Allenamenti Natalizi.
Certo, era ovvio, anche la vigilia di Natale era piena di allenamenti! Avrebbe dovuto lamentarsi con colui che aveva fatto il planning degli allenamenti.
Baka kitsune.
Si chiuse nella giacca a vento e con il borsone in spalla si avviò per la strada; alzò la testa e un brontolio di dissenso uscì dalle sue labbra infreddolite, dopo alcuni anni vissuti lì ancora non capiva perché non riuscisse a sopportare le lucine di Natale: sembravano una presa in giro, cosa auguri Buon Natale a chi lavora durante le feste?
Tsk. Allenamenti, il giorno della vigilia, ma è possibile? Appena arrivo a casa lo ammazzo!
Cercò qualcosa con gli occhi, poi quando ricordò il messaggio in segreteria iniziò a correre dietro ad un taxi.
-Ti aspetto a casa, ciao.-
Sempre di poche parole.
Odiava i tassisti, ti riempiono, ti affogano di parole, e ovviamente a Natale si lamentano del fatto che lavorano e non stanno dietro alla famiglia, e poi giunse la classica domanda.
«E lei ha famiglia?»
Avrebbe
voluto essere come l'algida kitsune che avrebbe fatto l'indifferente,
ma la sua loquacità incontrollabile glielo impedì.
«Più o
meno, la mia famiglia sta in Giappone, sono tornato oggi.», sbuffò
cercando di sottolineare il piccolo fastidio che trovava nel parlare.
“Ah dal Giappone viene? E come mai si trova qua nel continente americano?”, l'autista non aveva capito che il passeggero non aveva voglia di parlare.
“Perché
vivo qua da qualche anno, lavoro qui e sono partito per andare a
trovare la mia famiglia.”, aggiunse in tono burbero, sperando di
aver concluso la chiacchierata.
Il tipo davanti incominciò un
lungo soliloquio fortunatamente non venne richiesto il suo
intervento; fuori dal finestrino vedeva le famiglie recarsi ai
ristoranti, oppure entrare dentro casa con piramidi sproporzionate di
pacchetti infiocchettati.
Sospirò cercando di non pensare agli
allenamenti che lo aspettavano; poi quando la macchina svoltò
bruscamente a sinistra e si accorse che stava per tornare a casa si
risvegliò da quella malinconia natalizia, raccattò la giacca nera e
il borsone al suo fianco, prese quei pochi dollari, che gli erano
rimasti nel portafogli, e prima che l'autista potesse accostarsi e
fermarsi, pagò la corsa e scese dal taxi.
Mentre
attraversava la strada fece un cenno al tassista, a grandi balzi salì
le scale, poi cercò distrattamente le chiavi nelle tasche, le
afferrò e le inserì nella toppa. Spalancato il portone, facendo le
scale due a due raggiunse il terzo piano, dopo un sospiro per
riprendere fiato, suonò il campanello, pur avendo le chiavi in mano.
Voleva
vederlo in faccia quel testone, voleva spalancare quella porta e
dirgliene quattro, voleva dargli una testata per augurargli un buon
allenamento natalizio, voleva...
Sempre,
quando se lo trovava davanti era così: il suo corpo non rispondeva
e il cervello andava in stand-by.
Kit-sune di mee...
«Sei in ritardo, Sakuragi.»
...eerda.
Silenzio.
Merda!
Un
ragazzo moro avvolto in un dolcevita nero e jeans grigi si stagliava
alto e serioso davanti a lui e improvvisamente si sentì
piccolo.
«Ciao kitsune.» non sapeva che altro aggiungere, cercò
un modo per far passare inosservata la sua incavolatura, ma fu
inutile.
«Che c'è, Sakuragi?»,affermò il moro in modo
laconico.
«No, niente è che ho paura di avere lasciato qualcosa all'aeroporto...»
«Non tergiversare, Sakuragi, per favore.», interruppe il ragazzo che impediva l'entrata. nell'appartamento.
