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Autore: Prof    31/12/2009    3 recensioni
Bella la Vigilia. Davvero bella.
O meglio, bella la Vigilia quando sei a casa tua, davanti al tuo caminetto, seduto comodamente sulla tua poltrona, magari mentre sorseggi dalla tua tazzina il tuo tè nero preparato da te per te, godendoti dalla tua finestra il panorama ghiacciato dalla fitta e incessante pioggia e dalle sferzanti raffiche di vento del nord.
Questa è una bella Vigilia.
Non quando invece ti trovi bloccato in mezzo a questo dannatissimo traffico londinese, con questa dannatissima pioggia che batte imperturbabile sul tettuccio della macchina, con una dannatissima ansia di non riuscire per tempo a comprare una dannatissima miriade di regalini dell’ultimo dannatissimo momento, per un altrettanto dannatissima miriade di gente non meglio identificata che neanche si vuole vedere, quella dannatissima miriade di gente.
Genere: Generale, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti: I personaggi di Irlanda, Irlanda del Nord, Brasile e San Marino, sono OC di Wolvie91. Tutta la loro caratterizzazione presente in questa fanfiction è stata sempre creata da lei. La ringrazio sentitamente per avermi permesso di farli comparire in questo piccolo teatrino. ^^
Note: è l'ultimo dell'anno e io pubblico una fanfic sul Natale. E già questo si commenta da sé. ^^''
Tra l'altro, invece di bighellonare al computer, dovrei occuparmi della mancanza di posti-letto a casa mia, giacché stasera dovrò ospitare degli ospiti. Aspetta... ho davvero scritto ospitare degli ospiti? Ok, mi sono giocata la sanità mentale.   




Together
(appassionatamente)





Bella la Vigilia. Davvero bella.
O meglio, bella la Vigilia quando sei a casa tua, davanti al tuo caminetto, seduto comodamente sulla tua poltrona, magari mentre sorseggi dalla tua tazzina il tuo tè nero preparato da te per te, godendoti dalla tua finestra il panorama ghiacciato dalla fitta e incessante pioggia e dalle sferzanti raffiche di vento del nord.
Questa è una bella Vigilia.
Non quando invece ti trovi bloccato in mezzo a questo dannatissimo traffico londinese, con questa dannatissima pioggia che batte imperturbabile sul tettuccio della macchina, con una dannatissima ansia di non riuscire per tempo a comprare una dannatissima miriade di regalini dell’ultimo dannatissimo momento, per un altrettanto dannatissima miriade di gente non meglio identificata che neanche si vuole vedere, quella dannatissima miriade di gente.

Inghilterra sbuffò.

Non riusciva ancora a capacitarsi come un gentleman qual era lui si fosse cacciato in una situazione del genere.

I suoi Natali, più o meno tutti, li aveva sempre passati in una tranquilla e solitaria pace. O forse è meglio definirla in una solitudine tranquilla e pacifica.
Fatto sta che non si era mai lamentato, né ne aveva mai avuto l’intenzione chiariamoci, e avrebbe preferito di gran lunga continuare su questa falsa riga.
Da secoli gli era sempre andata bene così e di certo non aveva voglia di cambiare le sue usanze per la prima idea balorda del primo balordo che passava di lì.
In fondo, se era sempre stato bene, perché mai doveva cambiare qualcosa?
A logica non ce ne era bisogno. Punto.

E invece eccolo lì, a contare spazientito l’incessante e ritmico movimento dei tergicristallo che su e giù andavano tentando inutilmente di ripulire il parabrezza dalla pioggia scrosciante.
Oh beh, tanto per quello che serviva avere una buona visuale… Per quello che si muoveva la sua macchina poteva pure spegnerla e piantarla lì, farsi un bel giro in centro, ritornare dopo due orette e ritrovarla ancora lì, in mezzo alla strada, con la medesima situazione stradale che aveva lasciato.

Da quanto tempo era bloccato in quella coda interminabile?
Minuti, ore, secoli, millenni…

Inghilterra emise un verso simile ad un ringhio.
Aveva le mani legate. Non poteva muoversi. Non poteva né andare avanti, né tornare indietro, né svoltare. Avrebbe voluto avere la facoltà di smaterializzarsi. Come Harry Potter. Deve essere bella la vita di un mago.
Odiava non poter far nulla. Odiava essere in balia di situazioni a lui sconosciute. Traffico londinese compreso.

