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Autore: cartacciabianca    31/12/2009    7 recensioni
-Ma devi credermi, Leonardo! Quant’è vero che una volta ho baciato un ragazzo- si beffò Ezio, ma un istante dopo già se ne pentiva. Si voltò a guardare Leonardo che lo osservava senza parole in bocca.
-…Davvero?- formulò l’artista sconvolto.
Fan Fiction (*molto alla expantion pack di The Sims 2 XD) tratta dall'originale "Il Regno delle Fiabe" di goku94.
^^
Io e Manu speriamo possa piacervi. L'idea è sua ed io ne venero la fantasia. Commentate!
[Personaggi: Ezio Auditore da Firenze x Federico Auditore; Leonardo da Vinci]
Genere: Introspettivo, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ezio Auditore, Federico Auditore , Leonardo da Vinci
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Fable

-Ma devi credermi, Leonardo! Quant’è vero che una volta ho baciato un ragazzo- si beffò Ezio, ma un istante dopo già se ne pentiva. Si voltò a guardare Leonardo che lo osservava senza parole in bocca.
-…Davvero?- formulò l’artista sconvolto.
-Sì, ma… così, per gioco, ecco!- pronunciò nervosamente alle strette. –Eravamo solo ragazzi, con la voglia di provare i sapori del mondo e della vita, troppo inesperti per capire, troppo orgogliosi per ammettere il peccato- mormorò per poi allontanarsi di qualche passo. Vagabondava per la stanza avvertendo i ricordi assalirlo con le tenaglie. –Questo è un segreto Leonardo, mi raccomando, perché nessun altri, manco la mi’ madre lo sa e mai dovrà saperlo- guardò fuori dalla finestra, dove la luna e le sue stelle vegliavano sulla bella Firenze della notte. Il cielo era limpido, i bracieri della città accesi per le strade deserte, pattugliate da qualche guardia.
Ezio si appoggiò con le mani al davanzale. –Il giorno che accadde ho giurato. Giurato sul mio onore che mai ne avrei fatto parola. Ora mi è scappato, ma non me ne pento affatto, poiché di voi mi fido-.
-Vi ringrazio- fece Leonardo commosso. –Ma vi prego, parlatemene- insisté catturato dalla curiosità.
Ezio sfoggiò improvvisamente un’allegra risata.
-Che vi ridete?- chiese Leonardo interdetto.
Ezio si girò verso di lui. –Vi racconterò una fiaba, Leonardo, forse la più strana che voi abbiate mai sentito-.
-Oh, be’… mi piacciono le favole- gioì l’artista mettendosi comodo sulla poltroncina. –Hanno sempre quel loro toccante lieto fine!- pronunciò sognante portandosi le mani giunte al cuore.
-Peccato che questa non ne abbia…- mormorò Ezio assente.
-Come dite?-.
Ezio prese un gran respiro. –Cominciava tutto proprio come un gioco, il giorno in cui ebbi quella mia piccola scaramuccia con Vieri de’ Pazzi, su Ponte Vecchio. Federico si unì a noi nei “festeggiamenti” e… be’, fece quel che fece. Diede piena valenza alla propria forza, dimostrazione della propria bravura in qualsiasi cosa facesse. Provavo per lui una sorta di invidia, all’epoca, dovuta a quelle capacità che in egli emergevano con tanta naturalezza. Allo stesso tempo, però, avvertivo sentimenti contrastanti tra loro. Insomma, una confusione mai provata prima! Fierezza nel combattergli accanto. La certezza di potergli chiedere appoggio era una piccola parte di felicità che bruciava sulla mia pelle. La sua vicinanza mi infondeva gioia, pienezza. L’errore mio fu proprio quello di cominciare a considerarlo prima un amico che un fratello. Condividevamo ogni cosa, dai giocattoli dell’infanzia alle donne- gli sfuggì un sorriso.
-Posso ben immaginare, ma…- Leonardo s’interruppe. –È di vostro fratello che state parlando?!- si stupì.
Ezio annuì. –Sì, Leonardo, proprio lui. Baciai un ragazzo, e quel ragazzo era mio fratello-.
-Per la Madonna e tutti gli Angeli…- Leonardo si levò il capello di testa. –Questa sì che è una notizia che… impasta la bocca-.
