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Autore: V a l y    04/01/2010    7 recensioni
C'è una donna, lui la vede di scorcio. E' davanti a uno specchio in foglia d'oro appeso al di sopra di un canterano antico che si toglie gli occhiali da sole, si scioglie i capelli e li riavvia lisciandoseli con le mani. Mentre si osserva, si stende la punta di un rossetto vermiglio sul labbro inferiore, se lo distribuisce stringendo le labbra, rovista nelle tasche alla ricerca di qualcosa e incrina un angolo della bocca.
Nina è in ritardo e non ha tempo per cambiarsi, così si arrangia con ciò che ha, il rossetto è stato messo ma non ha un fazzoletto con cui pulirsi l'eccesso steso sulla parte interna delle labbra. Adocchia una pila di biglietti da visita sul canterano, i soliti della concessionaria d'auto a Carson City, ne prende uno, quello sopra tutti, e lo stringe tra le labbra. Rimane un'impronta rosso vermiglio, è labile, da somigliare a un bacio di sfuggita.
[Ambientata dopo il Tekken 5 DR]
A Miss Trent!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nina Williams, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli va incontro una di quelle conigliette tipiche dei locali di Las Vegas. Ha i capelli vaporosi ed ossigenati, l'ombretto celeste ed il rossetto di uno scarlatto acceso. E' la bellezza scadente dell'esasperazione americana, riflette lui, ma per quanto umoristico sia quel pensiero il suo viso non denota alcun divertimento, né qualunque altra emozione. La vede porgergli un biglietto da visita di una concessionaria d'auto a Carson City, mentre meccanicamente e sorridente gli spiega tutti i vantaggi che una persona può avere comprando una macchina dell'azienda. Lui si disinteressa perfino di quel poco che capisce, ma annuisce lo stesso e ripone il biglietto da visita in tasca. Dopo aver raggiunto la hall dell'albergo, lo butta in un cestino dei rifiuti.
All'hotel e casinò Tropicana sta per essere organizzata una conferenza, di quelle segrete quanto bastano da dover essere allestite in bella vista per non destare l'attenzione dell'occhio pubblico, tra frac, fiches e slot machine. Ogni anno partecipano i rappresentanti delle maggiori aziende belliche del mondo a discutere delle loro nuove invenzioni. Si aggiornano e allo stesso tempo si mantengono alla larga, come in una specie di dichiarazione di pace forzata, dove vien detto tutto e di conseguenza ogni fazione è costretta a non scontrarsi, perché qualunque nuova arma è già stata saggiata dal nemico ancor prima della battaglia. E' uno svantaggio comune.
Il russo Cherstvennikov lo sa, per questo sorride più ai rappresentanti delle altre aziende che ai suoi stessi compatrioti. E' il capo della Specnaz, sfoggia vistosi abiti stranieri, ma lì a Las Vegas, tra conigliette, nani e contadini texani straccioni ed eccentrici, nessuno ci fa caso. Al suo fianco c'è l'uomo che aveva ricevuto il biglietto da visita della concessionaria d'auto, il suo socio, il generale Sergei Dragunov. Lui non sorride a nessuno, né ai connazionali né agli stranieri.
I due mostrano il tesserino alla guardia appostata davanti al salone della conferenza, che dopo averci dato un occhio indica loro di entrare con un cenno secco del capo.
La conferenza sta per avere inizio, si aspetta solo l'arrivo degli ultimi invitati. Alcune persone sono ancora in piedi a chiacchierare in gruppi di tre o di quattro. Cherstvennikov dà la mano ad un uomo alto e biondo – forse francese, forse tedesco – e gli dice qualcosa in un inglese un po' stentato, la lingua di tutti. Sergei s'inchina allo sconosciuto con doviziosa cerimonia. Non è una gentilezza, né una cortesia dovuta, è solo l'adempimento di un codice strettamente militare.
Si raddrizza con la schiena e butta conseguentemente lo sguardo oltre le spalle dell'uomo alto e biondo, al portone d'ingresso semiaperto. C'è una donna, lui la vede di scorcio. E' davanti a uno specchio in foglia d'oro appeso al di sopra di un canterano antico che si toglie gli occhiali da sole, si scioglie i capelli e li riavvia lisciandoseli con le mani. Mentre si osserva, si stende la punta di un rossetto vermiglio sul labbro inferiore, se lo distribuisce stringendo le labbra, rovista nelle tasche alla ricerca di qualcosa e incrina un angolo della bocca.
