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Autore: Mrs C    30/01/2010    4 recensioni
Stupida, stupida, stupida, scema, scema, scema, scema. Perché diavolo sei qui? E se ti sbattesse la porta in faccia? No, lui non lo farebbe mai. Forse. Uno scatto. La porta dove hai appena bussato che si apre lentamente. Una capigliatura biondiccia che ti accoglie e due occhi azzurri che ti guardano stupiti forse quanto e più di te. «Lisbon? Che ci fai qui?»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The mentalist Spazio Autrice

Ieri notte, verso le undici, ho iniziato questa fanfiction sul telefilm The Mentalist che, personalmente, amo molto. Conclusa solo ora, che sono le 19 e 20 ne sono molto soddisfatta, devo essere sincera, ed in questo periodo mi capita raramente di esserlo di qualche mio scritto, ne sono molto contenta. Ne approfitto, comunque, per ringraziare tutte le persone che recensiscono le mie fanfiction e chi mi da consigli ed esprime le sue opinioni, ne sono veramente molto felice.  

Disclaimer:
i personaggi qui citati non sono miei [purtroppo] ma di chi ne detiene i copyright, non scrivo questa fic per scopo di lucro [non ci guadagno niente nel pubblicarla] ma per puro divertimento indi i copyright, sopracitati, non vengono violati.

Post Scriptum: le umeboshi in realtà non c'entrano poi molto con questa fiction però tutto è nato da questa parole. Mi è venuta in mente e ho iniziato a scrivere, mettendocela in mezzo.

*popolare condimento della cucina giapponese a base di prugne salate.

Buona lettura a tutti!



_Lily_



Umeboshi







Stupido, stupida, stupida, scema, scema, scema, scema. Perché diavolo sei qui? E se ti sbattesse la porta in faccia? No, lui non lo farebbe mai. Forse.