Perché la sua persona stava sopportando tutto questo? Perché?
Oh, semplice quanto stupida la risposta.
Per colpa di Irlanda, era lì ficcato in mezzo a quel casino.
Per colpa di Irlanda si sarebbe giocato un Natale di tranquilla solitudine.
Sempre per colpa di Irlanda aveva dovuto abbandonare il suo tè nero per fare dei regalini a quattro disgraziati.

E magari fosse stato solo questo a bruciare ad Inghilterra. No, c’era pure la beffa.
Non bastava ad Irlanda essersi presentato con la sua solita faccia da pugni a casa sua il venti di dicembre, con l’assurda pretesa di sapere se aveva fatto l’Albero di Natale – e certo che l’aveva fatto lui, l’albero.
Si era pure dovuto auto-invitare al suo Cenone di Natale, perché “come poteva pretendere che Irlanda del Nord passasse un altro Natale solo con la sua compagnia”, che “bisogna passare la Santa Attesa in famiglia” e “che non si poteva mica non invitare qualche altra Nazione, anche se non era tecnicamente parte della famiglia, perché in fondo, tutti loro, facevano parte di ancora più grande famiglia”. E qui Inghilterra aveva smesso di cercare un filo logico nell’ammasso di parole che sputava fuori quella Nazione.

Ed ecco che quell’idiota aveva dovuto invitare mezza Europa e un quarto del Mondo alla sua, inglese, Vigilia di Natale. A casa sua. Un quarto del Mondo e un pezzo d’Europa a casa sua!
Invasori stranieri che avrebbero devastato la sua dimora! Ecco come sarebbe andata a finire.

Lo strombazzare impaziente di un clacson alle sue spalle lo invitò brutalmente ad avanzare di quei cinque centimetri conquistati con esasperata lentezza dalla coda davanti.

Dannato Irlanda.

Lo aveva - come diceva quell’italiano? - intortellato per benino con quel “andiamo a fare i regali di Natale per gli ospiti”, trasmutatosi come per magia sulla soglia di casa in un “Arthur, ci pensi tu hai regali? Qui c’è bisogno di dare una bella ripulita, di lucidare l’argenteria, di sistemare la sala da pranzo, pensare alle decorazioni…”

Emise un altro dei suoi versi a metà tra lo sbuffo, l’irato e un ringhio, accompagnandolo con un gesto di stizza nei confronti di un povero volante che nulla aveva fatto di male per ricevere simile trattamento.

Quasi come per miracolo, e non si sa bene come né quando, era arrivato alla rotonda che chiudeva la via appena percorsa. Superata quella, c’era solo la libertà. Dal traffico.
Si affacciò appena appena con il muso della macchina sulla rotatoria.
L’aria da febbre dell’ultimo regalo doveva fare particolarmente male, poté constatare, se nemmeno un inglese in quel momento rispettava i sensi di precedenza. Oppure tutta quella gente non era inglese; cosa assai difficile, a Londra.

Se non voleva rimanere in eterno fermo in quel punto, doveva buttarsi pure lui. Lo facevano tutti, perché lui no?
Osservò l’ultima macchina liberare la rotonda, e come vide un po’ di via libera, subito si fiondò in mezzo alla strada.
Quello che successe dopo fu troppo rapido per poterne rendere conto.
Inghilterra ebbe solo il vago sentore dell’incrinarsi della carrozzeria allo scontro del muso di un’altra automobile con il fianco della sua.

Le voci degli altri due conducenti, che stavano uscendo per appurarsi dei danni, gli arrivarono lontane e distanti.

Riuscì solo a pensare che, primo, la sua macchina aveva bisogno di un carro-attrezzi, secondo, i due tizi che lo aveva tamponato presto avrebbero avuto bisogno di un’ambulanza, se non fossero stati capaci di scappare molto velocemente.

“Irlanda, Irlanda, Irlanda…” pensò Inghilterra, mentre apriva la portiera per scendere. “Giuro che questa sfacchinata me la paghi.”




