Autore: Red
S i n n e r
Titolo: Sogni risplendono;
solo rabbia da
estinguere.
Genere: Malinconico,
Introspettivo.
Rating: Arancione.
Avvertimenti: Missing Moment, One
shot, Yaoi/Shonen-ai.
Introduzione: Rideva
Mello e con boria affermava “Io
diventerò il successore di Elle.”
E non
c’era dubbio o perplessità nelle sue risposte - lui sapeva, lui voleva -
e sogni
risplendevano nei suoi occhi azzurri.
Matt lo
guardava e ne moriva lentamente, con la stessa
pacata lentezza con cui il fumo sale in lente spirali, con la stessa
pacata
indifferenza con cui lui soleva attraversare la vita guardando dalla
finestra,
moriva dei sogni di Mello perché sapeva che, presto o tardi,
il loro splendore
avrebbe intaccato e corroso il ricordo che Mello possedeva di lui,
sarebbe stato
dimenticato, lo sapeva, ma continuava a sorridere guardando fuori dalla
finestra.
N.d.a(facoltative)
Salve! ** Ho cercato di riprodurre dei momenti, piccoli
stralci di momenti
in verità, della vita di Matt ed ovviamente di quella di
Mello.Ci sono i
momenti alla wammy’s house, visti da Matt seduto alla
finestra, c’è l’abbandono
alla sua casa, c’è la ricerca e poi la fine, come
filo conduttore una sigaretta
e il suo fumo perché per descrivere la vita di Matt non
trovo nulla di più
perfetto.
P.s: Questa fanfiction avrebbe dovuto partecipare al contest "La solitudine dei numeri primi" indetto da okelio sul forum di Efp. Purtroppo il contest è stato annulato per penuria di concorrenti ma la storia è rimasta. La frase in grassetto è tratta dal libro omonimo a cui il contest era dedicato.
Spero vi piaccia. **
Red.
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Ti uccideranno.
Ti uccideranno e sai che
non te ne importerà nulla,
o almeno non
quanto dovrebbe importati di te stesso,
ma non ti spaventi.
Osservi il mondo da una
finestra senza aver il coraggio di guardarlo veramente, ammiri la
spirale di
fumo che si alza dalla sigaretta e sale, sale, sale.
Poi svanisce.
E di nuovo nasce, di
nuovo muore - ma il mondo è fuori dalla finestra! - e sale,
sale, sale, sale.
Un sospiro stanco, che sa
di noia e routine, potrebbe anche non essere mai nato ma tu lo sai:
anche lui è
nato per morire.
“Che palle.”
Sale, sale, sale;
almeno il fumo sale.
Sogni
risplendono;
solo rabbia da
estinguere.
Nella sua vita non aveva
mai preso le parti di nessuno, era sempre stato imparziale o forse
quietamente
disinteressato nei confronti di tutto ciò che lo riguardava.
Alla
Wammy’s house non
si era mai impegnato come tutti gli altri,
non gli era mai importato nulla delle classifiche né
tantomeno di succedere ad
elle e, francamente, non aveva mai capito perché tutti gli
altri si
affannassero così tanto nel tentativo di perfezionarsi e di
superare il proprio
record personale.
Non aveva mai veramente
pensato ad un suo possibile futuro, non aveva mai voluto vedere Elle,
non era
mai entrato in competizione con chicchessia per questo o
quell’altro posto; lui
era il numero tre ma se fosse stato il numero cento non sarebbe poi
cambiato
molto.
Mello gli era sempre
addosso quando lo vedeva con quello sguardo assorto, a guardare tutto
senza mai
dire nulla.
“Ma ti diverte
così
tanto?” sbottava scettico, di tanto in tanto, osservando di
sbieco il suo
compagno di stanza. “Guardare dalla finestra,
intendo.”
Matt socchiudeva gli
occhi come un gatto, sorridendo appena,
non lo guardava e non gli rispondeva mai e Mello, troppo
preso dal
battere Near, interpretava quel silenzio come un assenso.
Ma no, la verità
era che
non lo divertiva. Provava
una sorta di
malinconica calma, un’insofferenza controllata che saliva e
scendeva, saliva e
scendeva, scemava appena e si infrangeva nei sorrisi altrui; poi
ritornava
indietro, increspandogli il viso, in una smorfia che forse era il
pallido
riferimento ad un sorriso.
