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Autore: Mikaeru    10/01/2010    4 recensioni
[PG-13 per, tipo, boh, seghe mentali di Edward sul sesso col fratello. :D]
Avevano iniziato a baciarsi da tempo. Due mesi, due settimane, due giorni.
“Due ore!”, aggiunse esclamando Edward; era tutto iniziato quando il tradizionale saluto prima di dormire non era sufficiente, come aveva protestato Alphonse. “Nii-san, non siamo due estranei, salutiamoci un po’ più affettuosamente…”
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevano iniziato a baciarsi da tempo. Due mesi, due settimane, due giorni.

“Due ore!”, aggiunse esclamando Edward, fissando l’orologio in salotto, il grosso quadrante sopra un pendolo di ottone anticato, piccole macchie nere qua e là.

Avevano iniziato a baciarsi, ricordò con la guancia sul tavolo di legno freddo – non avrebbe mai dovuto essere freddo quel tavolaccio, pensava spesso, aveva un colore troppo caldo per esserlo, era un tavolo ingannatore –, era tutto iniziato quando il tradizionale saluto prima di dormire non era sufficiente, come aveva protestato Alphonse. Al che aveva delle dita lunghissime e delicate – proprio da femminuccia, gli diceva sempre il fratello che aveva le dita ben consumate dalle battaglie, altroché quel moccioso –, Al che era tutto morbido come un bambino, come un cucciolo, Al ch’era testardo esattamente come quel suo fratello permaloso e scemo che lo guardava col sopracciglio alzato dopo un “Nii-san, non siamo due estranei, salutiamoci un po’ più affettuosamente…” in cui la voce era scivolata sull’ultima parola, e così finendo gli aveva afferrato il colletto del pigiama e lo aveva baciato, solo a stampo, ma era un bacio serio. Non aveva neppure minimamente calcolato che Ed lo avrebbe potuto prendere a bestemmie e sberle: Al era quello più intelligente, lo sapeva benissimo che non sarebbe stato rifiutato manco per mezzo secondo. Lo aveva preso per il colletto, i loro nasi si erano toccati e le fronti scontrate: un principio di bernoccolo di un rosso brillante e le loro labbra attaccate, le bocche di due fratelli assolutamente imbranati e un assaggiarsi così ingenuo da fare una tenerezza assurda, tanti rumori e tanti schiocchi come se le labbra si incollassero ogni volta, due fratelli che si sorprendevano nello scoprire come fossero buoni i loro sapori che si mischiavano – prendevano entrambi il latte caldo prima di dormire, strascichi di infanzia riscoperti di recente, Al col cioccolato e l’altro col miele, e nello stesso momento avevan deciso, quando avevano smesso di baciarsi davvero, che la sera dopo avrebbero preso il latte super dolce, col miele e il cioccolato mischiati (scoprendo poi, dopo due sere, ch’era meglio limitarsi ai baci dolci, che il latte così era stomachevole). “Buonanotte”, si erano detti in coro, mettendosi sotto le coperte: eppure dopo un minuto s erano cercati nello stesso momento, in ginocchio sul tappeto tra i due letti (“Siamo due maschi e troppo grandi per dormire insieme.”, aveva spudoratamente mentito Edward per nascondersi, come a voler fare il figo, ignorando il broncio del fratellino che aveva risposto con un sonoro “Bah.” secco, che aveva posto fine alla conversazione, e Edward era andato a pagare il materasso con quasi un moto di vergogna), le mani sui fianchi dell’altro, ancora rumori e schiocchi ma meno frequenti, le dita di entrambi che poi andavano dalla linea della vita al collo, al viso, alle spalle – Alphonse ha preso dalla mamma davvero, ha le ossa più piccole delle mie, aveva pensato Edward dal sapore oramai inesistente tanto affamato lo stava mangiando Al. Ogni tanto dovevano fermarsi perché non riuscivano a respirare, ripensò l’alchimista ridacchiando, perché erano talmente presi da dimenticarlo e ritrovarsi senz’aria a metà di un bacio e doverlo lasciare lì, mezzo disperso, e poi riacchiapparlo con un gusto diverso. Si erano addormentati l’uno tra le braccia dell’altro sul tappeto, le mani intrecciate e i cuori vicinissimi che battevano all’unisono.

