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Autore: RMSG    07/01/2010    5 recensioni
Prima classificata al contest di My Pride It's a mistake... maybe.
Premio originalità.
[Partecipante al flash contest di ro-chan e superkiki92 sulle storie edite]
Il grande giorno per Edward Elric era arrivato. La sua grande - e forse unica - possibilità di realizzare il sogno di una vita, passata a studiare e a guadagnarsi ogni cosa. Tutto per il suo sogno.
Da quando si era laureato a Yale - circa sei mesi fa - si era subito messo all'opera per trovare al più presto un impiego e, possibilmente, L’impiego. Era laureato in Lettere e Filosofia e aveva sempre sognato di diventare uno scrittore; e lì, a New York, come tutte le persone che conosceva gli avevano detto, c'era solo un uomo che poteva dargli l'aiuto necessario, che poteva costruirgli il trampolino di lancio, che poteva raccomandarlo a una casa editrice: Roy Mustang, presidente della Mustang Publication, possessore di quattro dei quotidiani più importanti di New York e delle tre riviste mensili più lette in città. Nel giro, e anche oltre, lo chiamavano l’American Dream, un po’ perché era considerato il sogno di ogni donna, data la sua fama di donnaiolo incallito, e un po’ perché, per l’appunto, dava speranza a giovani come lui che volevano sfondare. Insomma, lui, le donne e l'editoria andavano praticamente di pari passo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Jean Havoc, Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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American Dream ©
di Roy Mustung sei uno gnocco


 
Capitolo 2

 
Quando Edward riaprì gli occhi, erano circa le 23:00. Aveva saltato pranzo e cena e ora la sua pancia reclamava cibo. Sbadigliando si alzò dal letto, stiracchiando le braccia e gambe. Si rese conto solo ora che aveva ancora le scarpe e tutti i vestiti della mattina. Sbuffò e decise di spogliarsi prima di andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Si tolse il gilet nero, la camicia bianca e i pantaloni scuri. Gettò gli abiti sulla sedia e poi andò ad aprire l’armadio, raccattando dal fondo di esso dei pantaloni di una tuta grigia e la felpa blu con stampato su il caratteristico Bulldog, mascotte di Yale. Poi uscì dalla stanza, andando in cucina alla ricerca di qualche schifezza.
 
                                                                                                 *****
 
Nel contempo, Roy Mustang aveva ospiti in casa sua…
- Maes ha fatto proprio bene ad assumerlo… - commentò Jean Havoc, seduto sul letto tondo e matrimoniale, nudo, con solo il piumone a coprirgli le parti intime. Fumava, come suo solito, e a giudicare dal portacenere che c’era sul comodino alla sua destra, quella doveva essere almeno la quinta sigaretta.
Roy mugolò, d’accordo, con la testa affondata nel cuscino. Jean gli passò una mano tra i capelli, arruffandoli di più. Con l’altra si tolse la sigaretta dalle labbra, lasciando uscire fuori il fumo. Poi si piegò e gli lasciò un languido morso sul collo. Avvicinò poi le labbra al suo orecchio.

- Che mansione vuoi assegnargli? – sussurrò, con tono curioso.

- M’inventerò qualcosa… - rispose, con voce rauca. Poi si girò, guardandolo. – Perché tanto interesse? Cos’è, sei geloso? – insinuò, malizioso. Gli cinse la vita con le braccia. – Non ti dimenticare che sei tu il mio amante preferito… - sogghignò, guardandolo negli occhi azzurri.

- Non fare l’ipocrita con me, Roy. Tu non hai preferenze in nessun campo! – sorrise, scuotendo il capo. Poi tirò un’altra boccata di fumo.

- Non mi credi? Potrei offendermi, sai? E poi… - Jean lo interruppe.

- Credo che quel ragazzo sia competente. Dagli una possibilità e non usarlo solo perché ha un bel faccino… -

- Le avevo già intuite… - rispose, Roy, puntellando il gomito sul materasso e reggendosi la testa col palmo della mano.

- Che cosa? -

- Le sue capacità! Ha uno sguardo molto intelligente… - piegò le labbra in un ghignetto.