Era strano come alla
volte rimanesse ore intere ad osservare i giochi altrui, strano e
stupido, a
tratti patetico ma non sembrava provare interesse nemmeno per la sua
stessa
vita e per trovare il modo giusto, o solo un modo a caso, per poterla
vivere.
Guardava gli altri,
pacato e distaccato, così diverso da Mello che era tutto
fuorché calmo, gli
viveva accanto senza vivere, lo osservava e basta, ne era affascinato o
forse
solo stupidamente innamorato.
Ed era tranquillo mentre
guardava il cielo fuori dalla finestra, ed aveva imparato ad accogliere
come
familiare quella sensazione disarmante che lo coglieva nella
solitudine, quella
dolceamara sensazione che gli riempiva gli occhi di triste
consapevolezza e di
un filo di rimpianto ingiustificato, ma poi arrivava, quella sensazione
scomoda
e maligna, quella di star sprecando tempo.
E se lo sentiva proprio
sulle mani che gli scivolava via, come stupida sabbia che si infilava
negli
occhi, che bruciava la pelle e si sentiva stupido, stupido e
mortalmente solo,
perché si era accorto di essere fermo e di essere stato
superato.
Da quanto tutto il mondo
aveva iniziato a correre?
Sentiva che anche Mello
era andato via - maratoneta
tra i tanti
che rincorrevano il sogno della successione di Elle - ed era rimasto
indietro,
troppo indietro, era rimasto a sprecare quel tempo che non sarebbe
più tornato.
Ed era allora che i suoi
occhi si riempivano di solitudine e li chiudeva, per non farli vedere a
nessuno,
e continuava ad ascoltare Mello e i suoi infiniti discorsi, e si
chiedeva, come
sempre, per quale ragione non desiderasse nulla, e perché non sapesse cosa farne della
sua vita.
Amava i videogiochi e
fumare… e poi?
Alle domande non sapeva
rispondere, da silenzioso osservatore qual’era, aveva solo
imparato a porle per
questo lui e Mello - che amava smodatamente rispondere -, in qualche
modo,
insieme avevano un senso.
“Cosa farai una
volta
uscito da qui?”, gli chiedeva Mello più per noia
che per interesse.
E lui si trovava a
sorridere con gli occhi bassi, sorrideva sempre ma mai veramente, e
Mello lo
sapeva, “Non lo so.” Affermava poi distaccato,
“E tu?”
Ed era questo il punto!
La domanda posta era sempre più importante della risposta da
lui data, e Mello
lo sapeva, per questo domandava.
Rideva Mello e con boria
affermava “Io diventerò il successore di
Elle.”
E non c’era dubbio
o perplessità
nelle sue risposte -
lui sapeva, lui
voleva - e sogni risplendevano nei suoi occhi azzurri.
Matt lo guardava e ne
moriva lentamente, con la stessa pacata lentezza con cui il fumo sale
in lente
spirali, con la stessa pacata indifferenza con cui lui soleva
attraversare la
vita guardando dalla finestra, moriva dei sogni di Mello
perché sapeva che,
presto o tardi, il loro splendore avrebbe intaccato e corroso il
ricordo che
Mello possedeva di lui, sarebbe stato dimenticato, lo sapeva, ma
continuava a
sorridere guardando fuori dalla finestra.
“Perché
non ti arrabbi
mai?”, gli chiese un giorno Mello, dopo aver sbraitato per
circa un’ora
riguardo l’ennesima vittoria di Near.
Matt stavolta lo
guardò,
dalla sua solita postazione, senza sorridere.
“Perché non serve a niente.”
Decretò infine, con studiata noncuranza.
Mello lo guadò un
attimo
sovrappensiero, poi si buttò sul letto a peso morto;
decisamente
l’introspezione non era il suo forte.
“Lo sai in cosa mi
ha
battuto, Matt?” ovviamente la domanda era retorica, di certo
Mail non sarebbe
andato a confrontare il compito di Mello con quello di Near per puro
divertimento.
“Sulla definizione
di
‘numero primo’, ma ci pensi Matt? Una vera
stronzata!” sbuffò ancora più forte
gonfiando le guance come palloncini ed, osservandolo, Matt quasi si
convinse
che a breve si sarebbe messo a pestare i piedi per terra.
