessuose - , rimase ad osservare il suo seno prosperoso e i suoi occhi mielati ed eccitanti.

Non fece nulla, come sempre.

  L’aveva cercata come un pazzo durante i primi giorni a Pechino, la voleva riportare con sé dalla sua famiglia ancora sconvolta, la voleva portare nel loro villaggio, l’avrebbe voluta sposare.

Avrebbe voluto essere stupidamente felice insieme  a lei.

Sorrideva scioccamente mentre cullava i suoi sogni infantili; una sera e quella strada li avevano distrutti per sempre.

L’aveva vista, l’aveva vista lì, mentre si mostrava agli sguardi libidinosi dell’uomo di turno, l’aveva vista sparire dietro a quella tenda per non farvi ritorno se non un’ora dopo, alle volte mai più per quella sera.

Alle volte il cliente la pagava per l’intera notte.

Ed ogni notte Mousse rimaneva lì, nella speranza che ritornasse, nella speranza di poterla vedere ancora.

La prima volta che l’aveva vista in quella vetrina, se lo ricordava,  aveva vomitato dietro un cassonetto.

Vederla esposta in quel modo, alla stregua di un pezzo di carne o di un oggetto costoso l’aveva disgustato, ma poi si era abituato, purtroppo.

Aveva fatto domande e ricevuto un’alquanto sommaria descrizione dei fatti.

Shampoo, a quanto pareva, faceva parte di quel numero sempre più spropositato di ragazze che approdavano nella grande città senza saper dove andare e senza il becco di un quattrino:  era quasi scontato che le più belle di loro fossero convinte, con pegni d’amore fittizi o ingenti quantità d’alcool, ad seguire l’uomo gentile di turno che, in un modo o in un altro, finiva per prenderle a lavorare come prostitute.

Prostitute d’alto rango però, eh!

Di quelle che si ritrovano esposte, come graziose bamboline, in vetrine ricche di pizzi e morbidi cuscini, una di quelle costose che solo in pochi possono permettersi.

E Shampoo era una di queste con la differenza che lei, da piccola ingenua qual’era, aveva creduto ciecamente a quelle parole d’amore ed ora si trovava ad amare profondamente il suo inconfessato  aguzzino.

Mousse l’aveva vista, qualche volta, mentre amoreggiava con lui, un uomo alto dai capelli scuri e gli occhi intelligenti:  aveva visto gli occhi innamorati di lei e come quelli del suo protettore si tingessero di autocompiacimento.

 Si ficcò stizzito le mani in tasca cercando di racimolare un po’ del calore perso da quando era lì ad osservarla; ora un po’ di quella folla improvvisata era svanita: forse si erano annoiati, più probabilmente avevano visto il suo prezzo.

Ma lei restava lì, bella e splendente, e solo allora si accorse che, i fili dorati sul suo vestito, componevano le immagini aggraziate ed eteree di tante piccole farfalle che si dipanavano sullo scarlatto, e quanto mai scarso, tessuto lucente.

Si ritrovò a pensare che la farfalla era l’immagine più adatta a lei.

Era sempre stata fuggevole, sempre da qualche altra parte, pensava a volare lei, non poteva fermarsi ad osservare lui: una timida e stupida papera.

Era ‘papera’ il soprannome che le aveva affibbiato  lei, era sempre stato goffo, sempre troppo rumoroso… si chiese se ricordasse almeno questo e si diede dell’idiota per averlo solo pensato.

Stringendosi nel cappotto, troppo leggero per quel freddo, Mousse notò che anche l’ultimo spettatore aveva preferito distogliere lo sguardo dalla magnifica, ma quanto mai cara, visione della ragazza per dirigersi forse in lidi più a buon mercato.

Osservò Shampoo sedersi su di una piccola sedia  ed iniziare  a giocherellare con una ciocca di capelli lasciata sciolta, sembrava sovrappensiero, lui bevve ogni suo movimento, ogni inclinazione del suo volto, ogni espressione nei suoi occhi dolci.

Aveva cercato di odiarla, di disprezzarla per le sue scelte, di incolparla per ogni cosa ma non c’era riuscito.

Ritornava a guardarla ogni sera, ritornava in quella strada ove i suoi sogni idilliaci si erano frantumati contro il muro della vita, rubava ore di sonno alla sua vita, rubava ore alla sua vita per vederla di nuovo, rubava vita dal suo volto per trovare la forza di alzarsi al mattino.

Era vita anche quella?

L’unico che doveva odiare era sé stesso, odiarsi per non essere riuscito a fermarla, per non essere riuscito a parlare con lei per più di una manciata di minuti, odiarsi perché, da patetico qual’era, non era mai riuscito a dirgli quanto la amava.

E l’amava, dio, eccome se l’amava!

La guardava assetato, folle e ancora ottusamente innamorato, la guardava come si guarda la più grande opera d’arte, con muta e pacata riverenza senza trovare il coraggio di accarezzarla, come il più fragile dei cristalli, come il più profumato dei fiori e non come si guarda una puttana.

Ma lei era questo, era una puttana, ed era stata proprio lei a sceglierlo convinta così di poter salvare il suo amato dai debiti ma, hey!, lei ci stava riuscendo. Peccato però che appena l’ultimo debito si fosse estinto anche lui sarebbe improvvisamente dileguato nel nulla.

E Shampoo? Chi avrebbe pensato a lei?

Pensava, e sperava, di poter essere lui quel qualcuno e non gli importava del suo corpo sporco, deturpato da centinaia di mani e di bocche lascive, lui la voleva, la desiderava.

Ancora e per sempre, ancora e per sempre.

E lo sapeva, lo sapeva che era una fottutissima malattia, una stupida ossessione, un’inconfessata  maledizione:  amare una farfalla, e una farfalla notturna per di più, lo avrebbe reso infelice.