-Aspettate, aspettate!- rise Ezio. – E il bello deve ancora venire. Quando il dottore mi guarì il labbro sfregiato da una pietra che Vieri aveva lanciato, Federico volle sfidarmi ad una gara di corsa sin sul tetto di una chiesa. Inizialmente stavo per cucirmene le labbra, ma poi egli si mostrò prepotente e sicuro di sé com’era solito fare. Quella fu la goccia davvero che fece traboccare il vaso. Venivamo entrambi da una scazzottata all’ultimo sangue con gli sgherri dei Pazzi e potete ben immaginare quanta fosse l’adrenalina in corpo.
Accettai la sfida, arrivai per primo sul tegolato dell’edificio, ma poi Federico, senza avvertirmi, proseguì spedito arrampicandosi sul campanile, dicendo che non era finita là. Si era approfittato, insomma, del fatto che mi fossi fermato là dove era stato stabilito. Che barone, pensai, ma poi lo inseguii anche su per il campanile. Giunti all’apice ci godemmo qualche istante assieme il bel paesaggio della Firenze che avremmo voluto ricordare per sempre. Mi teneva sottobraccio proteggendomi col suo corpo dai venti e dal freddo.
“Va bene, adesso basta. Dobbiamo tornare a casa. Andiamo” aveva detto poi.
“Aspetta” attirai invece la sua attenzione.
Federico si voltò e mi vide indicare con un gesto del capo una casa vicina.
“Ezio, lascia dormire Cristina” mi cantilenò.
Sul mio viso comparve un malizioso sorriso. “Avrà tutto il tempo per farlo” mossi qualche passo indietro “dopo” aggiunsi.
“Aaaaah” sospirò Federico tornando seduto sulle tegole del tetto.
Mi misi in pizzo alla piccola impalcatura di legno e saltai giù a braccia spalancate, ricadendo subito dopo in un cumulo di fieno ai lati della strada.
Federico provò probabilmente una gelosia immensa nel vedermi andare via così, allo stesso modo di come ero comparso su Ponte Vecchio qualche ora prima, ancora sul calare del sole. Cristina Vespucci, la bellissima Cristina Vespucci, era la mia ragazza da qualche mese a quella parte. Federico ci sorprendeva spesso insieme, a passeggiare per strada, a casa di uno, a casa dell’altra… Si domandava se ne fossi effettivamente innamorato. A quell’età ne aveva passate di tutti i colori anche lui, perciò per esperienza sapeva cosa volesse dire finire a letto con una donna per mero piacere.
Sospirò e guardò aprirsi davanti a lui un immenso cielo stellato, lassù, sul tetto di quella chiesa, destinazione verso la quale ci eravamo sfidati ad una gara di corsa. Tirava una brezza fresca assieme ad un profumino di cucinato proveniente dalle abitazioni tutt’attorno. L’ora di cena era prossima e lui ancora a bazzicare senza niente da fare che non fosse stravaccarsi e godersi un po’ di pace.
Probabilmente lasciò la chiesa poco dopo, costringendosi per rientrare a casa e avvertire che io avrei… tardato per cena, prima che a Maria venisse una sincope.
Ma altro che sincope, mia madre ne sarebbe stata estasiata al solo sapere dove fossi finito in realtà! Quando Federico tornò a casa, infatti, raccontò a tutti una sorta di copertura che servì a tenermi lontano i cattivi propositi di mio padre. A cena fu un disastro, me lo raccontò lui stesso.
Si sederono a tavola tutti, Claudia, Petruccio, Giovanni, Maria e lui.
Mia madre si rivolse a lui con cortesia inarcando un sopracciglio: “Federico, dov’è Ezio?” e domandando ciò aveva attirato gli sguardi curiosi dei nostri fratellini minori.
Federico si guadagnò un’occhiataccia da parte di Giovanni nostro padre, il quale era stato informato da fonti esterne della litigata con Vieri su Ponte Vecchio.
Federico posò il bicchiere sul tavolo dopo aver preso un piccolo sorso. “Ospite a… casa di Cristina” disse schiarendosi la gola subito dopo. “Claudia, puoi passarmi il pane?”.
La reazione di nostro padre fu istantanea. Si strozzò col boccone ma cercò comunque di non darlo a notare, portandosi il tovagliolo davanti la bocca.
Nostra sorella minore mica gli passò il pane, anzi. Scambiò con Petruccio un’occhiata complice ma confusa. Probabilmente non a conoscenza del perché un ragazzo facesse visita così spesso in casa di una ragazza sua coetanea. Mi manca molto l’innocenza dei bambini.