«Non chiamarmi Sakuragi, lo sai che mi da fastidio!» il moro sorrise beffardo accendendo così la miccia di rabbia del rosso, «Mi spieghi perché hai messo gli allenamenti il ventiquattro di Dicembre? Solo un volpino stupido ed infame come te avrebbe potuto farlo! Non hai pensato a quei ragazzi che non passeranno la vigilia con le loro famiglie? E sai quanti non verranno? E' inutile! Io non so come...»
«Do'hao,
calmati», lo interruppe con voce tranquilla la kitsune, «Tu non hai
capito proprio nulla.»
Il moro
si scansò e fece entrare il forestiero che sbuffando gettò a terra
la borsa nell'ingresso e appese la giacca all'attaccapanni; poi si
avviò verso la sala seguendo il volpino di fronte a se'. Il moro si
accovacciò felinamente su una poltrona,
l'altro si sistemò svogliatamente di fronte a lui sul divano.
Notò
come il suo amante avesse addobbato il loro piccolo appartamento, un
albero di medie dimensioni era in un angolo, addobbi bianchi, argento
e vitrei rilucevano grazie alle luci ad intermittenza; la sala aveva
fiocchi della stessa tonalità dei colori usati per l'albero, e a
metà dell'arco che divideva la zona giorno dalla zona notte c'era un
ramo di vischio.
Ti sei dato da fare.
Improvvisamente
ricordò l'ultima frase detta al moro.
«Come non ho capito?», si
guardò intorno, resosi conto di aver urlato.
«Do'hao!»
mugugnò l'altro.
«Senti,
Kaede, che significa che non ho capito? Fammi capire!»
Rise al suo gioco di parole.
«Non capiresti perché sei un do'hao...», Kaede si alzò dalla poltrona e sinuosamente si avvicinò accoccolandosi accanto al rossino scocciato, gli prese le mani e incominciò a giocherellarci, poi continuò, «Però posso provare a farti capire, do'hao.», gli sussurrò languidamente all'orecchio poi annusò i suoi capelli corti e ispidi strofinando le guance.
L'altro ragazzo rimase impietrito, non si sarebbe mai aspettato un'accoglienza del genere.
Volpino...
Kaede
percorse con la punta del naso la circonferenza della testa rossa,
poi scese lungo il collo soffermandosi per un istante per ad odorarne
il profumo, poi si trascinò fino alle guance che erano
improvvisamente calde ed arrossate, e infine arrivò alle labbra che
morse avidamente.
Si
allontanò contro voglia dal viso infuocato del suo amante e
ispezionò il suo sguardo: illuminato ma ancora interrogativo;
decise, allora, di osare ancora per cercare di fargli capire meglio,
si avvicinò e gli sfilò delicatamente il maglione marrone
vistosamente regalatogli da qualche zia, non rientrava affatto nei
suoi gusti.
Do'hao.
Il rossino sotto al maglione era ancora più caldo, sembrava una stufa; il moro alzò la testa, trovò il volto del suo amante perplesso e imbarazzato.
Sbuffò.
Nonostante provasse disappunto per il fatto che il suo do'hao continuasse a non capire, riprese il suo lavoro da amante; con le dita bianche e affusolate sbottonò i jeans.
Guardò nuovamente il rosso con sguardo interrogativo.
«Ah, questi allenamenti!» sentenziò l'altro.
Finalmente...
«Nh... Auguri do'hao.»
Baciò il sorriso del suo amante testardo, già pregustava quello che sarebbe stato il piatto forte del cenone di Natale.
Fine
I personaggi non sono miei, ma del maestro Inoue, questa fanfiction non è scritta a scopo di lucro.
Sì, lo so, la Befana (che sarei io ndr) e Babbo Natale sono arrivati in ritardo. Spero che questo regalo di Natale vi sia piaciuto.
Questa fanfiction
risale al 2008, ho dovuto farle un restyling completo e modificare un
po' la conclusione. Trovarla è stata come ventata
d'aria fredda; dopo una giornata passata a studiare sui libri,
ritrovare una vecchia fanfiction che si pensava persa per sempre
è una cosa favolosa.
Bene, accolgo a braccia aperte commenti, critiche costruttive e impressioni.
Alla prossima!
Un bacio,
free