***




Il suono del suo campanello di casa non gli sembrò mai così dolce.
In una maniera o nell’altra, non gli interessava sapere come, era riuscito a completare la missione “compra i regali di Natale all’ultimo secondo” con un discreto successo, testimoniato dalle due enormi, e soprattutto strapiene, borse che portava non senza fatica.
Quando finalmente la porta venne spalancata con inaudita impazienza, Inghilterra venne travolto da un assordante:

“Fratellone!”

Possibile che Irlanda del Nord dovesse essere sempre così esuberante?
“Hai comprato tutto quello che ti ho detto? Posso vedere un po’? Oh, ma sono già tutti incartati… E adesso come faccio a sapere se hai fatto bene le commissioni?”
“Erin, per favore, invece di sbirciare nelle borse, non potresti cortesemente aiutarmi con questa roba e farmi entrare in casa mia?”
“Ops, scusa Iggy!” disse la ragazza, mentre prendeva una delle borse che sembrava più leggera. Solo allora spostò lo sguardo dai regali al viale che dava sulla strada.
“Ma che diavolo è successo alla macchina?!”
Ed ecco la causa prima che aveva fatto schizzare a livelli storici il malumore di Inghilterra; il ché è tutto dire.
Il ragazzo ringhiò non troppo sommessamente, stava diventando un’abitudine emettere strani versi di disappunto quel giorno, incitando la sorella ad entrare con celerità, mentre borbottava qualcosa sul “prendere troppo freddo”.
L’ultima cosa che vide, prima di chiudere la porta spazientito, fu la grave ammaccatura che svettava trionfa sul fianco della sua auto.
Se il buon giorno si vedeva dal mattino, poteva aspettarsi le peggiori sciagure da quella sera…

“Iggy!”

Il richiamo cantilenoso della sorella lo strappò dai suoi cupi pensieri, e anche dal suo proposito si buttarsi a pesce sul divano e rimanere stravaccato in tale posizione fino all’arrivo dei primi ospiti.

“Dai, Inghilterra! Ti muovi a venire?!”

Sbuffando come un locomotiva l’inglese si costrinse a fare una deviazione verso il salotto da dove lo stava chiamando Erin, percependo l’allontanarsi dal divano come la più terribile delle torture.

“Che c’è adesso Erin?” biascicò svogliato. “Non ho forse diritto ad un paio di minuti in tranquillità prima che la mia casa venga invasa da dei barbari?”

Irlanda del Nord neanche diede peso a quella specie di supplica del fratello, preferendo di gran lunga dedicarsi a problemi più imminenti.

“Iggy, è la Vigilia. Non puoi star tutto il giorno a dormire! Dobbiamo sbrigarci a finire i preparativi. Lo sai che stasera abbiamo ospiti, no?”

Inghilterra si lasciò andare sullo stipite della porta, poggiandosi di malagrazia alla parete.
“Certo che lo so.”

“E allora dammi una mano a sistemare i regali sotto l’albero. Sono un sacco!”

Inghilterra la fissò, scettico.
“Ma non ci puoi pensare tu? È una cosa così da bambini…” lo sguardo fulminante della sorella gli fece cambiare subito discorso. “E poi, non mi puoi chiedere di fare dell’altro. Non credi che io e la mia auto abbiamo già fatto abbastanza, per oggi?”

Per tutta risposta ottenne un muso imbronciato.
“Arthur…tu non vuoi proprio mai fare niente. Sei uno sfaticato…”

Le parole gli morirono in gola. Poter rispondere con almeno tre frasi contemporaneamente non rientrava tra le sue facoltà.
Chi era lo sfaticato?
“I-io sarei lo sfaticato?” fu il suo primo commento all’accusa infamante.

Per tutta risposta la sua infida sorella gli lanciò un’occhiataccia saccente, come a sottolineare, che sì, era proprio così, e finalmente lui stesso se ne era reso conto. Grazie al cielo. Riprese poi a sistemare i pacchetti, e ad aggiustare le ultime decorazioni dell’albero, snobbando il povero Inghilterra.

Non bastava aver perso l’opportunità di trascorrere una Vigilia in santa pace, aver gettato al vento una mattinata per andare a fare degli stupidissimi regali e aver sacrificato la sua auto al primo tedesco idiota con le piume che…

La risata di Irlanda del Nord lo riportò alla realtà. Che c’era poi di così comico nella sua tragica mattinata non riusciva a capirlo.