Nina è in ritardo e non ha tempo per cambiarsi, così si arrangia con ciò che ha, il rossetto è stato messo ma non ha un fazzoletto con cui pulirsi l'eccesso steso sulla parte interna delle labbra. Adocchia una pila di biglietti da visita sul canterano, i soliti della concessionaria d'auto a Carson City, ne prende uno, quello sopra tutti, e lo stringe tra le labbra. Rimane un'impronta rosso vermiglio, è labile, da somigliare a un bacio di sfuggita.
Entra nel salone, i capelli biondi che ondulano ad ogni passo, i pantaloni di velluto neri che aderiscono alle sue gambe svelte. Si siede ad un tavolo qualunque, il primo libero che trova, accartoccia il biglietto da visita e lo abbandona sul piano di legno.
Il calpestio dei suoi tacchi è l'ultima cosa che Sergei sente prima che il congresso inizi.

Alla pausa, le si avvicina. Nina è sola, di fronte al buffet, ha un bicchiere di scotch in una mano, l'altra stretta sotto il braccio opposto all'altezza delle costole. Mantiene la schiena dritta e gli occhi puntati su un quadro appeso oltre il tavolo lungo. E' una riproduzione fedele de Il Ratto delle Sabine del David. Le Sabine rischiano quasi la loro vita per fermare la battaglia tra i romani e i loro compatrioti. E' un dipinto pacifista, ma al congresso si discute di armi da genocidio. E' fuori luogo. Le sue labbra si storcono in un moto di dissenso, sulle loro crespe il rosso vermiglio rifulge ancora di più.
Sergei è ormai a un passo da Nina, che si accorge di lui e si volta. Le sue labbra, ora, sono diventate una precisa e sottile linea retta.
“Ti conosco,” dice Sergei, ed è una costatazione inconfutabile, non una domanda. Lei lo squadra per un po'. Non si tratta di un bersaglio di una missione, è ancora vivo, ragiona tra sé e sé, quindi dev'essere stato un cliente. Oltre questo, escludendo vecchie conoscenze e familiari, per lei non ci sono altri modi di conoscere qualcuno. Poi gliene viene in mente uno.
“Hai partecipato al torneo di Tekken,” deduce Nina, e anche questa è un'affermazione vera e propria. Le pare di ricordarlo, ora, quel viso segnato dalla guerra, quello sguardo smorto con delle iridi che brillano di un incoerente azzurro vivo. Assomiglia ad una di quelle bambole senza espressione con gli occhi fatti di vetro, dai riflessi cangianti.
“Sono Sergei Dragunov,” si presenta lui, rapido, monocorde, come quando i soldati rispondono al richiamo di un superiore battendo i tacchi degli stivali.
“Nina Williams,” dice lei, e gli porge la mano libera. L'uomo l'afferra, è la stretta senza calore di un guanto nero.
“Dunque lavori coi giapponesi,” esordisce Sergei dopo un po'. Ha la voce gutturale, roca. Le vocali sono strette, è la cadenza russa.
“Non da molto,” gli riferisce soltanto Nina. Non è dei suoi lavori precedenti che lei vuol parlare, né del suo lavoro in generale. Ma, forse, quell'uomo ha già intuito quale sia la sua reale professione. Si riconoscono a pelle, quelli come loro.
Sergei fa un cenno leggero con la testa, prende un bicchiere di whisky, lo porta al labbro sfregiato da una cicatrice.
“E' la prima volta che vedo una giapponese bionda naturale,” le dice, e la fa sorridere. Era una battuta insolita, era stata detta con un accento austero e per nulla divertito.
“E' la prima volta che vedo un russo bere una bevanda alcolica d'importazione americana,” risponde con complicità Nina.
Un angolo delle labbra di Sergei s'increspa appena. La donna pensa che forse quello è il suo modo di sorridere.

E' mezzanotte quando il congresso finisce. A quell'ora i casinò si riempono ulteriormente di persone. C'è più chiasso, la musica d'accompagnamento che attraversa le sale diventa un mormorio appena udibile. Tutto è caotico, fragoroso. Nina tende le orecchie, distingue le risate acute di alcune conigliette e gli acciottolii dei bicchieri che cozzano quando i camerieri li ripongono sui vassoi.
Nina si trova dietro Jin e di fianco ad Eddy, i tre tornano assieme dalla conferenza. D'un tratto il giapponese si blocca.
“Ci dividiamo qui, ho alcune cose da sbrigare,” afferma rimanendo girato di spalle. E' come un ordine tassativo, lui è il capo, adesso, vien naturale che nessuno lo contrari, anche quando gli capita di esternare considerazioni normalissime ed opinabili. Appena lo vede andare via senza dire altro, Eddy fa spallucce e sorride arrogante.
“Ti pareva,” dice alla collega bionda. Lei non risponde.
