Premessa
d’obbligo…è la prima fan fiction che scrivo su questa
serie (il passo da “Slam Dunk” a “Merlin” non mi è
ancora del tutto chiaro…), spero pertanto di non risultare né noiosa né fuori luogo. Perdonatemi in anticipo
e siate clementi.
Mi sono accostata a questa serie televisiva quasi per caso
(l’anno scorso, quando vidi la prima puntata, pensai: “Ma perché si ostinano a
riscrivere il mito di Re Artù? E quell’attore con quelle assurde orecchie da
dove l’anno preso?!”)…e
inutile dire che alla fine mi sono appassionata ai due personaggi (una mente yaoiosa come la mia non poteva rimanere immune a questa coppia!).
La
trama di questa storia si è delineata l’altro giorno, mentre ascoltavo un brano
di musica tradizionale irlandese (non so se esiste qualche altra anima pia che
come me possiede una passione smisurata verso l’Irlanda), “He
moved through the fair”
cantato da Sinead O’ Connor
(per curiosità, questa è una sua esecuzione live QUI). Il testo della
canzone non c’entra nulla con la mia storia, ma ascoltando le parole “wedding day” e l’atmosfera
malinconica che mi trasmetteva, ho avuto l’impulso di
scrivere.
Vogliatemi
bene. ^_^
MODIFICA (24.01.2010): Sotto consiglio (imperioso! ^_-) di Harderbetterfasterstronger, ho cercato di
modificare i dialoghi (rivedendoli, il passaggio dal “voi” al “lei” era
costante e impreciso). Chiedo perdono, una delle mie paure più grandi nell’accostarmi
a questo fandom, era quello
di scrivere delle storie in un’ambientazione storica, che pretende
degli accorgimenti maggiori.
" (...) né si curi, come un tempo faceva,
di questo mio amore,
che è caduto per colpa di lei
come un fiore sul ciglio di un prato
non appena il suo stelo è reciso
dall'aratro che passa."
Catullo - Carme XI
L’alba era così fredda.
Si strinse nel mantello scuro di panno grezzo.
L’aria era umida, il cielo grigiastro. Socchiuse gli occhi…il
suo sguardo si perse nelle case immerse nella nebbiolina, oltre i campi, sulle
montagne innevate. Ogni respiro si condensava con candida eleganza nell’aria
autunnale.
La prima veglia diurna era
vicina, sarebbe dovuto andare a svegliarlo…chiuse le
mani intorbidite a pugno. Le dita facevano male. Erano intirizzite, rosse.
Eppure quel dolore…gli sembrava di essere ancora
vivo.
Per un attimo, un solo attimo codardo, pensò di scappare. Di
entrare velocemente nella sua camera, raccogliere i suoi pochi beni, scrivere
un messaggio a Gaius…e poi attraversare la città bassa, i campi…e via, verso Ealdor. Non poteva scappare dal lento
fluire del tempo, ma da quel luogo sì. Poteva scappare, lasciarsi il dolore
alle spalle. Forse non definitivamente, forse non per sempre…ma
almeno per quel giorno poteva farlo.
Chi si sarebbe accorto della sua dipartita? Solo Gaius…e probabilmente non lo
avrebbe subito informato. Era un giorno troppo importante per
distrarlo con futili motivi.
E mentre il Suo destino si
compiva, lui avrebbe attraversato i boschi autunnali, calpestato letti di
foglie carminee, respirato l’aria fresca di montagna….allontanandosi dal suo di destino. Un destino che
non sembrava essere stato così gentile nei suoi confronti. Sembrava possedere
la ferocia di un lupo affamato, che con ingordigia e forza gli strappava giorno
dopo giorno pezzi di carne. Di anima.
Uno sguardo sulle mani
intrecciate di Arthur e di Gwen. Sui sorrisi compiaciuti della Corte. Su quell’amore così impossibile eppure così dolce. Oh, se
solo avesse potuto strapparsi gli occhi, le orecchie. Non
doverli mai più vedere, non dover mai più sentire discorsi sul loro conto.
