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Autore: Opal636    10/01/2010    0 recensioni
Dopo aver indagato sul caso che coinvolgeva Padre Joe, Mulder e Scully hanno fatto ritorno a Washington, con l'intento di tornare a vivere una vita serena. Ma una tragedia annunciata si insinua sul loro cammino e turba una tranquilla vita di coppia, portandoli a combattere ancora, fianco a fianco, per la sopravvivenza.
Genere: Azione, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder, John Doggett, Monica Reyes, Walter S. Skinner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Non arrenderti

 

Le mura bianche e anonime della corsia le scorrevano in fianco velocemente, sfuocate, senza contorni definiti.

I piedi, alloggiati in comode ciabatte bianche, percorrevano rapidamente il corridoio, un passo angosciato dopo l’altro.

L’aria, impregnata dell’acre odore di disinfettante, le schiaffeggiava le guance e le faceva lacrimare gli occhi, sbarrati e fissi, concentrati su immagini ben lontane da ciò che era la realtà.

La spalla urtò contro un’altra spalla.

“Attenta!”. Una voce di donna, seccata, le arrivò alle orecchie, ma lei non la sentì.

Con mano tremante estrasse dalla tasca del camice una piccola chiave argentata, aprì una porta di legno ed entrò nel suo studio, chiudendosela dietro le spalle con un doppio giro di mandata.

Avanzò verso la scrivania, con passo malfermo, e appoggiò pesantemente i palmi delle mani sulla superficie in compensato scuro, lasciando che la testa le crollasse tra le spalle, e chiuse gli occhi.

I battiti del suo cuore erano accelerati, riusciva quasi a percepire il suono del loro pulsare frenetico tra le mura silenziose della stanza. I respiri corti che tossiva tra le labbra, le sollevavano le spalle e le facevano avvertire brividi ghiacciati lungo la schiena.

Il momento era arrivato.

Sputando una mezza imprecazione tra i denti, si impose di calmare l’attacco di panico che minacciava di travolgerla. Inspirò profondamente un paio di volte e si costrinse a rilassare i muscoli contratti.

Il peso delle paure che le invadevano l’animo consumavano tutte le sue energie e lei si accasciò pesantemente sulla sedia imbottita, tuffando il viso tra le mani.

I pensieri si rincorrevano frenetici nella sua mente. Non riusciva a ragionare lucidamente.

Un terrore sordo, violento, insostenibile, le pervadeva le membra.

Un terrore che reclamava la sua attenzione.

Inevitabile. Come la morte.

Un leggero velo di sudore gelido le imperava la fronte, ma la pelle scottava, come avesse la febbre.

Eppure lo sapeva… l’aveva sempre saputo… ma questo non le impediva di essere terrorizzata.

Un fastidioso tremore le scuoteva il corpo accasciato, un tremore che non le dava tregua, che non la lasciava sola.

I rumori tipici di un reparto ospedaliero le arrivavano ovattati, qualcuno cercò di aprire la porta, bussò, ma lei non accennò a muoversi. Non percepiva lo scorrere del tempo e non le importava. Nuotava consapevolmente tra le acque di una paura nera, densa, melmosa, che non lascia respirare, che non lascia pensare… che non lascia sperare.

Un conto era sapere, tutt’altra faccenda era arrivare faccia a faccia con le proprie paure.

Il suono improvviso del suo telefono interno la fece sobbalzare, e il suo cuore ricominciò a battere furiosamente.

Con uno sforzo di volontà, si allungò ad afferrare la cornetta.

“Scully” disse nel microfono, senza inflessioni nella voce stanca.

“Sono io” rispose una voce profonda, una voce che lei conosceva bene.

Ascoltandola qualcosa si ruppe dentro di lei, e si ritrovò a piangere senza emettere nessun suono. Le lacrime caddero dalle sue palpebre socchiuse e atterrarono violentemente sulla scrivania, rompendosi in mille minuscole goccioline salate.

“Scully? Ci sei?” chiese, con un velo di preoccupazione, la voce di Mulder all’altro capo del telefono. “Come mai non rispondevi sul cellulare?”.

Scully, per un riflesso incondizionato, si frugò in tasca, cercando il suo telefono portatile, ma poi si ricordò di averlo lasciato nell’ufficio del Dr. Bruyster, quando l’aveva chiamata per quel consulto.