Edward mise a bollire il latte: il fratello era andato in città a cercare lavoro, partendo al mattino presto quando Ed ancora non riusciva a ricordarsi il proprio nome, e alle undici di sera ancora non si faceva vedere. Avrebbe avuto un posto facile nell’esercito ma lui, al contrario del suo niisan che ancora trovava la forza, non voleva assolutamente avere nulla a che fare con l’alchimia, non dopo tutto quel che essa aveva provocato, non dopo tutto il sangue di cui gli incubi gli riportavano l’odore alle narici. Mise il pentolino sul fornello e tenne il fuoco molto basso, così che si scaldasse poco a poco. Si annoiava terribilmente senza Al: nessuno da prendere in giro, nessuno a cui far notare come il non lavorare lo stesse arrotondando, nessuno che lo sgridasse per le briciole lasciate sul tappeto in camera, nessuno che lo acchiappasse da dietro per i fianchi e gli mordicchiasse l’orecchio e poi si eclissasse nel nulla. Edward rabbrividì al ricordo – fremette forse è più corretto: per quanto avesse gli occhi grandi, le ossa piccole, la pancia liscia come un bambino, era tutto fuorché un ingenuo. Sapeva perfettamente “cogliere l’attimo”: solo il diavolo sapeva come conoscesse sempre il momento esatto in cui meglio coglierlo e farlo rabbrividire di segreta gioia, l’esatto frangente in cui spuntare e baciarlo, offrirgli un biscotto dalle labbra e poi rubargli le briciole dall’angolo della bocca con la lingua e le labbra, guardarlo con quegli occhi troppo grandi e fare il languido e poi fregarlo ed entrare in bagno per primo.

Edward aveva cominciato a notare con fin troppo interesse quanto dolce  fosse il corpo del suo adorato fratello: la curva morbida del collo quando piegava la testa e quella dell’osso che sfumava nei capelli, le linee lievemente spezzate dei fianchi, come se il suo corpo ancora oscillasse tra l’infanzia e il diventar grande, le braccia lunghissime, le ciglia foltissime e chiarissime, erano così tante che avrebbero potuto reggere un paio di gocce d’acqua, come nei film. Non avrebbe mai creduto, tra le altre cose, che sarebbe stato così affettuoso, e che tutti quei particolari li avrebbe avuti appiccicati a sé in continuazione, come un implicito “guardami!”: trovava ogni pretesto per salirgli a cavalcioni, per buttargli le braccia al collo. Ed ne era sicuro, quel piccolo demonio non era inconsapevole di quel che faceva.

Per quanto i ticchettii dell’orologio fossero quasi muti, Ed li sentiva come boati, c’era davvero troppo silenzio. Il borbottio del latte che cominciava a bollire, l’incresparsi e rompersi all’aria delle bollicine sulla superficie, lo irritò da matti, perché solitamente quel rumore veniva coperto dal continuo chiacchiericcio di Alphonse, oppure dai loro baci, dal respiro leggermente affannoso, dal fruscio (“Tremendamente eccitante, cazzo!”) dei vestiti che sfregavano fra loro, e il sentire distintamente quel *blobloblob* era rimarcare che lui non c’era, e in un qualche modo era tremendamente fastidioso. Chissà dove diavolo era, la città era grandissima, poteva averlo inghiottito. Chissà chi se lo stava godendo, sbuffò buttandosi all’indietro sulla sedia e mettendosi a fissare il soffitto, chissà a chi stava rivolgendo parole cortesi e quel suo sorriso bellissimo, chissà si stava girando e rigirando con quella sua parlantina intelligente che sapeva benissimo dove andare a parare e cosa voleva ottenere. Chissà a chi stava facendo gli occhi dolci senza neppure accorgersene  - ed era lì che risiedeva ancora di più l’amore di Edward, in quei residui d’innocenza (che neppure si rendeva conto di possedere, spersi e ritrovati chissà come in quel casino di so benissimo come farti cadere ai miei piedi, ingenuo di un niisan innamorato fin troppo) che spuntavano a caso mentre parlavano, mentre gli carezzava i capelli, quel suo guardarlo come se fosse l’unico ragazzo del mondo – quel suo fissarlo, appunto, come se fosse solo il suo ragazzo, e che se ne fotteva del legame di sangue e al contempo lo rinforzava, perché essere il suo ragazzo e il suo adorato fratellone era il punto saldo, la potenza indissolubile del loro legame, perché era famiglia e fidanzato, riusciva ad essere il primo assoluto in ogni cosa.