Non dover più convivere con quel dolore. Con quell’odio, rancore, che cresceva
dentro di lui e che sapeva…sì sapeva,
che lo avrebbe distrutto più di mille sguardi.
Non era così forte…non
per sopportare questo.
La camera era immersa nella
penombra. Calpestò lentamente la pelliccia d’orso posta sul pavimento in
pietra. Non volse subito lo sguardo sul letto…non
voleva ancora vederlo. Si avvicinò alla finestra, aprì gli scuri. La debole
luce dell’alba lo avvolse, timida. Sospirò, il respiro
pesante.
Dopo aprì l’armadio,
incominciando a estrarre le vesti che il Principe avrebbe indossato…per
la cerimonia. Cercò di pensare ad
altro, ma il tessuto pregiato sotto le sue dita gli rammentava il perché fosse così prezioso. Era giunto
da un feudo lontano, ordinato da Re Uther in persona. La veste era di un rosso vinaccia, più intenso del sangue, più morbido di un
petalo di rosa. La immaginò sul corpo di Arthur e avvertì le guance ardergli.
Non doveva avere questi pensieri…non doveva. Estrasse la cintura in cuoio duro e il freddo della
fibbia in oro lo fece rabbrividire.
-
Merlin…
Il lieve sussurro proveniente
dal letto lo fece sobbalzare sorpreso. Cercò di rallentare il battito del
cuore.
-
Sì sono io. E’ ora…dovreste svegliarvi Sire.
Erano molte lune che non si
rivolgevano più di poche parole al giorno. E non
perché non ci fosse nulla da dirsi…Merlin avrebbe
preferito urlare e strappare quei vestiti fra le mani, piuttosto di quel
silenzio ingombrante e severo che li avvolgeva. Ma
sapeva che avrebbero solo litigato. E non gli interessava vomitare tutto il suo acredine sul Principe. Non gli sarebbe bastato.
Avvertì il fruscio delle coperte
e poco dopo poté percepire accanto a sé il corpo di Arthur. L’odore intenso
della sua pelle lo stordì…
Senza guardarlo negli occhi,
come faceva ormai da tempo, incominciò a vestirlo. I
suoi erano gesti meccanici, le mani scorrevano veloci e precise lungo le sue
fattezze, a nascondere il corpo dall’aria fresca della mattina. Avvertiva gli
occhi di Arthur su di lui, brucianti e vivi, ma lo ignorò. Regnava il silenzio,
potevano solo avvertire il canto dei fringuelli e dei pettirossi fuori dalla
finestra.
-
Hai sentito Margareth? Il
Principe ha deciso di sposare Gwen!
-
Cooosa? Stai scherzando? Chi te l’ha detto?
-
Si vocifera in giro…il Re è
vecchio ormai…sembra che gli abbia dato la sua
benedizione.
-
Non riesco a crederci…che fortuna
sfacciata.
Le mani tremarono nel sistemare
la tunica. Come scordarsi la risata che aveva coinvolto le due cuoche quel
giorno? Era rimasto impietrito sulla soglia delle cucine, il vassoio di legno
stretto fra le mani. Aveva pensato di essere sotto il sortilegio di qualche
incantesimo. Non riusciva a muoversi. Gli pareva di aver perso anche il
respiro. Si ricordava di aver mosso qualche passo solo dopo molto tempo. Aveva
poggiato il vassoio sul tavolo delle cucine e sotto lo sguardo incuriosito
delle due donne, era corso fuori da quelle stanze.
In pochi secondi era giunto
all’aperto, nel piazzale delle armi. Sotto il cielo chiaro della prima veglia
diurna, Arthur stava già allenando i suoi cavalieri. Si era avvicinato,
ogni passo più pesante dell’altro. Quando si era appoggiato allo steccato di
legno, il Principe si era accorto della sua presenza. Nei pochi attimi che
passarono, i loro sguardi s’incatenarono. Non poteva essere vero. Arthur
gliel’avrebbe detto di persona, lo avrebbe informato di una decisione simile…non gliel’avrebbe fatto scoprire così orrendamente,
non era possibile.