“A proposito, ho anch'io alcune cose da sbrigare,” afferma di nuovo Eddy dopo aver adocchiato una slot machine inutilizzata. Saluta Nina con un gesto ampio e veloce della mano e si fa spazio tra la folla.
E' sola, di nuovo. Un cameriere le porge il vassoio e le offre da bere. Nina prende il primo bicchiere che trova sottomano senza guardare cosa c'è dentro. Lo mantiene con lo stelo tra il medio e l'anulare, le dita ricoprono quasi tutto il bevante. Ha una mano raffinata. L'altra è di nuovo stretta sotto il braccio opposto, all'altezza delle costole.
Il suo sguardo viaggia vago su tutte le pareti dell'ampio salone, poi si sofferma sul banco della roulette più vicino. Lì un vecchio mastica del tabacco, sta scommettendo sul 14 rosso. Dietro di lui uno sguardo di ghiaccio percorre la sua stessa traiettoria, ma la direzione è inversa.
Sergei la sta guardando, ancora, con quei suoi occhi vivi e celesti sotto le palpebre appesantite. Come dal nulla, senza un apparente collegamento logico, Nina si rammenta degli ultimi istanti di vita di alcune sue vecchie vittime. E' nella morte che la vita risplende di più, tra i respiri sofferti e i battiti agonizzanti di un cuore che si dibatte fino allo stremo. E' il naturale istinto di sopravvivenza, che si manifesta anche quando il destino è ovvio, ed è un epilogo, lo stesso per tutti, da cui non si può scappare.
In quel generale russo, in quel suo sguardo vivo e morto allo stesso tempo, sussiste una dicotomia insolita e naturale simile a quelle che Nina ha riscontrato nelle sue missioni. La donna ne è attratta.

Sceglie la strada migliore per coglierlo di sorpresa e non farsi notare. Con un giro lungo gli arriva dietro la schiena e appoggia il bicchiere semivuoto sul tavolo al suo fianco, provocando un lieve rumore che richiama la sua attenzione. Sergei le fa un cenno con la testa per salutarla.
“E' il primo anno che vengo a questa conferenza,” gli dice Nina, discorsivamente.
“Come ti è sembrata?” domanda il russo con tono uniforme.
“Prolissa e incompleta.”
Sergei arcua leggermente le sopracciglia fini, già abbondantemente alzate di loro in un perpetuo atteggiamento di boria e presunzione. Non è deliberato, è il suo viso, la sua fisionomia. “Perché?”
“Le aziende hanno parlato di costi, macchinari, test di funzionalità e raggi d'azione, ma hanno volutamente evitato l'argomento vittime. Non capisco perché visto che la finalità delle armi, in qualunque situazione e contesto, è quella di uccidere. Fa pensare che fosse voluto per una questione di convenienza. Mi è sembrato ipocrita.”
Sergei la fissa, uno sguardo rigoroso, forse per ponderare meglio su quella frase. Non parla mai, ma ha un tipo di spudoratezza che non è derivata dall'uso delle parole, né da un atteggiamento di imposizione o risalto. E' quel modo esplicito di guardarla in profondità senza nessun riguardo.
“Non penso che gli americani abbiano costruito delle navi a propulsione nucleare per pescare qualche salmone atlantico,” aggiunge Nina, e un angolo delle labbra di Sergei s'increspa.
“E' stata una conferenza prolissa e incompleta,” conviene il russo.
“E ipocrita,” ribadisce la donna.
Sergei esplora con gli occhi tutto il salone, ne vaglia ogni singola porzione. “In quella parete ci sono venticinque colonne,” riferisce. “All'altezza della prima colonna, da quella parete a questa, ci sono all'incirca trenta persone. Se si moltiplicano con le colonne si avrà un calcolo approssimativo di settecentocinquanta persone in totale. Il salone sarà duecento metri di lunghezza per cento metri di larghezza, quindi ventimila metri quadri. L'azienda giapponese dove lavori ha detto di avere aerei da caccia con un raggio d'azione di ventimilacinquecento metri quadri. Se un aereo da caccia della Mishima Zaibatsu bombardasse questo casinò, potrebbe uccidere più di ottocento persone.”
Nina gli scocca un'occhiata compiaciuta e gli dice:
“Per lo meno sei stato più sbrigativo ed esauriente dei chiacchieroni alla conferenza.”
“E meno ipocrita,” ribadisce lui.
La donna sorride, un sorriso divertito e poi indiscreto. “E tu quante persone hai ucciso?”
E' una domanda scomoda che nessuno gli aveva mai fatto prima, ma Sergei non si scompone minimamente. Le risponde, semplicemente:
“Trentaquattro, ma ho smesso di contarli all'inizio della guerra.”
