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Autore: Izzie Lane    17/01/2010    3 recensioni
Ti basta vedere la sua espressione per capire. E la verità ti si scaglia addosso. Ti schiaccia. Ti toglie il respiro. Le tue speranze si sono trasformate in miraggio. Lo guardi, inorridita. -Come hai potuto?
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finchè morte non vi separi




[Corri lungo la strada.

Il vento sferza il volto arrossato, bagnato di pioggia, lacrime e sudore.
Non ce la fai più, i polmoni stanno per scoppiare, le gambe bruciano per lo sforzo.
Ma, nonostante tutto, vai avanti.
Continui a mettere i piedi uno davanti all’altro, ignorando il dolore.
Vuoi scoprire la verità.
Vuoi sapere.
Vuoi capire.
Ma hai il terrore di quello che ti potrebbe essere rivelato.]

Si conoscevano da anni,Lisa e Trevor.
La bambina gentile e il ragazzino inquietante, l’inseparabile coppia del W.C. Weller’s Orphanage.
Trascorrevano le giornate appiccicati alla finestra sudicia della soffitta, sognando i boschi che riuscivano a scorgere in lontananza, oltre la città.
Avevano sogni di libertà, ma non potevano che rimanere in quel tugurio maleodorante, quel posto incivile in cui il direttore e i suoi inservienti ancora si ostinavano a fingere di amare i bambini.
Dovevano restare là, almeno per un po’, subire in silenzio punizioni e ingiurie, restare zitti e buoni. Un giorno avrebbero finalmente lasciato quella vita alle spalle, prometteva Trevor. Sarebbero stati solo loro due, in pace.
Niente più dolore e sofferenze, niente più paura.

[Ricordi?
E’ la stessa paura che provavi quando vivevi al Weller’s.
Avresti mai pensato di associare Trevor agli altri bambini di quel posto?
Ma no, non hai tempo per inutili osservazioni.
Devi raggiungere quel maledetto magazzino di cui stavano parlando giusto qualche giorno fa.
E allora corri, svolta a sinistra, a destra, vai dritta lungo la via.
Ormai sei quasi arrivata.
Riesci a sentire alcune voci maschili.
Sembra stiano ridendo in compagnia.
Su, coraggio.
Lui è là.]

Lisa veniva spesso presa di mira da un gruppo di bulletti di poco più grandi. La sorprendevano nei rari momenti in cui era sola, la trascinavano nelle cantine e la chiudevano in una cassa marcia e maleodorante.
Lei strepitava e piangeva, loro ridevano e la prendevano in giro. Era la giusta punizione, dicevano loro, si meritava questo e altro per aver rovinato i loro giochi.
Non aveva capito subito a cosa si riferissero. Lei non li aveva mai disturbati, anzi, cercava di evitarli.
Poi si era ricordata dei loro passatempi preferiti e tutto era diventato chiaro: aveva liberato i topi che tenevano chiusi in una gabbia proprio lì, in cantina. Si divertivano a torturarli.
E lei non lo sopportava.
Ciononostante, ogni volta che quei bambini tremendi la acciuffavano, lei prometteva di non liberare mai più le povere bestiole.
Non che servisse a qualcosa, comunque.
Fortunatamente, Trevor arrivava sempre a salvarla. Il ragazzino, che sembrava sempre sapere quando l’amica era nei guai, la raggiungeva di corsa e la liberava.
Non doveva preoccuparsi dei bulletti: bastava fulminarli con i suoi occhi grigio pallido, e loro fuggivano a gambe levate.
Non aveva problemi a farsi temere.

[Due ragazzi si piazzano davanti a te.
Stavano scherzando fra di loro, poi ti hanno vista.
Uno di loro ha metà volto tatuato, fa impressione.
Chiedi di Trevor.
Loro annuiscono e ti fanno cenno di seguirli.
Poi spariscono, inghiottiti dal buio all’interno del magazzino.
Tu non hai altra scelta che seguirli.
All’improvviso, senti la paura che minaccia di prendere il sopravvento.
Stringi i denti.
Non puoi andartene.
Non puoi fingere.
Devi sapere!]