Ridacchiò e con
tono
conciliante lo consolò “Sarà per la
prossima volta, dai. Un giorno lo batterai
quel nano.”
Che fosse stata la sua
risata chioccia o l’insulto fatto a Near nessuno poteva
saperlo, fatto sta che
Mello smise di sbuffare e Matt gliene fu intimamente grato.
Mettendosi seduto con un
colpo di reni il biondo lo fissò a lungo per poi chiedere
“Tu sai cos’è un
numero primo?”
Matt, a onor del vero, lo
sapeva, ma in casi come quelli era meglio fingere ignoranza.
“E come potrei?”
esordì infine con voce da consumato artista melodrammatico,
“Io sono solo il
numero tre.”
Fu il turno di Mello di
ridacchiare e recitò compunto “Un numero
primo è
un numero naturale maggiore di uno che sia divisibile solamente
per uno e
per sé stesso.”
“Ora
mi sento più
intelligente.”, dichiarò Matt, solennemente.
“Sai che i numeri
due e tre sono numeri primi
gemelli?” chiese, ignorandolo deliberatamente,
“Sono gli unici numeri primi che
si susseguono, per questo sono definiti
‘gemelli’.” Lo osservò assorto
per poi
ridacchiare di nuovo, “Un po’ come noi due, no? Io
sono il numero due e tu il
tre.”
Matt
sorrise
spontaneo, preso alla sprovvista, e annuì sicuro ma si fece
pensieroso, ed
intristito, chiese “I numeri primi, secondo te, si sentono
soli? In fin dei
conti anche se così simili sono comunque divisi da linee
invisibili.”
“I
numeri non provano
solitudine, Matt, non sono persone.” Recitò
meccanicamente Mello che aveva
agguantato un libro di testo; era già immerso nella lettura
e non si accorse
della smorfia che era apparsa sul volto del compagno di stanza.
E
Matt continuò a
guardare fuori dalla finestra, senza guardare veramente il cielo tinto
di rosso
e arancio, pensava ai numeri primi ed a Mello e si perse nella
solitudine
dell’essere così simile a lui, ma così
mortalmente distante.
Lo
osservò prepararsi
per chissà quale esame e si chiese se, abbracciandolo,
avrebbe potuto sentirlo
più vicino, più presente, e si rispose che no,
non avrebbe potuto e Mello
comunque non avrebbe voluto.
Capì
che i suoi sogni
gliel’avrebbero portato via, l’avrebbero trascinato
lontano, troppo distante da
sé; Mello sarebbe corso via più veloce degli
altri e lui sarebbe rimasto fermo,
seduto sul davanzale di quella stessa finestra, ad osservare il mondo
senza
avere il coraggio di viverlo.
Si
disse che doveva
arrabbiarsi, che doveva urlare e tentare di reagire ma come questi
pensieri si
formarono nella sua mente furono quietamente cancellati e accantonati,
dimenticati, come d’altronde aveva imparato a dimenticare
sé stesso
e non importava quanto sarebbe stato il
dolore o la solitudine: li avrebbe accettati e l’avrebbe
visto coronare il suo
sogno, nella speranza che i tentacoli dei suoi desideri lasciassero
almeno un
minuscolo frammento del ricordo di loro in quella stanza.
Si definiscono numeri primi gemelli due numeri primi che differiscono tra loro di due. Fatta eccezione per la
coppia (2, 3), questa è la più piccola differenza
possibile fra due primi.
A lui non l’aveva mai detto,
e non l’avrebbe mai fatto.
Era
esigua la
differenza, erano dannatamente vicini, così tanto che
bastava davvero un
nonnulla per potersi sfiorare ma, no, non ci sarebbero mai riusciti; i
sogni di
Mello l’avrebbero portato via e incatenato con tentacoli
invisibili e nei suoi
occhi, nei suoi occhi azzurri, sarebbe risplesa per sempre la luce
abbagliante
del primo posto e nemmeno Matt stesso, che tanto l’aveva
osservato e capito,
avrebbe potuto portarselo via, ed era giusto così.
Era
giusto anche se
non era vero, anche se era una stupida menzogna, una stupida ombra in
cui si
era nascosto per troppo tempo, nell’incapacità di
poter essere qualcosa di
abbastanza importante per lui da poterlo convincere a rimanergli
accanto.
