Edward e Alphonse vanno a fare la
spesa settimanale il martedì, quando in città c’è mercato. È facile risparmiare
su qualche cosa, così, e in più possono girare e perdersi nei mille vicoletti
creati dalle bancarelle tutte vicine, possono giocare a nascondino e parlare di
mille cose ad alta voce, anche delle più sconce, che tanto non vengono
ascoltati per tutta la confusione che c’è. È come andare in un Paese straniero
dove non parlano la tua lingua, e poi dire tutte le peggio idiozie che ti
passano per la testa che tanto nessuno capirà. È estremamente divertente, per
gli Elric, fare la spesa il martedì.
Questo martedì, inoltre, c’è una
novità, perché c’è l’inaugurazione di una gioielleria, la prima della città,
che si pubblicizza attraverso volantini rossi e sgargianti che spuntano da ogni
buco possibile, come se un aereo fosse volato sopra i tetti e avesse buttato
tutti quei volantini dal cielo. Ed sostiene che fallirà in poco tempo, perché
nessuno ha i soldi per vivere, figurarsi per oro e diamanti, mentre Al ripone
più fiducia nel negozietto (è piccolo, è al posto della macelleria equina in
cui Ed andava con estremo piacere, anche quando nessuno dei due aveva voglia di
carne di cavallo), perché in fondo in città ci sono molti turisti, e più volte
gli è capitato di scorgere signore impellicciate e firmate dai capelli in giù.
Chi vivrà vedrà, si sono detti, anche se segretamente ognuno dei due è sempre
più convinto della propria idea.
Quando vanno a fare la spesa, tornano
sempre carichi come muli, ma felici di aver trascorso la mattinata insieme a,
perlopiù, sparare sciocchezze. Ai due fratelli piace immensamente fare la spesa
insieme; discutere dei prezzi, della qualità di quel che mangiano, fare un po’
le vecchie comari e poi scoppiare a ridere, tutte piccole cose che ad entrambi
(ma sarebbe impossibile strappare una confessione in questo senso a Ed) che
hanno il profumo e la fragranza di famiglia – il loro punto fisso, quello che
giorno dopo giorno si stanno impegnando a costruire.
Questo martedì, in realtà, non hanno
chissà quante cose da comprare. Fra una cosa e l’altra sono rimasti spesso
fuori di casa durante la settimana appena trascorsa (fra Winry
e zia Pinako, la maestra, Mustang e le sue cene di
lavoro super pallose in cui Al era l’unica salvezza & consolazione) e il
cibo si è accumulato; e sono in città per la gioielleria, più per cortesia ad
Alphonse che ci teneva un po’. Dice che gli piacciono le cose che luccicano e
nel dirlo arrossisce perché è una cosa un po’ infantile e un po’ da femmina; ma
nell’arrossire le sue guance si colorano d’acquarello e diventano frutti dolci
ed invitanti, e la bocca prende una curva particolarmente morbida e perfora
ogni scorza dura di Edward, facendolo capitolare senza che neppure Al se ne
accorga, o lo voglia. (Forse si sta infurbendo e ha imparato come fare, ma
ovviamente si guarda dal farlo capire a Ed, che rimane stupido solo nel
territorio delimitato dai baci di suo fratello e dai quei suoi modi di fare
che, in fondo, gli piace tanto bollare come innocenti e ingenui.)
È inverno e tutti i loro respiri
vengono catturati nella condensa, hanno due identiche sciarpe rosse a maglia
larga di zia Pinako e col freddo assassino e la calca
possono tenere le mani strette nella tasca del giaccone di Edward. Ogni tanto
incrociano lo sguardo, mentre parlano, e si mettono a ridere quasi senza
motivo; si sentono sicurissimi di loro ed è come se prendessero in giro chi li
circonda che non capiscono e non li vedono. Arrivano davanti al negozio che
l’inaugurazione è iniziata da poco e riescono ad imbucarsi senza dar troppo
nell’occhio. Edward è il primo a buttarsi sul cibo – ha fame, incredibilmente,
e non è che gli interessi granché di non fare la figuraccia dell’accattone, in
fondo nella sua vita ha fatto e fa tutt’ora ben peggio. Al ciondola un po’ qua
e là, acchiappa qualche tartina masticandola senza gustarla, e accarezza con
gli occhi le vetrine perfette che espongono il meglio del meglio di quel
negozio che, a giudicare dal campione di clientela rappresentato dagli invitati
all’inaugurazione, sembra il più caro che abbia mai visto in tutti i suoi anni
di vita. Quasi non si azzarda ad andare troppo vicino ai vetri , quasi abbia
paura a sporcarli solo respirando– saranno di cristallo? Chissà che fatica
sarà, tenerli puliti, con tutti i bambini impiccioni e sporchi che ci sono in
città, che sicuramente entreranno con l’unica intenzione di portare le loro
dita sudice sul vetro.