Se ne erano andati durante la notte del sedicesimo compleanno di Lisa.
Trevor l’aveva svegliata posandole una mano gelida sulla bocca.
-Preparati, andiamo.
Assonnata com’era, non aveva capito subito cosa intendesse.
Aveva scrutato gli occhi pallidi e il volto inespressivo per parecchi secondi prima di arrivare alla verità.
-Ora?-, aveva mormorato. Sentiva una strana sensazione, un misto di terrore ed esaltazione farsi strada nel suo corpo velocemente.
Il ragazzo aveva annuito e lei era balzata in piedi.
Ora!
Aveva solo uno scatolone con pochi vestiti e qualche oggetto: Trevor lo prelevò dall’armadio a muro e si offrì di tenerglielo, nonostante ne avesse già uno identico tra le braccia.
I due si erano allontanati velocemente dai dormitori.
Giù per le scale, oltre l’atrio, verso l’uscita, sempre in silenzio.
-Aspetta!- sussurrò all’improvviso Lisa, ricordandosi improvvisamente dei topi.
-Già fatto.-, la fermò Trevor.
La ragazza sorrise.
Lo adorava, letteralmente.

[Vi fermate davanti a una porta chiusa.
E’ di legno massiccio, abbastanza minacciosa.
Non appena sei davanti, si apre di scatto.
Appare una figura maschile.
Lunghi capelli neri, un’espressione arrogante, piercing al labbro.
Lo conosci.
David, si chiama.
E’ amico di Trevor.
Ti invita a entrare.
Tu accetti.]

Erano passati sette anni da quando erano scappati.
Avevano trovato una specie di catapecchia nei boschi,un lavoro ed era iniziata una nuova vita.
I soldi erano pochi, d’inverno faceva maledettamente freddo, il cibo scarseggiava.
Ma erano liberi.
E, Lisa lo sentiva, entrambi erano felici.
Trevor non era particolarmente espressivo e parlava poco, ma lei riusciva a sentirlo.
Stava bene così.
Una mattina decisero di fare una passeggiata fino alla cima della collina. Quando erano quasi arrivati, il ragazzo iniziò a correre, lasciandola indietro.
Un po’ offesa, Lisa continuò lentamente ad arrancare lungo il sentiero, raggiungendolo solo parecchi minuti dopo.
Lo trovò disteso sull’erba, con i lunghi capelli biondo chiaro sparsi a raggiera intorno al capo, gli occhi chiusi e il volto pallido inondato dal sole. Dava l’impressione di provare una pace assoluta, una cosa rara per lui.
La ragazza si sorprese a osservarlo incantata.
Gli altri lo trovavano strano, inquietante; lei riusciva a vedere solo un bellissimo ragazzo.
-Vieni qua.-, la chiamò Trevor.
Lei obbedì. Si stese di fianco a lui e chiuse gli occhi, lasciandosi andare alla piacevole sensazione del vento che le accarezzava la faccia.
Sobbalzò e riaprì gli occhi di scatto quando sentì le dita di Trevor sfiorarle le labbra. Si era seduto e la stava fissando intensamente. Lei sentì il sangue andare a imporporarle le guance, mentre la bocca si schiudeva involontariamente in un sorriso.
Il ragazzo le passo un braccio dietro alle spalle, attirandola verso di sé.
-Credo di aver fatto un danno-, disse in tono sommesso, a pochi centimetri dalle sue labbra.
Fu Lisa a superare quello spazio minimo e baciarlo.
No, non aveva fatto nessun danno.
In quel momento seppe che avrebbe voluto rimanere lì per sempre, su quella collina inondata dal sole, baciando il ragazzo che aveva sempre amato.
Quella sì, quella era la vita che voleva veramente.

[ Lui ti guarda, inespressivo come al solito.
-Non dovresti essere qui.
Respiri profondamente.
Cerchi di calmarti.
Poi parli.
-Ho trovato la scatola.
Oltre a loro due, nella stanza ci sono David e tre uomini.
Vi guardano attentamente, cercando di capire.
Li ignori.
-Ti prego, dimmi che non sei stato tu.]

Una sera, qualcuno bussò alla porta.
Trevor sbuffò. Sembrava che sapesse di chi si trattava e che la cosa lo infastidisse. Appoggiò la chitarra sul letto e si alzò per aprire agli ospiti inattesi.
-Ma guarda, abbiamo beccato la catapecchia giusta!
- Come ti va, eh, Trev?
- Che cazzo di freddo! Il riscaldamento no, eh?
Due uomini entrarono nella stanza.
Lisa li squadrò, incuriosita. Doveva trattarsi degli amici di Trevor, quelli che ogni tanto andava a trovare in città. Non gli aveva mai parlato di loro molto volentieri.
Erano entrambi molto alti e portavano i capelli lunghi legati in una coda, sotto un cappello di lana.
Non potevano avere più di venticinque, ventisei anni al massimo.
Le sorrisero.
-E così, tu dovresti essere Lisa.-, esordì quello con i capelli più scuri. Le tese una mano. -Io sono David.
Da quando erano entrati, Trevor aveva assunto la sua solita maschera inespressiva: era chiaramente un indicazione al fatto che non apprezzava l’intrusione dei due.
-Andiamo, Lisa ha sonno-, disse indicando con un cenno la porta della cucina.
-Trevor, cosa…?-
Il ragazzo aspettò che gli amici fossero spariti nell’altra stanza, poi si voltò e la raggiunse.
-Tranquilla-, le disse accarezzandole una guancia.-Volevano farmi una sorpresa.
E sparì senza ulteriori spiegazioni.