- Oh, sappiamo tutti che capacità guardi! Non inventarti storielle sugli sguardi intensi! -

- Ma sta’ zitto! – sbottò, guardandolo con la coda dell’occhio. Poi tornò a fissare l’enorme armadio di fronte a lui – Si sta facendo tardi… e sono stanco – si ristese sul letto, stiracchiandosi pigramente.

- Ma se la tua serata comincia ora! Su, confessa! Prima Riza, poi me e poi chi altro? Andiamo Roy, tre in una notte sola non li reggi neanche tu! – ridacchiò. Che Roy fosse così idiota da aver chiamato anche un altro?

- Il mio unico compagno, per il resto di questa notte, sarà il cuscino. - ribatté.

- Lo spero per te! – esclamò Jean, sorridendo. Poi spense la sigaretta nel posacenere sul comodino e si alzò, completamente nudo.  - Roy, faccio prima la doccia e poi me ne vado a casa - lo avvertì, dirigendosi in bagno. L’altro sventolò una mano.
- Come vuoi… - sbadigliò di nuovo e abbassò le palpebre, pronto a riposarsi dopo l’ennesima serata di fuoco. Quei due occhi dorati che lo avevano guardato con un imprevisto ardore ancora gli tornavano in mente. Lo affascinava incredibilmente quel ragazzino. Di solito tutti rimanevano imbambolati o intimoriti di fronte a lui. Invece, Edward Elric, aveva ricambiato lo sguardo. Lo aveva colpito, stuzzicato… Poi era anche molto bello e aveva gli occhi illuminati dall’ intelligenza, dalla voglia di scoprire, di fare e, soprattutto, da una particolare innocenza, pronta a sparire. Lo desiderava. E ciò che Roy Mustang voleva, prima o poi, in un modo o nell’altro, sarebbe diventato suo. Magari quel ragazzino non era neanche gay… ma non gli interessava. Non lo era nemmeno Jean, al tempo, e ora si trovava nel suo letto quasi ogni notte. Con questi pensieri s’addormentò subito dopo, già pronto ad affrontare il nuovo impiegato la mattina dopo.


  
                                                                                                *****
  


Erano le 07:45 del mattino ed Edward, nonostante avesse passato tutta la notte a scrivere e a leggere, era pimpante e allegro. Arrivato al Mustang’s Building, si andò a sedere sullo stesso divanetto della mattina precedente. Lo avrebbero chiamato a momenti. Dalla cartella, stavolta nera, tirò fuori l’I-Pod nano azzurro, regalo ricevuto il Natale scorso da suo fratello che aveva risparmiato per mesi e mesi i soldi. Lo accese. Si mise solo una cuffia, all’orecchio sinistro, e fece partire la prima canzone che la lista gli proponeva: Fuck You, Lily Allen. Edward sbuffò. Sicuramente era stato Alphonse a mettergli quella canzone assurda sull’I-Pod. Lui che amava il Jazz, che adorava alla follia Oscar Peterson, mai e poi mai avrebbe scaricato una tale oscenità musicale. Però doveva dire che era orecchiabile. Anche se il testo era un insieme di parole messe insieme senza un senso logico. Appoggiò il gomito al bracciolo del divano e si resse il mento con la mano, guardando nel vuoto. La canzone finì pochi minuti dopo e la signorina dell’altra volta, Lust, lo raggiunse all’improvviso. Stavolta indossava uno striminzito tubino blu. Ma da quando a lavoro ci si poteva presentare così?

- Signor Elric… - sorrise, sbattendo le ciglia allungate dal mascara - il Signor Hughes mi ha detto di avvertirla che oggi le sarà assegnata la sua mansione! – si avvicinò a lui, piegandosi un po’ in avanti, per guardarlo negli occhi meglio. E per mostrare le tette.

- Ottimo. Dove devo andare? – domandò, senza far caso alla scollatura sul prorompente seno.