Uno scatto. La porta dove hai appena bussato che si apre lentamente. Una capigliatura biondiccia che ti accoglie e due occhi azzurri che ti guardano stupiti forse quanto e più di te.
«Lisbon? Che ci fai qui?»
La sua voce è più acuta del solito ma non sembra arrabbiata solo... sorpresa. Fai scorrere i tuoi occhi sulla sua camicia, semiaperta e sui boxer, neri, per poi avvampare. Non pensavi fosse tipo da boxer neri, l'avevi immaginato più volte con quelli a fiori, o al massimo con un paio blu. Ma neri! Erano troppo... sexy per Jane!
L'avevo immagino
più volt... Dio, ma cosa vado a pensare?
Lui ti fissa ancora mentre tu scuoti la testa più volte per riprenderti poi torni la solita Lisbon e lo fissi dritta in quelle pozze azzurre, porgendogli un pacchettino.
Jane storce la bocca, come fa tutte le volte quando cerca di capire qualcosa, e prende l'involucro di carta bianca, osservandolo da una sola angolazione, ma sembra che lo stia trapassando con lo sguardo, cercando un po' d'imitare i raggi x.
«Sono delle umeboshi*» Spieghi, per accelerare i tempi. Lui alza lo sguardo su di te e inclina la testa di lato senza dire niente.
«La settimana scorsa hai detto che ti sarebbe piaciuto assaggiarle» Continui, sentendoti decisamente a disagio sotto il suo sguardo indagatore «così ho chiamato una mia cugina che abita in Giappone per lavoro e... me le ho fatte mandare. Così, per... ecco...»
Ti sposti un ciuffo che ti è ricaduto sugli occhi approfittandone per distogliere i tuoi occhi dai suoi. Sei veramente una stupida, pensi, hai fatto male a venire con la scusa delle umeboshi, hai fatto una figura di merda. In realtà eri solo preoccupata per lui... volevi vedere come stesse e ti sei spinta fino a bussare alla sua porta. Molto probabilmente ti sei spinta troppo.
«Vieni, Lisbon.»
Alzi gli occhi, stupita e noti il sorriso del tuo assistente che t'invita ad entrare in casa sua con un gesto eloquente del capo. Abbassi il capo, annuendo leggermente per poi oltrepassare la soglia dell'abitazione. Non sei mai entrata a casa di Jane ma non ti stupiresti di trovare qualsivoglia cianfrusaglia introvabile al mondo ma che lui sicuramente ha. Invece, rimani stupita a constatare che la casa è incredibilmente sobria. Troppo per essere normale.
La cucina ha il piano cottura ma dubiti seriamente che sia stata utilizzata se non un paio di volte nella sua vita, a giudicare dai cartoncini buttati nella spazzatura (o, in mancanza di spazio, per terra). Non ci sono quadri, non ci sono poster, non c'è nemmeno una fotografia. Già, le fotografie. Jane le odia, dice sempre che il modo peggiore di ricordare qualcuno è guardare una fotografia poiché rievoca alla mente ciò che poteva essere, che è stato e che non sarà mai più. Non ti stupisce nemmeno che ci siano delle coperte sul divano, tu lo sai, lui è abituato ad addormentarsi nei luoghi più impensati. E, in fondo, che senso ha dormire in un letto vuoto, senza una persona che lo scaldi insieme a te?
Pochi mobili. Prevedibile, non ha nemmeno il tempo di crearsi un guardaroba o di addobbare un po' la casa, con tutto il lavoro che c'è da fare.
Pensi che non ti aspettavi così, il suo appartamento. E' spoglia e... vuota. Potrebbe benissimo sembrare l'abitazione di un fantasma se il diretto padrone non fosse a pochi passi da te.
«Come vanno le cose in ufficio?»
Ti riscuoti dai tuoi vaneggiamenti, voltandoti verso di lui che si è, nel frattempo che tu sproloquiavi sulla sua casa, diretto in cucina per aprire il pacchetto che gli hai portato. Entri nella stanza in punta di piedi, facendo spallucce... come se lui ti potesse vedere di spalle.
«Vanno...»
Rispondi, evasiva. Il biondo ti guarda da sopra la spalla, ghignando.
«Ti hanno mandata a controllarmi, vero?»
Chiede. Quello sembra un accenno di risata? Cattivo segno. Jane raramente ride a meno che non ci sua qualcosa che lo turba. E tua sai bene che è proprio così. Si volta, con il pacco in mano e mette qualche umeboshi su un piatto in ceramica per poi farti cenno di seguirlo nell'altra stanza, in soggiorno. In pochi secondi vi trovate seduti entrambi sul divano, dove prima c'erano le coperte ora malamente gettate a terra dallo stesso mentalist. Jane accende la tv con il telecomando, facendo zapping. Forse si aspetta che tu dica qualcosa, ma in realtà sei talmente tesa che hai paura di non avere più la voce per parlare.
«Non c'era alcun bisogno che tu venissi.»
Lo guardi, non accorgendoti che, in realtà a guardarti è stato prima lui. Qualcuno ha acceso il riscaldamento? Senti improvvisamente molto caldo. Cerchi di scacciare quella strana sensazione alla bocca dello stomaco e inarchi le sopracciglia.