“Al, cosa stai facendo?”, leggermente
bofonchiando gli chiede Edward, spuntandogli da dietro le spalle d’improvviso,
ma senza spaventarlo.
“Niisan, mi sembra abbastanza
evidente. Sto complottando per la distruzione di questo posto che farò
esplodere solo con la forza del mio pensiero. Figo,
eh?”
“Fiiiigo,
perché non mi hai parlato di questo potere?”
“Perché nella tua intelligenza
sottosviluppata non avresti potuto capire.”
Si guarda intorno, Aru-chan, e nessuno sembra badare a loro, e questo è sempre
un buon scenario per baciare il proprio bello, come un principe azzurro che
bacia l’altro principe nella piazza del popolo per vivere la tranquillità dei
comuni mortali. Gli accarezza le labbra con le proprie e veloce gli ruba il
bacio.
“Dai, cosa stavi guardando davvero?”,
gli mormora Ed col mento poggiato sulla spalla dell’altro.
“Niisan, cos’è questa?”
“Una gioielleria?”
“E cosa vende una gioielleria?”
“Gioielli?”
“Quindi io cosa posso guardare?”
“Il cassiere?”
“Ma che scemo che sei…”
Alphonse rotea gli occhi e passa
tutta la vetrina cui è davanti. Lì, nell’angolino, lei l’aspetta.
È una fedina con tre stelle di fila
di lato. Ma sono piccole, non si notano quasi neppure. Lei in sé non si nota.
Eppure quello è L’Anello.
Ad Alphonse non è, in realtà, mai
venuto in mente di volere una fede da Ed, perché sarebbe solo un simbolo
stupido, un po’ inutile, perché sa benissimo di essere l’unico amore del
fratello, e senza una fede è perfettamente consapevole del fatto che tutta la
vita se la godranno insieme, mano nella mano. Non è altro che un cerchietto
d’argento con tre minuscoli diamanti, dal costo in realtà neppure troppo
eccessivo, in verità molto bello, ma da femmina. Se dicesse a Edward che gli è
venuto il desiderio di avere una fede al dito, quello lo prenderebbe in giro
almeno almeno per due anni. È davvero una cosa scema,
eppure quell’anello sembra dirgli Sono un
simbolo di eternità e amore, forse non sono così inutile, e per un attimo
se lo vede al dito, e si sente come uno sposo. Gli piacerebbe essere lo sposo
di Edward. Tutto simbolismo materialmente inutile ma, oh, quanto sarebbe
felice. Non che così sia infelice, assolutamente, non lo è mai stato così tanto
né riesce ad immaginare un futuro in cui potrebbe esserlo di più (auspica in
questa serenità e gioia continua, come una linea retta, infinita), e difatti
sarebbe solo un particolarino in più.
A furia di pensare gli viene mal di
testa.
“Dai, Al, fammi vedere cosa
guardavi?”
“Niente, davvero…”
“Non è vero, stavi guardando qualcosa…”
“Niisan, nulla…”
“Ma dai, stavi guardando quell’anello
da femmina con le stelle! Che scemo, neppure Winry lo
vorrebbe! Vuol dire che Winry è più uomo di te!”
“Niisan.”
Ecco perché è una fantasia inutile.
Scocciato da matti, Al si fa spazio
tra la piccola folla del negozio ed esce a prendere aria, il mal di testa e le
prese in giro del fratello rimbombano, gli sembra di avere un acquario in testa
con l’acqua che non fa che muoversi e agitarsi in continuazione. Odia, odia,
odia quando Ed lo prende in giro ingiustificatamente in quel modo. In più, lo
odia (un po’ senza motivo) perché non ha un minimo di spirito di osservazione e
non capisce nemmeno le cose più basilari.