Quel consulto…

Le sue dita incontrarono, però, un piccolo contenitore di plastica.

“L’ho… “ Scully si schiarì la voce, che le era uscita roca e debole. Una mano asciugò le guance rigate di lacrime. “L’ho dimenticato da qualche parte”.

Mulder tacque per qualche istante e Scully non tentò nemmeno di avviare una conversazione. Non gli chiese nemmeno perché l’aveva cercata.

“Scully… cos’è successo?” chiese infine Mulder, nel tono delle parole si notava una nota impaziente, quasi aggressiva.

“Non per telefono” si sforzò di rispondere. Nella sua voce un’eco lugubre accompagnò le semplici parole, trasformandole in qualcosa di terribilmente spaventoso.

Il respiro leggermente accelerato di Mulder arrivò all’orecchio di Scully attraverso il fastidioso crepitio della cornetta.

Aveva capito, lo sentiva.

“Sono appena uscito dall’editore, arrivo in ospedale, da te, tra dieci minuti”. E chiuse la comunicazione.

Scully rimase ad ascoltare il rumore ipnotico della linea caduta, come in trance.

 

Mulder bussò alla porta dello studio di Scully, situato nell’ala est del reparto di chirurgia dell’ospedale Saint Morgan di Washington.

Ascoltò il rumore metallico della chiave che girava nella toppa.

L’ansia che l’aveva accompagnato fin lì, aumentò d’intensità.

Sapeva cosa stava per essergli rivelato, lo sapeva nell’animo, lo sapeva nel cuore, ma la mente aveva la necessità di sentirlo pronunciare dalle labbra di Scully.

Solo allora sarebbe diventato reale, solo allora ogni più remota speranza sarebbe crollata.

Scully aprì la porta lentamente, guardandosi attorno agitata, come se temesse di essere seguita.

Mulder rimase scioccato nel vedere il suo viso.

Gli occhi erano arrossati e contornati da profonde occhiaie, le guance erano chiazzate da macchie rosse e le labbra erano strette in una linea diritta. I capelli apparivano spenti, privi di vitalità e le mani tremavano leggermente.

Ma la sua espressione lo spaventò più di ogni altra cosa. Portava scritto in viso, a chiare lettere, che era terrorizzata.

Non era la prima volta che Scully vedeva qualcosa di sconvolgente, non era la prima volta che lui si trovava faccia a faccia con quell’espressione smarrita e spaventata.

In tanti anni di lavoro assieme come agenti dell’FBI avevano potuto rendersi conto sulla propria pelle di come il mondo e la psiche umana siano profondi pozzi neri e bui, che nascondono perversioni inimmaginabili e pazzie senza fine. Portavano ancora nell’animo le ferite inferte dalle storie con cui si erano scontrati durante le indagini sui loro casi. I visi delle persone morte, i visi delle persone vive che avevano perso qualcuno, i visi degli assassini, degli stupratori, dei pedofili, erano stampati indelebilmente nelle loro menti, come marchi a fuoco.

Eppure, la paura che deformava i tratti del viso di Scully gli ghermì lo stomaco, facendogli provare una sgradevole sensazione di nausea. Si sentì immediatamente pervadere dal terrore e seppe con certezza che, ora, anche il suo viso portava la stessa maschera d’orrore.

Entrò a passo svelto nello studio, osservando le mani tremanti di Scully chiudere nuovamente a chiave.

Senza riflettere, si accostò a lei e la prese tra le braccia, stringendola forte a sé. Il suo cappotto era aperto e poté sentire, attraverso la stoffa del maglione, lo stetoscopio che Scully portava al collo. Il suo seno, premuto contro il suo petto, si alzava ed abbassava velocemente.

Scully tenne le braccia immobili lungo i fianchi per un po’, poi le alzò e gli circondò la schiena, aggrappandosi al suo maglione con le unghie, forte, come se avesse paura di vederlo svanire da un istante all’altro.

Mulder appoggiò per un attimo la guancia contro i suoi capelli ramati, ispirando il loro profumo, poi le posò le mani sui fianchi e la spinse verso la sedia. Si inginocchiò di fronte a lei e le posò le mani sulle ginocchia, accarezzandogliele con leggeri movimenti ritmici. Alzò lo sguardo sul viso di lei e attese.

Scully fissò quegli occhi profondi, di una strana sfumatura verde/grigia e nella sua testa cominciarono a scorrere involontarie immagini. Il suo corpo fu pervaso da un turbine di emozioni.