«I ragazzi erano molto preoccupati, Jane. Non ti sei fatto sentire per due giorni.»
Distoglie lui gli occhi per primo, per posarsi sulle umeboshi. Ne prende una, fra l'indice e il pollice, osservandone attentamente i contorni, come assorto in chissà quale riflessione dantesca. Una umeboshi può far intuire l'essenza della vita?
«Tu non eri preoccupata.»
La sua non è né una domanda né un'accusa, solo una semplice constatazione. Avvampi leggermente. Lui ha la capacità di leggerti dentro in una maniera quasi paurosa. E' vero, non sei preoccupata e non lo eri nemmeno prima ma, con la scusa di andare a trovarlo per conto dei tuoi sottoposti, puoi vederlo senza sembrare un'idiota.
O una ragazzina alla sua prima cotta, con la differenza che, questa volta, è tutto più difficile di quando avevi sedici anni. Come puoi combattere contro una persona che non c'è più? Sarebbe da stupidi, e questo lo pensi anche tu.
«No, non ero preoccupata.»Asserisci, giocherellando con una ciocca di capelli «So che non avresti mai fatto nulla di stupido.»
Per qualche secondo non dite nulla, poi la sua voce impertinente ti arriva nuovamente alle orecchie.
«Questa convinzione viene da...?»
Ti sprona a parlare. Strano, solitamente è lui che conclude le tue frasi e non viceversa.
«Viene dal fatto che ti conosco. E che sai bene quanto la vita sia importante per sprecarla con un gesto tanto stupido.»
Mormori a bassa voce, per poi tacere. Nessuna voce che risponde, va bene così, non c'è bisogno che lui dica nulla. Jane parla anche se sta in silenzio, è questa la sua particolarità. Ed è questo che ti piace di lui, ammettilo.
Non lo saprà mai, questo è certo.
Schiacciando un pulsante del telecomando, la televisione fu spenta ed entrambi rimanete ancora in perfetto silenzio. La tensione è palpabile, si potrebbe benissimo tagliare con un coltello, Lisbon, te ne sei accorta anche tu, ma non hai la minima intenzione di aprire bocca se non lo fa prima lui. Alzi gli occhi e ti accorgi con stupore che Jane ti sta fissando. Non ha nessun ghigno sulle labbra semplicemente... ti fissa, così, senza il minimo imbarazzo. Rossa in volto distogli, con fatica, gli occhi dai suoi e li abbassi, fissando le umeboshi che attendono di essere assaggiate.
«Tu non eri preoccupata.» Ripete il mentalist facendoti alzare gli occhi nuovamente verso di lui  «Però sei venuta ugualmente.» Ghigna, divertito.
«L'ho fatto per i miei sottoposti, volevano sapere come stavi.» Replichi, pacata.
«Ma tu hai il mio numero di cellulare, potevi fare una semplice telefonata e ti saresti risparmiata la fatica di venire qui.»
Gli lanci un'occhiataccia, ben conscia del fatto che ti sta provocando. Lo sai, lui lo fa sempre, si diverte e rompere la tensione è la sua specialità. Rispondi con uno sbuffo scocciato, poggiando il viso nel palmo della mano ed osservando un punto indefinito della stanza.
Nuovamente il silenzio.
Odi stare in silenzio quando siete soli, ti crea disagio ma non sai come rompere il silenzio, così sospiri pesantemente. E, come sempre, è lui a spezzare il silenzio, spiazzandoti totalmente.
«Sono contento che tu sia venuta.» Questa volta non ti guarda, è nella tua stessa posizione e fissa la finestra, come se non la vedesse realmente. «Non sono sicuro che sarei riuscito a... passare questo giorno da solo.»
Si volta e sgrani gli occhi. I suoi sono lucidi. Non ha nessuna particolare espressione ma i suoi occhi, così azzurri, così limpidi così... tristi, ti fanno così male che vorresti prenderti metà del suo dolore. Quando si è in due il dolore diminuisce, si piange insieme, e poi ci si chiede se questo dolore passerà mai. E, invece, Jane... Jane, da quando è morta la sua famiglia è sempre stato solo con il suo dolore, l'unico vero compagno che non l'ha mai tradito e oggi è la ricorrenza di quel terribile episodio. Ecco perché Jane è da due giorni che non si fa vedere in ufficio ed ecco perché avevi una fottuta paura di una sua risposta sgarbata quando sei arrivata davanti a casa sua.
Vederlo così vulnerabile ti fa star male così, senza nemmeno pensarci, allunghi una mano verso il suo viso. Ha la pelle calda, trovi a constatare, calda e morbida. Lui non distoglie lo sguardo né si ritrae al tuo tocco. Semplicemente ti guarda, gli occhi socchiusi ad assaporare questo momento, e le labbra dischiuse.
Quelle labbra... ti stanno ossessionando la notte, e il giorno, non riesci a pensare ad altro se non  a lui. Al suo viso, al suo ghigno che spesso si tramuta in un sorriso, ai suoi occhi, alla sua impertinenza e al suo sarcasmo. Ami ogni cosa che riguarda lui, per quanto tu ti possa lamentare del suo comportamento dispotico a lavoro come nella vita di tutti i giorni.