L’unica a sghignazzare in silenzio era Maria, mia madre, col sorriso maligno stampato sulle labbra e la schiena dritta contro la sedia. Continuò a mangiare del tutto soddisfatta e divertita della situazione che lei stessa aveva contribuito a creare.
Non voglio certo starvi a raccontare della serata che trascorsi con Cristina. Mi limiterò a dirvi che la mattina successiva mi ritrovai inseguito da battaglioni di guardie lasciando libero sfogo alla vostra fantasia, Leonardo-.
L’artista si era rimesso il berretto in testa ed ora sedeva con le gambe accavallate sul seggio. Le dita intrecciate e le mani poggiate sul ginocchio. Guardava Ezio con occhi di un azzurro denso, alla flebile luce della candela nella stanza. –Vi prego, continuate, la storia mi diverte- sorrise.
Ezio invece era serissimo. –Mi fa piacere, ebbene… Rientrato in casa trovai mio padre sull’ingresso come a sorvegliare ogni via d’accesso. Mi scontrai con lui che, invece di farmi la ramanzina, confessò di essersi comportato più volte allo stesso modo. Mi portò con sé nel suo studio e per il resto della mattinata mi occupai per lui di alcune commissioni.
Non vidi Federico per tutto quell’arco di tempo. Ci ritrovammo nel tardo pomeriggio senza esserci incrociati nemmeno per pranzo. Dicesi che mio fratello maggiore aveva svolto altrettanti compiti per nostro padre. Quando gliene parli quella sera, davanti al camino della mia stanza, era già diventato buio da un pezzo. Mi lamentavo di come nostro padre affidasse a noi, suoi servetti, i compiti più scomodi. Per arrivare a consegnare certe lettere mi ero persino bucato un pantalone e sporcato la mia camicia preferita.
Federico, ascoltandomi, cominciò a ridere di gusto. “Ma sentiti, parli come una donnina!”.
“Donnina?” ghignai io.
L’altro mi annuì continuando a ridere a crepapelle. “Mettitelo bene in testa, Ezio. Se tuo padre ti dice di fare qualcosa per lui, non è mai scontata. Consideralo un obbligo, ma falla. Sempre” mormorò più quieto posando una mano sul marmo del camino.
Il calore del focolare gli riscaldava e illuminava il viso di colori magnifici. Fu allora che mi accorsi di quanto era stato improvviso il suo cambio d’umore. Se prima si era beffato di me dandomi della donnina, adesso fissava assorto le fiamme con serietà e compostezza, come un gran signore.
Pensai che potesse essere scortese dire così, ma all’epoca me ne infischiavo proprio: “Mi stai dicendo che… se mio padre mi chiedesse di buttarmi dalla finestra, dovrei buttarmi dalla finestra?!” e risi, come un totale deficiente. Non capivo quanto realmente serio fosse quel discorso di fiducia.
Federico si voltò e mi fulminò con un’occhiataccia. “Ezio, non ci scherzare” mi rimproverò accigliato.
“E dai, fratello! Era solo per dire” gli mostrai tutta la mia apprensione con un sincero sorriso.
Federico sospirò. “Bambino come sei, pretendo troppo pensando che tu capisca certe cose!” si accusò da solo.
“Ehi, non sono un bambino! Petruccio lo è!” sbottai io con sarcasmo.
“Non tirare in ballo Petruccio, poverino, che ultimamente non si da pace con le sue maledette piume” brontolò lui camminando su e giù sul tappeto davanti al camino.
“Dicevo…” ripresi io. “Non sono un bambino, e tu dovresti un po’ smetterla di fare tanto lo sbruffone, ogni tanto” l’avevo detto quasi senza volerlo, pentendomene subito dopo.
Federico si volse e mi guardò sgranano gli occhi. “L’appena pronunciato da te conferma quanto credevo: sei rimasto un bambino davvero” disse tornando a scrutare il camino con le mani in tasca.
“Tanto bravo e bello” brontolai io. “Ma alla fin fine ho amato più donne io di te”.
“I valori degli uomini non si misurano su certe… cifre!” eruppe con una risata isterica.
Per alcuni istanti tacemmo entrambi.
“Sai, mi rimangio tutto quello che ho detto” pronunciò d’un tratto Federico, assorto nella contemplazione delle fiamme scoppiettanti.
“Ovvero?” chiesi interdetto.
Il ragazzo sfoggiò un nuovo sorriso malizioso. “Se nostro padre ce lo chiedesse, a buttarsi dalla finestra sarei solamente io!”.