Lo scenario futuro che le permeava i pensieri era buio, freddo e angosciante.

Non avrebbe sopportato di perderlo. Non avrebbe sopportato di non vedere più i suoi occhi attenti, le sue labbra piene, il naso prominente, gli zigomi scolpiti. Il cuore non avrebbe retto se non fosse più stata in grado di ascoltare la sua profonda voce, di percepire il calore del suo corpo, il profumo della sua pelle.

C’era molto di più in gioco, ne era consapevole, ma in quel momento era l’egoismo ad avere la meglio.

L’idea che il loro tempo fosse esaurito la terrorizzava più di ogni altra cosa.

Nella mente le immagini di loro due si susseguivano in un crescendo di nostalgia, tenerezza e amore. I baci, le carezze, i momenti d’intimità, le discussioni, le risate… stava per finire tutto. Il tempo era esaurito. E lei non riusciva ad accettarlo.

Gli occhi di Mulder, fissi nei suoi, chiedevano più di quanto avrebbero potuto fare le parole. Scully prese un profondo respiro e si impose di restare calma.

“Hai sentito dell’incidente ferroviario avvenuto questa mattina presto?” gli chiese, sforzandosi di rendere la sua voce chiara e sicura.

Mulder annuì. “Si, ho sentito qualcosa al telegiornale prima di uscire. Nessun sopravvissuto, vero?”.

Scully scosse la testa. “No. I due convogli che sono entrati in collisione si sono incendiati e nessuno è riuscito a scampare alle fiamme. Una strage. Si calcolano circa 250 vittime. Fortunatamente, sembra non ci fosse nessun bambino”.

Scully abbassò il viso, osservando le mani di Mulder tracciare linee immaginarie sulle sue cosce, fasciate da un paio di pantaloni bianchi di lino.

“Le ambulanze sono corse subito sul posto” proseguì “ma inutilmente. Però…”. Scully si interruppe e prese un altro profondo respiro.

Mulder attese pazientemente che lei riprendesse a parlare.

“Però” continuò dopo un po’ “sono riusciti ad estrarre dalle macerie due corpi non completamente carbonizzati”.

Scully alzò il viso verso Mulder.

“Era palese che per loro non c’era nulla da fare, ma, ai medici accorsi sul posto, i due corpi apparvero… strani” e mimò con le dita le virgolette “Decisero di portarli qui per sottoporli ad  un’autopsia”.

Le mani di Mulder continuarono ad accarezzare le gambe di Scully, ma la sua fronte si corrugò leggermente, accentuando le piccole rughe che la sormontavano. Una lenta litania prese a trapanargli il cervello: lo sapevi lo sapevi lo sapevi lo sapevi…

“Il dott. Bruyster -il patologo, l’hai conosciuto- sapendo che, seppur non pratico più, sono stata anch’io patologo” spiegò Scully “è venuto a chiamarmi per un consulto”.

Cercò gli occhi di Mulder e si perse per un attimo nella loro intensità, ricavandone la forza per arrivare alla parte più difficile del racconto, quella che li avrebbe catapultati in un incubo dal quale non era possibile svegliarsi.

E al quale, teoricamente, dovevano essere preparati.

Una mano di Mulder si sollevò ad accarezzarle una guancia, incoraggiandola.

“Mulder… sono andata a vedere i corpi e… presentavano le stesse caratteristiche che avevo riscontrato sul cadavere trovato in quegli uffici federali di Dallas… 14 anni fa. Ci siamo…” aggiunse infine, gli occhi incollati ai suoi.

Si, c’erano arrivati.

Alla fine quello che temevano era accaduto. Quello che sapevano era accaduto

La sua mano smise di carezzarle il ginocchio.

“Questi corpi” proseguì Scully, con lo sguardo puntato verso il soffitto, ma perso in chissà quali pensieri “erano comunque quasi completamente ustionati, ma il loro ventre… il ventre era… era una voragine. Una voragine che non può essere stata causata dal fuoco…”. Le parole si affievolirono sino a divenire un sussurro indistinto.

Per qualche minuto regnò il silenzio.

Le gambe di Mulder iniziarono a lanciare mute grida di avvertimento. Ormai aveva 51 anni, il suo fisico, seppur sempre scolpito e in forma, non riusciva più a sopportare certe posizioni per lungo tempo, o certi scatti di agilità che ancora lui si ostinava a compiere. Ma Mulder non vi fece caso.