Non ti aspetti di certo che lui risponda alla tua carezza ma quando la sua mano sfiora la tua mentre lui chiude definitivamente gli occhi, pensi che, ora potresti anche morire in pace. Chiudi gli occhi anche tu e sorridi. Ti senti colpa perché lui soffre dannatamente mentre tu voli ad un metro da terra e una parte di te, quella più egoista, vorrebbe rimanere così per il resto dei tuoi giorni. E anche dei suoi, possibilmente.
«Lisbon... »
Socchiudi gli occhi trasalendo. Hai il suo viso così vicino al tuo che potresti contare le pagliuzze blu che giocherellano nei suoi occhi azzurri. In un impeto di pura follia ti sporgi, e le vostre labbra quasi si sfiorano. Continui a toccare il suo viso, i muscoli della mascella contratti, come se stesse combattendo contro se stesso. Stai approfittando della situazione, lo sai, ma in questo momento non t'interessa di quello che sarà.
«Jane... sei non vuoi, fermami adesso.»
E' l'unica frase di senso logico che ti viene in mente da dire, prima che nuovamente la tua attenzione sia catturata dalle sue labbra. Sono così vicine... basterebbe che ti allungassi di qualche centimetro per sentirne il sapore. Poi, in un secondo, si piegano in un sorriso divertito e scoppia a ridere come mai l'hai sentito fare.
Si allontana, tenendosi la pancia per il troppo ridere e con una mano si asciuga gli occhi. Il tuo sopracciglio si alza pericolosamente in un tic morboso. Se ne avessi la forza lo prenderesti a schiaffi in quel preciso istante. Ti alzi in piedi, stizzita, recuperi la tua borsa che hai lanciato sulla sedia quando sei entrata e ti dirigi alla porta con qualche falcata. Hai intenzione di oltrepassarla ma quando stai per aprirla una mano sbatte violentemente contro di essa, non permettendoti di fare alcunché. Trasalisci, quando senti il petto di Jane poggiarsi sulla tua schiena e il suo naso solleticare l'incavo del tuo collo.
«Dove hai intenzione di andare, Lisbon?» Domanda, ironico.
«A casa. O meglio ancora in ufficio, così evito di pensare alla cazzata che ho appena fatto.» Replichi, cercando di risultare fredda.
«Cos'hai fatto di tanto grave da dover passare il sabato pomeriggio chiusa in quella stanza grigia, mio capitan?» Ti sta sfottendo, è più che palese.
«Non dovevo venire qui.» Lo dici in tono quasi rassegnato cercando, nuovamente, di aprire la porta.
Silenzio. Di nuovo quell'imbarazzante silenzio. Stai quasi per credere che sia svenuto, quando toglie la mano dalla porta e per un secondo speri che ti stia lasciando andare ma poi ti afferra per le spalle e ti guarda negli occhi, per la prima volta dall'intera serata, seriamente. Ti accarezza una guancia, esattamente come hai fatto tu poco fa. Sorride. Un sorrido vero, non un ghigno, uno di quei sorrisi che ti fanno sciogliere, della quale ti sei innamorata follemente e di cui non puoi fare più a meno, ormai.
«Quella frase avrei dovuta dirla io.» Dice, avvicinandosi leggermente al tuo volto «Sai che stando con me andrai all'inferno. Non voglio trascinartici, Lisbon.»
E' serio. Preoccupato per quello che potrà succedere, per quello che accadrà. Preoccupato specialmente per te. Ti sfugge un sorriso e ti trovi ad abbandonare il viso nelle carezze della sua mano.
«Se l'inferno è questo... beh, voglio finirci subito. Con te.»
Il suo sorriso ricompare, più luminoso che mai, e questa volta, il sapore delle sue labbra lo senti direttamente sulle tue. Sanno di zucchero... e caramello. Un mix frizzante, dolce, quasi troppo per associarlo a Jane. E' un bacio a fior di labbra, leggero come una farfalla eppure è il più bello che tu abbia mai dato, di questo ne sei sicura. Le sue mani sulle tue guance scottano e appena lui si allontana, le afferri, sorridendo. Sai che oggi non si andrà oltre. Jane non lo permetterebbe in memoria della sua famiglia ma a te va benissimo anche così. Ti ha appena dimostrato che c'è qualcosa fra voi e quel qualcosa per te vale più di tutto il resto.
Ti prende per mano, dirigendoti nuovamente verso il divano e vi sedete, una sul petto dell'altro.
«Le umeboshi ancora non le abbiamo mangiate.» Osservi, fissando le prugne.
Jane le guarda per qualche istante, poi ne prende un paio nella mano e te ne porge una con un dolce sorriso sulle labbra che contagia immediatamente anche te. E' una cena strana, pensi, però è la migliore da molto tempo a questa parte perché sei con la sola persona con cui vorresti essere.


Che poi le umeboshi, non cucinate, non abbiano un buon sapore, è un insignificante dettaglio.
   
 
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