E
c’era rabbia, c’era
tanta rabbia: era una menzogna quella che aveva rifilato a Mello e non
era vero
che pensieri del genere svanivano così in fretta dalla sua
mente, vi rimanevano
abbastanza a lungo per poterlo uccidere ogni giorno di più,
infatti.
Avrebbe
dovuto
trovare un modo, un modo come un altro, per poterla cacciar via tutta
quella
rabbia ma non lo faceva perché, in fondo, di sé,
non gli era mai importato
molto e fumava una sigaretta.
“Cosa vuoi fare,
ora?” il vecchio lo fissò a lungo negli occhi e
Matt si lasciò guardare, non
sorrise e non rispose ‘nulla’.
“Vado
a cercare
Mello.”
E
per un attimo,
Roger, volle davvero che Matt avesse detto di nuovo
‘nulla’ sorridendo con
noncuranza, proprio lui che l’aveva spronato a desiderare
qualcosa ora se ne
pentiva.
Ma fu un attimo, che
svanì come il fumo della sigaretta lasciata a bruciare sul
davanzale di quella finestra.
“Buona
fortuna,
allora” Roger lo guardò sparire e seppe che
sarebbe stata l’ultima volta che
l’avrebbe rivisto e che l’avrebbe sentito
desiderare qualcosa.
Guardandosi allo
specchio, dopo averlo ritrovato, si disse che i suoi
desideri l’avevano davvero bruciato e indurito, ma
Mello c’era
ancora, sotto strati di pelle morta e una scorza da duro Mello era
lì, lo
stesso Mello che sbuffava melodrammatico dopo l’ennesima
sconfitta, lo stesso
che quel giorno gli aveva detto che loro due erano due numeri primi
gemelli,
l’unica eccezione: il due e il tre.
Obbedendo agli ordini del
suo unico amico, Matt lavorava al computer, piazzava telecamere e
visionava
filmati, e quando Mello sarebbe ritornato a casa la puzza di fumo e il
sorriso
di Matt l’avrebbero accolto ma lui, non la noncuranza che da
bambino non aveva,
l’avrebbe ignorato.
E in quell’ultimo
giorno
di vita programmata, mentre ripetevano i passi del piano, si guardavano
fissi perché
sapevano che quel
giorno sarebbe stato
l’ultimo, ed era quantomeno giusto osservare il proprio
gemello almeno
un’ultima volta.
Ora che i sogni gli erano
bruciati sulla pelle gli occhi di Mello non brillavano più,
erano quasi spenti,
e Matt se ne intristiva mentre Mello non se ne curava, sorridendo
pensò che i
loro ruoli si erano invertiti.
Dopo quella folle corsa,
dopo aver sollevato le mani e visto così tante pistole
puntate contro di sé,
Matt pensò a Mello e alla sua Beretta M9, la stessa che
teneva sotto il cuscino
anche mentre facevano l’amore e sorrise - di nuovo - e col sorriso sulle
labbra, e il sangue che
colava come lacrime, cadde a
terra.
Un
po’ si sentì in colpa quando, l’unica
cosa
che desiderò in quel momento, con l’immagine di
Mello ben scolpita nella mente,
fu una sigaretta.
La stessa sigaretta che giaceva al suo fianco, la stessa da cui il fumo procedeva grigio e
in
lente spirali.
Ti uccideranno, si diceva
un tempo, in quel tempo in cui guardare dalla finestra era
l’unica cosa che
voleva.
Mello e i suoi sogni ti
avrebbero ucciso e non te ne importava, e non te ne importa molto
neanche ora,
ora che sai com’è finita, ora che stai morendo e
non ti spaventa.
Solo che, a differenza di
allora, quella finestra l’hai valicata, sei andato fuori e un
po’ hai vissuto,
e chissene frega se non è stato molto e nemmeno tanto bello,
alla fine quella
linea di stupido rimpianto l’hai spazzata via.
Ma c’è una cosa che, come
allora, continui a fare: ammiri la spirale di fumo che si alza dalla
sigaretta
e sale, sale, sale. Poi svanisce.
“Che palle” borbotti,
certe cose non cambiano proprio mai.
E sale, sale, sale; mentre cadi,
senza rialzarti più,
il fumo sale .
Ed è quasi
un
sollievo.
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