L'uomo è in silenzio, ora, e fissa Nina come la fissava da lontano, sondandola fino in profondità col suo sguardo analitico da generale. La disinvoltura che la donna ha mostrato nel porgli quella domanda e il fatto di non avergli ancora rivelato il suo vero lavoro lo portano ad un'unica conclusione.
“Tu quanti ne hai uccisi, invece?” le chiede Sergei.
Nina rimane quasi sorpresa dalla sua sagacia e la sua sfrontatezza. “Ventisei,” risponde, con leggerezza, proprio come aveva fatto lui, “per quel che mi ricordo,” soggiunge poi con un mormorio a se stessa mentre si porta il bicchiere alla bocca.
“La vita è tutto un numero,” reputa l'uomo. “Per esempio, sulle lapidi viene riportata l'esistenza di un defunto con solo due numeri, e sono le date di nascita e di decesso incise sopra.”
“Vengono incisi anche il nome e il cognome,” ribatte Nina, “ma è anche vero che nei documenti d'identità e negli schedari anagrafici i nomi sono tutti una sequela di cifre.”
“Qual è la tua sequela di cifre?” domanda Sergei.
“Ne ho diverse, ho avuto diversi nomi.”
“E quella di sicario?”
Nina arcua un sopracciglio con fare supponente. “Il mio codice di riconoscimento non lo dico mai a nessuno, tanto meno ad un possibile nemico futuro. Siamo pur sempre un russo e una giapponese, anche se bionda naturale.”
“Allora puoi dirmi qual è la sequela di cifre della stanza d'albergo dove alloggi,” decreta il russo.
Nina sfodera un sorriso che stavolta è solo provocatorio mentre gli risponde “sette due nove”, e non c'è altro da dire, perciò si porta il bicchiere alla bocca per l'ultimo sorso e lo lascia sul tavolo, prima di andarsene.
Sergei sente il trapestio dei suoi tacchi che man mano si confonde sempre più con i rumori del casinò. Una canzone di Nat King Cole, Quizàs Quizàs Quizàs, risuona in tutte le sale. La stangona rossa al banco del blackjack strepita felice per una vittoria. Una guardia alta e robusta sta trasportando a forza un ubriaco chiassoso fuori dall'edificio. Sul bevante del bicchiere lasciato sul tavolo, Sergei scorge l'impronta un po' sbiadita di due labbra vermiglie.

Alle due di notte lui si trova davanti alla stanza 729. Sta per bussare, ma la donna, da dietro la porta chiusa, precede l'azione e gli apre. Trucchi del mestiere: a notte fonda, durante il sonno, riesce a sentire i passi che percorrono il corridoio, e sa quando si fermano davanti alla sua porta. E' stato necessario impararlo per prevedere gli agguati dei nemici, ha dovuto sopravvivere a questo modo, tra il sonno e la veglia, e ne è così abituata che questo comportamento si ripercuote sulla sua vita privata, quella che non ha nulla a che fare col suo lavoro.
Quindi lei ha riconosciuto il passo cadenzato del generale russo della conferenza, si è alzata dal letto, si è infilata velocemente la vestaglia e ha aperto la porta. Sergei fa quell'usuale cenno con la testa per salutarla, poi entra, accompagnato dal gesto della donna.
Nina richiude la porta, Sergei si avvicina ad una sedia, si toglie i guanti e li sistema sullo schienale. Si gira e la vede, ancora davanti alla porta, fiocamente illuminata dalle luci colorate della città, il folclore americano. Quando la donna lo raggiunge, Sergei le circonda il collo con la mano, con leggerezza. Sembra il gesto sereno di uomo affettuoso e allo stesso tempo un azione di omicidio, uno strangolamento ben nascosto in una calma studiata.
La vestaglia è stata chiusa con un nodo deciso, ma lascia intravedere un'apertura generosa sotto il collo della bionda. Il declivio dei seni di Nina è dolce, ricorda le colline innevate della Russia. Sergei abbassa la mano, la fa scorrere sul petto della donna, sopra la seta della vestaglia, poi si ferma al nodo.
Ripensa alle notti russe passate nel freddo e nel bianco della neve, in casette di paesi sperduti e senza nomi. Lì le donne sono vestite da cima a fondo, con tanti strati di indumenti uno sopra l'altro, imbacuccate come cosacchi, tutte un po' magre, pallide e slanciate. Sergei ricorda i vestiti invernali ammassati in un unico punto della stanza, la lentezza di quelle donne nello spogliarsi e nel farsi spogliare. Ricorda un sesso un po' freddo e sofferto. Gli viene quindi naturale, in quest'occasione, riflettere ironicamente su quanto basti poco, un movimento di polso appena accennato per slacciare il nodo, e la vestaglia si sfila quasi da sola.