Dondolò sulla sedia nonostante sapesse bene che non era una sedia a dondolo e che avrebbe potuto lasciarlo col sedere a terra da un momento all’altro. Se ci fosse stato Al lo avrebbe sgridato, oppure gli si sarebbe buttato addosso perché cadesse davvero e potergli dire “Visto, te l’avevo detto!”. Ripensò alla sensazione di caldo assurdo che aveva ogni volta che le cosce di Alphonse sfioravano le sue e, no, non era solo perché era estate. Ripensò alla canottiera bianca e i pantaloncini neri, pensò alle gambe e la goccia di sudore che dal bacino scendeva lungo la pelle e precipitava a terra, pensò al desiderio assurdo di fare il percorso contrario con la lingua, pensò a quel confine che, cazzo, sembrava più alto e insormontabile di tutte le più alte e insormontabili montagne messe assieme, pensò Porca puttana che odio.

C’era una linea sottile, sottilissima, quasi un filo trasparente che ancora non riuscivano ancora ad oltrepassare: quando la lingua si faceva troppo audace, Al si ritirava con un piccolo singulto; quando le dita lunghe del niichan vagavano vicino al bottone dei pantaloni, Ed lo distraeva con baci più appassionati. Davvero paradossale, ridacchiò Edward che si era alzato per prendere un biscotto e si era messo a succhiarlo, come per trarne tutta una polpa inesistente (“Quando smetterà di prendere sti cazzo di biscotti secchi…”), che i fratelli Elric che avevano affrontato le peggiori avventure fossero spaventati dall’idea di fare l’amore. Era un confine che sfumava nel bacino di Al che sporgeva dalle mutande al mattino, che si mescolava al rosa pallido delle sue labbra protese, nelle pupille liquide. Una linea che non sapevano minimamente come tagliare, come rendere la volontà una forbice per reciderla. Non che, in verità, la loro si potesse definire paura, perché la paura deriva da un ostacolo consapevole: la loro era una “difficoltà” che spuntava da sola senza che neppure ci pensassero, un muro sottilissimo eppure non c’era verso di scavalcarlo o, almeno, così sembrava. Ed era stupido, maledettamente stupido, così scioccamente da ragazzine, temere qualcosa di così naturale – e poi, cazzo, non riusciva a pensare ad altro, non a qualcosa che non fossero i capezzoli che spuntavano dal gonfiarsi per l’aria della maglietta quando si chinava, il sedere perfettamente descritto dai pantaloncini che si tendevano attorno alle natiche rotonde e dolci, sarebbero proprio state perfettamente in mano, avrebbe potuto stringerle come palline e baciarle e mangiarle come frutti. E non riusciva ad andare oltre i preliminari, e questo lo tormentava ed uccideva lentamente.

Ah, ma no, i preliminari (che manco si potevano chiamare preliminari, in realtà, erano solo… cose molto random) non lo avrebbero avuto ancora per molto. Questa notte lo avrebbe fatto suo.

Arrossì violentemente: non tanto per la natura del pensiero, quanto per l’infantilità del programmarlo. Si mandò a fare in culo da solo. Que sera sera, insomma.

D’un tratto – potevano essere passate ore, per quel che ne sapeva, ma così non era, perché nell’aria c’era ancora il borbottio e non un pessimo odore di bruciato ed attaccato, odoraccio che, fra le altre cose, aveva già posseduto la casa più volte, e non sempre per colpa del fratello maggiore – sentì il rumore della porta che si apriva, i cardini che cigolavano sforzandosi oltre le proprie capacità (“Ecco, cazzo, dovevo oliare la porta, sono tre giorni che me lo dice!”), e il pigolare allegro della sua famiglia riempiva di nuovo l’aria.

