Sommario: « Oh, Clipton, è lei ». Tornò a guardare il fiume. « Ammiravo il fiume Kwai ».
Clipton lo affiancò.
« Se mi si permette l’osservazione, Sir, niente a che vedere col Tamigi ».
[Il ponte sul fiume Kwai]
Pairing: Nicholson/Clipton
Rating: verde. C’è giusto un assaggino di shonen-ai. Poco, pochino.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia appartengono a Pierre Boulle, l’autore del libro “Il ponte sul fiume Kwai”, e a chi ne detiene i diritti.
Beta: Geilie ^___^ Che ringrazio dal più profondo del cuore, perché si è presa il libro e se lo è letto, per Betarmi questa storia. Grazie, grazie, grazie.
Note dell’Autrice/1: questa storia partecipa alla Criticombola indetta da Criticoni, prompt 47 [Luoghi]: “Ponte”.
[Siamo nati per girovagare su quelle colline,
senza donne, e le mani tenercele dietro la schiena.
Antenati, Cesare Pavese]
La figura del colonnello Nicholson si stagliava dritta sul ponte: il sole calante delineava le spalle dritte, il mento alto e la postura perfetta tipicamente inglese.
Clipton spese un attimo a guardarlo: i brillanti occhi azzurri del colonnello erano fissi sul fiume, e Clipton lo conosceva abbastanza bene da saper identificare, dalla curva delle labbra, l’umore del maggior ufficiale inglese presente in quel posto dimenticato da Iddio: pensieroso.
« Procede bene » disse Clipton cautamente. Nicholson si voltò, senza fretta, e gli rivolse un educato cenno del capo.
« Oh, Clipton, è lei ». Tornò a guardare il fiume. « Ammiravo il fiume Kwai ».
Clipton lo affiancò.
« Se mi si permette l’osservazione, Sir, niente a che vedere col Tamigi ».
« Ho paura di no, Clipton » ammise il colonnello Nicholson, congiungendo le mani dietro la schiena. « Ma, in un certo senso, credo che questo fiume ci appartenga quasi quanto l’amato rivo patrio ».
Clipton avrebbe alzato le sopracciglia, se non avesse temuto di mancare di rispetto.
« Non capisco in che modo, Sir. Siamo prigionieri in terra straniera. Questo non è il nostro Paese, e questo » guardò le acque limacciose del Kwai « non è il nostro fiume ».
Le labbra di Nicholson, sotto i baffi, si piegarono leggermente verso l’alto, mentre il colonnello guardava il medico.
« Ma il ponte è nostro ».
« Mi permetto di farle notare, Sir, che sarà Saito a prendersi il merito dell’opera ».
Nicholson si accarezzò i baffi.
« Chiederò al colonnello Saito che il contributo dei nostri uomini venga preso in considerazione e ufficialmente riconosciuto quando il ponte sarà concluso ».
Clipton chinò il capo per non far vedere la smorfia del suo viso.
« Colonnello, temo che la sua giusta osservazione non troverà ascolto ».
Nicholson lo guardò indulgente.
« Sono sicuro, al contrario, che il colonnello Saito approverà questo pensiero, se gliene sarà fatta notare la rettitudine. Ma in fondo » aggiunse, « vuole davvero fregiarsi del riconoscimento nipponico? Noi sapremo, a ogni modo, che il ponte è stato costruito con il sudore, l’ingegno e lo sforzo anglosassone. Ciò basta a rendere nostro questo ponte ».
« Sir » disse Clipton, sforzandosi di non sembrare polemico, « è un ponte per il nemico. Aprirà la strada ai rifornimenti nipponici. Consentirà ai Giapponesi di trasportare truppe verso nuove terre da conquistare ».
« Ma è il nostro ponte, Clipton, nessuno potrà mai dubitarne! Solo dal genio occidentale poteva nascere una simile struttura. Pensi, come lei ha detto: procede bene. È quasi completo. Resisterà per sei secoli, come i piloni del London Bridge. Fra sei secoli, questo ponte sarà ancora qui, a maggior gloria dell’ingegno britannico ».
« Me ne rallegrerei, Sir, se solo si trovasse in terra amica! » gemette Clipton. Nicholson sorrise, e nonostante le percosse di Saito e la pessima dieta approvvigionata dall’esercito nipponico avessero rovinato lo smalto dei denti, Clipton pensò che era un bel sorriso.
Pieno di speranza e gloria e consapevolezza. Colmo di puro orgoglio anglosassone.
« Forse che le belle cose costruite in terra straniera sono meno apprezzabili di quelle edificate nel nostro amato paese? Clipton, amico mio, allora anche i rapporti umani nati in queste tristi circostanze dovrebbero subire, secondo lei, questo annichilimento? »
Clipton dilatò gli occhi e un vago rossore ricoprì le sue guance rese scarne dalla prigionia.
« No, Sir ».
Il sorriso del colonnello Nicholson si fece più dolce.
« Vede, allora. Ciò che è nostro per diritto, rimane nostro, in qualsiasi circostanza questo diritto abbia agito. Il ponte è su terra nipponica, non lo nego. Ma la sua struttura è inglese, la sua proporzione è inglese, la sua forza stessa inglese! E vivrà ben oltre noi, Clipton. Ben oltre, a testimoniare la grandezza anglosassone nei secoli ».
« E ciò si può dire anche dei... delle amicizie sorte in questa terra, dunque, Sir? »
C’era una nota di malcelata speranza nella voce del medico inglese, e Nicholson lo guardò con il suo cipiglio più serio.
« Tutto ciò che riguarda l’uomo è destinato a durare ben più che qualsiasi cosa dall’uomo costruita, Clipton, confido che lei lo sappia e che il nostro obbligato soggiorno in regioni barbare non glielo abbia fatto dimenticare ». Poi, d’improvviso, sorrise leggermente e mise una mano sulla spalla dell’altro. « Torniamo al campo, Clipton. È scesa la notte ed è inutile rimanere a contemplare il buio. Ormai il fiume è invisibile. Torneremo domani ».
« Sì, Sir ».
In silenzio, si incamminarono verso l’accampamento, reso visibile dalle flebili luci delle sentinelle e della tenda di Saito, dove sicuramente il colonnello Giapponese stava rimirando il fondo di una bottiglia.
Giunti alla fine del ponte, si voltarono insieme a osservare la struttura, a mala pena visibile anche per un occhio abituato alle tenebre.
Nicholson annuì in segno di muta approvazione all’opera.
« È un bel ponte, Clipton. Domani lo dirò ai nostri uomini. Un bel ponte ».
Clipton sorrise nell’ombra.
« Il migliore mai costruito, Sir ».
Note dell’Autrice:
Ammettiamolo, Clipton, come dice la mia Beta, Geilie, parla di Nicholson come se ne fosse innamorato. E lo è, non è evidente? *^*