Road To
Perdition
L’uomo
che amo sta su un treno che non è il mio. Me lo ripeto circa venti
volte al giorno. Con la speranza nel cuore, un giorno, di sedermi per caso
accanto a lui. Salutarlo con entusiasmo. Chiedergli cosa ci fa lì, e scherzare sul
controllore baffuto e dall’aria addormentata che si lascia fregare facilmente
dai ragazzini nascosti sotto i sedili. Ricordargli che sono anni che non ci vediamo
e che a malapena ricordavo il suo volto. Raccontargli di come infatti mi ci
sono seduto accanto senza realmente vederlo. Dirgli che l’ho riconosciuto
soltanto dalla mano grande ed ampia posata sul proprio ginocchio. Dai suoi
polsi sottili e dinoccolati. Di quelli da cui sporgono sempre le ossa. E magari
perdere la fermata, fingendo di non essermene accorto, soltanto per parlargli
ancora un po’. Soltanto per sapere in fondo quello che già so. Che lui è
sposato, con una bambina bellissima, di cui mi mostrerà le foto, raccontandomi
piccoli aneddoti di vita quotidiana. Mi dirà che potrebbe guardare sua figlia
per ore, senza stancarsi mai. Perché lei è la sua stessa esistenza. Una
motivazione di vita di cui non potrebbe fare a meno. Ed io starei lì ad
ascoltarlo. Sorridendogli, fingendomi entusiasta quanto lui di avere notizie
simili. Poi lui si alzerebbe, mi direbbe che quella è la sua fermata, e che è
stato bello rivedermi. Che ora che so dove abita gli farebbe piacere se lo
venissi a trovare. Per presentarmi sua moglie. Mi direbbe che naturalmente
posso portare mio fratello e la mia ragazza. Mi prenderà in giro perché non né
ho ancora una. E tutto si concluderà con una stretta di mano. Mi guarderà
alcuni secondi prima di dire quelle poche parole che già conosco. Spero che quello che è successo tanto tempo
fa, tu l’abbia dimenticato. Ed io annuirei. Gli direi che è uno stupido e
che erano soltanto due persone con le idee confuse. E mentre lui scenderebbe
dal treno io rimarrei immobile con un sorriso stupido stampato sulla faccia. E’
lo scenario che si presenta nella mia testa, tutte le volte che sprofondo su di
una seggiola del treno. Sono sette anni che non ci vediamo. Chissà dove sei e
come stai. Ti scrivo una lettera ogni notte, quando so già che tutta casa
dorme. Ti scrivo della mia di bambina. Ha cinque anni e si chiama Emily. Ha i
capelli biondi come me e Winry e gli occhi gialli
come i miei. Lei mi dice sempre di non
definirli soltanto gialli bensì dorati.
Ricordi? Me lo dicevi anche tu, quando mi guardavo nello specchio di casa tua
alle tre di notte dopo avere fatto l’amore con te.
Ora vivo a Reesembol, abbiamo una casa non troppo lontana da quello in cui sono vissuto
con mio fratello. Teniamo su un’officina di automail
e siamo discretamente ricchi. Non ci manca nulla. E mia figlia cresce nel verde e nell’aria
pulita.
A volte mi addormento insieme a lei sotto l’albero di mele dietro casa. Le
piacciono gli insetti e per natale vorrebbe regalata una rana che ha deciso
chiamerà Max.
Amo Emily come ho amato te. E se la distanza dovrebbe affievolire il sentimento,
ho le sensazione che accresca e non lasci via di scampo. Ho sognato tante volte
di abbandonare la mia famiglia soltanto per vederti. Per cercarti. Per
intraprendere un viaggio e ritrovarci insieme sotto la pioggia a fissarci l’un
l’altro senza dire una parola. Soltanto per sapere che siamo entrambi vivi.
E’ strano come i teatrini che si formano nella mia testa vedano me solo ed abbandonato
e te felice.
Vorrei soltanto sapere se anche tu sei rimasto come me, con l’amaro in bocca.
Per avere scelto una vita che non è la nostra. Per avere scelto il giusto che questa società ci impone.
Ti scrivo ma non spedisco. Sappi che in ogni caso se mi vedessi, mi
riconosceresti. Non sono cambiato. I miei arti sono rimasti di metallo, solo Alphonse è tornato umano. Io mi sono rifiutato. E per
quanto sembri stupido ed infantile dirlo, l’ho fatto soltanto per te. Affinché
ci riconoscessimo pure tra mille anni. Pure in un’altra vita.
Domani mattina prenderò il treno per sbrigare delle faccende in città e come
sempre resterò seduto sul sedile. Mi girerò ad ogni fermata. E crederò che ogni
voce sia tu. Fino alla fine del tragitto.
THE
END
Dunque, cosa ho scritto? Bella domanda. Dire che ho
immaginato una situazione strana è dire poco. Realmente ci sono poche
spiegazioni. L’ambientazione è quella
del manga e dell’anime, per cui non siamo in mondi paralleli strani, soltanto
ho immaginato un futuro molto lontano. Non c’è una vera motivazione per cui
Edward e Roy non si vedano da così tanto tempo e non si sentano addirittura. Mi
piace immaginare Ed che di rimando s’immagina che sia Roy quello sistemato con
prole mentre lui rimanga in fondo sempre ragazzino. Naturalmente si lascia
intendere che ci sia stata una storia tra loro due, anni indietro. Lascio a voi
l’immaginazione per capire perché la loro storia si sia conclusa. Il titolo
nasce dalla musica da cui ho preso ispirazione, la colonna sonora del film Road
To Perdition, in italia “Era mio padre”. Per il resto spero vi sia piaciuta :)
spero qualche commentuccio scappi. Un bacio.
Ps:
In un’altra storia, Emily era la figlia di Alphonse e
Winry, ma è un nome che mi perseguita diciamo :)