- Al venticinquesimo piano. Il Signor Hughes è rimasto colpito da lei e ha riferito al Presidente delle sue capacità. Ha quindi un appuntamento col Presidente Mustang! - esclamò, entusiasta per lui. Edward la guardò stupito, senza parole. La sua mansione sarebbe stata decisa dall’American Dream in persona? Sembrava un sogno per davvero, questo…

- F-fantastico! Cioè, okay, ora… vado. - si alzò, ancora confuso. - Venticinquesimo piano, ha detto? Okay, grazie mille! - non saltellava dalla gioia perché i suoi freni inibitori fortunatamente funzionavano ancora. Salutò con un cenno del capo, forse un po’ rozzo, la signorina e si diresse verso la lunghissima scalinata di marmo bianco. La percorse tutta, quasi correndo, ansioso. Ancora non ci credeva. Se avesse fatto colpo anche su di lui già da ora… ma no no, ora doveva rimanere coi piedi per terra! Prepararsi psicologicamente e soprattutto emotivamente: l’ultima volta che si erano guardati, le viscere di Edward avevano deciso di andare a farsi un giro sulle montagne russe, quindi ora temeva di avere… strane reazioni. Era un bell’uomo, affascinante e il suo carisma gli pareva quasi di poterlo toccare con mano. Lui era un ragazzino inesperto con gli ormoni, nonostante i ventitré anni compiuti il mese scorso, che ancora ballavano la samba alla vista di qualcuno come Roy Mustang. Ergo, doveva darsi una regolata e pensare con professionalità alla cosa. In ascensore il batticuore gli martoriava il petto ma lo ignorò, aspettando con trepidante attesa che finalmente le porte dell’ascensore si aprissero. I minuti passavano, aumentando la tensione di Ed. Emise un pesante sospiro, chinando il capo in avanti e proprio in quell’istante le porte si aprirono. Edward alzò di scatto la testa, ritrovandosi due grandi occhi color cioccolato a guardarlo. Deglutì pesantemente e fece scorrere gli occhi sul resto del viso, sul busto, le gambe e le scarpe. Era la donna bionda che aveva visto ieri col Presidente, quella che, presumibilmente, sarebbe dovuta essere la sua assistente personale.

- Buongiorno, Lei è Edward Elric, giusto? – si spostò, per farlo uscire fuori dall’ascensore. Edward fece qualche passo avanti e venne subito investito dalla luce del sole di quella giornata che si prospettava a dir poco splendida. L’intero piano era adibito come ufficio per il Presidente e la sua segretaria. Non c’erano quasi pareti, ma solo grandi vetrate che illuminavano completamente la stanza. Il sole, ancora nascosto dietro gli altissimi grattaceli, teneva ancora parzialmente in ombra la città. Loro, però, erano abbastanza in alto da non avere problemi d’illuminazione. Rimase a bocca aperta per il panorama che si poteva ammirare: tutta New York, in ogni suo lato, ogni sua sfaccettatura urbana era davanti ai suoi occhi.

- Signor Elric? - la voce calda dell'assistente gli arrivò alle orecchie, distogliendolo dalla sua contemplazione. Edward non poté non notare una punta di divertita comprensione nel suo tono.

- Ehm... sì, scusi. Notavo quanto fosse bella la vista da qui... - mormorò, sorridendo impacciato. La donna gli concesse un piccolo e comprensivo sorriso.

- Non si preoccupi. Non è il primo ad avere questa reazione. A quest'ora, poi, il paesaggio è ancora più bello! - il giovane notò subito come la postura della donna fosse inflessibilmente rigida: la schiena dritta, il portamento fiero... sembrava più un soldato che un assistente. E solo ora si accorse che i lunghi capelli dorati le ricadevano sulle spalle. Ieri li teneva legati, oggi no. Sorrise, erano di un colore più chiaro rispetto al suo, ma erano ugualmente splendidi. Come lei, d'altronde.

- Già... - mormorò soltanto. La luce soffusa che prima tanto aveva ammirato le illuminava il profilo perfetto. Poi gli occhi gli caddero sul suo petto, dove c'era il cartellino col suo nome: Riza Hawkeye.