Si appoggia al muro con la mano sulla
fronte e lo aspetta, sperando si muova e non perda tempo a strafogarsi. Arriva
dopo un paio di minuti, imbarazzato.
“Ehm…”
“No, niente, niisan, tranquillo.”
Al s’imbacucca per bene nella sciarpa
e il passo si fa già svelto, perché detesta davvero quando Ed fa così, quindi
evita di camminargli vicino perché non gli va proprio di litigare.
“Aru, Aru, dai…”
“Niisan,” una nota acuta nella voce,
“davvero, niente. Andiamo a casa.”
Il mal di testa lo perseguita per
giorni, non dandogli pace per un attimo. Fa sempre così, quel maledetto mal di
capo, non si fa vivo spesso ma quando lo fa rimane ospite a lungo, senza
preoccuparsi di essere indesiderato e anzi odiato.
“Niisan, per favore, andresti tu a
fare la spesa?”, gli chiede di sabato, quando si accorge che il frigo è mezzo
vuoto e lui proprio non ce la può fare ad uscire di casa. Non è che gli vada
tanto più giù non rispettare un loro rito, ma la sola idea di mettere piede fuori casa,
col freddo e il gelo, lo ammazza cento volte di più.
Un po’ gli è passata l’arrabbiatura
verso quel suo fratello delicato come un sasso nell’occhio, ma ancora rimugina
sull’anello. Ogni tanto si scopre a fissarsi, imbambolato e incosciente,
l’anulare sinistro e ad immaginarlo lì: gli si riempie il cuore di una felicità
soffice e tenera, come se diventasse di panna. Poi scuote la testa e sospira,
pensando che non potrebbe chiedere mai una sciocchezza del genere al suo
niisan. E poi, in fondo, non hanno i soldi per poterselo permettere, ed è
davvero solo un simbolo stupido.
“Sì, fammi la lista e torno il più
presto possibile.”
Edward si è imposto di essere calmo e
tranquillo, perché sa benissimo di essersi comportato male verso Al, e odia vederlo
triste o arrabbiato. E poi è insostenibile, Al che se la prende per qualcosa:
passa dal piagnucolare al fare frecciatine tutto il tempo. Anche se porta
rancore per poco, quel minimo lasso di tempo è insopportabile.
Il niichan,
che si massaggia le tempie con le dita, si appoggia stancamente sulla sedia in
cucina, tracciando la lista a caratteri piccoli e ben spaziati fra loro.
“Ecco qui, niisan.”, e gli porge il
foglietto, ancora più stancamente. Gli consegna i soldi esatti per la spesa –
Al è quello che sta dietro ai conti di casa, sa benissimo i costi del cibo che
mangiano i due, e preferisce prevenire le mani bucate di Edward. Questi si
china su di lui, baciandogli prima la fronte, poi il naso, infine le labbra. Le
mordicchia, le tira, dà loro una leccatina veloce.
“Vado e torno, Al-niichan…”,
gli mormora all’orecchio, lasciando nell’aria l’intenzione di farlo suo appena
torna a casa. Il più giovane ridacchia.
“A stasera, allora.”, si dicono
all’unisono mentre Edward prende la porta ed esce.
Appena la porta si chiude, Al si alza
e va a sdraiarsi sul letto, prendendo il libro che sta leggendo dal comodino,
accorgendosi dopo un paio di righe che non è stata davvero una buona idea. Non
ha voglia di dormire, assolutamente, ma stare in piedi lo sfianca. Si sdraia
per bene, appoggiandosi su entrambi i cuscini. Farà un pisolino, magari un paio
d’ore arrivando all’orario solito in cui prepara la cena – sa benissimo che per
le sette Edward non sarà assolutamente a casa. Sbadiglia, si stiracchia, si
mette sul fianco e chiude gli occhi.
C’è una musichetta soffusa nella sua
testa, che lieve lo accarezza,gli si poggia sulle palpebre per aprirle
lentamente, con dolcezza. Le sbatte due volte, e mentre vuole alzare le braccia
per stiracchiarsi, si rende conto che la sua mano sinistra è tremendamente
fredda; questo perché è stretta tra quelle di Edward, che sono sempre gelate,
come se non avesse circolazione. Si rende anche conto che il mal di testa
assassino ha ben deciso di togliere le tende. Fantastico, il più bel risveglio
di tre giorni a questa parte.
