Fuori
la porta c'è Lui e io sono in mutande –
7 gennaio
Tump.
Tump-tump.
Domanda
delle domande: cos’è questo tonfo fastidioso? E dove sono?
Mi
sveglio malamente, stropicciandomi le palpebre con le mani, e mi guardo intorno.
Sono nel mio appartamento, messo a soqquadro da quella banda di vandali dei miei
amici, e mi ritrovo praticamente nuda – se non per delle mutande per niente sexy
– e coricata a terra, su una coperta di fortuna.
Guardo
in modo catatonico la porta. Tump-tump.
L’essere che ha osato svegliarmi non si
arrende. Spero che abbia una buona scusa, se no rischia una vasectomia, rapida e
molto dolorosa.
Mi
alzo e barcollo verso la porta, urlando: «Sìììì, chi è?». Osservo le mutande e
cerco qualcosa da mettermi sopra, per poter così aprire al misterioso
bussatore.
C’è
una maglietta enorme dei Clash buttata sul divano... oppure, sul tavolo, c’è il
pigiama dei Flinstones che spicca con i suoi colori accesi. Mah, quasi
quasi...
«Oh!,
ci sei», risponde lui.
Ed
è un colpo al cuore.
Che
cazz... riconoscerei questa voce tra mille. Quell’inflessione bambinesca, così
adorabile, e poi quell’accento
inconfondibile... c’è Lui dietro la mia porta, il ragazzo di cui sussurro il
nome la sera, prima di addormentarmi.
Porca
paletta, sto in mutande!
«Scusa
se ti disturbo, ma, emh, sai che il 15 c’è l’esame di Letteratura Italiana e,
beh, ecco... avrei bisogno dei tuoi appunti. Ho chiesto a Lapo, il tuo amico,
l’indirizzo di casa, visto che non ti sei fatta vedere in facoltà», borbotta
lui.
Ahhhhh.
Scroccone.
Ma
che me frega, adesso che sto in mutande! Sto iniziando pure a parlare in romano,
vuol dire che ho qualche problema serio da risolvere. Esatto, la mia
vestizione.
«Certo,
certo, capisco», gli rispondo, sempre non aprendo la porta. Lo immagino lì, ad
aspettare con lo sguardo incerto e un’espressione di aspettativa sul volto. Lo
sbircio attraverso l’occhiolino della porta ed è proprio come me lo sono
figurato.
«E
quindi?», mi chiede, infine.
«Ah,
giusto, sì, un istante eh, che sto in mutande...», le parole magiche. Osservo,
non vista, il suo sorrisetto a quella frase.
Merda,
che scema.
Mi
guardo nuovamente intorno... maglietta enorme e sformata dei Clash, no; pigiama
dei Flinstones, NO, per la miseria; mi ci vorrebbe quel bel vestitino anni 60’
che ho preso nel negozio inglese, ma chissà dove l’ho messo.
«Ti
aspetto, non preoccuparti», mi dice lui qualche secondo
dopo.
Eh,
tante grazie, vuoi i miei appunti. Ma no, ma no, devo essere dolce e fare bel
viso e cattivo gioco, se no non potrò conquistarlo mai. Cosa non si farebbe per
un uomo.
Vago
cogitabonda per la stanza, alla ricerca dell’abito perduto – qualcosa di
perfetto, per lui, qualcosa di unico e delizioso... eddai.
Ma
niente da fare, l’unica cosa più decente che recupero è un pantalone grigio
topo, che infilo in fretta e in furia, e mi trovo costretta a ripiegare sulla
maglietta dei Clash. Beh, se ascolta buona musica
apprezzerà.
Apro
la porta, tutta contenta di vederlo, e lui mi fissa
stralunato.
«Che
c’è?», domando con un soffio, certa del mio errore. Di quale, solo un essere
superiore ne è a conoscenza.
Mi
indica la fronte, senza proferire parola.
Fronte...
ieri sera, cosa ho fatto ieri sera? Festa, amici, birra, vodka, un vetro
spaccato, taglio sulla mia candida e sacrosanta pelle del
volto...
«I
cerotti di Harry Potteeeeeeeeeeeeeeer!», urlo di botto, con atroce
consapevolezza.
L’unica
sua risposta è una risata.
N/A
doverose:
Molte
cose citate sono mie (i vestiti, il modo di pensare, i cerotti XD), per quanto
riguarda il finale... beh, lei aveva un enorme cerotto di Harry Potter sulla
fronte (un’universitaria con tali oscenità sul proprio capo! XD), dopo aver
provato a fare bella figura con Lui... e quei cerotti esistono davvero, io li
avevo qualche anno fa ò_ò ed erano davvero grandissimi.
Ad
ogni modo, la fic partecipa all’iniziativa “A year together” del CoS.
Bye,
Kò