- Il Presidente la sta aspettando, Signor Elric. Prego, mi segua! - esclamò. Anzi, ordinò. Partì spedita col suo passo rigido alla volta della parete in vetro che divideva a metà il venticinquesimo piano. Dall'altra parte del vetro c'era un grande salotto, con un moderno tavolino da caffè e un caminetto dall'aria antica a spezzare la scena troppo contemporanea. E ancora più avanti dovevano esserci altri divani, qualche poltrona e diverse sculture astratte. Da così lontano non si vedeva molto bene. Riza entrò all'interno della seconda parte. A Edward, che la seguì poco dopo, sembrò quasi di varcare la soglia di un altro mondo, di un universo parallelo. Chiuse alle sue spalle la porta e seguì silenziosamente l’assistente. Due minuti dopo si avvicinarono alla scrivania nera e a semicerchio del Presidente, seduto sulla poltrona, sempre nera e di pelle. Dava loro le spalle e contemplava New York dall’alto in basso. Doveva proprio sentirsi un Dio da lassù…
Accanto a Riza, Edward sentì il suo olfatto stuzzicato dal dopobarba - o era acqua di colonia? - di Mustang. Sbatté più volte gli occhi, coi sensi che cominciavano a far cilecca. Ciò che si era ripromesso nell’ascensore stava già andando a farsi benedire.

- Presidente? Edward Elric è arrivato. - decretò, con la voce calda di prima. Forse un po’ più… accorata, interessata? Non trovava il termine adatto, Edward. Eppure al Liceo lo avevano sempre preso in giro chiamandolo “Vocabolario umano”… buffo.

- Ottimo. Puoi andare, Riza, grazie… - quella che sentì sulla schiena Edward fu più di una scossa elettrica. Fu un qualcosa che non seppe definire, un improvviso brivido, una sensazione di puro piacere. Quel giorno la sua fama da Vocabolario Umano stava per decadere. La voce di Roy era morbida, vellutata e troppo, troppo, troppo sensuale.

Riza annuì - Sì, Presidente. - e fece dietro-front, tornando nel mondo di prima, quello dove un semplice uomo non doveva, e non poteva, avere un tale ascendente sulle persone che lo circondavano. Ma, per l’appunto, ora si trovavano in un altro mondo.

Finalmente la poltrona si girò, mostrando il moro affascinante che vi era seduto sopra. Indossava un dolcevita bianco latte e dei pantaloni beige, tenuti fermi da una cinta marrone, come le scarpe eleganti. Un candore surreale, contornato dalla pelle chiara e spezzato dai capelli e gli occhi scuri come l’inchiostro. Roy Mustang si alzò, era alto. Molto alto. Sicuramente superava il metro e ottanta, osservò Edward. Ma questo non lo avrebbe dovuto toccare più di tanto… se fosse stato nell’altro mondo, dall’altra parte della parete di vetro.

- Piacere di conoscerti, Edward… - gli tese la mano. Il giovane scrittore rimase lì, a guardare le dita affusolate, l’orologio d’oro (gli ricordava molto quello di Jean Havoc, il fotografo) e il palmo aperto. Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, con quell’accento tipicamente Newyorkese che lui non aveva, gli aveva fatto di nuovo provare quel brivido lungo la schiena. Ma chi diavolo era, quell’uomo?
Con la mano tremante - e sperò non sudata - Edward gliela strinse, alzando gli occhi dorati e puntandoli contro i suoi. La stessa cosa dell’ultima volta: le viscere gli si attorcigliarono letteralmente. Deglutì a malapena e sbatté più volte le palpebre, acquistando solo dopo un po’ sicurezza.
Roy sorrise. Quel ragazzo lo interessava sempre più. Aveva un carattere strano, un modo di comportarsi che non era comune. Oscillava tra l’insicurezza più totale e la determinazione senza freni. Perché sì, sapeva che poteva essere molto determinato: lo aveva capito la prima volta che i loro occhi si erano incrociati. Impossibile non notare come fosse rimasto di sasso davanti a Roy, ma impossibile anche non accorgersi di come poi aveva ricambiato lo sguardo. Sciolse la mano dalla sua e tornò a sedersi sulla poltrona. - Accomodati, Edward… -.

Il biondo annuì, sussurrando un flebile - Grazie… -.
Le cose non stavano andando bene. Quello non era lui, non era l’Edward Elric impulsivo e spacca tutto che poteva sfondare. Così non sarebbe riuscito a convincere proprio nessuno. Specie l’American Dream.