Ma Arthur aveva chinato il capo e Merlin aveva compreso che
ciò che aveva udito, era la realtà.
Aveva indietreggiato, incredulo.
Nonostante l’aria estiva fosse tiepida, aveva avvertito un gelo appuntito
divorare le sue ossa.
La sera, quando si erano
incontrati, non c’erano state parole fra loro. Merlin con gesti febbrili aveva
levato, pezzo per pezzo, l’armatura del Principe. Con
un clangore acuto, ogni pezzo dell’armatura cadeva per terra. Ogni sogno, ogni
pensiero, ogni speranza, cadeva allo stesso modo fra loro. Violentemente
gettato sulla dura pietra.
A un tratto Arthur gli aveva
bloccato il braccio con forza, allontanandolo da sé. Gli occhi erano feriti,
sembrava come deluso dal suo comportamento. Merlin avrebbe voluto ridere se ne
avesse avuta la forza. Il Principe si sentiva triste? Il Principe?!
Era indietreggiato, abbassando
lo sguardo. Si era congedato, ma prima di uscire le parole di Arthur lo avevano
bloccato sulla soglia. “Lo sai che non lo faccio per piacere”. Aveva trattenuto
il Potere che sembrava impazzito dentro il suo corpo. Non aveva risposto, ma la
porta di legno massiccio aveva sbattuto con forza dietro di lui.
Con un ultimo tocco, la
vestizione fu completata. Per tutto il tempo, il Principe l’aveva guardato,
divorato con gli occhi. Merlin riemerse dai ricordi, allontanandosi. Raccolse
da terra le vesti da notte di Arthur, piegandole. Si diresse verso l’armadio,
innervosito. Lo sguardo del Principe continuava a seguirlo, sondarlo. Cosa voleva?
-
Devo svolgere altri
compiti oltre ai soliti durante le veglie diurne?
-
Merlin…
Quanto non sopportava il suo
nome pronunciato da quelle labbra. Sembrava un richiamo, una preghiera, una
richiesta. S’impose di ignorarlo.
-
Allora, vado nelle
stalle a strigliare i vostri cavalli.
Non giunse risposta. Non si mossero, l’aria immobile, la luce ormai più calda del sole
levato oltre le montagne.
-
Il Re mi ha
raccomandato che foste presente nella Sala prima dell’inizio della prima veglia…vi dovreste affrettare.
-
Girati Merlin.
Rimase con le spalle girate, lo
sguardo fisso sugli intarsi lignei dell’armadio. Non poteva sopportare oltre
quella situazione, quelle parole non dette. Avvertiva solo il sangue scorrere
rabbioso lungo le sue vene, rimbombare ritmicamente nella sua mente. Perché
Arthur non lo lasciava? Non gli era manifesto il suo
dolore? Arrivava così lontano la sua arroganza, la sua cieca
insensibilità? Che lo lasciasse a
rammendare i suoi calzini, a rifargli il letto. Quel letto dove…dove…sarebbe
giaciuto con…
Cercò di controllare il suo
respiro. Avvertiva il suo Potere scorrere copioso lungo il suo corpo, come un
veleno, come un maledetto veleno. Perché doveva
soffrire così? Per chi, per cosa?
Era solo uno stupido popolano. Uno stupido e ingenuo ragazzo di campagna.
-
Merlin!
Avvertì la mano guantata di Arthur stringersi attorno al braccio scarno. Avrebbe voluto spingerlo via, cacciarlo. Sarebbe
bastato un solo sguardo, e lo avrebbe distrutto. Disintegrato. Ma sapeva che non sarebbe mai stato capace di ferirlo,
fargli consapevolmente del male.
-
Lasciatemi Sire.
Sono molti i compiti da portare a termine oggi. Sarà una giornata stancante…devo incominciare subito o...
