Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: coccinella    06/01/2010    0 recensioni
Dyl è un soldato come tanti, il cui compito è uccidere il nemico, le creature diverse e inferiori che stanno occupando la sua nazione. Ma sono davvero inferiori? O sono semplicemente diverse?
Genere: Generale, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

salve a tutti!

dopo tanto tempo che non posto ho deciso di postarvi questo racconto un po' vecchio, che ho ricorretto recentemente, su cui vorrei avere un vostro parere :)

spero vi piacerà

Era sera. Creature armate immerse nel buio. Silenzio e freddo. Tempo scandito da esplosioni, spari e urla.

Tempo che non passava mai.

“Tempo di guerra”.

Dyl era stanco. Poggiò il fucile per terra e chiuse per un attimo gli occhi.

Troppe ore passate a fare da vedetta, troppe ore passate a sparare, troppe ore lontano da casa. “Tempo di guerra” si ripetè tra sé, riaprendoli lentamente.

A volte si chiedeva per cosa fosse lì. “Uccidere” era la risposta che gli avevano fornito i suoi superiori.

Scontato. Se non uccidi loro, loro uccidono te. E’ il prezzo per la sopravvivenza; essere responsabile della morte di altri.

“Meglio avere la colpa di aver ucciso qualcuno che non avere colpa e non essere qui a raccontarlo” pensava tra sé, imbracciando di nuovo il fucile. Aveva passato talmente tanto tempo a ripeterselo che aveva quasi l’impressione di averlo sempre pensato.

Il rumore di uno sparo dietro di lui rimbombò nell’aria, ma Dyl non si voltò.

Ci era abituato.

Ci si abitua a tutto se ci si è costretti. Aveva fatto l’abitudine persino a vedere, e di conseguenza a uccidere, quelle strane creature.

Gli erano state presentate come “il nemico” e aveva avuto il permesso di chiedere poco altro. Tutto ciò che sapeva di loro lo aveva imparato prendendo la mira prima di sparare e guardando i corpi di quelli già uccisi.

Sapeva che avevano meno gambe di lui, un orecchio in più e usavano un linguaggio a lui sconosciuto.

Eppure le uccideva. Perché erano da uccidere e perché avevano invaso il suo territorio.

“Motivi più che validi” pensò tra sé cercando di convincersene, senza particolari risultati.

“ ‘Sera Dyl. Come va lì?” gli chiese un altro soldato come lui di cui non ricordava il nome mentre gli passava accanto; senza aspettare risposta continuò “Ne stanno per arrivare altri. Stai pronto”.

Annuì e si girò verso il campo di battaglia.

Cinque creature si avvicinavano verso di loro.

Avevano un’aria buffa, così bianche e magre. Non sembravano minacciose ma aveva imparato a temerle.

Caricò il fucile e lo puntò verso di loro. Nonostante tutto, aveva anche imparato a ucciderle.

Mirò alla più vicina, la più alta di tutte e sparò.

La sentì emettere un suono strano, presumibilmente di dolore e la vide accasciarsi al suolo. Dal petto le uscivano fiotti di un liquido che alla luce fioca delle torce sembrava rilucere, come fosse stato lui stesso luminoso.

Odiava il sangue di quelle creature.

Aveva un colore così vivo. Non ricordava affatto la morte. Non era come il loro sangue.

Ogni cosa delle creature era diversa dalla loro ma a quella in particolare non aveva mai fatto l’abitudine.

Il rosso non era un colore da sangue. Il nero lo era.

Nero come quello che usciva dalle ferite dei suoi compagni.

“Per stasera puoi andare Dyl.. .ci vediamo domani” gli concesse il ragazzo di prima avvicinandosi di nuovo a lui.

Argar. Ecco come si chiamava.

“Grazie Argar” gli disse prima di allontanarsi in silenzio, senza voltarsi al suono di una nuova esplosione seguita dai lamenti delle creature.

Non c’era bisogno di girarsi a controllare cosa fosse successo.

Non c’era da preoccuparsi. Si trattava solo di esseri nemici, strani e incomprensibili. Inferiori. Da eliminare.

Tutto lì.

Si allontanò ancora di più, lasciandosi dietro quei suoni.

Era stanco. Barcollava.

Nessuna delle sue gambe era in grado di reggerlo in piedi come si deve ma non se ne curò.

Tirò fuori dal taschino la foto di suo figlio e si concesse un sorriso.

Un solo pensiero lo consolava. 

“Se non altro mio figlio potrà dire di avere un padre che aveva ucciso un uomo”

Dalla foto spiegazzata una creatura verde con tre zampe e un solo orecchio gli sorrideva immobile.

“E anche più di uno” pensò poi con orgoglio. E quello fu l’ultimo pensiero della giornata.


che ne dite? a voi i pareri :)
come avrete notato il tema è la diversità, provare a vedere dal punto di vista dell'altro.
In ogni caso, se siete interessati ad altri racconti, vi consiglio questo blog, anche se non è mio:
http://folliedellamenteaspirantescrittore.blogspot.com/
e per chi segue i miei racconti, presto prometto posterò qualcosa di nuovo :)
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: coccinella