Roy rimase in silenzio per un po’, ponderando le parole. Lo fissava, studiando bene le sue reazioni. Edward sembrava molto preso dai suoi pensieri.

- Allora Edward, Maes Hughes mi ha detto che sei molto preparato. Laureato con il massimo dei voti a Yale in Letteratura e Filosofia… - cominciò, provando con la strategia della lode. Edward tornò a guardarlo, mettendo dritta la schiena e accavallando la gamba destra su quella sinistra. - E mi ha detto che ti piacerebbe diventare uno scrittore - sorrise, Roy. Edward spalancò gli occhi dorati, ma non disse null’altro. Ricambiò il sorriso, con uno di circostanza.

- Sì, esatto. Ma dovremmo parlare del presente, non del futuro. Ogni cosa a suo tempo, giusto? - azzardò, sperando di riuscire a prendere il prima possibile le redini del discorso. Mustang rimase piacevolmente stupito. Ecco la determinazione che cercava in quel ragazzo. Non sarebbe stato facile conquistarlo. Molto meglio così: amava le sfide.

- Hai perfettamente ragione, Edward. Dunque voglio subito metterti al lavoro nel tuo campo! - esclamò, entusiasta e con un ghignetto forse un po’ provocatorio sul viso. - Sulla rivista scientifica, I-Science, ho fatto aprire recentemente, in contrapposizione con gli argomenti a tema scientifico trattati nel settimanale, una rubrica che commenta dal punto di vista moderno opere antiche. Una follia, vero? Beh, sembra che invece i lettori abbiano apprezzato: le vendite sono aumentato del sei per cento! - Roy si alzò, mettendo le mani in tasca. Diede le spalle a Edward, guardando giù, in strada. Adorava farlo. Lo faceva sentire così potente e importante. Più di quanto già non fosse.

- E io cosa dovrei fare, di preciso? - intervenne, poggiando le mani sulle sue ginocchia. Roy girò solo il viso, guardandolo negli occhi, con quel sorrisino che un po’ stava cominciando a infastidire Edward. Era chiaro come il sole che finalmente si stava levando in cielo silenzioso, quanto fosse ironico, quel ghigno. Ghigno sì, perché di sorriso non si poteva certamente parlare.
- Oggi è Venerdì. Domani è Sabato… - commentò, non staccando gli occhi da quelli di Edward. Il biondo si mordicchiò la lingua per non sbottare in un ‘Ma bravo! Sai i giorni della settimana!’. Alphonse, la stessa mattina, mentre si preparava per andare in facoltà, gli aveva rammentato per almeno un milione di volte che anche oggi avrebbe dovuto mettere a tacere il suo caratteraccio. Glielo aveva promesso. E non poteva deludere Alphonse facendosi licenziare ancor prima di aver cominciato a lavorare.

- E cosa succede di Sabato? - domandò Roy a Edward. In quel momento nella mente del giovane mille possibilità vorticarono, tutte scontate, tutte scontrose, tutte acide, tutte ironiche, tutte… bingo!

- Vanno in stampa i settimanali? - domandò, ma pur sempre con tono deciso. Roy sorrise, soddisfatto della risposta.
- Esattamente. Mi piace chi ragiona velocemente e con lucidità.- si girò completamente, inclinando il capo e continuando il discorso di prima. - Il Sabato vanno in stampa le riviste settimanali, per essere poi pubblicate il Lunedì mattina. Ora, io ti propongo di analizzare I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, in chiave moderna ed entro stasera. Hai superato il colloquio di Hughes, ma dovrai superare anche il mio. - decretò. Lo doveva ammettere, Roy: questa mansione non era per niente programmata. Così come la scelta dell’opera letteraria: era la prima cosa che gli era passata per la mente. Eppure aveva sortito il suo effetto: Edward era semplicemente basito.
- Mi prende in giro? Non posso farcela! - esclamò, scioccato, agitando la mano senza il guanto. Era un folle, quell’uomo! Come si poteva fare una cosa del genere in un giorno solo?! Anche con una settimana d’anticipo sarebbe stata ardua! E al diavolo tutte le raccomandazioni di Alphonse, se fosse stato necessario lo avrebbe mandato anche a quel paese!
Il sorriso di Roy scomparve. Mustang lo guardò serio, forse un po’ deluso. Si aspettava un animo più battagliero e pronto alla sfida. Ma non era detta l’ultima parola. Con quel ragazzo bastava toccare le corde giuste per ottenere le giuste risposte e le giuste reazioni…