La mano si strinse con più forza
sulla sua carne.
-
Girati, guardami
negli occhi.
-
Non ho tempo per i
vostri stupidi capricci – e forse il suo tono fu più velenoso di quanto
pensasse, perché con uno strattone si ritrovò sbattuto contro l’armadio, la
schiena dolorante e gli occhi fissi in quelli di Arthur.
Per un attimo lo odiò. Così
intensamente che pensò di non farcela a reprimere il suo Potere. Perché non lo lasciava in pace? Era così
piacevole distrarsi con il dolore, la sofferenza altrui?
Non aveva altro da fare il Principe, il giorno del suo
matrimonio?
-
Parlami.
-
Vi sto parlando
Sire, in questo preciso istante. Potreste lasciarmi andare.
-
Maledizione
smettila! – il corpo di Arthur si addossò con forza contro il suo. Per pochi
istanti il suo animo vacillò. Poteva avvertire il suo profumo, il suo odore che
lo inebriava, come sidro dorato. Gli occhi di Arthur erano così…così...
Cercò di respingerlo, di porre
distanza fra il suo corpo muscoloso, e caldo così caldo,
e il suo…ma il Principe non voleva. Cosa voleva ottenere? Grida isteriche, un’umiliazione
manifesta?
Non gli avrebbe dato questo
sottile piacere. Mai. Non possedeva abiti pregiati, né monili preziosi. Né una
cultura erudita. Ma un orgoglio sì. E anche se era
stato così ingenuo e folle e innamorato, da permettergli di insinuarsi
lentamente nella sua anima, non gli avrebbe permesso
di lacerargliela come un pezzo di stoffa logoro.
E Arthur lo guardava così
intensamente, con quegli occhi di cielo e nuvole che sempre lo spiavano, lo mettevano a nudo. Merlin sotto quello sguardo era sempre
uscito sconfitto, felicemente
umiliato. Come quel giorno in cui le labbra del suo Principe si erano posate
delicatamente sulle sue. E per quei pochi istanti Merlin aveva pensato che,
forse, il Suo destino non sarebbe stato così ingrato. Gli occhi di Arthur erano
sembrati così sinceramente innamorati.
Stupido ragazzo di campagna. Eppure le menzogne le aveva sempre riconosciute, no? Sotto gli
sguardi diffidenti dei suoi compaesani, delle risate di scherno dei suoi
amichetti. Il villaggio aveva bisogno di qualcuno di diverso da poter sbeffeggiare, sul quale
riporre tutta la propria negatività. E lui era lì. Orrendamente diverso. E strano.
E dopo tutto
ciò che aveva passato, aveva pensato, sì aveva osato credere che, ora un
nobile, il Principe, potesse provare interesse verso di lui. E nonostante
sapesse razionalmente che tutto ciò fosse impossibile, aveva perso il sonno,
troppo intorbidito da un amore falso. Dagli sguardi rubati
lungo le infinite giornate, dai baci roventi e febbrili, la notte. Aveva
amato la notte, le veglie che lunghe si susseguivano,
il verso delle civette provenienti dalle campagne, gli ansimi di piacere di
Arthur nelle sue orecchie. E il suo corpo, così ricolmo di vita e vigore,
stretto al suo, con delle braccia forti e possenti che lo avvolgevano come una
coperta calda. Aveva scambiato tutto quello per affetto. Stupido.
Gli sembrava di essere stato un
cane randagio. Era bastato un pezzetto di carne, una lieve carezza sul suo pelo
sporco e disordinato, per scodinzolare felice. Innamorato di
quella mano affettuosa, dispensatrice di calore e cibo. E cosa si
stupiva se dopo, all’improvviso, quel calore gli era stato negato e da avere un
tetto sopra il corpo, si ritrovava di nuovo esposto al gelo della notte, agli
scherzi cattivi dei bambini?
La fronte calda di Arthur si posò sulla sua spalla ossuta.