“E daaai, fratellone, stavo scherzando!”

Oh certo, stava scherzando… Se lo poteva pure togliere quel sorriso da trentaquattromila denti. Lui non aveva voglia di scherzare. Per nulla. Possibile che nessuno si accorgesse del terribile dramma interiore che stava vivendo?

Il sorriso sornione della sorella gli diede chiara conferma che, no, nessuno lo poteva capire. Tanto per cambiare.

“Su, su, non fare quella faccia.” Lo incitò, mentre spostava una pallina rossa che evidentemente non era stata dislocata sul ramo giusto. “Guarda che con quel muso farai scappare gli ospiti.” Lo canzonò.

La ragazza fece qualche passo indietro, allontanandosi dall’albero, per poter meglio giudicare l’opera complessiva da lei creata.

“Piuttosto…” inclinò la testa di lato, sempre con lo sguardo puntato sull’opera d’arte. “Com’è che hai ridotto la macchina in quello stato? Non è da te, fratellone.”
“Certo che non è da me!” abbaiò indignato, scatenando nella sorellina un moto di ilarità.

“È tutta colpa di un idiota tedesco che non sa neanche cosa sia una precedenza!”
“Lud?”
“Lud che?”
“Ludwig, fratellone. Ludwig. Non me lo aspettavo da Germania… sempre così precisino e puntuale…”
“Infatti non è stato lui. È stato l’altro… quell’altro idiota…”
Irlanda del Nord preferì sorvolare sul fatto che per il fratello metà del mondo era “idiota” mentre il restante cinquanta percento era l’anticristo in persona.
“Parli di Gilbo?”
“E adesso chi è Gilbo?”
“Gilbo, Gilbert. Prussia, insomma. Fratellone, mi sa che stai invecchiando, se non ti ricordi neanche i nomi degli invitati…”

Inghilterra poté giurare di aver sentito cadere sulla sua testa l’architrave della porta. E se ciò non era dunque possibile a livello fisico, a livello mentale il suo cervello aveva subito una brusca frenata.

Osservò per qualche secondo la sorella che allegramente zampettava di qua e di là per il salotto, portandosi appresso una sedia per aiutarsi a decorare con il vischio qualunque punto del soffitto si rivelava sguarnito.
   
“Stai dicendo che quell’individuo… quel, quel coso, quella sciagura, è stata invitata a casa mia? Ma la Vigilia non bisogna passarla in famiglia? Lui che centra?!”

La sorella neanche lo guardò, tutta intenta a controllare che ogni rametto di vischio fosse ben visibile piazzato nei punti chiave della stanza.

“Sai come fa Irlanda… Quando organizza le feste fa sempre le cose in grande… Gli prende lo sghiribizzo e comincia a invitare gente di qua e di là. Pensa che ha invitato pure gente come Cina, Russia o Giappone… Ma non c’eri pure tu quando ha fatto la lista degli invitati? Iggy, mi stai ascoltando?”

“Credo che andrò a prepararmi un tè.”

Di certo aveva proprio bisogno di un buon tè, se voleva sopravvivere a quella giornata.

Scivolò amareggiato verso la porta della cucina, trascinando i piedi e sospirando nella perfetta antitesi del perfetto gentiluomo.
Se proprio doveva morire di quella morte, aveva almeno diritto di concedersi un tè prima della fine, no?

Come aprì la porta, un saporito profumino gli stuzzicò il naso.
 
“Bonjour, Angleterre.”

E una disgustosa, fin troppo conosciuta, voce dall'accento mellifluo gli fece contorcere lo stomaco.

“Francis!” Ruggì come un leone a cui hanno pestato la coda. “Che ci fai tu qui?”

“Mio caro Angleterre, cerca di usare la testa di tanto in tanto. Cosa potrei mai fare, in cucina, davanti ai fornelli, con un mestolo in mano e con indosso un grembiule? Ma cucino, è ovvio!”

E sottolineò l'ultima parola con un ampio e teatrale gesto della mano.

“Non vogliamo certo che qualcuno tenti di avvelenarci, questa Vigilia. Dico bene?”

Stava già per saltare al collo di barbetta, quando fu fermato da un missile non meglio identificato che gli si avvinghiò intorno al corpo, in una morsa tanto salda da impedirgli quasi il respiro; figuriamoci eventuali movimenti atti alla realizzazione di un omicidio.