- Lo sai quanti ragazzi della tua età vorrebbero avere questa possibilità? Ne hai la più pallida idea? Non credo. Eppure sei qui, di fronte a me, che hai quest’occasione: sfruttala! - tirò fuori dalla tasca dei pantaloni beige un orologio d’argento, da cui lesse l’orario. - Le otto e ventisette minuti, Edward. Stai perdendo tempo. Io correrei a casa a lavorare. Devi portarmi l’articolo, non più di settecento parole, entro le nove di sera. Se non ce la fai o se non sarà un eccellente elaborato, dovrai cercarti un altro impiego. Sono stato chiaro? - e terminò il tutto con un sorrisino divertito. Edward aggrottò le sopracciglia, piccato. Fu più forte di lui, ma dovette lanciargli un’occhiataccia.

- Cristallino! - sibilò e si alzò. Notò la spaventosa differenza d’altezza fra loro due, ma non ci fece caso. Non era lui troppo basso, era quell’uomo dalle richieste impossibili a essere troppo alto.

- Ottimo. Allora… a stasera, Edward. - poggiò una mano al bordo della scrivania, sorridendogli bonario.
- A stasera, Presidente. - ribatté, marcando la sua carica con tono acido e, presa la cartella, si diresse verso la porta di vetro. Uscì e sospirò pesantemente, l’aria in quella stanza sembrava così strana senza il profumo di Mustang. Si risvegliò subito e gettò un’occhiata a Riza, seduta sulla scrivania che leggeva qualcosa di veramente importante, non come Lust. La bionda alzò la testa.

- Arrivederci, Signor Elric! - lo salutò, cordialmente.

- Arrivederci, signorina -.
Edward entrò a passo svelto nell’ascensore, spingendo il tasto per il piano terra. Si appoggiò all’ascensore, sbattendoci la testa contro. Non diede peso al dolore che si provocò, ma più che altro all’impresa impossibile che lo aspettava. - Quello stronzo! - sbottò.
Attese che le porte dell’ascensore si aprissero, per uscire finalmente e scendere la lunga scalinata. Si precipitò fuori dall’edificio e, fortunatamente, un taxi stava lasciando una bellissima ragazza, probabilmente una modella, di fronte all’edificio. Appena scesa lei, vi entrò lui. Gli comunicò il suo indirizzo e una volta partiti si abbandonò poi sul sedile posteriore e chiuse gli occhi, stanco. Cominciò a riesumare tutto ciò che aveva nella sua testa su I Promessi Sposi. Sarebbe stata dura: lui odiava Manzoni.


 
                                                                                                *****
 


Le 20:55. Un fortissimo temporale si era abbattuto nel pomeriggio su New York e persisteva tuttora a inondare le strade d’acqua.
Le porte dell’ascensore si aprirono, mostrando un Edward molto più sportivo, in jeans, maglietta, felpa e i capelli leggermente umidi di pioggia. Riza era seduta nella stessa posizione perfetta di undici ore fa. Era un cyborg, forse. Il biondo si avvicinò alla sua scrivania.

- Buonasera, signorina. Sono venuto a consegnare del lavoro. Posso entrare? - Riza alzò la testa e lo guardò, leggermente confusa. Non ricordava che il Presidente avesse mai assegnato del lavoro ai nuovi impiegati già dal primo giorno. Specie a fine settimana. A che scopo se poi non lo avrebbe pubblicato? Il biondo non si accorse dello sguardo interrogatorio dell’assistente e attese risposta.

- Certo. Scusi se non l’accompagno, ma ho da terminare delle cose e… - Edward sorrise e scosse il capo.