[Ti basta vedere la sua espressione per capire.
E la verità ti si scaglia addosso.
Ti schiaccia.
Ti toglie il respiro.
Le tue speranze si sono trasformate in miraggio.
Lo guardi, inorridita.
-Come hai potuto?
Sussurri, cercando di trattenere le lacrime.
Lui ti si avvicina.
Tu lo scansi.
-Mi dispiace, Lisa]

Dopo quella sera, Lisa aveva visto spesso David.
Arrivava, chiacchierava un po’ con lei, veniva spedito in cucina da Trevor, ci rimaneva per un’ora o due, poi se ne andava.
 Non le piaceva un granchè, forse per quel sorrisetto arrogante perennemente stampato in faccia,o forse per i suoi modi di fare bruschi, così diversi da quelli del suo ragazzo.
- Trevor mi dice che ami gli animali -, le disse un giorno.
Trevor non era ancora tornato dal lavoro.
Lisa si strinse nelle spalle. -Non è che li ami-, spiegò, -piuttosto, li rispetto. La vita è una sola anche per loro, non vedo perché rovinargliela.
-Capisco-. David annuì -Ma anche la morte ha il suo fascino, non trovi?
- Assolutamente no!- esclamò Lisa con veemenza.
David fece uno strano sorriso - Interessante…
- Cosa?
-Niente, stavo pensando…
Ma Lisa non seppe mai su cosa stesse riflettendo: proprio in quel momento, Trevor entrò in casa, bagnato e infreddolito.
Vide David e, incredibilmente, sorrise.
-Esco stasera-, annunciò alla ragazza.
-Con David?-, chiese lei, tentando di dissimulare la sensazione di gelosia che le aveva portato la notizia.
Trevor annuì. Tolse la giacca,prese un asciugamano dal bagno e iniziò a strofinarlo sui capelli.
-Non ti preoccupare, sarà questione di poco-, la rassicurò David.
In quel momento, Lisa avrebbe voluto spaccargli la faccia. Invece sorrise.
-Ma certo.
Dopo aver legato i capelli in una coda, Trevor riprese in mano la giacca.
Salutò Lisa con un bacio, poi uscì insieme all’amico.
-A presto-, le disse prima di richiudere la porta.

[E’ più forte di te: scoppi a piangere.
Trevor.
La tua vita, il tuo amore.
Credevi di conoscerlo.
Invece, non hai mai saputo veramente niente di lui.
Ti si avvicina di nuovo.
Per riflesso, o per debolezza, lasci che le sue braccia ti circondino.
-Perché?
Chiedi tra i singhiozzi.
-Non capiresti.
No, ha ragione.
Non riesci a capire la sua mostruosità.
All’improvviso,un altro pensiero ti colpisce.
Alzi lo sguardo verso di lui.
I tuoi occhi sono velati di orrore.
-Il vagabondo…?]

Trevor non tornò subito come aveva promesso.
Lisa era già a letto da un pezzo quando vide la sua figura longilinea entrare nella stanzetta.
Chiuse gli occhi, fingendo di dormire. Non voleva parlargli, non voleva fargli capire quanto fosse arrabbiata con lui: in fondo, era la prima volta che non manteneva alla lettera una promessa.
Sarebbe stato assurdo fargli una scenata per una cosa così minima.
Lo sentì entrare in bagno e farsi una doccia, ritornare in camera, trafficare nell’armadio per qualche minuto e, finalmente, entrare nel letto.
Le sue labbra si posarono su una guancia della ragazza.
-Sei sveglia.
Non una domanda,ma una constatazione.
Trevor sapeva sempre tutto.
Lisa annuì.
-Ero preoccupata.
-Ho solo avuto un contrattempo.
-Certo, certo…-, mormorò la ragazza abbracciandolo.
La rabbia stava passando velocemente.
Trevor era lì ormai. Perché pensare alle ore trascorse in solitaria?