Merlin serrò le labbra, chiudendo gli occhi. Avvertì un magone
in gola, gli occhi si serrarono ancora di più a celare il suo sguardo, ormai
umido.
Avrebbe voluto strapparsi il
cuore, urlare contro Arthur, distruggerlo e farlo soffrire come aveva fatto lui stesso.
-
Ti prego…parlami.
Era un sussurro così fioco che
Merlin pensò di esserselo immaginato. Come il tono quasi supplichevole,
incerto. Arthur non lo aveva mai pregato. Poteva considerarsi una vittoria?
Così amara, come le erbe di Gaius?
Si sentiva così stanco.
-
Cosa
vuoi sentirti dire…Arthur?
Lasciò perdere le convenienze sociali. Forse il suo Principe non le
meritava o forse quel rapporto era ormai così incrinato che le parole vuote e
formali non potevano più servire.
-
Dimmi che ci sarai
alla Cerimonia.
Ormai Arthur lo stava
abbracciando, poteva avvertire il suo calore serpeggiare sulla sua pelle.
Perché era così crudele? Perché era così egoista?
-
Ti diverte umiliarmi
Arthur?
-
Lo sai che non è
così. – rialzò la testa, lui riaprì gli occhi, si guardarono.
Merlin provò l’istinto
irrefrenabile di dargli un pugno. E poi di baciarlo.
E forse prevalse quest’ultimo
pensiero, perché si ritrovò una mano di Arthur immersa nei suoi capelli di pece, a sostenergli
la testa mentre le sue labbra morbide ricercavano le sue. Erano intere lune che
non si sfioravano, Merlin avvertiva la ferocia del suo desiderio ottenebrargli
la mente. Si strinse contro il suo Principe, le braccia avvolte intorno alle
spalle possenti. Le sue labbra bevevano i respiri di Arthur, assaporavano il
sapore forte e muschiato della sua pelle, ricercavano un piacere infinito.
Volle scordarsi del dolore,
della rabbia, della delusione. Di che giorno
fosse. Avrebbe voluto gridargli perché non lo potesse amare, perché avesse
scelto Lei, perché lo avesse cercato, illuso, distrutto in quel modo. Perché?
Si era divertito almeno con i suoi cavalieri nel sbeffeggiarlo? Si staccò di
colpo, cercando di riacquistare un minimo di lucidità. Cercò di oltrepassarlo,
ma Arthur lo bloccò di nuovo contro l’armadio.
-
Lo sai che non la
amo.
Merlin strinse gli occhi. Cercò
di recuperare un filo fra i suoi pensieri. Stava succedendo tutto così in fretta…non si erano parlati davvero per così
tanto tempo. L’orgoglio aveva impedito un chiarimento fra loro…e ora…ora che era troppo tardi…
-
Perché mi hai
cercato? Io avrei continuato a…- s’interruppe, si umettò le labbra, imbarazzato…non
avevano mai espresso a voce i loro sentimenti. Che dovesse essere in un giorno
simile l’avverarsi di tali dichiarazioni? - …ad
amarti in silenzio. Non avrei mai preteso nulla da te…sapevo
che un giorno ti saresti sposato, è giusto che sia così…ma
perché…perché mi hai cercato, mi hai illuso in questo
modo? Perché non mi hai detto subito le tue intenzioni con Gwen? Perché me le
hai fatte scoprire…così?
Avvertì Arthur staccarsi
lievemente dal suo corpo, e una sua mano passare fra i suoi capelli, passare lievemente sui suoi zigomi appuntiti, sulla
mascella. Sembrava voler imprimersi i tratti del suo volto.
Merlin amava quel tocco. Eppure
odiava allo stesso modo i sentimenti che quella mano scatenava dentro di lui.
Odiava odiava odiava Arthur. Lo odiava.
Si chiese come si potesse odiare
e amare allo stesso tempo. Stava forse impazzendo?
-
Io ti vorrò sempre
accanto a me Merlin. Sei la mia debolezza…e la mia
forza.