“Bravo, bravo!” battei le mani scherzando. “Così l’eredità di famiglia va tutta a me, e la contessa più ricca e bella di Firenze me la sposo io!” ridacchiai.
“Certo, certo, ma anche le fatiche, la banca, il lavoro, Ezio, il lavoro! E quel tuo bel faccino potrebbe riempirsi di grinze, e di rughe, e le occhiaie per le notti insonni…”
“Di nuovo con questa storia!” alzai gli occhi al cielo esasperato.
Mio fratello incrociò le braccia al petto e scosse la testa. “E la tua bella contessa non ti amerebbe più, rifiutandosi di venire a letto con te. Ma che peccato”.
Non seppi che rispondere.
Federico mi fissò allungo con apparente neutralità. Poi si staccò dal camino. “Bambino” mi chiamò così di nuovo.
Mi si rizzarono dal nervoso tutti i capelli. “Dai, smettila”.
Il ragazzo dimezzò la distanza tra di noi. “Bambino” mi derise ancora in un sussurro.
Forse si divertiva a chiamarmi così, forse lo considerava un gioco. All’inizio pensavo che quel punzecchiarsi non fosse altro, ma poi aveva osato davvero troppo.
“Sei solo un bambino codardo” azzardò.
“Adesso hai esagerato!” ringhiai.
“Bambino, bambino codardo! Codardo bambino!” le tentava tutte pur di meritarsi un bel pugno in faccia.
Probabilmente la sua intenzione era stata quella fin dall’inizio: iniziare una bella scazzottata tra fratelli che sapevamo bene come si sarebbe conclusa. Federico giocava, e forse avrei potuto giocare anch’io.
“Che c’è, sei stanco per caso?” mi chiese mimando il gesto eloquente di sgranchirsi le nocche.
“Io, stanco? Naaaah, la notte è appena cominciata” indicai fuori dalla finestra. “Tu, piuttosto, te le cerchi, eh?” risi.
Federico mi venne più vicino. “Te la sei cavata bene oggi sul ponte. Vieri è scappato con la coda tra le gambe. Ma come te la cavi uno contro uno col migliore in classifica? Forza, volpino, vediamo che sai fare” mi disse venendomi incontro.
La verità era che avevo paura.
Per la prima volta nella mia vita provavo sulla pelle il sentimento di timore verso l’ultima persona che avrebbe potuto davvero farmi del male.
“No” declinai l’offerta dopo un silenzio lunghissimo. “Non è il caso, forse sono davvero un po’… stanco”.
“Va bene, allora mettiamo alla prova il tuo coraggio con qualcosa di meno fisico. Hmm” Federico si guardò attorno. “Ah-ah! Ma certo!” scattò d’un tratto, si avvicinò alla finestra e, spalancandone i vetri, si voltò e disse: “Avanti, buttati”.
Scoppiammo entrambi in una fragorosa risata.
“Non è abbastanza alto” constatò Federico fingendo di tornare serio. “Vediamo, serve qualcosa che…” si portò un dito sul mento. “Lasciami pensare”.
“Non ci credo, tu pensi!” eruppi.
“Ezio, la questione è seria, te la fai troppo sotto, fratello mio!”.
“Ti sbagli” sbottai.
“Be’, allora dimostralo!”.
“E come?!”.
“Picchiando qualcuno!”.
“Ma smettila con questa storia! Così, senza motivo, io un uomo non lo picchio!”.
“Scommetto che non hai nemmeno il coraggio di baciarlo un uomo!”-.
Ezio tacque.
Leonardo si era irrigidito sulla sedia dopo quell’ultima frase, mentre il suo amico andava a sedere su un sgabello vicino. Il racconto era proseguito spedito e poi Ezio aveva voluto interrompere là, giusto qualche istante.
-…E dopo?- mormorò Leonardo studiando affondo l’espressione sul viso del compagno.
Ezio sospirò e tornò a guardarlo negli occhi. -Cominciavo a provare un sentimento contrastante. Un vigore, un’intenzione, un’idea differente dalla precedente. Erano ormai troppe le volte che era riuscito a vincermi, non gli avrei concesso una nuova vittoria. I suoi erano i trofei sempre migliori. Il primo genito di casa Auditore le aveva tutte belle, buone, facili e vinte.
Eh, no, mi ero detto, ‘sta volta no.
Così gli andai incontro a passi spediti, senza neppure pensarci troppo, davvero. Una volta abbastanza vicino, non un fiato, non un'altra parola. Gli presi il viso tra le mani e lo baciai, avvertendo la rigidezza del suo collo e sentendo il calore delle sue guance là dove si posavano i miei palmi.