[L’atmosfera cambia improvvisamente.
David sembra innervosito.
-Trevor…
Chiama con un tono pericolosamente calmo.
Tu non riesci a capire.
Fai passare lo sguardo dall’uno all’altro, confusa.
-Cosa…?
Trevor fa un cenno a David, che fa uscire gli altri.
Ancora una volta, tu speri.
Speri che i tuoi sospetti siano infondati.
Speri che lui non sia un mostro.
-Lisa…]

Passarono settimane da quella sera.
Ormai le visite di David e qualche altro amico erano di routine, ma si trattava quasi sempre di mezz’ora al massimo e sempre in presenza di Trevor.
Lisa se ne rendeva conto a malapena, presa com’era dalla stanchezza per il nuovo lavoro che aveva trovato.
Volevano andarsene dai boschi, la vita che conducevano là era troppo faticosa: avevano bisogno di mura solide e calore, qualcosa che probabilmente non avevano mai conosciuto, neanche prima dell’orfanatrofio.
-Avete saputo la notizia?-, chiese David un giorno.
Oltre a lui, c’era anche un tal Victor e la sua ragazza,una biondina che non poteva avere più di diciotto anni.
-Quella del cadavere che hanno ritrovato? Oh, è orribile…- disse Lisa.
-E poco distante da qui!- disse Victor.
Inspiegabilmente, Trevor lanciò un’occhiataccia a David.
-Non riesco a credere a quello che gli hanno fatto. Squartarlo e mozzargli le mani…- la bionda rabbrividì. Lisa era quasi sicura che si chiamasse Cindy o qualcosa del genere,
-Sono riusciti a identificarlo?
-Sì, pare che fosse un vagabondo che girava dalle parti della stazione.
.Vicino al Weller’s?- chiese Lisa, sentendo un fremito di terrore attraversarle il corpo.
Trevor se ne accorse e la strinse a sè. -Vi spiace cambiare argomento?- ingiunse, gelido.
David sembrò divertito. -Ma certo.
Chiacchierarono ancora per qualche minuto, poi i tre se ne andarono. O meglio, vennero sbattuti fuori casa da Trevor.
Sembrava turbato per qualcosa. Lisa sapeva che era perfettamente inutile domandargli cos’avesse: se non voleva parlare, trovava sempre il modo di sviare il discorso.

[Orrore.
Puro e semplice orrore.
Non riesci a divincolarti dalle sue braccia.
-No! No, no,NO!
Urli più forte che puoi.
Trevor si limita a guardarti.
Il suo volto è inespressivo,ma gli occhi esprimono la disperazione più assoluta.
-L’hai ucciso! L’hai torturato!
Lui annuisce.
David osserva la scena immobile.
Smetti di piangere.
Non ha senso.
-Quando?
-La sera che sono tornato tardi.
-Perché?
Quante volte l’hai chiesto in questi minuti?
-Non capiresti.
Di nuovo.]

Il giorno seguente quella strana conversazione, Trevor andò a trovare i suoi amici.
La ragazza decise che era il caso di mettere in ordine l’armadio, che ormai aveva raggiunto livelli di disordine incredibili.
Lo svuotò completamente, divise i suoi vestiti da quelli di Trevor, ne mise da parte qualcuno che ormai non era altro che uno straccio…infine si accinse a svuotare gli scatoloni che aveva trovato sul fondo.
Quando vide il loro contenuto, cacciò uno strillo.
File e file di code, zampe, pellicce corpicini, intatti o squartati, baffi, nasi di topo. Frammenti di pellicce insanguinati, piume e becchi, code di lucertole, scheletri di serpenti, ossicini fracassati.
Non riuscì a trattenersi: iniziò a vomitare, in preda all’orrore.
Singhiozzi incontrollabili le scossero il petto mentre cercava di rialzarsi e darsi una ripulita.
Non poteva credere che Trevor avesse fatto una cosa del genere.
Il suo Trevor, che aveva svuotato le gabbie dei topi prima di scappare dall’orfanatrofio.
O forse…no, non era possibile.
Non le avrebbe mai mentito.


[Ti volti verso David.
-Tu l’hai aiutato.
Il giovane esibisce il suo solito sorrisetto arrogante.
-Sì.
E tu senti che è stata sua l’iniziativa.
Sai che te l’ha detto per un solo motivo:
Non metteresti mai nei guai il tuo ragazzo, qualunque cosa abbia fatto.
Sei l'unica con cui possa vantarsi di quel gesto.
Vuoi prenderlo a pugni.
Fargli sputare sangue.
Ti divincoli dalla stretta di Trevor.
-Lisa, no!
Senza dargli retta, ti avventi su David.
Un secondo dopo, sei a terra.
Senti il sapore metallico del sangue sulle labbra.
Il giovane moro incombe su di te.
-Lasciala!
Trevor sta urlando.
Ti sembra assurdo, non l’ha mai fatto.
Dà uno spintone all’amico.
Sorpreso, quest’ultimo incespica sui suoi piedi e cade.]