La sua concentrazione era completamente indirizzata verso le informazioni che Scully gli aveva appena dato, arrivando alla conclusione che lei aveva già raggiunto poco prima.

Chi voleva ingannare? Aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato…

Avevano vissuti gli ultimi anni nella consapevolezza della loro imminente sorte, spendendo le loro giornate con l’estenuante pensiero fisso che il mondo aveva i giorni contati.

E avevano lottato. E ora era il momento della verità.

Presto avrebbero saputo se i loro sforzi erano stati vani, o se la loro determinazione, la loro caparbietà li avrebbe condotti a dei risultati.

Un incidente ferroviario… 250 persone carbonizzate…

Si trovavano nuovamente di fronte ad una copertura, come era già successo nel 1998, quando era stato fatto saltare un edificio federale per nascondere la vera causa della morte di tre persone.

Ma questa volta le persone erano molte di più…

La colonizzazione era iniziata.

Con una smorfia di dolore, causata da una fitta alle articolazioni atrofizzate delle gambe, Mulder si tirò in piedi e guardò verso la parete, dove un calendario faceva bella mostra di sé.

Era un mercoledì, era il 7 novembre 2012.

Mulder rimase a fissare quella data per alcuni minuti, incapace di proferire parola.

Mancava poco più di un mese al 22 dicembre. La data designata per la grande invasione aliena.

La definitiva invasione aliena.

La sua mente iniziò a vagliare svariate ipotesi. Probabilmente la colonizzazione stava iniziando in anticipo, in modo che, alla data del 22 dicembre, gli alieni avrebbero trovato già il campo coltivato dove far crescere le loro radici velenose.

Probabilmente ci sarebbe stato un crescendo di incidenti, un crescendo di incendi e di persone carbonizzate, fino ad arrivare all’attacco finale. Forse la loro idea era di creare, comunque, un effetto sorpresa, in modo che la loro venuta fosse ancora più terrificante…

Ma erano solamente teorie, pensieri senza prove. Solo il tempo avrebbe detto se aveva ragione o meno.

E il tempo scarseggiava.

Poco più di un mese.

Non era nulla.

Le sue elucubrazioni furono interrotte da un bussare alla porta.

Scully si alzò dalla sedia, stancamente, come se non trovasse la forza di reggersi sulle gambe.

Quando aprì la porta, il volto rubicondo del Dr. Bruyster sorrise gentile. Era un uomo di media statura, sulla sessantina. Aveva radi capelli grigi e occhi neri, ironici e attenti. Era una persona estremamente cortese e affabile.

“Dana” esordì “Sono venuto a restituirti il cellulare. Prima non ti ho trovata”.

Scully si impose di rispondere al suo sorriso cordiale, e lo ringraziò, aggiungendo che non avrebbe dovuto disturbarsi.

“Nessun disturbo, mia cara” rise il medico. “A proposito… sai i due corpi che ti ho mostrato prima?”.

Scully annuì, seria. “Perdonami se sono corsa via in quel modo… è che…” ma il Dr. Bruyster alzò una mano, facendole segno di tacere.

“Non preoccuparti. Volevo solo dirti che sono appena passati due militari a prenderli. Sembravano avere molta fretta…” aggiunse, sfregandosi il mento, con aria pensierosa.

Mulder si voltò verso la porta, dove incrociò lo sguardo di Scully per una frazione di secondo.

“Buongiorno Dr. Bruyster” salutò Mulder.

Il medico si voltò verso di lui con aria stupita.

“Oh! Buongiorno Fox! Mi perdoni, non l’avevo vista” disse con un sorriso.

Mulder gli sorrise, comprensivo.

“Mi può dire che aspetto avevano i due militari che hanno prelevato i corpi?” chiese infine al patologo.

Il Dr. Bruyster ci pensò un attimo.

“Uno non l’ho visto bene in viso, perché era rivolto verso il furgone con cui sono arrivati, ma le posso dire che era di piccola statura e apparentemente molto magro, i capelli piuttosto radi. L’altro, invece era un uomo alto e smilzo, capelli scuri e l’aria da ragazzino. Sembrava avere poco più di 30 anni”.