“Bentornato, niisan…”,
sbadiglia e sorride dolce, “Mi sono addormentato…”
“Lo vedo questo, Al. Non
preoccuparti, mangeremo qualcosa di raffazzonato.”
“Va benissimo…”
Al, appena sveglio, è un piccolo
ammasso morbido, come un pulcino, dai movimenti lenti e incerti, i capelli
spettinati come pelo di gatto.
Non riesce a trattenere un enorme
sbadiglio, ma almeno ha l’educazione (che, gli viene sempre in mente, manca del
tutto ad Edward) di mettersi la mano davanti alla bocca.
E lì la vede, la sua fedina amata.
Non riesce a non urlare. Le tre
stelline brillano quasi di luce propria.
Si rende conto ora che la musichetta
era una marcia nuziale fischiata piano dal suo fratellone, che lo guarda con
tutto l’amore di cui è capace.
“Niisan, ma come ma cosa ma… ma non abbiamo i soldi, stupido!”
“Non ti preoccupare di questo, non è
costato così tanto, e poi ho dei risparmi da parte di cui tu non sei
minimamente a conoscenza.”
“Ma perché, ma che stupido, ma…”
“E smettila di balbettare tutti quei
ma! Ti piace, no? Non è quella che guardavi l’altro giorno? Ho pensato che ti
avrebbe fatto piacere… lo so benissimo che sei un
inguaribile romantico e che ci credi tanto in quelle sciocchezze da femminuccia
tipo matrimonio eccetera, e che sono stato odioso nel definirle sciocchezze e
prenderti in giro, e così ho pensato di rimediare…”
Gli prende la mano e gli bacia la
fede mille volte, piano e dolce, e lo schiocco di ogni bacio è quasi infinito
ed ognuno è un nuovo pizzicare negli occhi di Alphonse dal viso rosso pomodoro
e il cuore in gola che batte come quello di un topolino, miliardi di volte al
secondo. Poi il polso, poi le guance e le labbra.
“Ti amo, Alphonse Elric.”
Pronuncia il suo nome come il voto
più importante e assoluto, con devozione.
“Ti voglio bene, ti amo, ti adoro.
Sei il mio ragazzo, il mio uomo, il mio mondo e il mio ossigeno. Ogni cosa che
provo per te è infinita e autentica.”
Le lacrime, piccole e un po’ infami, cominciano
a rotolare per le guance tonde ma Al si costringe a strizzare gli occhi.
“Levigherò ogni difetto con la tua
presenza, mi proietterò per essere perfetto per te. Per il mio piccolo, mio
fratello, il mio amore, il mio futuro, il mio sempre, Alphonse.”
Però no, non ce la fa proprio, e
scoppia a piangere, non senza vedere che anche Ed ha gli occhi lucidi. Si sente
(si sentono) infinitamente stupidi per piangere per cose in verità così ovvie,
si sentono piccoli di fronte al mondo e al futuro.
Ma adesso, simbolo stupido inutile
costoso ma infinitamente bello, l’anello promette e giura.
“In virtù delle mie promesse, del mio
amore, vuoi sposarmi, Alphonse Elric?”
Per Al non è mai stato così difficile
trattenere un singhiozzo, ma davvero non ce la fa. Si sente traboccare di ogni
cosa positiva che possa esistere nel mondo: amore, affetto, gioia, gratitudine
– il suo fratello, solitamente così materiale, che spende i proprio sudatissimi
soldi per accontentarlo in un capriccio sentimentale che ha solamente intuito
e, Dio, davvero lo riesce a capire in ogni suo aspetto e sfaccettatura, ogni
angolo nascosto sotto la polvere.
“S-sì…”, un
pigolio spezzato in risposta, mentre Ed, oramai anche lui bollente in viso, gli
sfila l’anello per baciarlo e poi rimetterlo al suo legittimo posto,
fischiettando di nuovo la marcia nuziale.
Si baciano mille volte a stampo,
rimbalzandosi addosso, approfondendo poi il contatto. Si staccano per
riprendere fiato, e Edward ride.
“A quando i figli, signor Elric?”