Combattuta tra le idee contrastanti che le invadevano la mente, uscì in fretta dalla casa.
Doveva parlargli subito.
Corse verso la città, incurante della pioggia che cadeva incessantemente.
Presto…presto avrebbe scoperto la verità.
E sicuramente Trevor non aveva fatto niente, continuava a ripetersi.
Ma, in fondo al cuore, sentiva che non era così.


[-Lisa…
Lasci che ti aiuti, impotente.
Non sai più cosa fare.
Lo ami, ma è un mostro.
Lo odi, ma è stato lui a renderti felice in tutti questi anni.
Poco più in là, David si rialza.
E’ furibondo.
-Mandala via. Subito.
-No.
Trevor ti stringe di nuovo a sé.
-E allora calmala!
-Non posso.
-Non dire stronzate.
“Dille una balla qualunque, ci cascherà.”
E’ questo che intende dire David.
Lo sai.
-Non le mentirò di nuovo.
-Che cazzo ti prende, eh?
Trevor è disperato.
Solo tu riesci a capirlo, perché conosci ogni sua espressione.
Non vuole perderti.
Non vuole perdere il tuo amore.
Il ragazzo ignora l’amico.
-Andrò dalla polizia, Lisa. Mi costituirò.
Non è abbastanza per cancellare tutto.
Ma è già qualcosa.
Gli prendi la mano.
-Andiamo.
Senti già che sarà dura senza di lui, ma è la cosa giusta da fare.
Vi dirigete verso la porta.
-No! Non mi farai questo!
E’ David a urlare.
Ha in mano qualcosa.
Sgomenta, ti rendi conto che è una pistola.
E’ puntata contro Trevor.
Urli.
Parte un colpo.]

Quando si erano conosciuti, Trevor le aveva regalato un braccialetto. Non era niente più che una serie di fili grigi intrecciati, ma per Lisa rappresentava tutta la vita. Era il simbolo del loro legame.
In tutti quegli anni, non l’aveva mai tolto.
Ora, mentre correva, il braccialetto si impigliò a un ramo di un albero.
Senza rendersi conto di quello che stava facendo, diede uno strattone. Il braccialetto si ruppe immediatamente e cadde per terra.
Se solo non fosse stata così presa da altre paure, Lisa l’avrebbe capito subito: qualcosa di terribile sarebbe accaduto.
Lei e Trevor sarebbero stati separati per sempre.

[E’ stato più forte di te.
L’hai protetto.
Senti un dolore bruciante sul petto, vicino al cuore.
Cadi a terra.
-LISA!
Il volto di Trevor è sopra di te.
Gli occhi chiari sono pieni di lacrime.
Che strano, non l’hai mai visto piangere.
I suoi capelli ti sfiorano le guance.
Le sue mani stringono le tue.
-Andrà tutto bene, ti prego, non morire…
Chissà dov’è David?
Non riesci più a vederlo…
La vista ti si sta offuscando.
Senti freddo.
E la consapevolezza di stare per morire ti riempie di tristezza.
Oh,no, non hai paura.
Semplicemente, ti dispiace per Trevor.
Non ce la farà senza di te.
Cerchi di alzare una mano.
Fai una fatica incredibile, ma ci riesci.
Accarezzi il volto del tuo amato.
-Non…uccidere…mai più…
E’ l’unico modo per impedire che lo faccia di nuovo.
Rispetterà sicuramente le tue ultime volontà.
-No, io…oh, ti prego, ce la farai, non…
Ha capito cos’è veramente la morte.
E, finalmente, prova orrore nei suoi confronti.
Quell’idiota arrogante di David alla fine è servito a qualcosa.
Il tuo respiro è sempre più difficoltoso.
Ti sporgi verso di lui con un certo sforzo.
Gli sfiori le labbra con le tue.
Nonostante tutto, senti di amarlo ancora.
Vorresti dirglielo, ma sei così stanca…
Abbandoni il capo all’indietro.
Non riesci più a muoverti.
Non riesci più a pensare.
Non riesci più a vivere.
Il cuore si ferma.
E l’oblio prende il sopravvento.]


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*rilegge e scuote la testa*

Ok, è solo un esperimento.

Volevo vedere se mi riesce qualcosa di decente e il risultato è questa cosa molto drammatica e assurda.

Fatemi sapere voi cosa ne pensate.










   
 
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