Si sfregò nuovamente il mento, guardando fisso davanti a sé, poi scosse leggermente la testa. “Non ricordo altri dettagli, mi spiace”. Poi alzò il viso verso Mulder e Scully “Lo conoscete?” chiese, alludendo al fatto che sapeva che entrambi avevano prestato servizio presso l’FBI.

Mulder lo osservò un attimo, con espressione seria, poi gli sorrise. “No, non mi sembra”.

Il Dr. Bruyster fece spallucce, sorridendo, poi si congedò.

Non appena Scully ebbe accostato la porta, senza chiuderla a chiave stavolta, si fissarono negli occhi, poi le loro labbra pronunciarono un nome, all’unisono.

“Billy Miles”.

Scully abbassò il capo, contemplandosi le scarpe, mentre cercava di frenare i pensieri frenetici nella sua testa.

“Si è spacciato per un militare...” disse dopo un po’.

Mulder rimase in silenzio, poi batté il palmo della mano sulla scrivania, costringendo Scully ad alzare il capo.

“E’ inutile che stiamo qui a piangerci addosso. Non c’è tempo da perdere! Scully…” si avvicinò a lei e le prese le mani tra le sue, stringendole forte. “Sai che cosa devi fare”.

La fissò intensamente per qualche istante, leggendo negli occhi della compagna l’indecisione, il pessimismo, la paura di non farcela.

Le scosse le mani, provando a trasmetterle con lo sguardo la forza che stava cercando di trovare dentro di sé.

“Scully… non dobbiamo… non possiamo arrenderci ora! Ci siamo preparati per anni per questo… purtroppo ci siamo. Non mollare ora!”.

Lei lo guardò, poi, inaspettatamente, sorrise.

Mulder la fissò, leggermente costernato di fronte a quel sorriso che appariva così fuori luogo.

“Non mi devo arrendere, giusto?” disse lei, una nota divertita nella voce.

Mulder allora comprese e le sorrise di rimando, complice.

“Esattamente!”.

Scully, allora, si frugò in tasca ed estrasse il piccolo cilindro di plastica, contenente il frammento osseo di uno dei cadaveri, e si diresse alla porta.

 

 

4 ANNI PRIMA

“Mulder…”.

Mulder alzò la testa dallo scatolone che stava imballando con del nastro adesivo e osservò la sagoma di Scully che si stagliava contro la finestra.

“Ho preso una decisione” disse senza voltarsi a guardarlo “E spero che tu vorrai restare al mio fianco in questa… battaglia”.

Mulder si tirò in piedi e andò verso di lei.

“Quando Padre Joe mi ha detto che non mi dovevo arrendere…” alzò lo sguardo su di lui “…c’ho riflettuto molto, Mulder. Io non penso si riferisse solo al mio lavoro, o a Christian, io penso si riferisse a qualcosa di più…” fece un gesto ampio con le braccia, come volesse abbracciare l’aria intorno a sé “… di più grande, di più… vasto”.

Mulder le fissò gli occhi, notando in essi quel luccichio che gli permetteva di capire quando era determinata a raggiungere un traguardo.

Lei tornò a guardare verso l’esterno, dove un uccellino stava zampettando tranquillamente sopra il cofano dell’auto.

“Da quando viviamo qui abbiamo sempre vissuto alla giornata, prendendo quello che la vita ci offriva senza porci domande, senza chiedere altro, senza interrogarci sul futuro…” si voltò verso di lui e gli accarezzò una guancia con la mano “… o almeno, senza parlarne”.

Mulder si appoggiò al calore della sua mano, senza abbandonare il blu degli occhi di Scully.

“Dove vuoi arrivare?” le chiese, un tono di voce pacato.

“So che non hai mai smesso di pensare a quello che ci aspetta tra poco più di quattro anni, come non ho smesso io. Penso sia arrivato il momento di affrontare la realtà. Di prendere delle decisioni, di lottare”. Pronunciò le ultime parole con controllato fervore.

Si guardarono negli occhi a lungo. Poi Mulder sorrise, portando una mano a coprire quella di Scully, ancora poggiata sulla sua guancia.

“Cosa suggerisce la dottoressa?”.

Scully abbozzò un sorriso. Poi ammiccò.

“Qualche idea ce l’ho… ma ho bisogno di sostegno”.

“Sono qui per questo…”. Le prese il volto fra le mani e la baciò dolcemente.

“Ci riusciremo… insieme” le sussurrò sulle labbra.

 

  
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