“Inghilterra!!! Lo sapevo che eri davvero buono! O forse è pure l'aria del Natale? Chi lo sa? Però sei stato davvero gentile ad invitarci tutti a casa tua! Grazie! Grazie! Grazie! Ah, per precauzione ho portato anche della pasta, non sapevo se tu ce l'avevi, e soprattutto immagino che quella che tu possa avere faccia comunque schifo, anche se è sempre pasta. E poi mio fratello ha portato i pomodori, taaanti pomodori, perché se no come facciamo a fare il sugo senza i pomodori? Meno male che ci siamo io e mio fratello, perché se cucina tutto Francia, anche se lui è bravo a cucinare, ve!, va a finire che fa le lumache e a me le lumache non è che piacciano poi tanto. E poi, e poi, e poi  Francia fa sempre dei piatti piccini picciò; cioè non ci mangia nessuno nei suoi piatti. Invece io abbondo sempre, perché più un cibo è buono...”

Quella valanga di parole fu fermata dal provvidenziale intervento di una terza persona.

“Ma che fai idiota?! Non trastullarti e torna a controllare la pentola sul fuoco! Guarda, sta bruciando tutto!”

Il ragazzo che lo aveva assalito, al richiamo di quello che era il fratello, subito sciolse l'abbraccio stritolante, precipitandosi sulla pentola in questione.
Solo allora Inghilterra li riconobbe nelle persone di Veneziano e Romano. Le due Italie, a casa sua?
Oh bene, si poteva aspettare di tutto.

“E allora, ancora qui?” lo riprese la rana, dandogli le spalle mentre si dedicava con particolare attenzione ad un dolce dall'aria molto appetitosa. “Non hai nient'altro da fare, Angleterre?”

“Già! Non ci serve un rompiscatole adesso! Non vedi che siamo impegnati?” Puntualizzò molto più severamente l'italiano del sud.

Da quando quei due facevano comunella? E soprattutto da quando facevano comunella contro di lui? Tutto ciò era assurdo. Magari era solo un brutto sogno. Sì, giusto! Un brutto sogno! Non poteva essere che quello! Adesso chiudeva gli occhi, contava fino a tre, e si risvegliava felice e contento nel suo lettino...

Sentì due mani stringergli gli avambracci, afferandolo da dietro, per poi spingerlo piano piano oltre la soglia della cucina.
Sorpreso, ed evidentemente anche un po' rincitrullito, ebbe solo il tempo di sbattere un paio di volte le palpebre, girarsi appena su stesso e vedere che la porta della sua cucina gli veniva sbattuta in faccia da un sorridente Feliciano che gli faceva “ciao” con la manina.

Ci mise qualche secondo di troppo per realizzare che era stato estromesso dalla sua cucina. Fantastico, si cominciava dalla cucina e poi, prima che le feste fossero finite, si sarebbe ritrovato buttato fuori dalla sua stessa casa.

Tentò di rientrare, ma trovò la serratura chiusa.

“Ehi! Voi tre! Niente scherzi! Ridatemi la mia cucina!” Urlò alla porta mentre la tartassava a suon di pugni.

Dall'interno provenne, offuscata, quell'irritante voce di quell'irritante francese. “Tranquillo, Angleterre. Non facciamo nulla che possa essere peggiore di quello che ci fai tu, in questa cucina.”

Poté addirittura sentirlo quel sorrisino strafottente della rana. Lo conosceva fin troppo bene.

Non c'era nulla da fare. Ad un ultimo colpo alla porta, piuttosto che distruggerla usando la pendola della nonna come ariete, preferì capitolare. Almeno, e questo non significava che ammetteva che la loro cucina gli piaceva, ecco, almeno, non avrebbe dovuto cucinare lui per chissà quanta gente. Per sua fortuna. E anche per quella degli invitati.

Diede un ultimo colpo alla porta, questa volta più gentile.

“Posso almeno farmi un tè?”

Dall'interno non provenne alcuna risposta. Dopo qualche interminabile secondo sentì la serratura scattare, e vide la porta aprirsi di qualche decina di centimetri, giusto lo spazio necessario per far passare una teiera, retta da un sorridente Veneziano.