“Al, sei tornato!”

Come un cagnolino fedele, eccolo lì ad agitare la coda attorno al padrone, chiedendo notizie come croccantini, con la stessa voracità ed immediatezza.

“Sì, sì, ora ti racconto…”, ridacchiò Alphonse passandosi una mano fra i capelli, sbuffando per il caldo e la stanchezza, sbadigliando poi sonoramente. “Non ho trovato niente, innanzitutto…” “E’ normale, Al, e in fondo è solo il terzo giorno che provi.” “Sì, lo so, infatti non sono scoraggiato per nulla.”

Si sedette al tavolo dopo essersi preso la sua tazza di latte, che volle bere liscio, senza alcuna aggiunta. “Prima che tu me lo chieda, no, non ho sofferto la fame, la fruttivendola nuova ha avuto pietà di me e mi ha offerto un paio di mele. Non fare quella faccia, avresti dovuto vedere le mele, erano grosse come la tua testa!”

“Che schifo, Al, ti sei mangiato due mie teste per pranzo, fratricida!”

“Coglione.”

Glielo soffiò sulle labbra, cominciando a baciarlo. Si sistemò a cavalcioni su di lui, stringendogli la maglia sul petto, leggermente, afferrandola piano. Nel bel mezzo del bacio più appassionato, Alphonse si staccò, leccandogli le labbra. “Ho cercato lavoro come cameriere, commesso, anche spazzino. Niente, niente di niente, ti pare? Neppure a sollevare scatole di verdura mi volevano! Dovresti perlomeno sentirti offeso, niisan, nessuno apprezza il tuo fratellino. Io andrei e spaccherei la faccia a chiunque si è rifiutato di darmi un posto.”

“È che sembri troppo fragile per qualsiasi cosa, anche se hai messo su la pancia.”, sentenziò Edward, come se il suo essere piccolo fosse un difetto, come se gli fosse possibile nascondere ad Alphonse quanto invece adorasse il profilo sottile dei suoi polsi e la curva morbida delle gambe.

“Come se non ti piacesse che io sia così.”, ghignò difatti Al mentre gli metteva le braccia al collo, riprendendo a baciarlo. “Sono stupito, fratellone,” ricominciò, schioccando a più riprese baci vicino alla bocca e sul mento, “mi hai aspettato fino a così tardi. Ero convinto che sarei tornato in una casa vuota, buia e fredda, con l’unico sottofondo del tuo soave russare…

“Come se non ti avessi mai aspettato!”

“Se il tuo aspettare consiste nel dormire pesantemente sul tavolo con la bava e costringermi a portarti a letto – non lo sai, ma sei pesante –, sì, mi hai sempre aspettato.”

“Ma quante cazzate escono da questa bocca!”

Vi si buttò sopra famelico, il più grande ed eccitato dei due, arrossandola e stringendo forte la vita del suo niichan. “Sai ancora di mela.”, sentenziò ridendo mentre gli accarezzava il palato con la lingua.

Edward sentì caldo, ovunque, soprattutto tra le gambe – bollore che scivolava e lì si concentrava e andava a sbattere contro le cosce tese di Alphonse.

Al…”, mormorò senza che lo volesse, un sussurro che gli sfuggì dalle labbra ed era basso e roco e rimbombò dentro Al per un paio di secondi.

“Andiamo a dormire, niisan?”, mormorò, con un tono di voce che sostituiva dormire con letto, intendendo e sottintendendo tutto e niente, che gli diceva prendimi e sussurrava non posso – e ancora il muro stava lì, bello dritto, a prenderli quasi in giro, sicuro della propria posizione e forza.

Edward annuì col capo e neppure si rese conto di aver camminato tanto veloci arrivarono sul letto, lui sopra Al, Al con gli occhi lucidi e le labbra che non si staccavano da lui. Sussultò, il più piccolo, quando sentì le mani di Ed sotto la maglietta. Erano gelide, come diavolo facevano ad essere gelide? Sospirò forte, e lo allontanò.

“No.”

“No cosa?”

“Non voglio.”

“Non vuoi cosa, farlo?”

“No, non questo, non voglio che mi spogli tu.”

“Al, ma sei scemo?”