Chiuse gli occhi. Arthur non gli
aveva mai rivolto parole così…profonde. Che fosse
davvero possibile che in fondo il Principe lo amasse? Che non fosse tutta
menzogna ciò che avevano vissuto?
-
Un giorno mi dissero… - riaprì gli occhi,
specchiandosi nello sguardo azzurro del Principe – che noi due eravamo la
faccia di una stessa medaglia…forse mi ero illuso sul
significato di queste parole.
-
Io so solo che ho
bisogno di te – e il tono era roco, combattuto.
-
Arthur?
Il Principe non rispose ma lo
baciò con disperazione. E Merlin si fece baciare. E comprese ciò che non gli
era stato capace di dirgli. Perché Arthur non aveva mai pregato per delle
carezze o per dell’affetto. Lui le pretendeva
e nel caso, le prendeva con la forza. Ma non
perché fosse incapace di volere bene genuinanamente…non
sapeva in realtà come chiederle. Rinchiuso in quella corazza di orgoglio,
educazione ferrea e tracotanza.
-
Mi dispiace.
E Merlin accettò, in quel
momento, che non poteva rimanere a Camelot. Ma non solo per il suo dolore…per il
destino stesso di Arthur. Egli doveva essere un buon Re…eppure
in quel momento sembrava stesse per cedere il suo futuro…per
la loro relazione. Non poteva permetterglielo. Non potevano aver vissuto tutte
quelle esperienze e avventure per…il nulla.
Non si sentiva così lucido da tempo ormai. Aveva gettato veglie intere covando rancore
e dolore verso il suo Destino, verso Arthur, Camelot e
quel maledetto giorno in cui aveva deciso di mettersi al servizio del Suo
Signore. Eppure…forse era propria questa, la prova
che il suo Destino gli richiedeva.
I loro sentimenti, il loro…amore, doveva essere posto in secondo piano in quel
momento. Arthur doveva sposare Gwen, doveva assicurare un erede al trono e
dispensare giorni sereni al Regno di Camelot e alle
sue genti. Lui aveva solo dovuto condurlo verso questo Cammino…e
poi farsi da parte. Era giusto che fosse così. Doveva essere giusto.
-
Ci sarò alla
Cerimonia.
Si guardarono intensamente. A un
tratto bussarono alla porta. Distolsero lo sguardo, mentre un valletto entrò
imbarazzato nella stanza.
-
Mio Signore, il Re
reclama la vostra presenza nella Sala del Trono…
-
Digli che sto
arrivando.
Il ragazzetto s’inchino
lievemente, per poi uscire in tutta fretta.
Calò di nuovo il silenzio fra
loro. Poi Merlin prese la sua decisione.
-
Vai. Ti aspettano.
Ci vediamo lì.
Arthur lo guardò. Sembrava sondarlo…ma prima di uscire si girò, guardandolo di sbieco.
-
Non sarai troppo idiota da non trovare la strada per la Cappella
vero?
-
E tu non sarai
troppo Asino da scordarti le parole del Giuramento?
Si guardarono per un ultimo
istante. Merlin in quel momento, leggendo negli occhi tristi di Arthur,
comprese che forse il Principe aveva intuito cosa sarebbe accaduto. Ma non disse nulla, immobile sulla soglia di quella porta,
che così tante volte li aveva divisi dal mondo esterno.
Cercò di memorizzare, per l’ultima volta nella
sua vita, il suo profilo perfetto, i capelli color del grano estivo…e la sua pelle di miele dolce.
Sapeva che quell’immagine lo
avrebbe accompagnato per tutta la vita. Tornato a Ealdor, sapeva che il grano che
avrebbe trebbiato d’estate, lo avrebbe ricondotto ai capelli di lino del suo
Principe. E uno sguardo affaticato al cielo immenso e azzurro, lo avrebbe
rilassato.
Gli sorrise. Così come non accadeva da tempo.
E con un ultimo svolazzo del mantello carminio, Arthur scomparve oltre la
porta.