La prese fra le mani, confuso, per poi vedersi di nuovo la porta sbattuta in faccia.


“Merry Christmas, Inghilterra. Merry Christmas.”

 

 ***




God, tutto quel mangiare lo aveva stordito. O forse tutto quel bere.
Sforzandosi sulle braccia, con fatica riuscì a riemergere dal buco che si era scavato nella sua poltrona, per osservare come una vedetta la situazione.
Ancora non riusciva a credere che erano arrivati davvero tutti. Quando si trattava si organizzare robe del genere, Irlanda diventava un vero mostro.

In un angolino del salotto, Austria suonava una delle sue migliori opere al pianoforte – a proposito, da quando nel suo salotto c’era un pianoforte?!
Qualche passo dietro di lui, deliziate da tale sfoggio di armonia, stavano composte Ucraina e Ungheria. Composte fino a quando, in un gesto felino, Ungheria non sguainò una padella lanciata prontamente in testa ad un Prussia che, a giudicare dalla precedente aria furbetta e dal passo felpato, stava architettando qualcosa di poco ortodosso ai danni di Austria.

Qualunque cosa avesse in mente, il pronto intervento della padellata – Inghilterra sperò che quell’utensile non provenisse dalla sua, di cucina – gli impedì di mettere in atto il piano, colpendolo e affondandolo prima.

Sotto lo sguardo stranito di Ucraina, che poverina non capiva cosa stesse succedendo, il lestofante venne pure calpestato da un gioviale Spagna, intento com’era a correre dietro a Romano, partito in quarta alla vista del fratello del nord che parlava con quel crucco di Germania.

Germania era rimasto, fino a quel momento, immobile e computo di fronte all’inarrestabile valanga di parole di Veneziano, che gli stava illustrando i mille e mille modi di fare la pasta, fin quando l’italiano del Nord non venne rabbiosamente afferrato per la collottola dal fratello, che, se avesse potuto, lo avrebbe incenerito, quel mangia-patate.

Al tedesco, rimasto con un laconico bicchierino di liquore in mano ancora pieno, di fronte alla l’ennesima litigata delle due Italie, dove uno sbraitava, l’altro piagnucolava, e con l’aggiunta dell’intervento da paciere di Spagna, fallito miseramente tra l’altro, non rimase che voltare lo sguardo sconsolato verso il gruppetto seduto sul divano, preso in una tranquilla discussione.

O almeno Canada avrebbe voluto che fosse una discussione, visto che, da un lato, Sealand gli stava praticamente facendo il terzo grado su come diventare una Nazione, dall’altro, aveva il muro impenetrabile del sonno di Grecia. Dire che si sentiva a disagio è dire poco.

Ma non era l’unico a passarsela non troppo bene: Russia aveva ben più gravi problemi. Quella rete intricata di vischio che Irlanda del Nord aveva avuto cura di installare in ogni angolino del soffitto gli stava creando non pochi problemi con Bielorussia, decisa più che mai, vuoi perché la Vigilia, vuoi per il vischio, vuoi per quel delizioso vino rosso servito a tavola, a strappare una promessa di matrimonio inscindibile e imperitura al fratello.

Con Russia sotto assedio, Lettonia ed Estonia potevano godersi un po’ di pace, allegramente impegnati con un gioco da tavolo in compagnia di Liechtenstein, sorvegliata speciale di Svizzera, che ancora non aveva messo mano alle armi – segno che la situazione era tranquilla, per il momento.

Non diede alcun segno di tentato attacco neanche quando, poco più in là, America, in uno slancio di eroismo natalizio, balzò su San Marino, afferrò il suo cellulare che squillava una volta sì e una volta sì, e molto eroicamente lo gettò fuori dalla finestra, tra le urla di disperazione del legittimo proprietario.

Come se tutto quello sfacelo non fosse ancora abbastanza, Brasile diede vita ad uno dei suoi chiassosi e rumorosi trenini, al ritmo di una canzoncina che lui stesso cantava a squarciagola; e il peggio fu che gli venne data pure corda.
In meno di cinque nanosecondi ecco già formato un trenino di dementi, con a capo Brasile, appunto, e a seguirlo Polonia, Francia, Finlandia, che ne approfittava per gettare doni “a pioggia”, e i due nolenti Lituania e Giappone, per nulla felici di tale performance.