“Mi spoglio io, mi vergogno?”

“Al, ma sei scemo?”

“No!”

“ Sei diventato una femmina, allora!”

“Oh, ma fottiti! Come se ne sapessi tanto, di femmine, tu!! Mi voglio spogliare da solo, e tu intanto vai in bagno!”

“A far che, a spararmi una sega?”

“No, ad aspettare che io mi spogli!”

Ommioddiosantissimo.”

“Se non vai non facciamo niente.”

“… vado, vado…

Lo guardò ancora una volta negli occhi e lo baciò. Stava per fare l’amore con suo fratello, e suo fratello sembrava essersene reso ben conto ed essere della stessa opinione (no, non era davvero un ingenuo, a discapito del suo aspetto, degli occhi enormi e della bontà di fondo che lo portava a pensare, il più delle volte, al bene nelle persone). Si disse che non erano servite proprio a niente tutte quelle seghe mentali (e neppure agitarti, Edward Elric, non hai tre anni, cazzo, smettila!), e che era vera la teoria che bastava aspettare il momento buono. Forse lo aveva percepito solo lui, quell’infido ammasso di mattoni.

Si tirò su dal letto e andò in bagno, sbuffando a più riprese. Mentre chiudeva la porta, il primo fruscio di abiti riuscì ad arrivargli all’orecchio, facendolo rabbrividire. Chiuse a chiave, così che il suo fratellino ne fosse ancora più rassicurato.

“Ma non più di un minuto, stupido!”

Si sedesse sul water, e il suo corpo fu inondato da un calore quasi disumano tanto era potente e mai assolutamente provato.

Come sarebbe stato? Ce l’avrebbe fatta? Gli avrebbe fatto male? Gli uomini sanguinano quando vengono penetrati? E se avesse fatto cilecca?  Era abbastanza lungo e grosso? O lo avrebbe trovato piccolo? Gli avrebbe riso in faccia se lo avesse trovato piccolo? E se avesse fatto cilecc-già chiesto. Scattò in piedi, nervosissimo, cominciando a camminare in tondo, tormentandosi le mani.

Al diavolo, Edward Elric, che cazzo stai facendo?! Sei un uomo fatto e finito, o almeno tale ti consideri, cosa aspetti ad andare di là e farlo tuo, mh?! Sei diventato una mammoletta, per caso?!

Sbatté un piede per terra in preda all’isteria. L’omino del cervello aveva assolutamente ragione.

(non badò mezzo secondo al fatto che chiamasse la sua porno coscienza omino del cervello, e che questo fosse un fatto leggermente inquietante.)

“Alphonse, che tu sia pronto o no, ora vengo e ti scopo!!”, gridò.

Silenzio.

“… beh, sì, non prendermi sul serio…

Ancora silenzio.

“… Al, ti hanno rapito gli alieni per proteggere la tua verginità?”

Silenzio, silenzio, silenzio.

“… mi sto preoccupando, Alphonse, cagami.”

Decise di uscire dal bagno – il minuto era ben che passato da quel pezzo e, sì, suo fratello sembrava sparito nel nulla.

Lo ritrovò sul letto. Certo, senza maglietta, ma addormentato.

Lo ritrovò sdraiato su un fianco, profondamente addormentato, con la patta dei pantaloni leggermente aperta. Doveva essersi caduto in sonno di colpo, senza accorgersene, questo avrebbe spiegato il totale abbandono del suo corpo. Edward non poté fare a meno di scoppiare a ridere, una fragorosa risata subito ammutolita il più possibile dalle mani (Alphonse odiava essere svegliato d’improvviso, lo rendeva assolutamente isterico). E si rese conto che gli occhi lucidi che aveva visto erano così per colpa del sonno, ma non gli importò. Non c’era niente di più tenero al mondo del suo stupido fratello addormentato. Ridacchiando ancora, si sdraiò al suo fianco, abbracciandolo per la vita ed addormentandosi col cullare calmo del suo respiro, dal battito del suo cuore, dal calore della sua pelle liscissima. Pensò che si sarebbe dato alla scalata il giorno dopo, e che per Al non ci sarebbe stato assolutamente più scampo.

  
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