Gli istanti che seguirono furono
concitati. Scese di fretta le scale in pietra, uscendo all’esterno. Entrò in
casa e l’odore pungente delle erbe gli otturò il naso, come sempre. Gaius non
era presente per fortuna. Prese un pezzo di pergamena e con frasi brevi ma
sincere e profonde, espresse tutto il suo affetto e la sua gratitudine verso il
vecchio cerusico. Cercò di trovare le parole per esprimere tutte le emozioni e
i sentimenti, che lo avevano condotto a quella scelta. Richiuse con della
ceralacca la pergamena e la pose sul tavolo dove avevano consumato
i loro pasti in tutto quel tempo. Non ebbe il tempo di volgere un ultimo
sguardo a quelle mura sudice e calde che lo avevano ospitato e protetto. Non
voleva avere del tempo per riflettere troppo. Afferrò un panno in cotone grezzo
e v’infilò le poche vesti che gli appartenevano insieme al libro di Magia
donatogli da Gaius. Non sapeva se lo avrebbe più utilizzato, ma preferiva
portarlo con sé. Insieme al ricordo di
quei giorni felici e difficili.
Fece per uscire dalla stanza ma a un tratto la
porta massiccia si aprì lentamente. Merlin rimase interdetto sulla soglia…ma dopo comprese.
Morgana lo guardava con occhi
tristi e vacui. Era da molte lune che la Principessa sembrava aver perso la
lucidità. I capelli erano difficilmente in ordine, come le vesti. Eppure Merlin
comprendeva cosa le stava accadendo. E la rispettava, per la forza che ella mostrava nell’affrontare quel cambiamento e le sue
conseguenze.
-
Milady…
-
Io…avevo visto questo
giorno. Eppure non credevo possibile che alla fine sarebbe accaduto tutto
questo.
Merlin chinò il capo,
sorridendo.
-
Allora saprete anche
mia Signora, il dolore che provo in questo
momento. Lasciatemi andare via,
prima che qualcuno si accorga della mia assenza.
-
Arthur soffrirà molto…vuoi davvero recargli tutto quel dolore?
Tremò sotto quelle parole, ma
non si piegò. Doveva andarsene…per Arthur. Con lui
accanto non sarebbe stato capace di amare come doveva Gwen…e
lei non lo meritava…e non lo meritava nemmeno il
figlio che avrebbero avuto. Forse era scritto questo
nel loro destino…forse la sua presenza era necessaria
solo fino a questo punto delle loro vite.
-
Merlin…io so che tornerai a Camelot un giorno… - Morgana lo guardò, i capelli in parte
scompigliati, una bellezza selvaggia ma ancora affascinante…-
passeranno molte stagioni…e forse io non vedrò il tuo
ritorno…ma so che troverai Camelot molto diversa. E
sono sicura ti piacerà… - e sorrise, con una malizia
che sembrava ricordare mesi passati, prima che incominciasse ad avvenire il
cambiamento dentro di lei.
-
Lo spero mia
Signora.
-
Prendi questo… - la dama gli diede un mantello di lana color
carbone, - ti riparerà dal freddo e da sguardi indiscreti.
Merlin s’inchinò lievemente,
prendendo da quelle mani candide il mantello. Lo indossò sorridendole…poi
la Principessa si scostò, facendolo passare. Merlin la oltrepassò, ma dopo
pochi passi si fermò, gli occhi lucidi.
-
Mia Signora…dite ad Arthur…che io… - ma non riuscì a continuare.
-
Glielo dirò. Ora
vai.
Quando uscì nel cortile interno
del castello, rimase accecato per pochi secondi dal sole. Erano settimane che pioveva…sorrise tristemente. In parte…era
contento che Arthur si sposasse in un giorno sereno. La luce calda avrebbe
accarezzato con ancora più splendore la sua capigliatura dorata.
Avvertì un magone
in gola…era davvero sicuro di ciò che stava facendo?