- Nessun problema, si figuri! - si allontanò dalla scrivania e si diresse verso quella benedetta porta di vetro. Poggiò una mano sulla maniglia, bianca, e prese un profondo respiro. Varcò la soglia della porta e di nuovo gli sembrò di andare in un altro mondo. Chissà, magari per Il ponte di Terabithia si erano ispirati a Roy Mustang e alla sua parete di vetro. All’improvviso un forte tuono fece tremare i vetri e il pavimento, facendolo sussultare dallo spavento. Camminò sicuro di se stesso e del suo operato verso il semicerchio che circondava la poltrona nera. Anche stavolta Roy gli dava le spalle. 

- Presidente? - cercò di attirare la sua attenzione. Roy non fiatò, fissando la strada bagnata sotto di lui, i clacson delle macchine suonati freneticamente da automobilisti nervosi, arrabbiati, stanchi di essere ancora imbottigliati nel traffico a quell’ora della sera. 
- Presidente Mustang?! - ripeté Edward, stizzito. Odiava non ricevere attenzione. La poltrona si girò e finalmente si ritrovarono faccia a faccia. Gli occhi di Roy caddero sulla cartella di Edward.

- L’hai portato? - chiese, apatico. Edward annuì e tirò fuori una busta gialla che poggiò sulla scrivania.

- E’ qui. Seicentonovantotto parole di analisi in chiave moderna de I Promessi Sposi. Ciò che voleva, no? - la soddisfazione nello sguardo e nella voce del biondo era così palese da far innervosire Roy. Il moro si alzò e annuì, andando a prendere la giacca appoggiata sulla testa di un mezzo busto in gesso che si trovava lì vicino. Assomigliava molto a Mustang, quel mezzo busto.

- Puoi andare. - s’infilò la giacca e poi la sciarpa, beige come i pantaloni. Perché era così strano?

- Ma… non lo legge?! - domandò, di nuovo arrabbiato. Roy sospirò e si girò a guardarlo annoiato.

- No. - rispose, lapidario. Edward strinse forte i pugni.

- Ma come sarebbe?! Ha detto che se non fosse stato un eccellente elaborato mi avrebbe licenziato! E non ha ancora deciso la mia mansione, fra parentesi! - sbottò. Mustang continuò a guardarlo, poi sorrise leggermente.

- Andrà in stampa così com’è, Edward. Se andrà male e i lettori non apprezzeranno, sarai licenziato. Tuttavia sapremo come sono andate le vendite solo Lunedì sera e qualcosa dovrai pur farla Lunedì mattina, hai ragione… - il sorriso si trasformò in un ghigno. - Al quinto piano hanno bisogno di una mano per l’inventario degli abiti usati nella sfilata fatta la settimana scorsa. Chiedi di una certa… Sheska, credo si chiami. E’ la responsabile. Lei saprà dirti cosa fare. Buona serata, Edward. - gli diede le spalle e, mani in tasca, se ne andò. 
Il biondo rimase lì imbambolato ancora per qualche minuto. Aveva sputato il sangue sopra quel dannato articolo e Mustang non lo aveva nemmeno guardato! Che uomo menefreghista! Solo perché tutti abbassavano la testa davanti alla sua onnipotenza, non significava che doveva trattare così il lavoro altrui! No, non poteva mandare in stampa il suo lavoro, lasciarlo nelle mani di quello stronzo. Fece per riprendere la busta ma all’improvviso i volti di suo fratello, di suo padre che lo chiamava fallito, di sua madre che sperava tanto di vederlo realizzato gli tornarono in mente. Se non fosse riuscito ad avere questo lavoro, se si fosse fatto “nemico” Roy Mustang, la sua carriera sarebbe stata chiusa ancor prima di iniziare. Lasciò lì la busta gialla e nervosamente se ne andò dall’ufficio. Non salutò Riza, che stava prendendo le sue cose per tornare a casa, ma si fiondò nell’ascensore, spingendo arrabbiato il pulsante del piano terra. Aveva una rabbia addosso che rasentava l’incredibile! Doveva calmarsi però. Chiuse gli occhi e appoggiò la schiena alla parete dell’ascensore. Nella mente gli tornò la canzoncina di stamattina: Fuck you, fuck you, fuck you very very much! Sorrise e sollevò le palpebre quando le porte si aprirono. Più rilassato e con quel motivetto nella mente se ne andò dal Mustang’s Building.


   
 
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