Le mie labbra erano incollate alle sue con una pressione energica. Il respiro sospeso, le spalle strette nel gesto di inchiodare il suo volto al mio. I nostri nasi si sfioravano, così come i nostri corpi. Il mio cuore, che fino ad un attimo prima aveva continuato a battere con naturalezza, iniziava a scontrarmisi sempre più forte contro il torace, quasi da far male.
Non capivo nulla di quello che mi stava succedendo. Avevo chiuso gli occhi e agito secondo il primo volere che mi era passato per la testa. Ed ora che mi ritrovavo così… strettamente legato a mio fratello, il cui stupore andava svanire nella pigrizia dei sensi, io… non riuscivo a fermarmi.
Non avevo motivo di continuare a premere le mie labbra sulle sue, ma desideravo intensamente il contrario. Le emozioni erano state tali e piacevoli, come una gran liberazione, che mi successe di confonderle con la soddisfazione della vittoria.
Ecco, ho baciato un uomo, mi dicevo, ho vinto, ho vinto! Ma era del tutto inutile, vacuo, stupido, infantile…
Mi riscoprivo a baciare un uomo senza un apparente motivo, quando poco prima mi ero negato che sarei stato capace di picchiarlo. Un assurdo controsenso che svelava la parte oscura di me.
La sorpresa più grande fu accorgermi che Federico era rimasto altrettanto sopraffatto dalla spontaneità del gesto. Forse ancora vittima dello stupore, forse troppo sprovvisto e… scettico di fronte alla realtà dei fatti, non era riuscito a ribellarsi, ad agire contro il mio assurdo comportamento.
Mi aspettavo benissimo un calcio, o un pugno, o qualsiasi cosa da lui purché mi staccassi da lui. Invece… il nulla, zero assoluto, il vuoto. Solo un calore intenso che mi scorreva nelle vene assieme al sangue e un desiderio immenso di varcare il confine proibito del patto che ci univa come famigli.
Il silenzio creatosi nella stanza cominciava a farsi insopportabile, così come la necessità per me di riprendere fiato.
Separai la mia bocca leggermente schiusa dalla sua con estrema lentezza, come sperando che da un momento all’altro sarei stato capace di fiondarmici di nuovo con maggior trasporto. Nonostante avvertissi il respiro caldo e tranquillo di Federico infrangersi sul mio viso, continuai a tenere gli occhi chiusi.
Tornare alla realtà e godermi la vittoria ottenuta diventava un pretesto stupido e insulso per interrompere il flusso di sensazioni che avevo provato fino ad allora. Prendevo quelle considerazioni come un dovere, verso mio fratello prima di tutto, ma anche per mio conto.
Mi sentii subito più idiota di quanto non lo fossi mai stato. Mi maledissi in tutti i modi possibili, ma ad intromettersi nel dolore che sentivo lacerarmi il cuore fu proprio lui.
L’anima tentatrice, il peccato fatto persona, l’eccesso umano, il male della mia vita, la spina nel fianco.
Federico.
Mio fratello riallacciò quel nostro contatto, questa volta aggiungendovi un sapore tutto nuovo. Mi ci volle del tempo per realizzare che mi aveva baciato di sua spontanea volontà, se quella poteva dirsi davvero volontà. Sgranai gli occhi, ma attraverso di essi vedevo il pozzo denso e oscuro di quelli di mio fratello, anch’essi spalancati.
Ci guardavamo l’un l’altro con la stessa curiosità nello sguardo, la stessa voglia di giocare e lo stesso desiderio sottoforma di scintilla.
Ne ebbi quasi paura, cominciando a rimpiangere già da subito quel che avevo fatto, quel che io avevo iniziato e quel che nessuno dei due avrebbe fermato.
Richiusi le palpebre lentamente e mi avvicinai di più al suo corpo; strinsi tra le dita il tessuto della sua camicia lasciata sbottonata sul petto.
D’un tratto, come per magia, le sue labbra presero a muoversi in sincronia con le mie in una danza soave. Avvertii il bollore della sua lingua varcare la linea dei miei denti, indietreggiai sentendomi mancare la forza nelle gambe per restare ancora in piedi. Dietro le ginocchia mi si parò improvvisamente un ostacolo, e quando realizzai di trovarmi a ridosso del letto, era già troppo tardi.
Caddi all’indietro sul materasso, trascinando con me mio fratello che, in una frazione di secondo, trovò lo spazio che cercava tra le mie gambe.