Rimase immobile, la sacca in panno vicino ai suoi piedi. Non volle girarsi
verso il Castello. Non ce l’avrebbe fatta…con sguardo duro si fece forza, e incominciò ad
incamminarsi.
La città incominciava a
svegliarsi, dalle case basse provenivano i rumori dei fabbri e degli stallieri.
L’odore del pane appena sfornato invadeva la stradina sterrata. Sentì qualcuno
chiamarlo, ma non si volse. Si sistemò meglio il cappuccio in testa,
nascondendo le fattezze del volto e affrettò il passo.
Non si volse nemmeno per un
secondo, per tutto il tragitto che lo portò fuori da Camelot.
Fu solo quando giunse nella foresta che le lacrime, lente e calde,
incominciarono a scendere lungo le sue guance scarne.
Non si fermò, non si girò. Avvertì il potere scorrere nel suo corpo come
balsamo, liberarlo da un dolore che per troppo tempo aveva taciuto…le
radici, prima che i suoi piedi toccassero terra, si scostavano, come i rami dei
faggi. La foresta lo avvolse, il canto dei merli lo accompagnò lungo il
sentiero dissestato.
Dopo molto tempo incominciò a
salire lungo il crinale della montagna, lasciandosi i boschi alle spalle.
Quando avvertì la stanchezza intorpidirgli le membra, si fermò, riprese fiato.
Si sedette sull’erba umida, osservando il cielo azzurro e limpido. Bevve un
sorso d’acqua fredda dalla bisaccia e solo allora, guardò alle sue spalle. In
lontananza, immersa in una lieve foschia, si stagliava la valle di Camelot. E lungo la collina, il Castello. Il sole era già
alto, la Cerimonia doveva essere già essere giunta a compimento. Si chiese
Arthur cosa avesse pensato non vedendolo lì, insieme con gli altri. Ma in fondo…era conscio che il
Principe avrebbe compreso. Anche se rimaneva uno Stupido Asino.
Si girò, prendendo un grosso
respiro. Non era un addio.
Non era un addio.
Aveva deciso di lasciare un
messaggio diverso ad Arthur. Le parole erano state solo malintesi crudeli fra loro…e non potevano esprimere il legame che, per sempre, li
avrebbe legati. Aveva affidato ad altra forma, il suo messaggio.
Con un ultimo sorriso,
s’incammino verso le sue Terre.
***
Quando Arthur e la Corte intera
uscirono dalla cappella in pietra grezza, si accorsero che lungo i cigli delle
strade, fra le piante rampicanti ormai spoglie che
serpeggiavano le mura, erano cresciuti dei rigogliosi cespuglietti di Viole
selvatiche. La folla incominciò a mormorare sorpresa: i fiori fino a una veglia
prima non erano presenti e soprattutto, non era possibile che fossero sbocciati
con quel freddo. Mentre il corteo vociferante incominciò a percorrere la strada
per rientrare nella parte interna de Castello, Arthur rimase indietro, lo
sguardo lucido perso fra i fiori.
Sapeva che era stata una magia
di Merlin…il suo ultimo saluto.
“Fedeltà”. Era questo il significato di quel
fiore, così piccolo e delicato, eppure così profondo nel valore che assumeva.
L’aveva donato mesi prima a Merlin, una notte di
inizio estate che avevano passato fra i campi dorati vicino Camelot. Lui aveva
sorriso, sorpreso da quella gentilezza…e l’aveva
preso in giro, chiedendogli se l’avesse preso per una svenevole dama. Avevano
fatto l’amore sotto le stelle quella notte. Il profumo delle
viole intorno a loro, il frinire dei grilli ad accompagnare i loro ansimi di
piacere.
-
Mio Signore…
Arthur si passò velocemente una
mano sugli occhi, girandosi verso la sua Sposa. Gwen gli sorrideva amorevole,
tendendogli la mano piccola e delicata. Arthur la prese con delicatezza, mentre
riponeva dentro una tasca dei pantaloni, un bocciolo di viola.
Fine (?)