Inghilterra si alzò.
Tutta quel chiasso inutile lo stava stordendo.
Senza che nessuno lo notasse, uscì dalla piccola porta-finestra. Con gesto stranamente ponderato, la richiuse.
Il rumore della festa ora gli giungeva distante e ovattato, come il vago ricordo di un sogno.
Fuori c’era silenzio. E un freddo cane. Non si vedeva neanche una stella. Peccato, il cielo invernale era sempre magnifico.

Irlanda sbagliava quando lo accusava di passare sempre tutti i Natale da solo. O comunque, non aveva completamente ragione.
C’era stato un periodo, adesso così lontano, in cui la sua casa, sotto le festività, si riempiva di canti gioiosi, di luci, di risate, di doni. Una confusione del genere era proprio deliziosa.

Ma poi, e subito non se ne accorse, anno dopo anno i canti, le luci, le risate, diminuirono sempre di più, finché, un Natale, non si ritrovò che da solo, a festeggiare.

E dopo quello ne passarono tanti, di Natali da solo.

Era un pochettino triste, ma non così male, alla fin dei conti. C’erano meno piatti da lavare, per esempio.

“Brrr… Che freddo qua fuori! Ma cosa ti salta in mente, Angleterre?”

Ecco adesso ci mancava pure quella rana d’un francese.

“Se non sbaglio sono ancora a casa mia, France. Non credi che io sia in diritto di fare quello che mi pare?” rispose sarcastico. Va bene tutto, va bene l’invasione, ma alla sua libertà non avrebbe mica rinunciato.

Francia gesticolò come suo solito con la mano, in un ampio movimento, così teatrale quanto fuori luogo. “Angleterre, Angleterre – cantilenò – possibile che ti debba sempre spiegare tutto? Eppure pensavo che da qualche parte, molto ben nascosto, si nascondesse un po’ di gentleman in te.”

All’occhiataccia di stizza dell’inglese, Francia seppe di aver catturato interamente la sua attenzione.
“Mio caro – continuò con enfasi – non credi che, in quanto padrone di casa, tu debba essere di compagnia agli invitati?”
“Mi pare che stiano già abbastanza in compagnia.”
“Ma così diventerà solo una festa fra le tante, e non la Vigilia a casa di Inghilterra.”
“Cos’è? Adesso parli come quell’idiota di Italia?”

Francia emise un debole piagnucolio di disappunto.
“Italia non è un idiota. Certo, è un po’ stupidino, ma non idiota.” Affermò con veemenza.

“Quello che sto cercando di dirti, Angleterre – riprese – è che il Natale è l’unico giorno dell’anno che hai a disposizione per stare insieme ad altre Nazioni, senza che tu rovini tutto, come al tuo solito, con il tuo caratteraccio. Tutto chiaro?”

Inghilterra, stizzito, avrebbe voluto ribattere che no, non era tutto chiaro, per nulla, che come al solito quella rana francese con quella sua linguaccia francese rimaneva incomprensibile al raziocinio delle persone normali, e che quindi certe spiegazioni demenziali se le poteva tenere pur per sé.

Ecco, avrebbe voluto sommergerlo con la dimostrazione dell’evidenza dei fatti, se solo non fosse stato zittito prima dall’improvviso avvicinarsi della rana, ritrovandoselo, inspiegabilmente, al suo fianco e con un braccio che gli cingeva le spalle, in un vigoroso contatto che avrebbe preferito di gran lunga evitare.

E prima che potesse ribattere, dimostrare il suo dissenso, urlare all’omicidio, veniva spinto a rientrare in casa da quel braccio molesto.

“Orsù, Angleterre, andiamo a stare un po’ insieme agli altri!”
Non rispose, lasciandosi però trascinare.
Forse, e solo forse, non sarebbe stato poi così male.

La porta-finestra gli si aprì di fronte, liberando il caloroso chiasso da cui era fuggito fino a pochi minuti prima.

“Ah! Prima che me ne dimentichi, Angleterre, ti sta cercando Irlanda. Diceva qualcosa riguardo al mettersi il kilt… Vero che te lo metti, chèri?”






[Fine]




A wolvie91, perché è colpa sua se scrivo queste cose! XD
   
 
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