Un brivido intenso mi traversò il corpo non appena percepii la sua virilità scontrarsi con la mia, nonostante la poca stoffa attillata dei pantaloni che si erano fatti stretti all’improvviso.
Tirandomi indietro sui gomiti riuscii a mettermi in ginocchio nel centro del materasso. Tirai con me Federico, e questi mi strinse a sé senza interrompere il bacio passionale che durava da minuti.
Ogni secondo che passava diventavo sempre più avido del sapore delle sue labbra, del suo profumo mai stato così intenso e accattivante. Desideravo toccarlo là dove non avrei mai osato, così riuscì a far scorrere una mano dal suo petto sino al cavallo dei pantaloni. Strinsi la sua carne più sensibile, gli rubai un gemito, ma la sua risposta distrusse qualsivoglia mio spirito di iniziativa.
Armeggiando svelto con la cintura, riuscì a spogliarmi della casacca gettando tutto dove capitava. Tra i cuscini del letto a baldacchino o pure direttamente a terra, sul tappeto.
Ero in sua totale balia, diventato la sua marionetta, il suo giocattolo. Nudo per metà dei miei vestiti, avvertii il freddo della notte pungermi la pelle là dove il contatto col petto caldo di Federico non mi riscaldava. Crogiolato nel manto di piume della passione, perdevo il filo dei pensieri, mi lasciavo trasportare dalle emozioni assecondando il desiderio-.
Leonardo sospirò.
-Ora capisco il lieto fine che v’è mancato- intervenne a tradimento.
Ezio gli volse un’occhiata serena. –Non è stata la morte di mio fratello ad interrompere la nostra relazione. Insisto nel dirvi che quella notte non finimmo per amarci sino in fondo-.
L’artista lo scrutò allungo in silenzio. –Ah no?- fece stupito.
Ezio si alzò dal suo sgabello e cominciò a passeggiare su e giù per la stanza. –No, Leonardo. La nostra favola, lungi dalle regole della decenza in famiglia e da quelle della religione epocale, non era destinata a compiersi lì, tra quelle lenzuola. Nel ritrovarci entrambi mezzi nudi l’uno di fronte all’altro si guardammo negli occhi con simili pensieri in zucca. Simili timori. Simili imbarazzi. La fine è stata naturale quanto l’inizio. Assaggiato il prologo, l’epilogo ha chiuso in bellezza.
“Non guardarmi così” mi disse lui scendendo dal letto e andando a recuperare i suoi vestiti da terra. “Quello che è successo non dovrà saperlo… nessuno” aggiunse infilandosi la camicia e riallacciandosi i pantaloni.
Lo guardavo come una statua guarda il suo osservatore di turno. Attendevo una sua prossima reazione, il suo successivo commento. Questo non venne, perché Federico finì di rivestirsi di quel poco che ero riuscito a togliergli di corpo e mi scoccò un’ultima occhiata profonda. Quello sguardo sottolineava mille pensieri già detti, ma ne pronunciava altri mille del tutto nuovi.
Non dissi nulla quando lo vidi andare via. Non dissi nulla la mattina successiva a colazione, il giorno seguente a pranzo, la settimana dopo a cena. Non dissi nulla fino ad oggi. Ed ora il silenzio, la promessa marchiata col sangue della sua vita che si è spezzata ai piedi di Palazzo Vecchio io l’ho… violata- Ezio serrò i pugni. –Quel patto, l’unica testimonianza a rendermi umano, dopo le morti causate, le anime rubate, io l’ho… bruciato. Questa rabbia non è dovuta all’onore infranto della sua memoria, bensì alla mia testardaggine… perché ancora oggi provo gli stessi sentimenti avversi che all’epoca mi portarono su quel letto di condanna assieme a Federico-.
Leonardo non si scompose sulla sua sedia. –Sono colpito e affascinato dal tuo racconto. Ma… vorrei capire questi tuoi sentimenti-.
-Allora lasciate che ve li mostri-.




Fan Fiction tratta dall’originale “Il Regno delle Fiabe”, una raccolta di goku94. I personaggi, l’ambientazione e la trama appartengono all’autore ^-^ il mio compito è stato semplicemente quello di mettere le sue idee per iscritto. Se volete sapere come andrà a finire tra Ezio e Leonardo, correte a leggere la sua storia! (Il link è nel titolo)
Adesso lascio a voi i commenti! ^^ Grazie per la lettura!
   
 
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