Le farfalle amano la libertà e le falene sono – e saranno- follemente innamorate delle luci della sera e vi si avvicineranno sempre, sperando in un briciolo di calore, e saranno felici: saranno felici anche di bruciarsi.

E se lei si fosse bruciata a lui chi avrebbe pensato?

Sarebbe morto giorno dopo giorno in quella città enorme in cui si trovava ancora spaesato, sarebbe morto senza emettere un fiato, contemplando le ali meravigliose di quella falena irraggiungibile e sarebbe stato stupidamente ed ironicamente felice di una morte così dolce.

Cercò, ormai schiavo dell’abitudine, gli occhi della sua bellissima farfalla e quasi sobbalzò, dandosi prontamente dello stupido, quando vide i suoi occhi guardare lui, , proprio lui.

Come in trance, come abbagliato e incantato dal suo sguardo, si ritrovò a fare una cosa che non aveva mai fatto in ben nove mesi: si avvicinò al vetro.

Gli occhi color miele di lei lo seguirono divertiti e un po’ maliziosi e continuarono a guardarlo così anche quando i loro volti furono vicini, così vicini da cogliere le sfumature delle iridi, così lontani da non potersi nemmeno sfiorare.

Cercò di parlare, di trovare qualcosa da articolare, ma poi si ricordò che il vetro l’avrebbe impedito; ingoiando a vuoto continuò a guardarla, affascinato dal suo viso - ancora più bello di quanto ricordava -  e improvvisamente Shampoo alitò sul vetro, scrivendo in fretta il suo nome prima che l’alone svanisse.

Mousse sorrise, ricordando di quanto lei amasse scrivere sui vetri nelle notti fredde d’inverno.

E sorrideva ancora quando, imitandola, scrisse il suo nome.

La ragazza lesse il nome e i suoi occhi sembrarono per un attimo assorti, fu un attimo, ma bastò a Mousse per illudersi. Di nuovo.

Shampoo sorrise, articolando un ‘bel nome’ sulle sue labbra carnose, poi lo guardò interrogativa e Mousse capì la sua tacita domanda.

Scosse il capo frettolosamente, nemmeno se avesse avuto i soldi necessari avrebbe pagato una notte con lei, era squallido.

Shampoo sorrise e alitando sul vetro scrisse in fretta: “Magari un giorno…”

Il ragazzo osservò gli ideogrammi con malinconia ma sorrise lo stesso, alla meglio, annuendo subito dopo.

Magari un giorno l’avrebbe trascinata via da lì, no?

Sorpreso, vide Shampoo tracciare nuove parole sul vetro, la frase era lunga e l’alone svaniva in fretta ma alla fine lesse: “Attento o le luci della sera ti faranno loro schiavo.”

Shampoo sorrise amaramente e Mousse la guardò preoccupato – ti sei forse bruciata le ali, amor mio? – poi, sorridendo tranquillo, annuì e la ragazza sorrise con più convinzione.

La guardò di nuovo e per un’ultima volta, posando il palmo della mano sul freddo del vetro, immaginando che fosse la sua mano, e Shampoo fece lo stesso di nuovo divertita.

Con un ultimo cenno ed un ultimo sorriso Mousse si congedò, voltando le spalle a lei e inforcando la via principale di quel quartiere a luci rosse.

Stupidamente pensò che nessuno gli aveva mai fatto i complimenti per il suo nome e sorrise scioccamente, poi l’ultima frase di Shampoo tornò a rimbombargli nelle orecchie come se l’avesse pronunciata ad alta voce.

Attento, o le luci della sera ti faranno loro schiavo.

Attento, gli diceva, ma lui non ne aveva bisogno, non si sarebbe mai innamorato dell’effimera sera e dei suoi fuochi fatui, sarebbe stato uno schiavo, quello sì, ma solo di lei e della vita che, ogni giorno, le rubava per trovare la forza di dormire e di vivere un altro giorno, aspettando la notte e aspettando di vederla.

Schiavo.

Uno schiavo felice, innamorato della sua immagine e del suo volto, innamorato delle sue ali come non lo sarebbe mai stato della notte, e mentre la sua falena avrebbe inseguito le sue amate luci lui avrebbe inseguito lei, stando attento a non farle bruciare le ali.

E amandola, amandola come se fosse l’essere più meraviglioso della notte.

E vivendo per quei momenti rubati, vivendo di giorno ed aspettando la notte.

Ancora e per sempre, ancora e per sempre.

Una maledizione? Malattia, ossessione?
Che importanza aveva? In fondo sarebbe stata una morte dolce e ne sarebbe stato quasi felice.

 Sorrise alla notte, diventando un puntino tra le masse sciamanti di una città che, no, non dormiva mai.


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 La mia prima AU, la mia prima AU!
Ho sempre detto di odiarle, è vero, ma quest’ambientazione mi piaceva troppo ed ho deciso di usarla.
Ho voluto dare un contributo ad una coppia mai utilizzata, o poco utilizzata, in questo fandom: Mousse/Shampoo.
Li trovo tanto carini, anche se lei mi sta un po’ qui.. XD
Ovviamente oltre ad essere una AU è anche una What If..?, perché Mousse e Shampoo non hanno mai incontrato Ranma, il villaggio non è quello della amazzoni perché, altrimenti, lei non avrebbe mai potuto né voluto lasciarlo.
I personaggi sono IC, o almeno credo, la storia è ambientata a Pechino e… Boh, spero tanto vi sia piaciuta.

Perché a me è piaciuto scriverla, lo ammetto.
Viva i personaggi secondari perché io lo amo! XD

Alla prossima.

Red.

   
 
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