Adesso è Nina a spogliare l'uomo. Lo fa quasi con distacco, come se stesse spogliando lei stessa.
Quando Sergei è nudo, le circonda la schiena con il braccio e l'avvicina a sé. La mano le stringe un lembo di pelle, senza ferirla. E' il suo modo di esternare il suo desiderio. Nina gli bacia il labbro superiore, sul punto attraversato dalla cicatrice, e il russo ricambia. Il suo bacio, però, è più impetuoso, scende sul collo e sulla spalla sinistra.
Si trasportano l'un l'altro sul letto, avvinghiati, lui avanzando, lei retrocedendo. Nina è sdraiata sul materasso, adesso. Allarga le gambe, e Sergei si sistema sopra di lei. Con la donna sotto di sé, si accorge che non si è ancora struccata, che le sue labbra vermiglie sono ancora lì che lo aspettavano.
E mentre, di nuovo, la bacia nella bocca, entra dentro di lei. Le spinte sono cadenzate, lente, che si velocizzano man mano. L'uomo porta il viso sull'incavo del collo della donna, e lei, in un moto di passione sfrenata, gli avvolge le spalle con il braccio, i suoi sospiri sono agitati, alle volte dalla sua bocca esce qualche gemito. E' questo che cercavano, il rito più antico e primordiale del mondo, l'unico atto che conoscono che li fa sentire ancora umani.
Quando Sergei viene dentro di lei, poi, emette un rantolo rauco.

Si alza col busto, Nina chiude le gambe. E' in piedi, fuori dal letto, e cerca i vestiti che non ricorda dove ha messo. Cammina nella propria nudità con disinvoltura, è come se vestita o svestita per lei non facesse differenza, rimane la stessa donna che è, un po' glaciale e un po' scostante.
Sergei è già vestito, ha solo la camicia dello smoking non del tutto abbottonata, le scarpe slacciate e i guanti sullo schienale della sedia. Si alza per prenderli, si avvicina alla porta e la apre.
“Forse ci rincontreremo alla prossima conferenza,” le dice.
La porta si richiude e tutto torna come prima.

Quel loro secondo incontro avviene un po' troppo presto, e in modo inaspettato. Risulta persino sbagliato. E' a questo che lei riesce a pensare, nonostante tutto, nel buio di un vecchio paese diroccato, tra le bombe degli aerei da caccia della Mishima Zaibatsu che piovono dal cielo e una ferita profonda alla spalla, che la fa arrancare. La mantiene stretta con la mano sinistra, mentre con la destra impugna la sua Beretta 92.
In quei pochi secondi che gli aerei smettono di bombardare, Nina avverte i passi del suo nemico dietro la schiena. Si volta veloce e spara al generale russo colpendolo alla gamba, facendolo cadere vicino ad una parete fatiscente di un edificio abbandonato. La pistola casca assieme a lui, a un metro e mezzo di distanza.
Quando il russo tenta di riprendersi l'arma, la donna gli punta addosso la Beretta per esortarlo a fermarsi. L'uomo si blocca, è immobile. Non tenta neppure di fare altro, perché lo sa, non c'è scampo, anche il suo epilogo è arrivato.
E' l'occasione, il momento perfetto, la canna della Beretta è puntata dritta al suo cuore, ma per la prima volta in vita sua Nina esita. Sergei se ne accorge e ne approfitta per riprendersi la pistola. E' veloce, ma non abbastanza. Il naturale istinto di sopravvivenza sopraffa Nina, che a sangue freddo gli spara al cuore.
L'angolo delle labbra del russo s'increspa, e non è solo una smorfia di dolore, ma anche un sorriso un po' più lungo dei soliti. Al suo ultimo alito si accascia a terra, e dalla tasca dell'uniforme si sfila un biglietto da visita stropicciato. E' quello della concessionaria d'auto a Carson City, ci sono ancora impresse due labbra. Il loro rosso vermiglio si confonde con il sangue tutto attorno.





























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Chi mi conosce fuori dal fandom di Tekken, o fuori dal web, sa che sono anche una persona a volte cinica e a volte malinconica. Ma alla maniera di questi due personaggi, penso che questa fanfiction sia stata anche una storia romantica...
E aspettatevi pure una storia spinta del genere su Xiaoyu e Hwoarang! xD
Dedicata alla mia ammorra. ♥
  
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